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7 - Dammi il tuo cellulare

La vettura di Elettra svoltò l'angolo e percorse un tratto costeggiato da antichi palazzi. Radio spenta, un dito che tamburellava sul volante e una civetta che svolazzava sotto lo specchietto retrovisore. I sedili posteriori erano vuoti: Perla era a casa di Ingrid e Mirko dal vicino, nonché compagno di calcio. Lei l'aveva accompagnato lì perché doveva raggiungere Riccardo nel suo appartamento. L'uomo non rispondeva ai messaggi e temeva che gli fosse successo qualcosa. Una parte del suo cervello le suggeriva che voleva rifiutare ogni contatto con lei, ma nonostante tutto era uscita per andare da lui. Doveva chiarire, era pentita di aver usato certe parole nei suoi confronti. A parlare era stata la rabbia, era certa che sarebbero arrivati a un punto d'incontro. Non potevano buttare quei mesi di convivenza, doveva esserci un modo per risolvere l'intricata questione. Riccardo l'aveva messa davanti a un bivio, ma insieme sarebbero riusciti a scavare una strada che li avrebbe portati lontano.

Girò accanto a un imponente edificio e gettò l'occhio intorno per trovare un posto libero. Era quasi arrivata, avrebbe continuato a piedi. Quando parcheggiò, abbassò il parasole e si specchiò per controllare che il trucco non fosse colato. Si era sforzata di non piangere durante il tragitto, invano. Non l'aveva mai visto così arrabbiato e si sentiva una stupida ad aver rifiutato di sposarlo. Lui l'amava e voleva soltanto formalizzare la loro unione, doveva esserne felice. E invece la preoccupazione per la figlia non le permetteva di pensare al matrimonio. Le ore precedenti erano state cruciali per farle capire che qualcosa non andava. Forse, come le avevano suggerito lei e Ingrid, si trattava solo di stanchezza, ma era convinta che ci fosse un disagio più profondo.

Rialzò il parasole, prese la borsa e scese dall'auto. Qualunque cosa fosse, non avrebbe mai anteposto la propria felicità a quella della figlia. Avrebbe chiarito con Riccardo e interrogato Perla sulla questione. Anche con un confronto a tre, da adulti. Insieme sarebbero riusciti a diventare una famiglia, quella che aveva sempre sognato.

Mentre camminava verso l'appartamento di Riccardo, pensò alle facce sconvolte di parenti e amici quando aveva comunicato l'imminente matrimonio. Erano rimasti scioccati, per la differenza d'età e per il fatto che si frequentavano da poco. Stavano insieme da un anno, era abbastanza per capire qualcuno? Calciò una lattina con la stessa decisione con cui aveva risposto alle obiezioni: la vita è un alito di vento. Il giorno prima ci sei e quello dopo no. Per quanti progetti tu faccia, il destino riuscirà a sconvolgerli e a divertirsi alle tue spalle. A cosa serviva aspettare se erano entrambi certi del loro sentimento? Inoltre Riccardo aveva fatto breccia nel cuore di Mirko e Perla... credeva che lei fosse d'accordo, ma ciò che era successo quella mattina aveva messo tutto in discussione. La vita, ancora una volta, si era burlata di una donna che voleva solo essere felice.

Arrivò all'ingresso, citofonò e indietreggiò per controllare la finestra dell'appartamento. La serranda era alzata, lui era in casa, ma al citofono non ricevette risposta. Sbuffò e gli scrisse al cellulare: Aprimi, capirai cosa fa una donna per amore.

La convinzione di arrivare a un compromesso vacillava, però non poteva mollare. Riccardo la costringeva a scegliere, ma lui non aveva capito che per vedere un sorriso sul volto di Perla era disposta a essere infelice per l'eternità.

Chiuse gli occhi per evitare che delle lacrime oscurassero la sicurezza e s'incamminò verso l'auto. Doveva aspettarsi quel giro a vuoto.

Quando si avvicinò al primo dei cinque lampioni che la separavano dalla macchina, sentì un rumore proveniente dal portone: era aperto. Le labbra tonde si stesero in un ampio sorriso e corse verso l'ingresso. Fece gli scalini e chiamò l'ascensore: quella strada nascosta poteva ancora essere trovata.

