III. Luce nell'oscurità
"Quindi se noi mettiamo la bandiera sul Pugno di Zeus e ci nascondiamo nella foresta, l'avremo sott'occhio e nel frattempo potremo anche depistare i figli di Ares" concluse Malcolm Pace, nella casa sei, il giorno seguente "e poi grazie al nuovo sistema di difesa che hanno progettato i figli di Efesto vinceremo subito"
Annabeth, che si rigirava una matita tra le dita, annuì distrattamente.
"Sì, mi sembra perfetto" borbottò.
Il fratello le scoccò un'occhiata esasperata.
"Inoltre pensavo di consegnare direttamente a Clarisse la bandiera, con tanto di inchino e corona di alloro" continuò, osservandola con le bracia conserte.
"Certo, come credi"
"Annabeth!"
L'irruenza di Malcolm fece sobbalzare la semidea, che lasciò cadere la matita sul foglio abbozzato che aveva davanti a sè.
"Che c'è?" chiese, voltandosi a guardarlo piccata.
"Non mi stavi ascoltando" si lamentò.
Quindi portò una sedia davanti a quella della sorella e guardò quello che stava disegnando.
Era un abbozzo di un tempio, dove una civetta svettava sopra il capitello.
Annabeth era stata nominata, il mese prima, Architetto dell'Olimpo, e aveva il compito di ricostruirlo poichè alcune parti di esso erano andate distrutte durante la battaglia di Manhattan.
"Scusa" replicò quindi lei, passandosi una mano sul viso stanco "è che ho così tanti pensieri per la testa e..."
Sospirò.
"Lo capisco, Annabeth, davvero" replicò Malcolm, con dolcezza "ma non puoi continuare così. Da quando sei tornata al Campo non smetti di disegnare, abbozzare progetti, oppure pensare agli attacchi e discutere strategie di guerra con Clarisse. Finirai per impazzire"
Annabeth soffocò una risata.
"Mi manca davvero poco per impazzire" ammise "ma cosa ci posso fare? Ho così tante cose a cui pensare, di cui sono responsabile..."
A volte, ad Annabeth pareva di aver preso di nuovo il posto di Atlante.
Avrebbe voluto essere più forte, perchè sapeva che sarebbe caduta prima o poi.
Ma non avrebbe potuto resistere di più, avrebbe perduto tutto.
Prendi il peso dalle mie spalle, avrebbe voluto gridare, prendi il peso dalla mia mente.
Forse era per quello che lei e Percy stavano così bene insieme, come se si incastrassero alla perfezione.
Erano entrambi un po' rotti e insieme riuscivano a riaggiustare i pezzi l'uno dell'altra.
Conoscevano l'uno le insicurezze dell'altra, le peggiori paure e i più grandi desideri.
Percy aveva preso il peso del cielo dalle spalle di Annabeth.
Come richiamato dai suoi pensieri, qualcuno bussò alla porta della casa di Atena.
Malcolm si alzò, fermando la sorella che stava già facendo per alzarsi.
"Tu sta' ferma lì, me ne occupo io" l'avvisò.
Si diresse verso la porta e l'aprì.
Appena vide chi c'era oltre essa, si voltò sorridente verso Annabeth.
"Credo sia arrivato qualcuno che può distrarti un po'" disse, mentre si faceva da parte per far entrare Percy.
"Ehi" lo salutò la semidea, sorridendo.
Malcolm puntò un dito contro il figlio di Poseidone, guardandolo severamente.
"Tienila fuori per almeno un paio di ore e guai a lei se vuole tornare qui a finire il suo progetto" ordinò "divertitevi"
"Agli ordini" Percy imitò il saluto militare, mentre porgeva una mano ad Annabeth.
La semidea si alzò, sorridendo e scuotendo la testa.
Quando Malcolm la guardò male, alzò le mani in segno di resa.
"D'accordo, lo prometto" disse "ora mi rilasserò"
"Sarà meglio" replicò il figlio di Atena "altrimenti come faremo a vincere a Caccia alla Bandiera?"
