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81 - Perla dovrà perdonarmi

Lui si mise davanti a lei e le sussurrò all'orecchio: "Mi ha chiesto... di rapire un uomo."

Viola sgranò gli occhi, per poi guardarsi attorno. "Scherzi?"

"Nulla di ciò che ti sto dicendo è uno scherzo" replicò, quasi offeso.

Viola continuò a camminare e arrivò su un ponticello. "Tutto questo è così assurdo che non può essere reale. I-Io conosco Germana, lavoro per lei, non è come la descrivi. Non sarebbe mai capace di commissionare un rapimento."

Lui la seguì sconfortato. "È così, devi credermi."

Lei alzò un sopracciglio e si appoggiò al ponticello per ammirare lo stagno sottostante. Sbuffò confusa. "Dove sono le prove?" Si voltò e appoggiò le braccia sul legno. "E se mi stessi raccontando delle frottole per questa tua insensata sete di vendetta?"

Baldo si tolse il cappello da baseball e sorvolò sul modo in cui aveva definito la sua battaglia personale contro Germana. "Le prove... sono già nella tua testa." Le si affiancò. "Proprio qui." Le toccò la fronte. Viola si scostò, disorientata, e lui sospirò. "Allora, ti dicevo che Germana mi ha ordinato di rapire un uomo. Mi ha detto di andare al Parco Sangone e prelevare questo individuo, lì mi ha dato indicazioni specifiche sulla sua posizione."

Viola corrugò la fronte. "Perché voleva rapirlo?"

Baldo allargò le braccia. "Non lo so... Però è stata un'impresa: continuava a guardarsi intorno e quando mi ha intravisto è scappato a gambe levate. Io sono stato più veloce ed è cominciata una colluttazione, terminata solo quando l'ho colpito con un sasso. Ho trascinato il suo corpo fino alla macchina nella quale c'era anche Germana e l'ho messo nel bagagliaio."

Viola mise le braccia conserte. "Potevi anche risparmiare sui dettagli, grazie."

Lui tentò di appoggiarle una mano sulla spalla, ma lei si scostò. "Hai... hai ucciso un uomo."

Baldo abbassò il capo e si massaggiò il collo con la mano libera. "Veramente no... era solo svenuto. Germana mi aveva raccomandato di volerlo vedere vivo." La ragazza lo esortò a riprendere il racconto e Baldo continuò a guardarsi intorno circospetto. Invidiava le famiglie e le coppie che passeggiavano felici attorno a loro. Anche lui avrebbe voluto passare un pomeriggio tranquillo con la sua dolce metà, invece di parlare di temi scottanti. "Germana mi ha ordinato di portare il corpo in un passaggio segreto posto al di sotto della serra." Si tappò d'istinto le orecchie. "È stato terribile, Viola, non lo augurerei nemmeno al mio peggior nemico." Nonostante la voce incrinata, si sforzò di continuare: "Quell'uomo si è svegliato durante il tragitto e ha iniziato a tirare pugni per uscire dal bagagliaio. Quando siamo arrivati, Germana l'ha esortato ad alzarsi e gli ha ordinato di seguirla nella serra, per poi costringerlo a scendere in quel passaggio. Ricordi la scaletta, Viola?"

La ragazza tirò un sospiro profondo e si voltò verso lo stagno, le cui acque scure sembravano provenire dal buio dell'inferno. Quell'oscurità le sembrava familiare. Sprazzi di ricordi si fecero spazio nell'intricata tela che era la sua mente. "Perché dovrei? Germana mi ha vietato di entrare nella serra."

Baldo le sussurrò all'orecchio: "Eppure tu ci sei entrata... e hai scoperto quel passaggio. Sei scesa da quella scaletta, hai... trovato una pistola e... un cadavere." Le avvolse un braccio attorno al collo. "Un cadavere, Viola! Ricordi quella puzza di morte?"

Lei si divincolò e raggiunse l'estremità opposta del ponticello.

Baldo insistette: "Ha accusato quell'uomo di aver fatto il doppio gioco e che nonostante fosse stato perdonato l'aveva fatto ancora. Aveva intenzione di dire qualcosa a Elettra, ma Germana gliel'ha impedito rapendolo. E ora voleva dargli la possibilità di morire con un proiettile in fronte o marcendo lì." Abbassò il capo. "Credo abbia scelto la seconda opzione."

Viola sbatté le palpebre, perplessa. Che c'entrava Elettra in quella brutta storia? Cosa Germana non voleva che sapesse?

"Ora ricordi tutto?"

Viola gli diede le spalle e si massaggiò la fronte, per poi appoggiarsi al ponticello. Un raggio di sole spezzò l'oscurità delle acque dello stagno formando una striscia di luce. La stessa lama della torcia che, nei suoi ricordi, interrompeva quel mare nero del passaggio segreto. Come un'illuminazione, distinse una pistola e un cadavere in avanzato stato di decomposizione e si sporse in avanti, rischiando di sbilanciarsi. Un conato di vomito le attorcigliò lo stomaco; inspirò, ma la frescura primaverile era stata sostituita da un fetore che credeva di aver rimosso.

Baldo la tirò su e la strinse a sé, per poi accarezzarle la schiena. "Adesso è tutto passato, è finita. Ci sono io con te."

Lei ricordò di essere scappata dal passaggio, di aver visto Baldo nella serra ed essere fuggita perché lui impugnava un'arma. All'esterno aveva incontrato Germana, avevano discusso e poi era svenuta, per poi risvegliarsi in una stanza della villa con un vuoto di memoria. "Co-come ho fatto a dimenticarmi tutto?" biascicò stringendo la sua giacca di jeans. "Che stupida sono stata!"

Baldo le accarezzò i capelli ramati. "Non devi colpevolizzarti, Germana è un mostro. Io ho lavorato per lei solo qualche mese, per trovare elementi che inchiodassero il professore come responsabile della rovina di mia sorella."

Viola gli accarezzò le spalle. "Quella era l'occasione propizia, no? Perché non hai ricattato Germana?"

Lui le sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio. "Dovevo ottenere la sua piena fiducia. Solo allora avrei avuto libertà di azione e sarei arrivato alla verità." Fece scontrare le loro fronti. "Ora però mi sono bruciato e non posso più continuare..."

Lei aveva capito la conclusione del suo discorso, ma iniziò a tergiversare: "Non hai trovato nulla in questi mesi?"

Lui scrollò le spalle. "Solo un'email di Francesco Calvi, l'uomo che mi aveva chiesto di rapire."

"Cosa diceva?"

"C'erano dei puntini di sospensione e foto in allegato." Viola inclinò il capo, perplessa, e lui continuò: "Foto in cui una coppia si teneva per mano sulla battigia e si baciava tra le onde."

Viola mise una mano sul ponticello per non svenire dall'eccitazione. Adesso cominciava a capire cosa c'entrava Elettra. Si tolse il foulard a scacchi, sentendo caldo. "Quelle foto ritraevano una ragazza e un uomo più grande di almeno dieci anni?"

Estrasse il cellulare dai jeans e vide Baldo annuire. "Come lo sai?"

Viola liquidò quella domanda mostrandogli una foto presente sul profilo Facebook di Elettra. "Li riconosci?"

L'uomo prese il telefonino per accertarsene e indietreggiò sorpreso. "Cazzo, sono loro! Lei è la migliore amica di Germana. E gli altri due?"

Viola si riprese il cellulare, entusiasta. "Perla e Riccardo, la figlia e il compagno di Elettra."

"Minchia, quei due hanno una storia..."

"Ti dirò di più" replicò Viola, gongolante, fissando l'immagine della famiglia felice mostratagli. "Perla è incinta di due gemelli e il padre è il compagno di Elettra."

"Come fai a esserne certa?"

Viola fece spallucce. "Un mese fa, Elettra mi ha invitata a casa sua perché non voleva cenare da sola: Perla era a casa di Guglielmo, il suo ragazzo, e l'altro figlio Mirko avrebbe dormito dai nonni. Dopo aver mangiato abbiamo fatto delle partite a carte e in men che non si dica era quasi arrivata mezzanotte. Di Perla nessuna traccia e lei era preoccupata. Mentre parlava con il figlio dal telefono fisso, le è arrivato un messaggio vocale su WhatsApp."

"E tu l'hai ascoltato subito perché poteva essere importante."

Viola alzò gli occhi. "Potevano esserci novità da parte di Perla."

"Sì, ma non ti ha autorizzata ad ascoltare i suoi messaggi vocali!"

"Parla quello che ha violato la corrispondenza di Germana e l'ha aggredita" sibilò senza lasciarsi intimidire. "Comunque, in quel vocale Perla ha detto che Guglielmo è sterile e che il padre dei gemelli è Riccardo. Dopo qualche secondo l'ha cancellato."

Baldo scoppiò a ridere. "Lei sbaglia chat e rivela tutto a sua madre, tu sei lì e ascolti il vocale... e poi sarei io quello che racconta una storia assurda?"

Viola iniziò a sventolare il foulard, fiera di aver avuto la prova delle parole di Perla. "La verità supera ogni più torbida fantasia. Ho bisogno delle foto." Allungò una mano, come se Baldo dovesse consegnargliele in quel momento.

Lui fece di no con l'indice. "Non posso lasciare che le tue cose private influiscano sulla mia vendetta."

Viola batté un piede per terra, incurante di rovinare i suoi stivaletti neri. "Parla sempre quello che ha aggredito Germana?"

Lui le mise le mani sulle spalle. "Capisco che tu voglia dire a Elettra la verità, ma non dobbiamo lasciare che la storia di Francesco venga alla luce. Le acque devono restare calme, solo così per te sarà più facile ottenere informazioni su Antonio Panfi."

Viola strinse le labbra in un sorriso tirato. "Se Germana è sotto pressione, è più probabile che faccia un passo fa..." Non fece in tempo a terminare la frase che ricordò l'incontro tra lei e Perla la Vigilia di Natale. Forse Germana le aveva mostrato le foto commissionate a Francesco... o forse Perla ne era già a conoscenza, dato che la donna l'aveva già perdonato in passato per aver fatto il doppiogioco. Viola iniziò a camminare per il ponticello. Non capiva perché Germana aveva taciuto a Elettra il tradimento del compagno. Forse stava ricattando Perla? Cosa poteva guadagnare da una ragazza che non perdeva occasione di disprezzare?

"Mi hai sentito, Viola?" Baldo le corse incontro. "Tu hai salvato Germana dall'aggressione, questo la spingerà a fidarsi di te. Vedrai che col tempo ti farà entrare nel meccanismo in cui è invischiata."

Viola sospirò affranta. "I-Io sono già invischiata da quando lavoro lì. Quella donna è una medusa, i suoi tentacoli sono ovunque."

"Secondo la mitologia, Medusa è stata sconfitta dal suo riflesso. Accadrà anche a Germana: si rovinerà da sola."

Viola sorrise per quell'ardita metafora. "E per noi sarà un piacere aiutarla a decomporsi."

Allungò la mano verso Baldo, per stringere l'accordo, e lui ricambiò deciso, per poi trascinarla a sé e baciarla con furore.

Come una volta nell'immensa Piazza d'Armi le truppe si addestravano per combattere, ora Baldo e Viola stavano preparando il loro attacco a Germana.

Elettra conosceva a memoria il percorso per visitare Riccardo in ospedale: all'entrata girava a destra, arrivava a metà corridoio, saliva le scale fino al primo piano ed entrava nel reparto, fino a giungere in quell'asettica e bianca camera che era diventata la fredda dimora del compagno. Avrebbe potuto eseguire quei passaggi a occhi chiusi, dato che ogni giorno li compiva anche più volte.

Erano passati due mesi dal tragico giorno in cui Perla l'aveva avvertita dell'incidente e a volte, la notte, sognava ancora il pianto disperato della ragazza. Da allora si era spezzato qualcosa per Elettra: ancora una volta, la sua vita era cambiata a causa di una malattia. Le sembrava quasi di vivere l'inferno che aveva passato otto anni prima: da quando al marito avevano diagnosticato la leucemia, le loro esistenze erano cambiate giorno dopo giorno, fino all'aumento dei ricoveri in ospedale. Il suo corpo si era spento come una debole candela e aveva esalato il suo ultimo respiro mentre la moglie tremante non si arrendeva all'idea di perderlo.

Elettra stava rivivendo quello stesso dolore, con la differenza che la vita di Riccardo era cambiata all'improvviso. Lei passava ogni giorno davanti alla cappella dell'ospedale e malediceva Dio per averle ridato la possibilità di essere felice e avergliela strappata con una violenza disumana. Forse era la sua punizione per essersi innamorata così presto di un altro; lei, che al capezzale del marito aveva giurato amore eterno, era arrivata all'altare con un altro uomo. Sapeva che il padre dei suoi figli le avrebbe concesso di riaprire il suo cuore, ma si sentiva comunque in colpa.

Per non essere risucchiata da quei pensieri, Elettra aveva riorganizzato la sua giornata: l'aspettativa dal pet shop si era trasformato in un contratto part time, così avrebbe passato la mattina al lavoro e il pomeriggio accanto a Riccardo. Sentiva che, nonostante la situazione del compagno, doveva andare avanti per evitare d'impazzire. E pensare anche a Mirko e a Perla, non poteva annullarsi nella speranza di un miracolo. I medici l'avevano convinta che quella situazione potesse protrarsi per settimane, mesi o addirittura anni e doveva metabolizzarla.

Arrivata nella stanza di Riccardo, indossò il suo miglior sorriso. "Buon pomeriggio, amore." Si ostinava a parlare con lui come se potesse sentirla. Appoggiò la borsa sul tavolino e si sedette sulla sedia accanto a lui. Sul davanzale spiccava un bouquet di ciclamini bianchi, rischiarato dalla luce che filtrava dalle veneziane. "Ti piacciono i fiori? Tua zia ha buon gusto."

Gli accarezzò i riccioli scuri, unico elemento del corpo che non aveva sofferto del passare del tempo. Da allora il tono muscolare si era ridotto, la pelle era pallida e le palpebre chiuse la privavano di quegli scintillanti occhi azzurri che l'avevano conquistata. Le sue labbra carnose erano nascoste da un tubo che gli arrivava fino al naso: non si sarebbero più piegate in uno di quegli sfolgoranti sorrisi che le miglioravano la giornata.

Eppure Elettra continuava a fingere che lui reagisse alle sue parole con movimenti involontari. Coltivava la speranza che un giorno sarebbe tornato ad abbracciarla e baciarla con la solita travolgente passione. I medici preferivano non sbilanciarsi, ma Elettra non si arrendeva.

"Oggi sei davvero in forma" lo stuzzicò facendogli l'occhiolino. Dall'esterno quelle parole dovevano sembrare assurde, ma per lei erano la normalità. Indicò la porta dietro di sé. "Le infermiere sono piuttosto carine, comincio a pensare di dover essere gelosa." Ridacchiò e si tolse le scarpe, per poi incrociare le gambe sulla sedia.

Se Riccardo fosse stato in sé, l'avrebbe ricoperta di attenzioni per dimostrarle che si sbagliava. Elettra non era mai stata preoccupata della differenza d'età o della possibilità che lui avrebbe potuto avere una sbandata per una donna più giovane. Riccardo non le aveva mai dato motivo di essere gelosa: era sempre stato premuroso e rispettoso. Era entrato nella sua famiglia in punta di piedi, consapevole che non sarebbe stato facile convivere con dei ragazzi avuti da un'altra relazione.

Elettra si grattò il mento e aggrottò le sopracciglia. "Forse dovrei chiedere consiglio a Perla su cosa indossare, la prossima volta che verrò a trovarti rimarrai a bocca aperta." Le sembrò che il petto di Riccardo si fosse mosso per quella battuta. Gli occhi pizzicarono e deglutì per cacciare indietro le lacrime. Si era ripromessa che non avrebbe pianto davanti a lui. "A proposito, Perla ti saluta e Mirko spera che tu possa andare presto a vederlo allo stadio. Il nostro piccolo campione fa progressi, ma senza te non è lo stesso..." Emise un profondo respiro, gli occhi gonfi e un groppo in gola. "Per tutti noi, senza te, non è lo stesso. Soprattutto per me." Si abbassò per prendere un fazzoletto dalla borsa ed estrasse il pacchetto, per poi osservare Riccardo.

Strinse la mano libera a pugno e si sentì una stupida: nonostante le parole di tutti, si ostinava a credere che il suo compagno sarebbe presto tornato in sé e continuava a trattarlo come prima. Come se non fosse successo nulla, come se a separarli non ci fosse che un piccolo salto tra la coscienza e l'oblio.

Continuò a ripercorrere il corpo di Riccardo, attaccato ai monitor che controllavano le sue funzioni vitali. Ormai i suoni di quelle macchine erano così famigliari che li sognava la notte e sentiva persino nel traffico cittadino. Erano diventati un sottofondo costante e letale di una vita non più tale.

Lasciò ricadere la borsa sul pavimento, senza chiuderla, il pacchetto di fazzoletti ancorato all'altra mano e lo sguardo fisso su Riccardo... Riccardo, la ragione del suo sorriso, il suo orgoglio, giaceva immobile ed Elettra fu tentata di alzarsi e scuotergli la testa, di urlargli di svegliarsi, di ritornare tra loro.

Se lui non poteva più aprire gli occhi, che senso aveva prolungare quell'agonia? Perché tenere accese le luci di quel limbo infernale chiamato stato vegetativo? Quell'attesa straziante avrebbe logorato i suoi nervi già tesi.

Ripose nella borsa il pacchetto di fazzoletti che non aveva usato e trovò una foto stropicciata in cui Riccardo reggeva sulle spalle un sorridente Mirko e Perla ammiccava all'obiettivo.

Elettra baciò l'immagine e la lasciò vicino alla mano del suo compagno, per poi alzarsi. Scalza, percorse il perimetro del letto per arrivare sul lato opposto. Fissava quelle palpebre chiuse che lo separavano dalla vita e quel respiratore che le negava di ascoltare il suo timbro profondo e travolgente.

Elettra, ti amo. Sentì Riccardo rivolgerle quelle calde parole.

Elettra si ravviò i capelli ricci, la cui ombra si rifletteva sul muro scurendo le pareti immacolate della stanza. Rivolse lo sguardo a uno dei monitor e cercò di decifrare i numeri e le linee sullo schermo, ma aveva la vista annebbiata. Guardò i fili attorcigliati e per un attimo sentì un capogiro. Dovette appoggiarsi a uno dei monitor per non cadere: quei cavi attaccati al corpo parevano serpenti di cui udiva il sibilo.

Quel suono acuto s'incuneava nel suo cervello ed era interrotto dalle parole di Riccardo. Ti amo e ti amerò sempre. Fa' ciò che ritieni giusto. Quei versi assordanti la portarono a tapparsi le orecchie e a increspare le labbra dal fastidio.

"Dio, basta, basta!" esclamò esausta. Si toccò la fronte madida di sudore e si strofinò gli occhi stanchi. Doveva porre fine a quella lenta morte.

"Perla dovrà perdonarmi" sussurrò, lo sguardo che roteava dall'ingresso della stanza a quei tubi famelici. Deglutì e si abbassò sulla testa di Riccardo per un ultimo bacio prima di staccare il respiratore. Sfiorò i riccioli scuri e inspirò per sentire il solito profumo al cocco, ma udì solo l'acre odore di disinfettante.

"Ora o mai più." Deglutì di nuovo, per ritardare quell'inevitabile momento che si sarebbe ricordata per sempre, la tremante mano destra che non voleva lasciare il cuscino di Riccardo. Abbassò lo sguardo sul respiratore, per seguire il percorso dei cavi e trovarne l'origine.

Addio, amore mio pensò con la paura che le ostruiva le corde vocali.

Diede un'ultima occhiata alle palpebre di Riccardo e fu proprio in quel momento che si schiusero. 

Spazio Sly

Come promesso, ho pubblicato un nuovo capitolo. Cosa ne pensate?

Ebbene sì: è stata Viola ad ascoltare l'audio che Perla ha inviato per sbaglio a sua madre. Vi avevo dato un piccolo indizio nel capitolo "73 - Non mi piace mentire". Mentre Perla si interroga su chi possa aver ascoltato il messaggio vocale, descrivo Torino così: "Tra i comignoli e le gru si scorgeva persino la Mole illuminata diviola, come un faro con il potere di farle riordinare i pensieri."

Ma la vera domanda è: cosa succederà adesso che Viola sa la verità e può dimostrarla con quelle prove? Ubbidirà a Baldo o farà di testa sua?

E Riccardo? Cos'è successo a fine capitolo? Si è trattato solo dell'ennesimo movimento involontario o... Non dico altro perché sono proprio curioso di conoscere le vostre reazioni al prossimo capitolo.

Sentitevi liberi di commentare per esprimere la vostra sincera opinione.

Ci vediamo nel weekend con un nuovo capitolo!

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