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76 - Cammina

L'infermiera si spostò vicino a una pila di scatoloni e scosse la testa. "Non posso rivelarle quel nome... lo faccio per lei."

Elettra allargò le braccia. "Non può spingermi in uno sgabuzzino, dirmi che potrebbe aiutarmi a trovare mio fratello e tirarsi indietro così!" Sentiva di essere a un passo dalla verità.

L'operatrice sanitaria sbuffò e si passò una mano sulla fronte. La luce a LED illuminava i suoi occhi nocciola, sotto i quali spiccavano due rigonfiamenti dovuti alla stanchezza. Fissò lo sguardo deciso di Elettra e le prese le mani. "Non può fare niente comunque. Suo fratello è spacciato... Si accontenti della spiegazione che le ho dato."

Elettra sussurrò un'imprecazione a denti stretti e la bloccò per le spalle contro la parete. "Allora non ci siamo capite... Come cazzo pensa che tornerò a casa non sapendo la verità su Oscar? Secondo lei posso accontentarmi di quella mezza spiegazione? Se al posto di mio fratello ci fosse un suo famigliare, non si metterebbe l'anima in pace finché non fosse fatta giustizia!"

L'infermiera cominciò a sospirare pesantemente: le mancava il respiro. Cercava di divincolarsi, ma Elettra continuava a stringerla; gli occhi color petrolio strabuzzati e il desiderio di conoscere quel nome che le solleticava le dita.

"M-Mi lasci... non respiro..."

Solo dopo qualche secondo di troppo Elettra mollò la presa.

L'infermiera mosse una mano alla ricerca di aria. Lo spazio stretto e la pesantezza di quel discorso avevano un effetto claustrofobico. "Si chiama Giovanni Barbero... contenta?"

Elettra corrugò la fronte. All'inizio quel nome non le suggerì nulla, ma sapeva di averlo udito da qualche parte. Ciondolò con la testa, come per ritrovare quel collegamento nella marea di pensieri della sua mente, e poi si bloccò sul posto. "S-Sta parlando del proprietario del ristorante Marro?"

La donna incrociò le braccia sotto al seno prosperoso. "La figlia Olga è la proprietaria. Lui ogni tanto la aiuta... è molto conosciuto a Garessio, vive in una villa fuori dal paese. Comanda lui qui."

Elettra inclinò il capo. "Qui in ospedale?"

L'infermiera si massaggiò un braccio. "Certo... è un medico in pensione e ha lavorato qui quarant'anni. Ha operato anche all'estero in complessi interventi al cervello."

Elettra si strinse nelle spalle per i brividi sulle braccia. "Quindi è un neurologo?"

L'infermiera replicò con voce sempre più bassa: "Sì, è un luminare. Ora si è ritirato a vita privata e ha tolto il proprio nominativo dall'albo dei medici... anche se..."

"Anche se?"

"Gira voce che l'abbiano radiato."

Elettra sentì un conato di vomito salire lungo la gola. Persino il pranzo di poche ore prima sembrava inorridito di fronte a quella vicenda. "Oscar è nelle mani di uno scienziato pazzo che usa la sua mente come una lavagna in cui cancellare e scrivere quello che vuole? È aberrante, abominevole, io..."

La donna le mise una mano sulla spalla. "Non ho mai detto questo. Si vocifera che l'abbiano radiato, ma possono essere ciarle messe in giro da perditempo."

"Il fatto che Oscar non mi riconosca più non è una fandonia... e nemmeno che sia stato dimesso contro la sua volontà." Il viso dell'infermiera sembrava colpevole. "Se è vero che quell'uomo comanda qui, potrebbe aver corrotto il medico affinché mi tranquillizzasse sulle condizioni di Oscar... e anche lei lo sapeva, dato che all'andata verso il reparto scriveva di continuo al cellulare... L'ha avvertito della mia presenza?"

La voce della donna iniziò a spezzarsi. "T-tutti gli infermieri del reparto erano stati avvertiti del suo possibile arrivo. Persino chi si occupa dell'accoglienza alla reception... e quindi anche Alessia. Era una delle tante istruzioni fornitele."

