Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

6 - Okay, apro io

Quando il tram arrivò alla fermata, le porte si aprirono e ci fu un cambio tra chi saliva e usciva. Tra quest'ultimi vi erano Perla e Ingrid, che balzarono fuori dopo aver dribblato i passeggeri. Non appena misero piede a terra, furono sorprese da un'orda di bambini urlanti che fissava il negozio della Juventus. Dopo averli guardati di sbieco imboccarono via Garibaldi, la seconda strada pedonale più lunga d'Europa.

In quella domenica pomeriggio avanzavano a fatica per la fiumana di persone e il rumore assordante: ragazzi con birre in mano, coppiette che si scambiavano occhiate dolci e anziani che parlavano tra loro dai balconi.

Mentre passavano vicino al dehors dell'ennesimo bar, Ingrid si voltò verso Perla: non aveva aperto bocca per tutto il viaggio. Si era limitata a osservare il panorama e le si era stretto il cuore a vederla così. Non riusciva nemmeno a immaginare quali pensieri le stavano attraversando la testa. Era una situazione complicata, un campo minato: ogni passo avrebbe potuto nascondere un'insidia, potenzialmente letale. Non c'era modo di uscirne viva, se non con il cuore spezzato. Lo comprendeva, però non poteva nemmeno rimanere in silenzio.

"Come va?" domandò.

Le aveva chiesto la prima cosa che le era venuta in mente. Una domanda retorica, ma voleva spezzare quell'atroce silenzio che cozzava con la felicità di quella caotica via.

Perla schivò dei bambini con cui stava per scontrarsi. "È ritornata la nausea, forse non avrei dovuto uscire."

"Menomale che non hai vomitato sul 4. Non è stata una bella idea prendere i mezzi pubblici, ma sarebbe stato folle farla a piedi. E non potevamo invitare Corrado a casa tua, Elettra avrebbe potuto sentirci."

Perla continuò a fissare i ciottoli che calpestava. Si sentiva soffocare a incontrare quelle persone sorridenti che sembravano uscite dalla pubblicità di un dentifricio. Rimase sorpresa nel vedere tanti passeggini, più di quanti si sarebbe aspettata. O forse la loro quantità era sempre la stessa e il suo inconscio le stava giocando un brutto scherzo.

Ingrid lanciò un'occhiata alla vetrina di un negozio di borse e alzò gli occhi al cielo quando notò il marchio Chanel. "Quanto odio quella donna!" esclamò, sicura che l'amica avrebbe capito a chi si stava riferendo. "La prenderei a testate nei giorni pari e a pedate in quelli dispari."

"Anch'io non la sopporto: quando la vedo, mi viene voglia di mandarla a quel paese."

Ingrid storse il naso quando scorse una coppia che si stava baciando con fin troppa passione. "Non capisco come Elettra sia amica di una serpe del genere. Sono così diverse!"

"Me lo chiedo anch'io. Mi ha detto che Germana è stata l'unica a rimanerle accanto in un momento difficile dell'adolescenza e sono rimaste amiche."

"Però quella donna è sempre pronta a farti notare ciò che non va, non dimostra compassione. Se fossi al posto tuo, l'avrei già presa per i capelli da un pezzo."

Passarono davanti al negozio d'abbigliamento preferito di Perla, che aveva in vetrina degli abiti molto chic a poco prezzo, ma la ragazza non se ne curò e continuò a districarsi in quella coda umana. "La tentazione c'è, però non farei mai qualcosa che possa non piacere a mamma."

Quelle parole la riportarono al motivo per cui si stavano dirigendo a casa di Ingrid e si morse l'interno della guancia.

"Eppure se lo meriterebbe. È così egocentrica, calcolatrice, velenosa..."

Mentre Ingrid elencava i difetti di Germana, Perla notò il negozio sportivo che usava come riferimento per ricordarsi di essere quasi giunta a destinazione. Si voltò verso l'amica e constatò che non se n'era accorta. "Siamo arrivate" l'avvertì prendendola sottobraccio e facendola entrare in una traversa.

