79 - Madre, intendo
Perla aveva sempre amato rivedere le vecchie foto di famiglia e stava ore ad ascoltare i racconti dei nonni sulle loro avventure passate. Quando uno di loro ritrovava fotografie sbiadite dal tempo, ritornavano ricordi lontani ma così vicini. Era sempre rimasta affascinata dalla loro intraprendenza e dalla capacità di sapersela cavare, come quando avevano raggiunto la Spagna con una Punto scassata o si erano persi nella foresta Amazzonica e avevano convinto una tribù locale a ospitarli per qualche giorno.
Sfogliare l'album di fotografie dava nuova linfa a quei ricordi, faceva rivivere emozioni e storie con un lieto fine.
Perla alzò lo sguardo dal raccoglitore e abbozzò un sorriso. Quei racconti si concludevano nel migliore dei modi, a differenza della sua situazione da cui non vedeva uscita. Avrebbe voluto avere un briciolo del coraggio e dell'intraprendenza dei nonni. Si sarebbe accontentata del loro istinto, che le avrebbe impedito di cacciarsi nei guai.
Si accarezzò il ventre rigonfio ed ebbe un brivido al pensiero che all'interno crescevano due vite. Due destini che avrebbe dovuto proteggere e per i quali aveva compiuto azioni scorrette, come scendere a patti con Germana e mentire a sua madre.
Continuò a sfogliare l'album per tornare in quel mondo in bianco e nero che non esisteva più, ma nel quale era al sicuro. Al sicuro da un presente traballante e un futuro incerto, legati a un passato in cui aveva seminato soltanto dolore.
Vide una foto sorridente dei suoi genitori il giorno del loro matrimonio e passò una mano sul viso dolce della madre mentre sorrideva allo sposo. Sapeva che quello sfolgorante sorriso non sarebbe più tornato, ma con Riccardo aveva ricominciato a vivere e non voleva distruggere il suo rinnovato sogno d'amore. Un sogno ingenuo, forse, ma carico di aspettative.
Appoggiò la schiena sulla sedia e alzò lo sguardo, pensando al grande rischio che aveva corso tre settimane prima quando aveva inviato a sua madre un messaggio vocale in cui rivelava che Riccardo era il padre dei gemelli. Da allora non era riuscita a scoprire granché: sua mamma non l'aveva ascoltato, altrimenti l'avrebbe affrontata, e Mirko non le aveva mai posto domande strane sulla questione. Di sicuro se uno dei due avesse ascoltato l'audio gliene avrebbe parlato prima o poi, quindi l'unica spiegazione plausibile era che l'avesse udito qualcun altro. Ma chi?
O forse si era solo immaginata tutto: magari la confusione del momento le aveva fatto credere cose non vere e in preda allo spavento aveva preso decisioni affrettate. Si arrovellava da settimane e non riusciva a venirne a capo. L'unica certezza era che tutti quei segreti crescevano dentro di lei, come la pancia, e presto avrebbero assunto le sembianze di due teneri esserini che non avevano chiesto di essere al centro di quella trama di bugie e inganni. Due teneri esserini che si sarebbero trovati in una bufera e che lei avrebbe dovuto tutelare dall'odio della madre di Guglielmo e dalla propria, se avesse scoperto la verità. Elettra non li avrebbe mai amati. Ma soprattutto avrebbe dovuto proteggerli da se stessa e l'unica soluzione era tenerli lontano da lei: consegnarli a Germana. Lei li avrebbe affidati a chi avrebbe dato loro l'amore che meritavano.
Fino a qualche mese prima quella conclusione le avrebbe fatto venire i conati di vomito, ma non trovava alternativa: quel sacrificio le avrebbe permesso di liberarsi da quella catena di violenza e corruzione che le stritolava la gola a ogni respiro.
Riabbassò lo sguardo sul viso raggiante della madre: se avesse consegnato i gemelli a Germana avrebbe dovuto inventare una scusa per i suoi amici, per Mirko, per Guglielmo e soprattutto per sua mamma. Chiuse gli occhi per non piangere: non sarebbe mai uscita da quella spirale di bugie, per quanto volesse. Una menzogna inseguiva l'altra con una facilità disarmante e avrebbe portato problemi maggiori. Era terrorizzata dal pensiero che un giorno quel castello potesse crollare e lei rimanesse sotto le macerie.
Mentre sentiva le palpebre appesantirsi per le lacrime imminenti, il rumore della porta attirò la sua attenzione.
Perla sollevò una mano, se la passò su una guancia e finse un sorriso quando vide i capelli ricci di sua madre.
"Ehi, Perlina" la salutò la donna, sulla soglia. Visto l'album di fotografie, corrugò la fronte. "Che fai con quello? Non credevo sapessi dove fosse."
"Cercavo una felpa nella tua stanza e non ho resistito alla tentazione di tuffarmi nei ricordi."
Elettra le si avvicinò e le accarezzò i capelli scuri e lisci. "Tesoro, questo librone è pesante e tu non devi fare sforzi eccessivi. Avresti potuto dirmelo e ti avrei aiutata a portarlo qui."
Perla appoggiò la schiena sulla sedia girevole e un'ombra di preoccupazione le oscurò il viso. "Sì, in effetti non ricordavo fosse così pesante."
Elettra si appoggiò alla scrivania e arrivò nelle ultime pagine bianche. Le indicò con un sorriso di commozione. "Pensa quando si aggiungeranno le foto dei miei nipotini... Sarà così bello sfogliare l'album e trovare la storia della famiglia al completo."
Perla sentì l'ennesima stilettata al cuore e chinò il viso per non incontrare il sorriso radioso della madre. Ormai le mentiva da sette mesi, ma ogni volta che si riferiva ai gemelli lei sentiva il vuoto sotto di sé. Immaginava la sofferenza che avrebbe causato a sua madre e non sopportava starle così vicina.
La donna le afferrò una mano. "Tutto bene, Perlina?"
La figlia sobbalzò a quel contatto e alzò di scatto il viso. Poteva comandare la propria espressione facciale e il tono di voce, ma gli occhi no: guardava la mamma come se la stesse tacitamente implorando di non preoccuparsi.
"S-Stai piangendo?" La madre le accarezzò una ciocca castana.
Perla si alzò controvoglia e si toccò il fianco. "Sono solo stanca. Stanca di questa situazione... stanca della gravidanza." Tirò un sospiro di sollievo: era la verità.
"Spiegati meglio, magari posso aiutarti."
Perla si sedette sul letto e si massaggiò il ventre. "Ma niente, ma', le solite cose... La notte non riesco a dormire perché mi alzo una decina di volte per fare pipì, durante il giorno non riesco a stare seduta per troppo tempo perché mi viene mal di schiena e credo ancora di dover digerire l'acqua e menta che ho bevuto ieri. Insomma, sono uno straccio. Di questo passo... non so in che condizioni arriverò alla fine."
Elettra si sedette accanto a lei e le circondò un braccio attorno al collo. "Queste cose devi dirle anche al ginecologo, okay? Vedrai che lui saprà indicarti cosa fare per essere più rilassata. Anzi, sai che facciamo? Domani lo chiamiamo e prenotiamo una visita, non possiamo aspettare la prossima ecografia."
Perla annuì e spostò lo sguardo sul pavimento scuro laminato. Seguì i suoi intrichi per tentare di distrarsi: se stava così male, era solo in parte per le sue condizioni fisiche. "Cosa vuoi che mi dica il ginecologo?" rispose rassegnata. "Le donne partoriscono da migliaia di anni, io non sono la prima né l'ultima. Starò uno schifo fino alla fine..."
Elettra le accarezzò un braccio e si appoggiò sulla sua spalla. "Hai bisogno di distrarti, tesoro. Ti va di scendere in cucina e aiutare me e Mirko a preparare il ciambellone? Vedrai che se penserai ad altro..."
"Mamma" la apostrofò spostandosi di poco. "Ti ho appena detto che non mi reggo in piedi e dovrei aiutarvi con il ciambellone? Torna da Mirko, non vorrei esplodesse la cucina."
Elettra sbatté le palpebre, sorpresa dal tono tagliente. "Scusa, volevo aiutarti... Se oggi pomeriggio starai meglio, potremmo andare in centro a cercare una culla."
Perla scosse la testa e tornò a sedersi alla scrivania, per poi ricominciare a sfogliare l'album. Sperava che quella conversazione terminasse il prima possibile.
