75 - Alla fine ci abbracceremo
La domenica pomeriggio era sempre stata sacra per Elettra. Una giornata da trascorrere in famiglia senza pensare al lavoro, un modo per passare del tempo con i propri cari. Durante la settimana erano di fretta e le loro cene intorno al tavolo erano sempre state un bombardamento di notizie più o meno rilevanti sugli accadimenti della giornata: Perla con l'università, Mirko con la scuola e Riccardo con il calcio. Da quando l'uomo era finito in coma, quella routine consolidata si era trasformata in un silenzio spettrale interrotto solo dal telegiornale. Anche la domenica pomeriggio non aveva più il sapore di un tempo: Elettra in ospedale da Riccardo, Perla a casa a studiare e Mirko in compagnia di Monia. Quelle due pesti avevano preso l'abitudine di vedersi tutti i fine settimana e solo così il bambino trovava un po' di spensieratezza dall'angoscia per le condizioni del suo allenatore.
Quella domenica pomeriggio di fine febbraio si ripeté lo schema: Perla sarebbe andata con Ingrid a vedere una mostra di fotografie di Ruth Orkin ai Musei Reali, Mirko e Monia sarebbero stati al cinema con Gaia a guardare un film d'animazione ed Elettra... Aveva detto a tutti che si sarebbe recata in ospedale per vegliare sul compagno, ma aveva imboccato l'autostrada per allontanarsi da Torino.
Mentire ai propri cari era necessario, nessuno doveva sapere che stava andando dal fratello per accertarsi delle sue condizioni. Se Perla l'avesse saputo, avrebbe insistito per accompagnarla: doveva risolvere da sola quella questione. Si sentiva colpevole per aver contribuito alla decisione di Oscar di lasciare Torino e voleva porvi rimedio. Come se non bastasse, Olga e suo padre le avevano dato una pessima impressione. Non voleva che Perla corresse rischi: la figlia aveva bisogno di essere circondata da energie positive; interfacciarsi con persone che la potevano ritenere una minaccia avrebbe peggiorato il suo stato.
Elettra strinse le mani sul volante. Più pensava alle due persone che le avevano impedito di vedere Oscar, più sentiva montare una grande rabbia. Era la sorella, aveva diritto quanto loro di stare al suo capezzale. Nel caos che orbitava attorno al fratello aleggiavano domande alle quali agognava trovare risposta: era davvero lui l'uomo che le aveva citofonato più di tre mesi prima? Perché al ristorante l'aveva trattata male e quattro settimane dopo, nel parcheggio del locale, aveva sostenuto di non ricordarsi di lei? Possibile che dietro tutto questo ci fossero Olga e il padre?
Sbuffò e tamburellò due dita sul volante. La macchina attraversava una strada delimitata da capannoni industriali. S'immise in una rotonda e parcheggiò in uno dei tanti posteggi liberi. Prese la borsa e tirò un sospiro prima di uscire dal veicolo. Attraversò sulle strisce pedonali con grandi falcate, la mente ancora immersa nei fatti di cinque settimane prima. Non avrebbe lasciato che la compagna di Oscar potesse ferirla. Sarebbe andata fino in fondo, anche a costo di urlare per attirare l'attenzione degli infermieri. Aveva il diritto di vedere suo fratello e non si sarebbe lasciata intimorire dalle minacce di un'invasata.
Quando le porte scorrevoli si aprirono, si ritrovò nella reception. Si passò una mano sulla fronte, per ricordare il piano del reparto e la posizione del posto letto, ma aveva solo ricordi sbiaditi. Le settimane in ospedale con Riccardo scorrevano così lentamente che le sembrava fosse passato un anno dalla precedente visita.
Oltrepassò una lunga fila di pilastri e si avviò verso il bancone. "Buongiorno."
Una ragazza sollevò il capo dal registro che compilava. "Buongiorno! Aspetta da tanto?" Il tono di voce squillante fece voltare alcuni anziani seduti a un lato della sala.
"Sono appena arrivata."
"Oh, menomale, quando mi concentro a scrivere m'isolo dal mondo. Posso esserle utile?"
Elettra appoggiò una mano sul bancone. "Sì, mio fratello è ricoverato e non ricordo il piano. Il reparto è Chirurgia generale, ma questo posto è un labirinto."