Annabeth gli diede un bacio sulla guancia, mentre prendeva la mano del suo ragazzzo.
Percy salutò il fratello di lei e poi uscirono dalla casa sei.
"Dove mi porti?" chiese quindi lei.
Il figlio di Poseidone sorrise, con il suo sorriso da piantagrane.
"In realtà non potremmo andare dove stiamo andando" premise.
Annabeth rise.
"Ma d'altronde quando mai tu segui le regole?"
"Esattamente"
Erano arrivati davanti alla casa uno, quella dedicata a Zeus.
"Talia mi ha svelato un segreto, tempo fa" raccontò Percy, mentre entravano attenti a non farsi vedere da nessuno "molto interessante, a dirla tutta"
La statua di Zeus, con il suo cipiglio severo e la folgore in mano come se fosse pronto a fulminarti seduta stante, si stagliava davanti ai due.
"Non ci ero mai entrata" ammise Annabeth "nonostante tutti gli anni in cui ho vissuto qui"
Sfiorò la statua.
"Forse perchè mi ha sempre messa un po' in soggezione" disse "Di Immortales, sembra proprio Zeus"
Percy annuì, avvicinandosi ad una nicchia nascosta dietro la statua.
L'altra lo seguì e sorrise quando vide che Talia aveva creato una specie di rifugio, forse perchè il letto era proprio davanti agli occhi della statua del padre e se ne sentiva intimorita.
Vide che aveva appeso al muro anche delle foto, e in una c'erano sia lei che Luke, un sacco di anni prima.
Le si creò un groppo in gola, ma cercò di scacciarlo.
Doveva rilassarsi, non stare ancora peggio.
"Guarda qui" Percy le mostrò una scala che saliva verso l'alto.
Gli occhi di Annabeth scintillarono, mentre saliva.
Si ritrovarono sul tetto della Casa uno, così in alto che le arpie di servizio non li avrebbero mai trovati.
Dal punto dov'erano si vedeva la baia di Long Island, illuminata dal sole mattutino.
"È bellissimo qui" commentò la figlia di Atena sedendosi.
Percy posò il mento sulla sua spalla.
"Chiudi gli occhi" bisbigliò.
Annabeth fece un mezzo sorriso, obbedendo.
Sentì il suo ragazzo armeggiare con qualcosa che aveva in tasca e poi sentì qualcosa posarsi sulla sua pelle all'altezza del collo.
Aprì gli occhi e chinò lo sguardo.
Prese tra le mani il nuovo ciondolo che aveva al collo, formato da un pezzo di corallo rosso.
"Ti piace?" chiese Percy, guardandola timidamente.
I suoi occhi verdi erano vulnerabili come mai li aveva visti.
Come risposta, Annabeth gli prese il viso tra le mani e lo baciò.
"Tantissimo, Percy" soffiò sulle sue labbra "grazie"
Lui le mise le mani sui fianchi, attirandola di più a sè.
Lei attorcigliò le dita tra i ciuffi corvini vicino alla nuca di Percy, dove i capelli si arricciavano morbidamente.
"Io non ho niente, per te" sussurrò, incatenando i loro sguardi.
Percy fece un mezzo sorriso.
"Ehi, sono qui con te" replicò "è tutto quello che voglio"
Si chinò per baciarla.
Fu quando le loro labbra stavano per incontrarsi che sentirono un pegaso nitrire.
Annabeth si mise a ridere, poggiando la fronte sul petto di Percy.
"Blackjack!" esclamò lui, voltandosi a guardare il magnifico pegaso dal manto nero con gli occhi verdi irritati.
Blackjack nitrì ancora e la figlia di Atena immaginò avesse risposto con qualcosa di ironico.
"Dice che ha qualcosa da mostrarmi, mi dispiace" il figlio di Poseidone sospirò, alzando poi la voce verso l'amico equino "Ma non avrà le ciambelle per merenda!"
"Non c'è problema" replicò lei "vai"
Percy le carezzò la guancia, guardandola così intensamente negli occhi che per poco ad Annabeth non mancò il respiro.
Poi le fece un sorriso furbo, mentre saltava in groppa a Blackjack che si trovava ancora a mezz'aria accanto alla casa uno.
"Sarò di ritorno in tempo per batterti a Caccia alla Bandiera" disse, mentre cominciava ad allontanarsi.
La figlia di Atena schioccò la lingua.
"Non ci sperare!" gli gridò dietro "Atena ha sempre un piano!"
***
Percy adorava cavalcare Balckjack.
C'era qualcosa di magico nel sentire il vento che gli carezzava il viso, i capelli arruffati che andavano da tutte le parti.
Volare insieme al pegaso lo faceva sentire libero, come se nessuna profezia potesse afferrarlo così in alto.
Adorava cavalcare, ma adorava anche baciare Annabeth.
"Dovevi proprio arrivare in quel momento, Blackjack?" lo rimporverò "Ero con Annabeth!"
Scusa, capo, replicò il cavallo, nella mente del figlio di Poseidone, comunque secondo me dovresti portarle delle ciambelle. Così la conquisteresti di sicuro.
Percy scosse la testa, sorridendo.
"Allora" disse "cosa devi mostrarmi?"
Io e Guido stavamo facendo una gara di velocità – che ho vinto io, ovviamente. Non mi merito una ciambella? – e siamo finiti vicino a Brooklyn.
"Blackjack!" esclamò il semidio "Siete andati in giro per New York in pieno giorno!"
La foschia ci protegge, capo, continuò il pegaso, comunque, stavo dicendo. Finiamo in questo quartiere di Brooklyn e vediamo una cosa davvero strana.
Blackjack sorvolò Central Park, quasi sfiorando con gli zoccoli le punte degli alberi verdi che caratterizzivano il parco.
Passarono accanto all'Empire State Building e il pegaso nitrì.
Percy guardò l'immenso grattacielo, con la punta così alta coperta da un velo di nebbia.
Pensò a suo padre e si chiese cosa stesse facendo in quel momento.
Chissà quando l'avrebbe rivisto.
Scesero in picchiata e Blackjack si fermò sopra il tetto di un condominio dai mattoni rossi.
Guarda giù, gli consigliò.
Percy si sporse e si chiese perchè il suo pegaso l'avesse portato lì.
Il vicolo sotto di loro era largo, la parte di sbocco sulla strada principale era fermata da alcuni bidoni della spazzatura.
Il figlio di Poseidone percepiva quanto la foschia fosse forte, lì sotto.
Senza sapere come, intuiva che per i mortali quel vicolo non esisteva, come se i bidoni creasssero un muro che impediva la sua vista.
Al suo interno c'era un gruppo di ragazzi.
Sembrava avessero creato una specie di accampamento tra i cassonetti della spazzatura.
"Non capisco cosa ci sia di strano" ammise "sono dei senzatetto. Ce ne sono tanti a New York. D'accordo, la foschia è particolarmente forte ed è strano ma..."
Blackjack sbuffò, come a incitarlo a guardare più attentamente.
"Oh miei dei"
Percy raggelò.
Quelli non erano affatto ragazzi.
Erano fantasmi, anche se parevano troppo solidi per esserlo.
Erano fantasmi vestiti in armatura, con lunghi mantelli rossi come il sangue, come se fossero pronti alla guerra.
"Mio re" disse uno di loro, inchinandosi.
Aveva una spilla a forma di conchiglia che fermava il mantello e pareva il capitano dello squadrone.
Percy non l'aveva notato, ma c'era una specie di trono alla fine del vicolo.
Un uomo in carne vi era seduto, con in mano un lungo bastone con in cima una conchiglia.
Sul capo vi era una grossa corona, adagiata sui capelli rossi.
Era l'uomo dipinto da Rachel.
"Thalos" disse il re "come procede?"