"Mancano due mesi al parto e non abbiamo ancora pensato a niente! La culla, il fasciatoio, i vestiti, il passeggino... moltiplica tutto per due!" Mentre Elettra faceva l'elenco, camminava avanti e indietro. "Dobbiamo decidere dove allestire la cameretta... non ci pensi mai?"
"Sei già tu a pensarci, no? Compra quello che vuoi, non m'importa... l'importante è che..." Perla trattenne le lacrime, ma non riuscì a frenare il graffio che le solleticava la gola. "...che i gemelli nascano il prima possibile."
Elettra le appoggiò una mano sulla spalla. Vedeva Perla nascondere il viso tra le braccia, le guance rosse e accaldate e la fronte sudata. Non l'aveva mai vista così. Si spostò davanti alla scrivania e abbassò la schiena. "Perla, mi stai nascondendo qualcosa?" Dopo qualche secondo di mancata risposta, ci riprovò. "C'è qualcosa che non so? Hai di nuovo litigato con Guglielmo o si è rifatta viva sua madre?" Perla scosse debolmente la testa e tirò su col naso, pulendosi nella manica della felpa. "E allora cosa c'è?" insistette Elettra prendendole una mano tremante. "I-Io non ti riconosco più, sei sempre tesa come una corda di violino. Sono gli ormoni della gravidanza o c'è dell'altro?"
Perla sollevò gli occhi sul viso preoccupato della madre. Era la prima volta che affrontava di petto la situazione, probabilmente era arrivata al limite di sopportazione. Abbassò lo sguardo sull'album e vide una foto di Oscar con la madre, da giovani, mentre si facevano il solletico in un campo di lavanda.
"Cosa mi nascondi, Perla?"
La figlia si schiarì la voce e posò un dito sulla foto. "Potrei farti la stessa domanda, mamma." Doveva spostare la conversazione su altro, era la sua unica alternativa per evitare quel tunnel di domande senza uscita.
Elettra drizzò la schiena. "A cosa ti riferisci?"
"A mio zio."
Perla si tolse una ciocca di capelli dalla fronte. "In ospedale, dopo l'incidente di Riccardo, ti ho esortata a tornare a casa da Mirko. Hai detto di voler stare in reparto, perché... quel giorno non ti avevano permesso di stare vicino a Oscar." Sollevò una mano. "Perché non mi avevi detto che saresti andata a Garessio? E perché ogni volta che accenno alla questione cambi argomento?"
Elettra si strinse nelle spalle. "Troppo comodo... perché cambi argomento?"
"E tu perché mi tieni all'oscuro di tutto?" urlò Perla dopo essersi alzata. "Oscar è mio zio e ho il diritto di sapere ciò che gli sta succedendo. Quando l'ho visto al locale non stava bene, vorrei sapere se..."
"Oscar sta passando un periodo delicato" replicò Elettra dopo essersi spostata verso una parete colma di fotografie. Si voltò verso quelle immagini, per sfuggire allo sguardo indagatore della figlia. Tra le foto, ve n'era anche una in cui Perla teneva in mano una bambola ed era sorretta dallo zio, anche se le sue braccia robuste si vedevano appena. "Deve fare delle cure particolari ed è sempre in giro per esami, ma mi ha detto di riferirti che ti vuole bene e augura il meglio per i gemelli."
"Ma se quel giorno non si ricordava nemmeno di te... Cosa gli succede?"
Elettra sbuffò infastidita. "Non lo sa nemmeno lui, ma adesso devo andare da Mirko. L'ho lasciato da solo con le fruste elettriche e non voglio faccia casini."
Raggiunse l'uscita della camera a passo svelto, ma la figlia la richiamò. "Mamma... non sei brava a mentire. Ti si legge in faccia."
Elettra piegò le labbra in un lieve sorriso e le si gettò al collo per colmare la distanza tra loro. Perla ricambiò la stretta, a disagio, come fosse un'estranea. Nonostante fossero così vicine, non sentiva il calore di una volta: era solo un abbraccio, al termine del quale sarebbero tornate a indossare le rispettive maschere. Entrambe avevano qualcosa da nascondere e, spargendo bugie su bugie, creavano un solco che le allontanava.
Viola terminò di sistemare nell'armadio le camicie stirate quel pomeriggio e, stremata, passò in bagno per ricomporsi. Dopodiché bussò nell'ufficio di Germana per augurarle una buona serata, ma non ricevette risposta.
Che strano pensò, la fronte aggrottata.
Di solito quando era in casa si rinchiudeva nel suo studio o stava in salone a sorseggiare whisky mentre telefonava alle amiche. Per un attimo le balenò in mente l'idea che potesse trovarsi nella serra, nella quale Baldo aveva lavorato nelle scorse settimane. Ciò, ovviamente, prima di aggredire Germana.
Da allora il giardiniere non si era più visto alla villa; Viola aveva cercato di contattarlo per messaggio o via telefono, ma sembrava sparito. Avrebbe potuto chiedere a Germana l'indirizzo, ma non voleva tornare sulla questione.
Viola iniziò a chiamare la sua signora, un velo di preoccupazione nella voce mentre entrava nelle stanze. Non avevano più parlato dell'aggressione e più passavano i giorni più le sembrava di averla sognata. Era una situazione talmente assurda che non poteva essere reale: perché Germana non aveva avvisato la polizia? Forse l'aveva fatto e l'aveva tenuta all'oscuro. E allora perché non aveva predisposto delle guardie di sicurezza che potessero intervenire in caso di pericolo? Era così sicura che Baldo non sarebbe tornato? E perché si era scagliato contro di lei con una tale rabbia?
Mentre teneva in pugno Germana, le aveva detto di volersi vendicare per sua sorella. Baldo l'aveva sempre avvisata di stare attenta, ma – nonostante ci fosse rimasta male per il mancato ringraziamento per averla salvata – non vedeva la cattiveria con cui lui la dipingeva. Dal giorno successivo all'aggressione aveva ripreso il suo lavoro in banca, le riunioni nel salotto con degli imprenditori e le uscite con le amiche. Una donna altezzosa e algida ma non cattiva.
Scesa in salotto, risalì le scale e attraversò il corridoio opposto rispetto a quello dello studio. Da una stanza sentì una folata di vento ed entrò incuriosita: era la camera matrimoniale. La tenue luce del pomeriggio si posava sulla testiera imbottita a forma di conchiglia. Le tende oscuranti tagliavano il pavimento in obliquo.
Viola si diresse con passo sicuro verso la portafinestra aperta e scostò il velluto verde scuro per affacciarsi in terrazza. Fu in quel momento che vide Germana con una mano sulla balaustra e l'altra che stringeva un bicchiere di whisky.
La ragazza tirò un sospiro di sollievo e le si avvicinò. Stava per parlarle, ma si fermò a pochi metri da lei e si limitò a guardarla per paura di disturbarla. Viola era di spalle e non riusciva a vedere la sua espressione, ma poteva giurare che fosse pensierosa: spostava il peso da una gamba all'altra e continuava a fissare le stradine della collina torinese senza muovere la testa. Abbassava solo lievemente il mento per bagnarsi le labbra con quel liquido ambrato, per poi tenere il calice a mezz'aria.
Viola assottigliò gli occhi e notò un dettaglio che le fece alzare un sopracciglio: Germana non stava tenendo il bicchiere dallo stelo, come sua abitudine negli incontri di lavoro, ma dalla coppa. Semplice svista o segno di un turbamento più profondo?
"Signora" si annunciò Viola con due passi in avanti. Lo stava per scoprire. "Ho ordinato le camicie secondo le sue indicazioni, le auguro una buona serata." Attese una risposta, ma Germana continuò a fissare gli alberi della collina che si rincorrevano nel verde indistinto. Eppure era certa che avesse sentito: poteva giurare di averla udita sospirare. "Vuole... che le prepari qualcosa per cena?" azzardò avanzando di un passo. Per quanto doveva continuare quel mutismo?
Germana raccolse la stola in chiffon che le ricadeva da una spalla e bevve l'ennesimo sorso. "No, puoi andare. Grazie."
Viola inclinò il capo, confusa. Era la prima volta che Germana la ringraziava per qualcosa. Nemmeno quando una settimana prima l'aveva salvata si era meritata un ringraziamento. Ora era bastata una semplice domanda per scatenare tanta gentilezza? Viola era rimasta colpita anche dal tono usato: non tagliente e autoritario, ma dolce e sincero. Forse l'aveva colta in un momento di fragilità.