Elettra mise le mani a pugno. Avrebbe voluto sfogarsi, esprimere odio per un sistema corrotto dall'interno. Sentiva la testa pesante, le parole dell'infermiera che arrivavano improvvise come una doccia gelata. Non poteva essere reale quell'intrigo in cui suo fratello era rimasto coinvolto. "Questo è troppo, decisamente troppo..." Si avvicinò alla porta dello sgabuzzino e si voltò verso l'infermiera. "Mi fa schifo... mi fate tutti schifo!"

Se ne andò senza ascoltare le sue suppliche: voleva lasciare quell'ospedale che si era trasformato in un covo di nemici. A ogni passo la rabbia aumentava e la consapevolezza di essere impotente di fronte a una minaccia più grande di lei le avvolgeva i muscoli. Non c'era alternativa. Il seme della speranza moriva e il sogno di riabbracciare suo fratello si frantumava in mille lastre di ghiaccio sottile. Azzurre come i suoi occhi, taglienti come le sue battute.

Arrivò davanti alla propria auto e guardò la collina in lontananza. Strinse la mano sulla portiera e si sentì avvolta da una scarica di adrenalina. "Un Leoni non molla mai" sussurrò Elettra mentre il vento le scompigliava i capelli ricci. "Vengo a prenderti, fratellone."

L'auto di Elettra superò l'ennesimo tornante. Stava percorrendo una strada che girava su se stessa come un serpente a sonagli. Anche la testa della guidatrice girava... sì, per la rabbia. Elettra si rifiutava di pensare che fosse possibile realizzare un piano così ingegnoso grazie a personale compiacente. Nel 2021, in una nazione industrializzata come l'Italia, potevano ancora avere potere persone spregevoli e meschine? Il dottor Barbero credeva di essere intoccabile e muoveva le sue braccia come il più vorace dei polpi. Passava sopra a tutto e tutti, persino ai legami famigliari.

Elettra tentò di ricordare la conversazione che avevano avuto in ospedale: era stato un breve scambio di battute e già da lì aveva capito quanto fosse sicuro di sé, ma non si sarebbe mai aspettata che potesse arrivare a quel punto. Non capiva cosa volesse da Oscar, a cosa servisse giocare con la sua mente. Essendo un neurologo, doveva aver effettuato un esperimento sul suo cervello per testarne le capacità e i limiti. Forse il fratello era solo uno dei tanti esemplari che tormentava. Magari aveva un esercito a sua disposizione e il suo obiettivo era creare persone in grado di rispondere ai suoi comandi come fedeli robot.

Svoltò l'ennesima curva e si costrinse a interrompere quei pensieri che le corrodevano l'anima. Non poteva rientrare in quel loop infinito di domande. La realtà era sempre più semplice di ogni bieca fantasia, giusto? Forse Giovanni Barbero era solo un padre che voleva offrire al compagno della figlia le cure migliori per quelle maledette emicranie. Chi meglio di uno dei neurologi più importanti in Italia?

Ormai Garessio era solo un puntino lontano e persino la vegetazione e le macchine si facevano più rade. In cima alla collina, arrivò davanti a un ampio cancello in ferro battuto e al cartello Proprietà privata sul muro di cinta che circondava l'area.

Scese dalla macchina e si avvicinò all'inferriata a braccia conserte. Tra le aste verticali, culminanti in lance appuntite, distinse un viale alberato che si perdeva in varie stradine. Una specie di bosco, o parco naturale, che le restituì una grande inquietudine.

Si guardò indietro. Per oltrepassare il cancello non poteva suonare al citofono collocato sotto al cartello: se il dottor Barbero le aveva reso così difficile la ricerca di Oscar, non avrebbe aperto con tanta facilità. Avrebbe dovuto nascondere l'auto, aspettare il passaggio di un'altra vettura e approfittare dell'occasione, ma c'erano molte variabili in gioco. E se ci fosse stata una telecamera?

Non ne vedeva, ma poteva essere nascosta tra gli alberi. Per legge il dottor Barbero avrebbe dovuto denunciare la presenza di un impianto di videosorveglianza, ma Elettra sapeva di poter aspettarsi tutto da lui. Forse le conveniva guidare lungo il perimetro del muro di cinta: avrebbe potuto trovare un punto per scavalcare, ma non aveva più l'età per improvvisarsi Indiana Jones.

Mentre rientrava in auto, rassegnata al pensiero di raccogliere informazioni in paese, sentì un clangore che la fece sobbalzare. Il cancello si aprì lentamente ed Elettra restò imbambolata. Guardò la strada da cui era provenuta per accertarsi che non ci fossero vetture in arrivo e si mise una mano sul cuore. L'ipotesi che tra le fronde ci fosse una telecamera stava diventando realtà.

Entrò in auto e tamburellò due dita sul volante, indecisa. Poteva proseguire oppure tornare indietro per la mancanza dell'effetto sorpresa. Non voleva che il dottor Barbero sospettasse del suo arrivo. Non era neanche certa di aver avuto un piano, prima di arrivare lì. L'obiettivo era raggiungere la dimora dell'uomo e trovare un modo per vedere Oscar, dunque parlare con il proprietario sembrava essere l'unica soluzione.

Accese il motore e oltrepassò il cancello, non badando al formicolio lungo le braccia. Quella situazione non le piaceva, ma suo fratello era lì e non poteva lasciarlo solo. Si ripeteva di vivere in Italia, nel ventunesimo secolo, e non nel Far West; quello era il mondo reale, un mondo sottoposto a regole dettate dallo Stato e dalla Giustizia. Mentre attraversava il viale alberato, sentì il bisogno di pregare: pregare di rivedere suo fratello, che ci fosse una spiegazione valida e legale a tante strane questioni accumulate nelle ultime settimane.

Entrò in una stradina sterrata in cui alti alberi da fusto erano stati soppiantati da cespugli e campi fertili. Alcuni uomini lavoravano la terra e altri raccoglievano balle di fieno con il trattore. Dopo aver proseguito per trecento metri, svoltò l'angolo e attraversò una strada incorniciata da archi in pietra su cui tubavano i piccioni. Per un attimo Elettra ebbe un mancamento al pensiero che tutto quello fosse proprietà di un'unica persona. Ogni cosa sembrava funzionale a dimostrare il prestigio della famiglia; ora capiva perché i Barbero sembravano così influenti in città.

Accantonò quei pensieri quando tra gli archi spuntò una villa dai colori azzurrini, tinta carta da zucchero. La struttura era composta da due livelli; al centro del primo piano si apriva un bovindo che dava su una terrazza delimitata da un'elegante balaustra con motivi rombici bianchi. Parte della villa era nascosta da un salice piangente dalle foglie gialline: parevano scie di lacrime dorate.

Elettra cercava di catturare ogni dettaglio, ma passava da un particolare all'altro con tale rapidità che il cervello non riusciva a elaborare l'informazione. Parcheggiò l'auto vicino a una scaletta che portava alla piscina. Abbassò lo sguardo sulle sue gambe e, prima di scendere, si chiese se fosse il caso di chiamare sua figlia. Perla era con Ingrid, alla mostra, e non voleva disturbarla, ma quella... poteva essere l'ultima occasione per sentirsi. Più rimuginava su ciò che era stato capace di fare il dottor Barbero, più percepiva il pericolo. Non avrebbe dovuto arrivare fin lì, non dopo le raccomandazioni dell'infermiera. Il desiderio di riabbracciare Oscar era stato più forte della ragione, ma ora poteva pagarne le conseguenze.

Uscì e sbatté la portiera, sperando di chiudere nell'auto la negatività che l'aveva avvolta nel tragitto. Fece un sospiro e avanzò di due passi, per poi alzare lo sguardo verso il bovindo. Era convinta che qualcuno la stesse guardando dalle ampie vetrate. Forse si beffava di lei?

Abbassò il capo verso il portone, ma sentì qualcosa premere contro la testa. 

"Non voltarti o ti faccio saltare il cervello."

Sbatté le palpebre, incredula. Stava sognando?

Quella voce roca e gutturale entrò nelle orecchie come un monito e lei s'immobilizzò sul posto. Sentì l'ansia avvilupparle le viscere e le braccia alzarsi automaticamente in segno di resa. "N-Non farmi del male, ti prego."

"Cammina."

Elettra obbedì e procedette lentamente, come in un campo minato. Il terrore di avere una pistola puntata alla testa e la consapevolezza che potesse premere il grilletto le mandavano in cortocircuito ogni capacità d'agire. Si sentiva sola, vulnerabile e stupida. Stupida per essersi cacciata nei guai e non aver seguito le indicazioni dell'operatrice sanitaria.

Giunse davanti alla porta e una mano pelosa affiorò da dietro per aprire. Preferiva non sapere il volto di chi aveva una pelle così villosa. Erano bastate le dita e la voce bassa a farla rabbrividire.

Quando Elettra entrò, abbassò il capo per paura di quello che poteva vedere. Camminò a rilento, lo sguardo sul parquet in legno e le braccia tese per non sbattere.

A ogni cenno di proseguire, i battiti acceleravano in una corsa contro il tempo. Salì una scala a chiocciola, tenendosi al mancorrente, e poi toccò una superficie fredda e ruvida. Alzò lo sguardo verso l'ennesimo portone, per poi spalancarlo.

Una luce improvvisa la colpì sul viso, al punto da chiudere gli occhi. Li riaprì a fatica e notò un uomo con le braccia incrociate dietro la schiena voltato verso il bovindo. Le tende bianche di lino erano sferzate dal vento che entrava da una delle tre finestre e giocavano con la sua figura tra luci e ombre.

L'uomo chiuse le ante e si voltò verso Elettra. "Yuri, che razza di comportamento è questo? Abbassa subito la pistola!" Il tono deciso rimbombò nel salone dalle pareti color crema.

Elettra rimase immobile, rigida, un sospiro dispiaciuto dietro di sé.

Il dottor Barbero ordinò al sottoposto di lasciarli soli.

Lei si massaggiò il collo. Era indecisa se girarsi per vedere la faccia del suo assalitore oppure rimanere nel dubbio. Quando si convinse a voltarsi, il portone decorato da cornici argentate si stava chiudendo celando l'identità dello sconosciuto.

L'uomo si avvicinò a un mobiletto e scelse una bottiglia di vino. "Scusi per il suo comportamento. È così abituato a cacciare che scambia gli ospiti per prede. Posso offrirle da bere per rimediare allo spavento?"

"Se riserva a tutti gli ospiti lo stesso trattamento, non avrà più amici." Non voleva lasciarsi intimorire da quel timbro delicato e cantilenante che l'aveva colpita in ospedale. "Sono astemia."

Il dottor Barbero si versò da bere in un calice. "A cosa serve l'amicizia se abiti in un paradiso terrestre?"

"Gli amici sono molto importanti... ma capisco che a certi livelli possano essere scomodi."

Lui sorseggiò dal calice e alzò un dito. "Arrivi a un punto che non sai di chi fidarti ed escludi tutti... perché tutti vorrebbero essere te e venderebbero la madre per diventarlo."

Elettra fece una smorfia. Da quando quella conversazione era diventata un trattato sul rapporto tra amicizia e ricchezza? "Senza amici si rischia di andare fuori di testa..."

Lui assottigliò gli occhi piccoli e castani, per poi sollevare il calice a mezz'aria. "Mi vuole proporre la sua amicizia?"

Elettra aspettò qualche secondo prima di rispondere. "Sono qui per Oscar." Intrecciò le dita. "Mi piacerebbe vederlo dopo lo svenimento di cinque settimane fa. Sono curiosa di conoscere le sue condizioni di salute, l'ultima volta non sono riuscita a incontrarlo perché quella telefonata ha cambiato i miei piani."

Barbero sogghignò. "Cosa le fa pensare che Oscar viva qui?"

"L'ho letto nell'intervista che ha rilasciato al quotidiano locale. L'ha detto lei, no?"

"E cosa le fa pensare che Oscar voglia vederla?" Elettra aprì la bocca per rispondere, ma la lingua rimase attaccata al palato. Non si aspettava quella domanda. Lui proseguì dopo l'ennesimo sorso. "Ha preferito andarsene di corsa dall'ospedale a causa di una telefonata invece di entrare a vedere le sue condizioni. Per sedici anni non vi siete mai parlati e proprio adesso ha sviluppato questo attaccamento nei suoi confronti? Che strano... Prima vuole incontrarlo, poi se ne va, torna, se ne va di nuovo e infine rivendica il suo diritto di vederlo?" Rise. "Ha scambiato Oscar per una meta di pellegrinaggio, tipo Međugorje."

Elettra alzò il mento. Quei giri di parole la stordivano. "Quindi non posso vederlo?"

L'uomo terminò di bere. "Purtroppo è così. Oscar non è nel pieno delle sue forze e non può ricevere visite, ordini del medico."

Lo stesso che avete corrotto in ospedale? Voleva urlarglielo, e forse lui ci sperava. Almeno gli avrebbe dato un motivo valido per sbarazzarsi di lei. "Quale medico... vieterebbe una visita di cinque minuti? Prometto che non lo stancherò, desidero solo vederlo." Non voleva arrivare al punto da pregarlo, non sarebbe scesa così in basso. "Posso almeno sapere cosa gli succede o anche questo è vietato?"

L'uomo posò il calice sul tavolo in pietra. "Se ha letto quell'intervista, sa che sono uno stimato neurologo. Suo fratello ha deciso spontaneamente di partecipare a una sessione di studi sul cervello e ha dovuto firmare un patto di riservatezza per evitare la divulgazione delle informazioni. Non posso andare contro i miei interessi rivelando dettagli sulla ricerca."

Elettra ripensò allo scatto d'ira di Oscar al ristorante quasi due mesi prima, alla successiva conversazione in cui aveva citato le emicranie e affermato di non ricordarsi di lei e soprattutto all'equipe che l'aveva portato via dall'ospedale. Per non parlare di quando le aveva citofonato tre mesi prima. Era tutto così strano che non poteva essere legale. "Chi finanzia la ricerca?" L'uomo allargò le braccia con tono amareggiato. Lei si toccò la fronte. "Quando potrà tornare a casa? Oscar ha una vita là fuori! Mio figlio lo vuole incontrare e mia figlia... sarebbe lieta di fargli conoscere i suoi nipoti, dato che è incinta. Ci sono anche i nostri genitori, ovviamente."

Barbero sorrise, la luce rischiarava la sua testa rasata. "Ho scordato un particolare: chi partecipa a questa ricerca non può più tornare dalla propria famiglia." Elettra sgranò gli occhi, le gambe molli. "Adesso la prego di andarsene, Yuri l'accompagnerà alla porta. Ovviamente questa conversazione deve rimanere riservata: nel mondo scientifico certe notizie sono più preziose dell'oro."

Elettra sentì il portone aprirsi e continuò a rimanere immobile. Fissava Barbero, la camicia azzurra le ricordava gli occhi color ghiaccio del suo fratellone. Occhi che non avrebbe rivisto, viso che non avrebbe più accarezzato. Se fosse stato per lei si sarebbe spinta oltre, ma doveva pensare a Perla, Mirko, Riccardo. Non poteva rimanere accecata dall'ossessione per Oscar. Doveva abbandonarlo al suo destino, per quanto crudele.

L'uomo la esortò a lasciare il salone, ma le parole furono scavalcate da una voce femminile. "Aspetta, papà." Elettra si voltò e sulla soglia notò il caschetto nero di Olga. La nuova arrivata fece un passo in avanti. "Vi ho sentito e per un attimo mi sono messa nei suoi panni... Se le concedessimo un ultimo saluto?" L'uomo si sistemò gli occhiali cobalto dalle lenti quadrate e lei continuò: "Però deve prometterci che poi se ne andrà dalle nostre vite per sempre. Ci sta?"

Elettra fissò la compagna di Oscar, attonita, e si voltò verso il neurologo.

"Ci sta?" ripeté lui canzonatorio. 

Spazio Sly

Come promesso, ho pubblicato un nuovo capitolo. Scusate per il lieve ritardo.

Finalmente siamo arrivati al giro di boa nella storyline di Oscar. Tante domande che ho seminato nel corso dei capitoli hanno avuto parzialmente risposta, ma ci vorrà ancora del tempo per chiarire tutto. Per adesso cosa pensate del dottor Barbero? Alla fine cosa deciderà di fare Elettra? Sceglierà di vedere Oscar oppure si rifiuterà di dargli un ultimo saluto?

Sentitevi liberi di commentare per esprimere la vostra sincera opinione.

Ci vediamo nel weekend con un nuovo capitolo!

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