Per un attimo ebbe l'impressione che il pavimento si capovolgesse e appoggiò una mano sulla fronte. Stava accadendo tutto così in fretta: nella sua testa sembrava essere esplosa una lotta tra ragione e sentimento. Mille domande rimbombavano: la convinzione di anteporre la felicità della figlia non era stata spazzata, ma aveva paura che rivederlo non le permettesse di ragionare. Recitava mentalmente il discorso preparato, nonostante la consapevolezza che quegli occhi l'avrebbero stregata come sempre.

Arrivato l'ascensore, la donna si precipitò all'interno e premette euforica il pulsante per il quarto piano. Strinse così forte il manico della borsa da far sbiancare le nocche e si guardò intorno, pregustando il momento in cui l'avrebbe rivisto.

Mentre continuava a battere un piede sul tappetino ocra, l'ascensore si bloccò con un rumore secco e la luce si spense. Quando si accorse di essere rimasta rinchiusa, il sangue le si raggelò nelle vene. Indietreggiò, sbattendo contro una parete, e si mise una mano davanti alla bocca per evitare di lasciarsi prendere dal panico. Posò la borsa a terra e cercò di regolarizzare il respiro, ma la paura irrigidiva ogni muscolo.

Per un istante le parve che dietro di lei ci fosse qualcuno e si voltò allargando le braccia. Era sola, ma la sensazione di oppressione non la lasciava. Si chinò per cercare la borsa; faticò a trovare il cellulare, ma quando ci riuscì attivò la torcia e la rivolse sulle pareti. Non appena individuò la pulsantiera, premette il tasto di emergenza.

Nell'ambiente si diffuse un rumore metallico e poi sentì la voce dell'addetto. Non riusciva a capirlo, le parole arrivavano lontane, e appoggiò una mano alla parete. "Ai-aiutatemi, so-sono rinchiusa in a-ascensore. Sono in via Vit-Vittorio Alfieri 20, aiuto."

La voce rispose con tono calmo, ma lei non capiva. Si lasciò cadere e tirò il colletto della maglia bianca. Non era la prima volta che rimaneva chiusa in ascensore, quest'esperienza stava facendo emergere ricordi che credeva accantonati. La sensazione di oppressione aumentava, come quella di non essere sola. Tremò al pensiero che nel buio potesse esserci qualcuno.

Si alzò lasciando il cellulare a terra e batté contro una parete. "Aiuto! Vi prego, aiutatemi! Mi stanno prendendo, mi..."

Colpì quella superficie d'acciaio con maggiore forza, la luce del telefono che illuminava per metà il volto deformato dal terrore. Si portò le mani al collo e per un attimo sentì quel profumo.

Elettra entrò nel condominio con aria incerta e cercò l'ascensore. Doveva raggiungere l'ultimo piano, lei l'aspettava. Schiacciò il bottone e intrecciò le mani, l'attesa era snervante. Finalmente aveva trovato un lavoretto e non vedeva l'ora d'iniziare. Aveva paura che i genitori lo scoprissero, aveva detto loro di essere andata in biblioteca a studiare, ma era eccitata perché qualcuno l'aveva notata. Le porte della moda si stavano spalancando, doveva solo lasciarsi guidare tra passerelle e paillettes.

Quella notte l'aveva passata a fissare il soffitto con le mani incrociate: era stata troppo occupata a immaginare il futuro, le foto sulle riviste più esclusive. Quella donna l'aveva paragonata a una diva degli anni Cinquanta di cui non ricordava il nome, ma il suono era stato così dolce che le era piaciuto all'istante.

Passò una mano sul vestito rosa di seta che i suoi genitori le avevano regalato una settimana prima per il suo quindicesimo compleanno: le aveva detto di indossare la cosa più bella del suo armadio e aveva subito pensato a quello.

All'improvviso un profumo di peperoncino investì le narici. Si girò e vide un uomo di mezz'età avvolto in un impermeabile nero, il cappello in testa.

Finalmente l'ascensore arrivò e lo sconosciuto lo indicò. "Sali?"

Il tono di voce era basso e profondo.

La ragazza annuì titubante. Aprì le porte ed entrò con uno scatto, ma quando le stava per richiudere si accorse che il tipo si apprestava a seguirla. Le guance si tinsero di rosso e abbassò lo sguardo. "Ultimo piano."

"Okay."

Lei preferiva non alzare la testa: fissava le linee del pavimento con il terrore che lui posasse gli occhi avidi sul suo gracile corpo. Mise le braccia conserte e, quando l'ascensore si mosse, sentì il peso dello sguardo. Aveva l'impressione che la stesse desiderando e sperò che quei secondi passassero in fretta. Gli voltò la schiena, avrebbe fatto meglio a non salire con lui.

Cercò di calmarsi: prima o poi avrebbe provato sensazioni simili in passerella e quindi doveva abituarcisi. Ma gli spettatori avrebbero assistito alla sfilata da lontano e sarebbero stati più interessati ai capi piuttosto che a chi li indossava. Lei invece poteva quasi sentire il respiro lussurioso dell'uomo, le mani che cercavano di trattenersi dal toccare con ingordigia la sua pelle.

Percepì dei movimenti e l'ascensore si bloccò. Lei si voltò di scatto, ma l'uomo riuscì a farla girare verso la parete e a metterle un fazzoletto umido in bocca. Dimenò le braccia, però lui gliele bloccò e allora provò ad agitare le gambe come se fosse sui carboni ardenti.

Tutto inutile: pian piano il suo fragile corpo si arrese alla potenza di quell'uomo. L'ultimo ricordo erano gli occhi dell'aggressore, iniettati di sangue.

Rivivere quei momenti l'aveva fatta agitare ancora di più. Alzava e abbassava il petto freneticamente, la schiena attaccata all'ascensore e le mani che creavano dei ventagli improvvisati. La cassa toracica era dilaniata dal terrore che in quel buio emergesse una figura capace di farle perdere conoscenza con la stessa forza di quel pomeriggio. A ogni respiro le mancava l'aria, quella scatola in cui si trovava rinchiusa era satura d'angoscia. Si mise una mano sul petto e sentì la testa pulsare, finché si sdraiò sgraziatamente sul tappetino.

Corrado continuava a guardare Perla e Ingrid, la testa che si spostava prima sull'una e poi sull'altra. "Allora? Mi direte qualcosa prima che arrivi Babbo Natale con Rudolph e company?"

La studentessa si guardò le mani, come se con quelle dita avesse compiuto un atroce delitto, e poi si rivolse all'amica: "Da dove posso cominciare?"

La parrucchiera, che aveva ancora le gambe circondate dalle braccia, si sedette in modo composto. "Da quello che abbiamo scoperto oggi."

Perla annuì e si mise le mani sul volto.

Corrado non smetteva di osservarle: era chiaro che erano imbarazzate. Avevano sempre parlato di tutto, che stava accadendo?

"Io" iniziò la studentessa, i capelli lisci che ricadevano su una spalla. "I-io... sono incinta."

Corrado serrò la bocca e spalancò gli occhi. La ragazza aveva parlato a bassa voce, in un sussurro, e non era certo di aver capito. Si ripeté ciò che lei aveva pronunciato, mentre i neuroni cercavano di elaborare quell'incredibile notizia. "Sei incinta? Ho... ho sentito bene?"

Ingrid sospirò, guardando il pavimento in larice, e Perla annuì soffocando un lamento.

"Oh, Dior" fu la reazione di lui, che le si gettò al collo entusiasta. "Sei incinta, sei incinta! Avrai un bambino, io e Ingrid diventeremo zii! Sono felicissimo!" La strinse così forte che le parve di soffocare. Perla era immobilizzata: non se l'aspettava, non riusciva nemmeno a ricambiare l'abbraccio. "Certo, forse è troppo presto, ma bisogna mordere la vita prima che morda te. Sarai una madre fantastica ed Elmo... beh, mi sta antipatico come Armani detestava Versace, ma in fondo sarà uno splendido padre. E poi è ricco, il che non guasta. La tua carriera universitaria è all'inizio, anzi deve cominciare, ma io e Ingrid ti aiuteremo." Si staccò e guardò l'altra ragazza. "Vero?"

Perla lo fissò incredula. Aveva parlato per un minuto, stringendola come il vincitore degli Oscar con il suo premio, e lei aveva evitato d'interromperlo. Ora sembrava essersi calmato, a giudicare dal fatto che stava riprendendo fiato. "Sarà una creatura stupenda, avrà i geni della madre e potrà contare su..."

"Corrado!" lo fermò Ingrid con un urlo. "Perla non ha finito..."

Lui si tolse per qualche secondo gli occhiali, constatando che si erano macchiati, e annuì verso l'amica.

La studentessa guardò Ingrid per trovare il coraggio di raccontargli tutto e lei scoccò un sorriso d'incoraggiamento.

"Il padre non è Guglielmo" asserì Perla con tono fermo. "Cioè, potrebbe non esserlo."

Aveva cercato di mascherare l'angoscia che vibrava nelle corde vocali, però non aveva avuto il coraggio di guardarlo.

Il ragazzo rimase in piedi: una mano sugli occhiali, l'altra su un fianco e lo sguardo nel vuoto. La frase si aggiunse a quella che aveva detto prima e, insieme, risuonarono come un coro stonato. Avanzò incerto, rischiando d'inciampare sui suoi stessi piedi, e fissò Perla. "Se il pa-se il pa-se il padre non è Guglielmo... chi... chi cazzo potrebbe essere?"

Le ragazze lo osservarono, lo stupore danzava sui loro volti: Corrado non diceva mai parolacce.

Perla scosse la testa e portò le mani intrecciate all'altezza del naso.

Corrado pensava a ciò che gli era appena stato comunicato, finché apparvero vari flashback in cui la sua migliore amica piangeva per Riccardo. Fece un ennesimo passo in avanti e un altro ancora, sbattendo contro il tavolino. Ora tutto aveva un senso: la stanchezza dei giorni precedenti, lo svenimento, l'aver vomitato davanti agli invitati... e gli occhi preoccupati con cui Riccardo non perdeva ogni sua mossa. Era stato il primo a soccorrerla in chiesa e sempre lui aveva proposto di portarla al pronto soccorso. Ogni pezzo del puzzle era tornato al proprio scomodo posto.

"No, non... dimmi che mi sbaglio. Dimmi che è un tremendo equivoco."

"Corrado" cominciò lei, ma lui alzò una mano ed esclamò: "Adesso parlo io!" e iniziò a camminare nel piccolo salotto. "Hai conosciuto Riccardo a settembre 2018 e dopo qualche settimana vi siete messi insieme. Io continuavo a dirti che eravate troppo diversi e che la differenza d'età vi avrebbe fatto scoppiare. A marzo 2019 vi siete lasciati, per dei motivi che fatico a capire, e a settembre dello stesso anno Elettra ti ha confidato di provare attrazione per l'allenatore di Mirko. Io ti ho più volte consigliato di farle sapere che tra voi due c'era stato qualcosa, ma non hai voluto ascoltarmi. Ripetevi che ciò che era accaduto tra voi era passato e che tua mamma meritava di essere felice con lui. Tutto sembrava essersi sistemato, ma qualche settimana fa tu e quel verme di Riccardo siete stati insieme e adesso... questo." Si fermò, un po' perché non aveva fiato e un po' perché temeva di dire cose di cui poi si sarebbe pentito, la fronte sudata e gli occhi fuori dalle orbite. Si tolse gli occhiali e prese dalla tasca dei jeans il panno scuro per pulire le lenti, poi se li rimise e assottigliò gli occhi. "Ma non provi neanche un briciolo di vergogna?"

Perla abbassò il capo; Ingrid si alzò, si sedette su un bracciolo della poltrona dell'amica e le accarezzò la testa. "Corrado, grazie per questo riassunto. Ne avevamo bisogno, hai finito di mettere il dito nella piaga o vuoi continuare?"

Lui allargò le braccia e Perla scosse la testa. "Ha ragione. È tutta colpa mia." Si alzò e sbottò: "Avevo torto, è questo che vuoi sentirti dire?" Si toccò il petto e con la voce impastata dalla saliva continuò: "Mi sento uno schifo, non c'è bisogno che me lo ricordi. E certo che mi vergogno, non puoi nemmeno immaginare ciò che provo." Si tolse delle ciocche ribelli dagli occhi e proseguì: "Ho sottovalutato troppe cose. Vorrei tornare indietro e cominciare tutto daccapo, ma non si può."

Si sedette e si lasciò andare a un pianto disperato nel quale alternò lamenti e lacrime.

Ingrid continuò a stringerla. Ogni tanto guardava Corrado, come per complimentarsi ironicamente per averla fatta reagire in quel modo.

Il ragazzo rimase atterrito: si aspettava che Perla gli gridasse contro, che difendesse le sue scelte, invece era scoppiata in lacrime.

Si passò una mano sui riccioli biondi e le si avvicinò. "Dai, non... Scusa, non volevo ferirti. Mi dispiace, io... ho detto quello che penso."

"No, hai... hai ragione. Ho sbagliato, avrei dovuto comportarmi diversamente. Ma ora..." Sospirò e cercò di acquietare la paura che portava la sua voce a tremare: "Cosa faccio?"

"Qualunque sarà la tua decisione, ti supporteremo. Vero, Corrado?" la tranquillizzò Ingrid, che si drizzò e andò a prendere un fazzoletto su una mensola.

Lui non rispose: continuava a fissare Perla con sguardo assente.

"Noi ti supporteremo. Vero, Corrado?" ripeté Ingrid consegnando all'amica il fazzoletto.

Lui si sedette e si mise una mano sul mento, mentre con l'altra tamburellava sul bracciolo. "Fino a che punto? Sono sempre stato dalla parte della verità e lo sono tuttora: Elettra deve sapere!"

"No!" gridò Perla. "No, no, no. Mamma non deve sapere, mi ammazzerebbe se lo scoprisse" e cominciò a mangiarsi le unghie, in preda all'ansia.

Corrado allargò le braccia. "Pensi davvero di essere così brava da non farglielo sapere? È assurdo, mi sembra di essere in una di quelle puttanate che mia nonna ascolta ad alto volume!"

"Mi stai dando della puttana?"

Lui s'immobilizzò e abbassò lo sguardo giocherellando con le dita. "Ovviamente no. Volevo dire polpettone. Ecco, sembra di essere in uno di quei polpettoni che nonna commenta sempre."

"Quindi le stai dando della polpetta?" s'intromise Ingrid guardando la dispensa.

Perla si alzò gettando uno sguardo misterioso ai ragazzi, interpretabile come di sfida o di minaccia. "Questa non è una puttanata o un polpettone. È la vita reale e nella vita reale i segreti rimangono tali, se si mantiene la bocca cucita." Puntò un dito su di loro, il terrore che la verità venisse alla luce era disegnato sul suo viso scavato.

Il ragazzo scosse la testa con fermezza. "Dammi il tuo cellulare."

"Perché?"

"Voglio chiamare tua mamma e raccontarle tutto!"

Ingrid trattenne il respiro.

Perla storse la bocca. "Mai."

"Allora ci penso io" la sfidò lui prendendo il proprio cellulare da una tasca.

"Non hai il suo contatto" osservò la studentessa alzando il mento.

"Già, però posso trovare il numero del pet shop in cui lavora."

"È chiuso, è domenica."

"Domani qualcuno ascolterà il messaggio e glielo riferirà. O magari sarà lei a sentirlo."

"Ti manca il coraggio, non lo farai."

"Attenta a ciò che dici" continuò a sfidarla lui cercando su Internet il numero del negozio. Quando lo trovò, lo mostrò a entrambe. "O lo dici a tua mamma o lo farò io. Non hai scampo."

Spazio Sly

Come promesso, ho pubblicato il settimo capitolo. Cosa ne pensate? 

Corrado non ha reagito bene, vero? O meglio: è contento della gravidanza di Perla, ma ha paura che si metta di nuovo nei guai e che anche stavolta c'entri Riccardo.

Sentitevi liberi di commentare per esprimere la vostra sincera opinione.

Ci vediamo venerdì con un nuovo e imperdibile capitolo!


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