Si voltò per rientrare in camera. Non aveva tempo di pensare ai cambiamenti d'umore della sua datrice di lavoro, suo padre l'aspettava per cena.
"Viola."
Stava per oltrepassare la soglia della portafinestra, quando udì il proprio nome. Fu un suono basso, sussurrato, che celava amarezza e una tacita richiesta di aiuto. Si voltò verso di lei e Germana posò il calice sul tavolino sotto al pergolato. "Ti piacerebbe diventare madre?"
Viola sentì il freddo pungerle le ossa. "Cosa?" Aveva sentito benissimo, ma aveva bisogno di tempo per elaborare quella domanda tanto inaspettata quanto inopportuna. Se ne stava per andare, perché sentiva l'urgenza di domandarglielo proprio adesso? "Certo che no. Ha idea di cosa significa gestire un esserino che non fa altro che strillare dalla mattina alla sera e produrre cacca a profusione? Non so nemmeno prendermi cura di me stessa, che madre potrei essere?" Si passò una mano sulla fronte e studiò il suo viso. Germana fissava con aria assente il gres porcellanato del pavimento, più interessata all'effetto marmo che alla sua risposta. Un brivido salì sulla schiena di Viola. "Perché me l'ha chiesto? È sicura... di sentirsi bene?"
Germana alzò il viso e i suoi taglienti occhi neri furono annacquati da calde lacrime. "I-Io lo sono stata, una volta." Si schiarì la voce e si versò da bere. "Madre, intendo."
Viola sgranò le palpebre dalla sorpresa. Si sforzò di trovare una replica adatta, ma in testa aveva solo domande: fino a quel momento non aveva mai fatto cenno a quella questione né aveva visto foto di un bambino. Possibile che stesse dicendo la verità? Possibile che quelli non fossero solo i vaneggiamenti di una donna alticcia e in preda alla solitudine?
"M-Madre, lei?" le sfuggì in preda al freddo. "Mi scusi, non lo sapevo..."
Germana fece un largo sorriso, che notò nonostante gli zigomi rifatti. "Trovi così strano che una donna come me possa aver avuto un figlio?"
Viola deglutì le sue perplessità e si concentrò sull'uso del verbo al passato. Decise di aggirare il dubbio. "Sono sicura che suo figlio fosse bellissimo... e tenace come lei."
Germana bevve d'un sorso il whisky versatasi. "Tenace, puoi dirlo forte. Non so dove trovasse la forza di piangere con così tanta forza, aveva polmoni d'acciaio." Si spostò i boccoli biondi dal viso e alzò lo sguardo verso le assi di legno del pergolato, sorridente, in balia dei ricordi.
"Come si chiamava questo piccolo supereroe?"
La donna si mise una mano sulla bocca, ricordatasi di un piccolo dettaglio. "Era una femminuccia. Si chiamava Pearl."
Spazio Sly
Dopo più di due mesi di assenza, ho pubblicato un nuovo capitolo. Cosa ne pensate?
Mi scuso per il ritardo imperdonabile, ma è stato un periodo impegnativo e non sono riuscito a far coincidere tutto. D'ora in avanti spero di mantenere una programmazione regolare di una volta alla settimana, perché ci stiamo avvicinando alla parte clou della storia e non vedo l'ora di conoscere i vostri pareri. D'altronde mancano "solo" due mesi al parto di Perla e vi assicuro che in questi sessanta giorni ne accadranno di tutti i colori.
Passiamo al capitolo: la distanza tra Elettra e la figlia è palpabile. Riusciranno a trovare un punto d'incontro o gli eventi le porteranno sempre su fronti opposti?
Germana si è lasciata andare a una confessione molto personale. Lascio a voi libera interpretazione sull'ultima frase da lei pronunciata, ma non preoccupatevi: il prossimo capitolo riprenderà proprio da lì. Siamo a un punto di svolta all'interno della storia e tutti i nodi stanno per arrivare al pettine.
Sentitevi liberi di commentare per esprimere la vostra sincera opinione.
Ci vediamo il prossimo weekend con un nuovo capitolo!
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