La ragazza sollevò il registro dalla tastiera del computer. "Controllo nel terminale." Spostò il libretto sulle sue gambe, ma le bastò voltare di poco la sedia girevole per farlo cadere per terra. "Oh, Boja Fauss!", per poi raccogliere il registro e la marea di fogli sparsi intorno.
Elettra rimase paziente a guardarla riordinare le carte spaesata. Aveva formato molti giovani nel pet shop e sapeva distinguere una stagista alle prime armi.
La ragazza passava lo sguardo dal registro a Elettra e doveva sentirsi sotto pressione. Sistemò la pila di carte sul libretto e li posizionò su una sedia poco distante. "Scusi l'attesa." Si avvicinò al computer. "Mi ripete il nome del paziente?"
"Non gliel'ho ancora detto, si chiama Oscar Leoni."
"Qui non risulta nessun Oscar Peoni..."
"Leoni, ho detto Leoni!" scandì Elettra iniziando a spazientirsi.
La ragazza inclinò il capo. "Meoni?"
Elettra spostò il peso da una gamba all'altra. "Leoni! Come il leone, ma al plurale. Il nome è Oscar, come il premio."
"Sì, quello lo ricordo" rispose la ragazza, le guance rosse per l'imbarazzo. "Scusi, quando mi agito non capisco niente."
Elettra alzò gli occhi al soffitto. "È tutto okay, ora ha trovato i dati di mio fratello?"
L'impiegata si massaggiò il polso, sul quale spiccavano dei braccialetti colorati. "È stato dimesso il 28 gennaio alle 11:36."
Elettra abbassò il capo. Avrebbe dovuto aspettarselo: era impossibile che la degenza di Oscar durasse così a lungo. "Grazie... posso parlare col medico che l'ha avuto in cura?"
L'impiegata la guardò, smarrita, gli occhi castani sgranati come biglie. Sembrava che nella mente, tra le istruzioni fornitele, cercasse la risposta. "Ce-certo, non penso ci siano problemi. Il reparto è Chirurgia Generale, primo piano." Si alzò e indicò il corridoio dietro di sé. "Deve prendere l'ascensore, raggiungere il primo piano – e fin qua ci siamo – e poi..." Si portò due dita sul mento e guardò Elettra, impacciata. "E poi..." Si passò una mano tra i capelli scuri. "Mi scusi, ma sono qui da poco e mi hanno dato talmente tante istruzioni che mi confondo. Non voglio mandarla alle Camere mortuarie." Rise per la battuta ma, scorgendo solo volti seri, tornò concentrata e alzò un dito. "Mi hanno dato una mappa dell'ospedale, posso spiegarle da lì. Dove l'ho messa?" Frugò nel suo zaino e arrivò quasi al punto da inserirvi la testa all'interno.
Elettra indietreggiò, un sorriso di compassione sul viso. Gli anziani intorno a loro, che di gaffes dovevano averne viste decine, continuavano a ridacchiare. "Non impazzire per me. Posso seguire le indicazioni strada facendo."
La ragazza riemerse dallo zaino e si scompigliò i capelli scuri. "Sicura? Ci metto un attimo."
"Sicurissima." Aveva già perso troppo tempo con lei.
Stava cominciando ad andarsene, ma l'impiegata urlò: "Maria, menomale che sei arrivata! Maria, vieni!"
Elettra si voltò mentre la ragazza continuava a sbracciarsi – come se non bastasse il tono squillante.
Una donna tarchiata si avvicinò. "Abbassa la voce, te l'ho già detto" la rimproverò con occhi gentili. Sporse la testa. "E quel casino? Hai fatto cadere il registro..."
"È scivolato da solo." Indicò Elettra. "La signora ha bisogno di andare al reparto di Chirurgia Generale, la potresti accompagnare?"
L'infermiera si voltò verso Elettra e le strinse la mano. "Certo, volentieri, sto andando anch'io lì. L'orario di visite comincia tra poco."
L'impiegata si grattò la fronte. "In realtà suo fratello è già stato dimesso, ma vuole parlare con chi se ne è occupato."
La donna con la casacca bianca annuì. "Il nome del paziente?"
"Oscar Leoni" rispose prontamente, per impedire alla ragazza di storpiare il cognome.
Appena sentì quelle parole, la donna lanciò un'occhiataccia all'impiegata. "Me ne occupo io. Tu riordina quel registro e cerca di calmarti quando parli con qualcuno."
La ragazza le mostrò un sorriso a trentadue denti e tornò al lavoro.
Le due percorsero il corridoio retrostante la reception.
"Mi scusi, spero che Alessia non l'abbia infastidita."
Elettra storse le labbra tonde. "No, si figuri... però chissà com'è seguire le sue indicazioni e trovarsi alle Camere mortuarie."
"È già capitato" iniziò a ridere l'operatrice sanitaria. "Sono i suoi primi giorni, imparerà."
"Ho l'impressione che non supererà la prova..." accennò Elettra mentre entravano in ascensore.
L'infermiera replicò con una piccola risata e scrisse un messaggio al cellulare. Alzava spesso lo sguardo per tenere d'occhio la sorella di Oscar.
Elettra avevo lo sguardo dritto di fronte a sé, ma non le sfuggirono i suoi lunghi sospiri a labbra sigillate. Voltò il capo verso la pulsantiera, ma la sensazione di essere osservata non l'abbandonava. Si massaggiò il dorso del naso, affaticata per l'ora e mezza di viaggio. Represse uno sbadiglio e si riscosse. Non doveva mostrare il minimo cenno di cedimento di fronte ai medici. Doveva essere lucida e informarli delle condizioni del fratello.
Quando le porte metalliche si aprirono, passarono accanto a dei distributori automatici. Svoltarono a destra e proseguirono lungo un ponte dal quale vedevano animarsi l'autostrada. L'infermiera stava due passi davanti a Elettra e ogni tanto si voltava per assicurarsi che la seguisse. A ogni notifica sul cellulare, rispondeva e sospirava. Iniziava a velocizzare il passo, come se volesse concludere presto quella faccenda.
"Non ci sarei mai arrivata senza di lei, grazie" commentò Elettra, tanto per dire qualcosa. La imbarazzava quel silenzio che si era creato da quando avevano smesso di parlare dell'impiegata alla reception.
"Si figuri, è stata una fortuna che mi trovassi lì." I capelli lunghi e castani ondeggiavano seguendo l'andatura veloce.
Arrivate davanti alla porta tagliafuoco del reparto, l'infermiera informò della loro presenza e un collega le aprì. Superarono una serie di porte uguali da cui spuntava una targhetta blu con cifre bianche. "Parlerà direttamente col primario, il dottor Gallo." Senza aspettare risposta, le indicò un ufficio e le augurò buona fortuna.
Elettra rimase imbambolata. Nel salutarla, non l'aveva nemmeno guardata in faccia. Doveva soprassedere per quella stranezza: aveva questioni urgenti di cui occuparsi.
Si schiarì la voce e bussò. Dopo aver avuto il permesso di entrare, fece un passo avanti. "Buongiorno, dottore. Sono Elettra Leoni."
Gli porse la mano e l'uomo la strinse sfoggiando un sorriso di cortesia. "Buongiorno, signora. Si accomodi." Le indicò una sedia e congiunse le mani rugose. "Mi è stato detto che vuole parlarmi di un paziente, corretto?"
"Sì, Oscar Leoni." Elettra appoggiò la borsa sulla sedia vicina. "È mio fratello, l'avete dimesso un mese fa. Ho chiamato io l'ambulanza dopo il suo svenimento."
L'uomo raccolse alcune lastre e le chiuse in una busta per liberare la scrivania. "Ricordo."
"Ecco... avere il parere dell'ultima persona che aveva parlato con lui prima che svenisse può contribuire a trovare la cura migliore."
Il medico corrugò le sopracciglia folte e nere. "Suo fratello è già stato dimesso, non capisco..." S'interruppe, tradendo una certa agitazione, "come posso aiutarla."
"Quel giorno volevo parlare con lei di una cosa molto strana successa prima che svenisse, ma ho avuto un contrattempo che mi ha tenuta impegnata anche dopo." Cercò di mantenere la voce ferma nonostante il ricordo della telefonata di Perla riecheggiasse nel cuore. Cercò comprensione nei suoi occhi scuri, ma trovò un muro d'indifferenza. "Il mio compagno ha avuto un incidente e non me la sentivo di fare la spola dall'ospedale di Torino a quello di Ceva. Per giunta..."
"Venga al punto" le mise pressione guardando l'orologio al polso. "Tra poco devo essere in sala operatoria."
Elettra abbozzò un sorriso. Un'altra persona di fretta che si comportava in modo strano. "Vorrei sapere cos'ha avuto. Abbiamo parlato prima che svenisse e non mi riconosceva... non sapeva di avere una sorella." Studiò il suo viso per decifrare la sua reazione, ma il medico si limitò a sbattere le palpebre. "Io e lui abbiamo sempre avuto un rapporto burrascoso e otto anni fa ci siamo persi di vista. Di recente ho cercato di mettermi in contatto con lui e a fatica ci sono riuscita, ma non mi riconosce più. Sembra che non abbia mai avuto una sorella... o che non lo ricordi. Non si ricorda né di me né della sua adorata nipote. C'è una spiegazione scientifica?"
Il dottore appoggiò un gomito sul tavolo, un'espressione interrogativa sul viso. "Signora, non sono un neurologo. Potrebbero esserci dei meccanismi di difesa che ci portano a dimenticare dettagli della nostra vita, ma non sono un esperto. Suo fratello è svenuto a causa di una forte emicrania con cui sta combattendo da tempo. Il medico di famiglia ne è a conoscenza e stanno cercando le cure migliori. Oscar è in buone mani." Spostò gli occhi piccoli e castani su Elettra e sembrò tirare un sospiro di sollievo.
Lei si appoggiò allo schienale della sedia. "Mi sta nascondendo qualcosa?"
Il dottore si alzò di scatto. "Creda quello che vuole. Suo fratello è sano, ha solo bisogno di tenere sotto controllo la situazione per monitorare l'evoluzione delle emicranie." Si avvicinò alla porta. "Adesso, se mi vuole scusare, devo occuparmi di persone che hanno davvero bisogno di me."
Elettra si drizzò, sempre più spaesata. Le sembrava di vivere in un film di bugiardi. "Non ho fatto un'ora e mezza di macchina per questo. Non mi ha nemmeno ascoltata! Le ho detto..."
Lui alzò gli occhi al soffitto. "Suo fratello non la riconosce, gli stanno facendo il lavaggio del cervello e lei non può impedirlo. Non lo racconti troppo in giro... potrebbero prenderla per pazza." Sussurrate le ultime parole, la invitò a lasciare l'ufficio con un gesto della mano.
Elettra gli lanciò uno sguardo di disprezzo e si allontanò infastidita. Non riusciva a credere che per quell'uomo fosse matta. Non era colpa sua se da settimane viveva un incubo interminabile. Pareva che Dio dovesse lanciare sul suo cammino tutti i mali del mondo, senza però scalfirla. Vedeva dolore e mistero e si sentiva inerme, inutile. Voleva aiutare Gaia a guarire, voleva ritrovare l'armonia con suo fratello, voleva che Perla vivesse una gravidanza serena, ma non riusciva ad alleviare la loro sofferenza.
Attraversò di gran lena il reparto, gli occhi verdi lucidi. Appena uscita, si avvicinò a una delle sedie e lasciò andare tutte le lacrime trattenute. Era stanca di combattere per ritrovare Oscar: prima era riuscita a rintracciare la compagna, Viviana, che le aveva confessato che era morto, la stessa si era rimangiata le sue parole giustificandole in modo meschino, poi aveva scovato l'indirizzo del ristorante in cui lui lavorava e l'aveva trattata male. In un successivo dialogo le aveva detto di non ricordarsi di lei. Per non parlare dell'uomo che le aveva citofonato tre mesi prima: secondo Mirko, era lui. Quanto doveva andare avanti quella caccia?
Quando si avvicinava alla meta, la vedeva scomparire dalle dita come granelli di sabbia e si sentiva soffocare per la tensione. Perché era così difficile riabbracciare Oscar? Perché il mondo voleva impedirle di essere felice?
Udì un rumore dietro di sé: la porta tagliafuoco si spalancò e uscì l'infermiera che l'aveva accompagnata prima.
Elettra accennò un saluto e l'operatrice sanitaria s'immobilizzò. Si guardò intorno e le si avvicinò. "Signora, si sente bene? Sta piangendo..."
Lei si asciugò gli occhi con un dito. "Certo, sto... benissimo."
L'infermiera, intuendo il mare di sottintesi dietro quelle parole, le diede un fazzoletto e si offrì di accompagnarla all'uscita.
Mentre attraversavano il ponte che le avrebbe condotte verso l'ascensore, Elettra notò l'infermiera rivolgerle più di un'occhiata. Nascose le mani nelle tasche del giubbotto. "So cosa pensa... anche lei mi crede pazza."
La donna scosse la testa. "Mi dispiace... parlo quotidianamente coi pazienti, so riconoscere una persona sana e lei lo è."
"Il dottor Gallo non è dello stesso avviso."
Si avvicinarono all'ascensore e la donna con la casacca bianca prenotò la fermata. "Nonostante il carattere ruvido, è competente."
Elettra fece una smorfia. "Dovrebbe imparare ad ascoltare i pazienti... o i loro parenti, come in questo caso."
Sul viso ovale dell'interlocutrice comparve un sorriso amaro. In ascensore, si posizionarono l'una davanti all'altra e si grattò il collo. "Lei... è molto legata a suo fratello?"
"Da piccoli eravamo inseparabili. Lui era più grande di me di quattro anni e me ne combinava di ogni, ma in fondo lo adoravo." Si toccò la punta del naso. "Guardi, qui ho una piccola cicatrice che mi sono procurata da sola mentre giocavamo a nascondino. Lui mi ha sorpresa e io, per lo spavento, ho sbattuto contro un albero." L'infermiera iniziò a ridere per quel ricordo e lo stesso fece Elettra. "Oh, non sa quanto ho pianto a causa della botta! E lui rideva pure! Poi però mi ha abbracciata..." Cacciò indietro le lacrime. Quel ricordo era la dimostrazione del loro legame attuale: stavano giocando a nascondino, un gioco illusorio di riconoscimenti e ostacoli. "Alla fine ci abbracceremo..." rifletté ad alta voce, "sarà così."
Il tono struggente non sfuggì all'infermiera, che le passò pensierosa una mano sulla schiena. Uscite dall'ascensore, le sussurrò all'orecchio: "Mi segua un attimo."
Si guardarono attorno ed entrarono in una stanza che la donna chiuse a chiave.
Elettra aggrottò la fronte, preoccupata. Intorno vedeva solo alti ripiani di scatole illuminati da strisce a LED.
"Qui nessuno ci disturberà" sussurrò l'operatrice sanitaria facendole segno di parlare a bassa voce.
Elettra rabbrividì. "Cosa succede?"
Lei intrecciò le dita. "Io... posso aiutarla a ritrovare suo fratello, ma deve promettermi che non dirà mai che abbiamo parlato." Indicò se stessa. "Questa faccia non l'ha mai vista e la conversazione che stiamo per avere non l'abbiamo mai avuta... posso fidarmi?"
Elettra si mise una mano sul fianco. "Sono stanca di questi giri di parole. Prima mi dice cosa sa e poi valuterò il da farsi. Qui c'è in gioco la vita di mio fratello."
"E c'è in gioco anche la mia carriera" replicò con sguardo fermo. "Una mia collega ha ascoltato di nascosto una conversazione in cui il dottor Gallo discuteva delle dimissioni del signor Leoni. Qualche ora dopo, in reparto, è arrivata un'equipe che l'ha portato via su un lettino. Sono saliti su un furgoncino."
Elettra si mise una mano sulla bocca. "Quel bastardo... me la pagherà!"
L'infermiera si morse un labbro. "Lui è solo una marionetta nelle mani di un burattinaio."
Elettra inclinò il capo. "Posso sapere chi è l'uomo che odierò per il resto della mia vita?" Aspettò qualche secondo e le si avvicinò minacciosamente. Poteva tirarle fuori quel nome con le tenaglie, se necessario.
Spazio Sly
Come promesso, ho pubblicato un nuovo capitolo. Cosa ne pensate?
Finalmente stiamo entrando nel vivo della storyline di Oscar. Questa linea narrativa è molto interessante e mi sto divertendo tantissimo a scriverla. L'inizio ironico del capitolo, con la sbadataggine dell'impiegata, era un modo per alleggerire la tensione che sarebbe arrivata alla fine della lettura. O meglio: il fatto che sia sbadata è utile ai fini della trama, come si scoprirà nel prossimo capitolo...
Secondo voi chi è l'uomo che sta orchestrando tutto questo ai danni di Oscar? Cosa gli sta succedendo? Elettra riuscirà a rintracciare il fratello?
Sentitevi liberi di commentare per esprimere la vostra sincera opinione.
Ci vediamo nel weekend con un nuovo capitolo!
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro