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Per un istante che pare interminabile sento lo stomaco contorcersi, un po' per l'ansia, un po' per la trasmutazione, e quando riapro gli occhi mi trovo davanti al grande cancello in ferro battuto che segna il confine dell'Accademia. Sopra ad esso è incisa una scritta in caratteri latini, "Smaradgus Academy", Accademia Smeraldo.
Io papà ci guardiamo attorno. Centinaia di famiglie si stanno scambiando gli abbracci di addio e molti studenti sono già in marcia verso il cancello, come un gruppo di soldati che saluta i propri cari prima di partire per il fronte. Potrei sembrare esagerata ma eè proprio così che mi sento in questo momento. Vedo la mamma che ci viene incontro con mia sorella.
«Avete tutto non è vero?»
Non sento neanche la risposta di Lavi, le orecchie mi fischiano e il cuore inizia battere sempre più veloce. Non sono una persona sentimentale, non è per l'addio in sé con la mia famiglia che sono agitata, quanto piuttosto per l'ingresso nella mia nuova casa. La mamma mi avvolge, percependo le mie preoccupazioni.
«Mi mancherete tanto, prendetevi cura l'una dell'altra.»
«Anche voi» sussurro.
Mio padre resta in silenzio, anche se non lo mostra so che è dura anche per lui. Cerco di imprimermi bene la mente le loro facce e le loro voci. Nella nuova scuola non è permesso alcun tipo di dispositivo di comunicazione che possa "distrarre gli studenti da un proficuo apprendimento", così recita la brochure d'orientamento. Dunque gli unici contatti che avrei potuto avere con loro sarebbero state le visite per le varie festività. Una regola medievale, a detta dei miei genitori, che avrebbero voluto poter contattare ogni giorno le loro amate figlie, ma l'Accademia Smeraldo è una delle più prestigiose del paese, quindi bisogna adeguarsi ed essere grati della nostra ammissine. La lavanda ovviamente era stata presa per il suo indiscutibile talento, mentre io probabilmente per la mia "diversità", che mi rendeva un caso interessante.
«Ciao mamma, ciao papà. Ci mancherete anche voi» dice Lavi prendendo in mano le sue valigie «ma adesso dobbiamo proprio andare. La fila inizia ad allungarsi.»
«Ciao mamma. Ciao papà.»
Ripeto io in tono asciutto, sforzandomi di far uscire le parole, mentre mia sorella già mi trascina via verso il cancello. Mentre ci allontaniamo continuo voltarmi indietro per guardarli. Papà tiene la mano della mamma ed entrambi sorridono guardandoci fisso. Giro per l'ennesima volta la testa cercando il loro sguardo protettivo, ma nello spazio ghiaiato dove prima c'erano i miei genitori adesso c'è solo una nuvola di polvere. Loro non ci sono più.
L'ansia prende il sopravvento e il cuore martella sempre più forte minacciando di esplodere. Mia sorella punta un gruppo di ragazzi e ci avviciniamo. Ci sono una rossa e una ragazza dalla pelle color ebano, entrambe con ricci sistemati perfettamente. La rossa ha lineamenti morbidi e sensuali e occhi verdi che spiccano sulla pelle chiarissima, in contrasto con quella dell'amica, che invece allenamenti affilati e un corpo snello e altro. Accanto a loro sta seduto un ragazzo castano tatuato con simboli arcani, tra cui riconosco alcune rune protettive.
«Passato una buona estate splendore?» Chiedono a mia sorella, che inizia a raccontare minuziosamente della sua ennesima cotta estiva, un ragazzo di nome Carlos del quale mi ero sorbita i racconti per tutta l'estate. Continuo ad osservarli in silenzio mentre scambiano aneddoti e battute. Nel frattempo ci spostiamo in fila per varcare il cancello. Tutti i ragazzi prima di entrare devono registrarsi a un piccolo banchetto gestito da quelli che devono essere studenti dell'ultimo anno, che segnano nomi e consegnano gli itinerari.
«E tu sei?»
Con il presentimento che si stia rivolgendo a me mi volto verso il ragazzo tatuato.
«Come scusa?»
Lui ridacchia.
«Ho chiesto chi sei tu.»
Arrossisco per la figuraccia.
«Oh bhe... Io sono...»
«Mia sorella» mi interrompe bruscamente Lavanda con tono serio «È mia sorella Lili.»
Quasi all'unisono le sopracciglia di tutti si alzano per lo stupore.
«Cavolo non sapevo avessi una sorella. Piacere Savannah, telecinesi.» Esordisce la rossa interrompendo il silenzio «E lei è Frida, divinazione.»
La ragazza dalla pelle ossidiana simula un piccolo inchino.
«Io sono Matt, telecinetico. Ce la volevi tener nascosta Lavanda?»
«Piantala scemo, non vorrai mica spaventarla ancora prima di farla ambientare.» Scherza mia sorella dandogli una spinta.
Mi sento sollevata nel vedere che i suoi amici sono così socievoli, ma lo stesso tempo sono stupita del fatto che lei non abbia mai parlato di me in due anni di scuola. Sono sua sorella dopo tutto. Una sorella molto strana d'altronde.
Continuiamo in fila per un'altra mezz'ora buona parlando dell'attività scolastiche e dei dormitori e scopro che anche gli altri ragazzi hanno diciotto anni come Lavi. Finalmente arriviamo al cancello.
«Andate avanti voi» dice mia sorella con tono improvvisamente serio lasciando passare avanti i suoi amici. Sembra quasi preoccupata ma nessuno sembra accorgersene.
«Va bene, ci vediamo dentro» risponde Matt mentre i tre, uno dopo l'altro, ritirano gli itinerari e varcano la barriera magica.
«Sta a noi.» Dice Lavanda porgendo i suoi documenti.
«Nome e dono?» Mi fa la ragazza al banco mentre guardo mia sorella allontanarsi. Improvvisamente capisco il velo di apprensione che avevo sentito poco prima nella sua voce.
«Lili Hale.»
La ragazza attende in silenzi, poi fissandomi scocciata ripete:
«Dono?»
Sento le guance diventarmi sempre più calde e il suono che esce dalla mia voce sembra più un borbottio che vere parole.
«Veramente io...»
«Senti, se non mi dici il dono non so in che elenco cercarti.»
I ragazzi in fila dietro di me iniziano spazientirsi.
«Io in realtà non ho nessun dono.» Sussurro cercando di non farmi sentire dalla calca dietro di me.
Il rumore della folla copre le mie parole.
«Come scusa?»
«Ho detto che non ho nessun dono» ripeto forse in un tono di voce troppo alto, cercando di simulare sicurezza.
Quelle dietro di me si zittiscono di colpo ma so già che non appena mi allontanerò inizieranno di nuovo a borbottare tra loro. Sono abituata ormai a questo genere di reazioni.
«Ah. Sei tu quella.»
L'assistente mi fissa intensamente con gli occhi sgranati, improvvisamente interessata. Mi scruta da capo a piedi, come se cercasse di capire cosa ci sia di sbagliato in me.
«Ecco la chiave.»
Mi porge tutto il materiale: una cartelletta, un depliant, un badge e una chiave.
«Buona giornata» raggiunge con un sorriso malizioso sulle labbra.
Senza ringraziarla me ne vado varcando il confine, talmente in fretta che per poco non finisco per scontrarmi con altri ragazzi, consapevole degli sguardi che mi puntano come spilli.
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