"Washington e gli altri l'hanno perduto, mio re" disse "il satiro e il semidio sono riusciti ad arrivare al Campo"
Il re si drizzò sulla schiena, gli occhi che mandavano lampi.
"Mi prendi in giro, Thalos?" replicò.
Nell'aria sembrava esserci elettricità.
L'inchino del capitano si fece ancora più profondo.
"Lo riprenderemo" promise "con l'attacco al campo"
Il re borbottò tra sè e sè.
Percy era sicuro di averlo già visto, ma non riusciva ad afferrare il ricordo.
"Avrei dovuto fare le cose da solo" borbottò "Crono è stato l'esempio lampante che le cose vanno fatte da soli, se si vuole farle bene. Sparisci, Thalos, devo riflettere"
Il soldato chinò la testa e poi si allontanò.
Il re prese ad accarezzarsi la barba rossa e ispida, pensieroso.
Poi aggrottò la fronte e, di scatto, alzò la testa verso il punto da cui Percy lo osservava.
Se non fosse stato per la benedizione di Achille, l'avrebbe colto in flagrante.
Per fortuna il figlio di Poseidone fu svelto e si tirò indietro, saltando poi in groppa a Blackjack.
"Andiamo, bello" lo incitò in un sussurro "dobbiamo parlare con Chirone"
***
Nico Di Angelo amava stare da solo.
Ed era un bene, perchè altrimenti sarebbe stato un gran problema.
I figli di Ade erano destinati a stare da soli, nascosti nell'ombra.
Ricordò un tempo remoto, un sacco di anni prima, quando non era costretto a stare da solo.
Quando c'era ancora Bianca, che si prendeva cura di lui.
Erano soliti fare un gioco, loro due.
Si sdraiavano sotto il manto scuro del cielo, di sera, e contavano le stelle.
"Vediamo chi vince" diceva sempre Bianca, sorridendo al fratello.
Anche Nico sorrideva.
"Vincerò io" replicava "vedrai"
"Certo" sussurrava lei, quando non poteva sentirla "ti lascio sempre vincere"
Si era sempre presa cura del suo fratellino, e ora non c'era più.
Era difficile, per lei, dover essere l'unica luce a guidare Nico.
Non era perfetta, ma doveva esserlo per lui.
Perchè aveva bisogno di lei.
"Veloce, Nico" gli aveva detto una volta "guarda! Una stella cadente! Esprimi un desiderio!"
Nico l'aveva guardata.
"Desidero rimanere qui per sempre. Mi sento bene, come se fosse il posto che mi è sempre appartenuto"
"Perchè?"
"Perchè sono con te"
Ora invece era da solo.
Seduto sopra il Pugno di Zeus, al centro della foresta che circondava il Campo Mezzosangue, venne coperto da un'ombra.
"Figlio mio" disse una voce.
Il figlio di Ade alzò lo sguardo, la mano già sull'elsa della sua spada di ferro dello Stige.
E incontrò gli occhi scuri di suo padre.
"Padre" disse.
Ade fece ciò che per lui più si avvicinava ad un sorriso.
"Ti trovo bene" disse, imbarazzato.
"Cosa ci fai qui?"
Il dio contrasse le labbra finchè esse non divennero una severa linea retta.
"Sta per succedere qualcosa di grave" lo avvertì "il campo è in pericolo. Ma la tua missione è ancora più pericolosa"
Nico si raddrizzò sulla schiena.
"Cosa intendi?"
Ade sospirò, quasi come se fosse davvero dispiaciuto di non poter cambiare il destino del figlio.
"Il destino dei miei figli è sempre buio" disse "ma nel tuo vedo che arriverà una luce. Ma stai attento, Nico, perchè non sempre la luce è in grado di allontanare l'oscurità. A volte è persino più pericolosa"
Per un istante parve che volesse posargli una mano sulla spalla, ma poi sembrò ripensarci.
Lo guardò un'ultima volta e scomparve nell'ombra del suo mantello.
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