Quella strada era vuota e delimitata da alti palazzi di metà Settecento, pochi metri separavano un lato e l'altro. In lontananza si potevano vedere l'ampio portone e il rosone di una chiesa.

"Sì, scusa, parlerei per ore di quanto odio quella donna" si giustificò Ingrid, avvicinandosi all'ingresso del condominio e gettandosi un'occhiata intorno. "Corrado non è ancora arrivato. Ma d'altronde come si può pretendere un minimo di puntualità da parte sua?"

"Detto da quella che stamattina è arrivata in ritardo al matrimonio" la canzonò Perla con le braccia conserte.

L'amica le fece una linguaccia e cominciò a frugare in borsa alla ricerca delle chiavi. "Dove le ho messe?" Dopo qualche secondo di attesa, esclamò esasperata: "Allunga le braccia!" Perla alzò gli occhi al cielo ed eseguì l'ordine, non nascondendo un pizzico di divertimento. Ingrid le appoggiò sopra la borsa e si tirò i capelli indietro per iniziare la ricerca. Azione inutile visto che le ricaddero davanti non appena si abbassò, coprendola come fossero una tenda. "Fazzoletti, assorbenti, cellulare, biglietti scaduti dei musei... Ma dove sono?"

"Nei jeans?" domandò una voce maschile accanto a loro.

Guardarono in quella direzione e videro Corrado nell'ingresso del condominio, una mano sul portone e l'altra a reggersi la testa.

Ingrid diventò paonazza. "Sono mica scema. È impossibile che siano lì!"

Lui socchiuse il portone, le si avvicinò e le batté su una chiappa. "Non ne sarei così sicuro..."

Ingrid, inviperita, prese le chiavi. "Che ci fai qui così in anticipo?"

"Ma se prima hai detto che era in..." stava per domandare Perla, ma ricevette una gomitata.

Lui mise le braccia dietro la schiena. "Vi stavo aspettando, cominciavo a pensare che vi foste perse."

Ingrid gli lanciò una linguaccia e salì le scale dell'ingresso, gli amici al seguito. "Sai come sono i mezzi pubblici..." Attraversarono il piccolo atrio e sentirono il legno scricchiolare sotto i loro piedi. Entrarono in ascensore e i ragazzi ebbero l'impressione che la scala a chiocciola girasse intorno a loro.

Corrado mise le mani sulle spalle di Perla. "In chiesa mi sono spaventato. Ora ti senti meglio?"

Lei fissò Ingrid per implorarla di correre in suo soccorso e l'amica annuì. "Non sta molto bene. Poi ne parliamo, è il motivo per cui siamo qui."

Lui incrociò le braccia. "Anch'io devo parlarvi di una cosa importante. Non indovinerete mai cos'è successo poco fa nel mio condominio!"

"E tu non indovinerai mai quello che ti stiamo per dire" replicò Ingrid guardandosi le punte dei piedi.

Passò qualche secondo di silenzio, durante il quale lui cercò di captare dai loro volti qualsiasi cosa potesse aiutarlo a capire. "Cos'è successo?"

"Prima tu" intervenne Perla, toccandogli un braccio, e scoccò un'occhiata a Ingrid. "Siamo curiose di sapere cos'hai da dirci!"

Lui si sistemò gli occhiali arancioni sul naso. "Indovinate chi è venuto a trovarmi, poco fa."

Ingrid corrugò la fronte: non le era sfuggito il timbro freddo con cui aveva parlato, come se l'allegria si fosse dissolta. Doveva essere successo qualcosa di serio, altrimenti avrebbe mantenuto il tono gioviale.

Perla cominciò: "Ti hanno portato l'ennesima cravatta vintage da aggiungere alla collezione?"

Corrado indietreggiò. "N-no. In realtà dovrebbe arrivarmi una cravatta con dei deliziosi fiorellini, ma non si tratta di questo. E poi è domenica!"

"Perché, gli addetti alle spedizioni non lavorano anche di domenica?" chiese Perla fissando entrambi. Odiava ordinare vestiti online. Nonostante fosse molto più comodo, preferiva di gran lunga acquistare i capi di persona. E poi non riusciva mai a capire quale fosse la sua taglia, perché dipendeva molto dal modello e quindi aveva bisogno di provarli.

Corrado sbuffò, lasciando cadere nel vuoto quella domanda. "Viola." Quel nome giunse in concomitanza all'arrivo dell'ascensore al piano e le due ragazze non riuscirono a udirlo. Uscirono da lì e il ragazzo continuò: "Ho detto Viola."

"Viola?" chiese Ingrid strabuzzando gli occhi. Si sentì investita da un improvviso getto di acqua calda. Quel nome le risvegliava ricordi che credeva ormai sopiti sotto una montagna di extension.

"Quella Viola?" domandò Perla.

Lui affondò le mani nelle tasche della felpa blu elettrico. "Sì, la mia ex."

"E cosa voleva?" indagò Ingrid incrociando le braccia.

Corrado fissò le sue mani, tra le quali teneva le chiavi, e l'ingresso dell'appartamento. "Puoi aprire, posso spiegarvelo dentro."

Lei s'impuntò: "Ti ho chiesto che cosa voleva."

Perla seguì la traiettoria dei loro sguardi e capì che combaciava, come se fossero due segmenti destinati a fondersi. "Okay, apro io" concluse, prendendo le chiavi.

Ingrid sentì gli occhi pizzicare e continuò a osservarlo come se desiderasse entrare nella sua testa. "Allora?"

Lui si guardò intorno. "È meglio non parlarne qui fuori, non..."

Ingrid si appoggiò al muro, mentre Perla armeggiava per cercare di aprire la porta. Avrebbe dovuto aiutarla, ma non riusciva a non pensare alle parole di Corrado. Magari era successo qualcosa di così proibito che non poteva dirlo lì davanti a tutti. Strano concetto di tutti, visto che non c'era anima viva a parte loro. E dei ragnetti rompiscatole, ma quegli animaletti non si sarebbero scandalizzati per qualche segreto.

Non appena Perla riuscì ad aprire, Ingrid piombò all'interno trascinandoli con sé e chiudendo la porta di scatto. "Ci ha provato con te?" domandò a bruciapelo, la gola secca.

Corrado inclinò la testa da un lato. "Cosa? No, perché avrebbe dovuto farlo? Ormai ha accettato che sono gay."

Ingrid annuì, sollevata, e indicò le poltrone sulle quali si sedettero i due ragazzi. "Vi offro qualcosa?"

Perla si toccò la fronte. "No, meglio di no. Ho paura di peggiorare..."

"Peggiorare cosa?" s'intromise Corrado notando il tono spento con cui l'amica aveva parlato. "Io comunque non prendo nulla, ho già pranzato."

"Dopo ti spieghiamo meglio" rispose Ingrid sedendosi su una terza poltrona, davanti a loro. Li separava solo un tavolino nero che di solito usavano come base d'appoggio per l'aperitivo.

Il ragazzo continuava a spostare gli occhi da una all'altra. "Prima o poi dovrete spiegarmi perché chiedo le cose a una e mi risponde l'altra."

"E tu prima o poi dovrai spiegarci cos'è successo nel tuo condominio" replicò Ingrid. Si tolse le scarpe e incrociò le gambe per mettersi comoda.

Corrado, stravaccato sulla poltrona dello stesso colore della felpa, tirò su la schiena. "Viola ha fatto qualcosa che non mi sarei mai aspettato."

"Ti ha baciato?" domandò Ingrid allargando gli occhi.

"No, ha sparato a Fulvio."

"Quindi non ti ha baciato?"

"Ingrid!" la riprese Perla. "Corrado ti dice che Viola ha sparato a Fulvio e questa è la tua reazione?"

"Ho solo fatto una domanda." Tirò giù le gambe e le allungò sul tavolino. "Ma chi è Fulvio?"

"Già, chi è Fulvio?" la seguì a ruota Perla.

"Ma come chi è Fulvio? È il suo ragazzo, Viola ha conosciuto quattro mesi fa 'sto tipo poco raccomandabile..."

Ingrid tirò nuovamente le gambe sulla poltrona puntando i piedi e le circondò con le braccia. "Perché è poco raccomandabile?"

"Al di là di questo" commentò Perla, "in che senso gli ha sparato?"

Corrado si toccò i capelli, esasperato. Parlavano di quella faccenda come fosse una questione da adolescenti. "Allora" cominciò con tono solenne appoggiandosi allo schienale. "Viola è entrata nel mio appartamento e mi ha detto di aver sparato a Fulvio. Così sono salito al quarto piano e lui era lì, che dava pacche sulle spalle a tutti i vecchietti che erano accorsi."

Ingrid arricciò il naso. "Quindi non gli aveva sparato? Che è accaduto?"

"Fulvio mi ha raccontato che è stata colpa sua. Aveva chiesto a Viola di mostrargli la pistola del padre e lei all'inizio non l'ha fatto, ma poi ha desistito ed è successo il fattaccio."

"Sì, ma la domanda è un'altra: gli ha sparato o no?" domandò Perla, che per un attimo si era dimenticata della nausea.

Corrado iniziò a gesticolare. "Lui, dopo aver preso la pistola, gliel'ha riconsegnata ed è partito un colpo."

"E ha beccato Fulvio? Altrimenti perché dire che gli aveva sparato?" chiese Perla mimando l'arma con le dita.

"E perché è venuta proprio da te?" intervenne Ingrid.

Lui gonfiò il petto. "Non so. Ho chiesto a Fulvio se ci sono stati danni e mi ha detto di non preoccuparmi."

"Però devi ammettere che i nostri dubbi sono legittimi. Quei due nascondono qualcosa" replicò Ingrid.

Perla annuì. "Adesso dove sono? A casa di lei?"

Lui scosse la testa. "Sono usciti, non so se sono rientrati. Comunque, lei ha confermato la versione di Fulvio."

"Secondo te lui potrebbe farle del male? Viola sembra succube, da come ci racconti..." tentò di indagare Ingrid.

Corrado si tolse gli occhiali, confuso. "Boh. Però c'è qualcosa che non quadra." Guardò le ragazze e si lasciò andare a un sospiro rassegnato. "Voi cosa dovete dirmi?"

Gli occhi verdi di Viola erano persi tra i ciuffi d'erba, il vento che scompigliava i capelli e nelle orecchie le urla dei bambini che giocavano a calcio. La ragazza fissava quel pallone, sballottato con forza, e si aggrappava mentalmente a quei pallini neri su sfondo bianco. Si chiese quanto avrebbero sofferto se fossero stati esseri animati, quanto avrebbero urlato di dolore per essere colpiti in quel modo da giovani scalmanati.

Cominciò a dondolare sulla panchina, una lastra di pietra priva di schienale, e immaginò di essere quel pallone di cuoio. Un po' lo era: si sentiva trasportare da una parte all'altra da venti avversi e non riusciva a trovare pace. Una partita di calcio che non finiva mai, neanche di notte. Ma se durante un match esiste la possibilità che i giocatori siano cambiati, per il pallone non è così: solo una volta rotto si sostituisce. Ma, al contrario dei calciatori, non è dotato di parola e non può esprimere la propria stanchezza se non quando si sgonfia. Lei si sentiva così: ferita dentro, impossibilitata a parlare e a uscire da quella prigione chiamata vita.

"Ecco il gelato" esordì Fulvio, raggiante, porgendole la coppetta.

Lei l'afferrò titubante: la crema sembrava lottare con il cioccolato per attirare la sua attenzione, ma Viola aveva lo sguardo assente. Lo ringraziò con poca cura e cominciò a mangiare, dandogli le spalle.

Lui increspò le labbra, affranto. "Perché non ti volti?"

Viola posò il cucchiaino sul cioccolato e guardò il manifesto di Torino Magazine che campeggiava su un lato dell'edicola vicina. Fulvio le mise una mano sulle spalle e la ragazza si girò di tre quarti, lo sguardo verso i ciuffi d'erba. "Per quello che è successo in casa." Poi trovò il coraggio di guardarlo e si tuffò in quegli occhi castani e strabici. Gli accarezzò una guancia e con voce rotta sussurrò: "Mi dispiace."

Prese delicatamente la mano e baciò il palmo. Puntò gli occhi nel verde smeraldino di lei e aggiunse: "È acqua passata. Parlerò con tuo padre e sistemerò tutto. Non ti punirà."

"Che figuraccia."

Le accarezzò i capelli ramati, che in quella giornata di sole sembravano avere dei riflessi biondi. "Tutti prima o poi ne collezioniamo una." Le si avvicinò e iniziò a baciarle il collo. Sapeva che quel gesto la faceva impazzire, ma stavolta non fu così. Viola rimase immobile, come se lui avesse toccato del ferro, e Fulvio prese il proprio cellulare. "Allora non c'è altra soluzione."

Lei sentì il cuore saltarle in gola e seguì le dita tatuate sullo schermo. "Che fai?"

Lui cercò qualcosa su Google e le mostrò il display. "Era una sorpresa, ma visto che sei giù credo che questo possa tirarti su di morale."

Lei prese il cellulare e lesse il nome di una spa, MdF - Mare delle Fonti, con innumerevoli foto correlate. "Cosa significa?"

Lui le toccò una spalla. "Sabato è il tuo compleanno e lo festeggeremo insieme: due giorni solo io e te, ad Acqui Terme, in una delle spa migliori del Piemonte."

Lei inarcò la schiena, euforica. "Aspetta, io... devo chiederlo a papà. Non so se mi lascerà venire... però grazie!" e lo abbracciò.

Lui sorrise e ricambiò il gesto passandole una mano tra i capelli. "Vedrai che tuo papà accetterà. Sai che ho un buon ascendente su di lui." Poi le alzò il mento costringendola a guardarlo negli occhi. "Sarà il compleanno più bello della tua vita: io e te da soli, cosa volere di più?"

Lei forzò un sorriso. L'entusiasmo di poco prima era scemato. Abbassò lo sguardo e appoggiò la testa sulla sua spalla. "Sarebbe il primo compleanno felice dopo tempo."

"E lo vivremo insieme" aggiunse lui continuando ad accarezzarle i capelli. Lei passò un dito sulla sua mascella sporgente e sulle labbra sottili. Pochi centimetri li separavano e il naso di lui si avvicinava sempre di più, ma lei ritornò ad accucciarsi sulla sua spalla. Fulvio sospirò e la strinse a sé. "Nessuno ti farà del male, stanne certa. Con me sei al sicuro."

Gli occhi castani si concentrarono sul gruppetto di bambini che giocava a calcio a pochi metri di distanza. Erano in cerchio e uno di loro teneva il pallone in mano. Provò a palleggiare e l'oggetto di cuoio cadde a terra, sgonfio. 

Spazio Sly

Come promesso, ho pubblicato il sesto capitolo. Cosa ne pensate?

Quale idea vi siete fatti su Fulvio e Viola?

Sentitevi liberi di commentare per esprimere la vostra sincera opinione.

Ci vediamo venerdì con un nuovo aggiornamento!

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro