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58 - Avete il diritto di sapere

"Arrivati!" esclamò Elettra, soddisfatta.

Mentre Riccardo parcheggiava in uno spiazzo ghiaioso, Perla fissò quell'edificio su due piani rosa antico. Aprì e chiuse lo sportello e una folata di vento le ricordò quanto fosse fredda l'aria di fine dicembre. Si guardò intorno e notò che il ristorante era isolato rispetto alle altre case, i cui tetti rossi spuntavano lontani e spiccavano sul bianco delle colline innevate. Garessio sembrava circondata da alture, come le vedette di un castello.

Si avvicinarono alle due vetrate del piano terra, costruite a mo' di arco; dal numero di tavoli occupati sembrava pieno, doveva essere il miglior ristorante del paesino. Si scambiarono un'occhiata perplessa, per chiedersi chi sarebbe entrato per primo, ed Elettra avanzò decisa verso l'ingresso. Ai lati del battente due botti reggevano altrettanti vasi di bucaneve.

Elettra entrò nel locale, causando il tintinnio di una campanella. Gli occhi danzarono rapidi sui camerieri tra i tavoli e le panche, nella mente aveva impresso il volto del fratello.

Anche Perla si guardava intorno per individuare lo zio, ma il personale era troppo giovane. Erano passati sedici anni da quando l'aveva visto, ma sapeva che le sarebbe bastato incrociare il suo sguardo per identificare colui che riusciva a strapparle un sorriso anche quando si sbucciava un ginocchio. Mise una mano sul ventre e sentì gli occhi inumidirsi al pensiero di dovergli presentare anche i suoi futuri nipoti. Nipoti che in teoria non avrebbe mai conosciuto, dato l'accordo stretto con Germana.

Riccardo si avvicinò alle due. "Sicure che Oscar sia qui? Viviana ti ha spiegato che i genitori di Olga avevano bisogno di aiuto nel loro ristorante e la figlia non voleva lasciarli soli. Non ha detto che lui lavora qui."

Elettra alzò il capo verso le travi del soffitto. "Di sicuro ci sarà Olga o qualcuno che la conosce. Non dobbiamo abbatterci."

Una ragazza con la divisa bianca a strisce rosse, diversa dalle tinte magenta dei camerieri, rivolse loro un cortese sorriso. "Buongiorno, avete prenotato?"

"No" rispose in fretta Elettra, colta di sorpresa.

"Okay, allora seguitemi. Siete tre, giusto?"

Elettra annuì e salì una stretta scala, con Perla e Riccardo al seguito. La loro tensione contrastava con l'atmosfera serena dei commensali, che chiacchieravano in un'unica grande voce.

Il primo piano era uguale al precedente: vetrate ad arco che affacciavano sul prato innevato e il tetto basso in legno. Superarono vari tavoli occupati per poi sedersi in un angolo, sul muro erano appesi vecchi utensili da cucina.

"Ora arriva la collega" spiegò con l'ennesimo sorriso cortese prima di allontanarsi.

Perla si tolse il giaccone scuro e sbuffò: era chiaro che non avrebbero incontrato suo zio.

Elettra non aveva il coraggio di parlare: si limitava a dare un'occhiata ai quadri rappresentanti paesaggi di montagna.

Riccardo intrecciò le mani. "Beh, almeno mangeremo qualcosa di buono. Garessio è vicino alla Liguria, il pesce dev'essere squisito."

Elettra gli lanciò un'occhiataccia. "Non siamo qui per turismo."

"Riccardo ha ragione" intervenne Perla. "Non è colpa nostra se non vediamo Oscar e, dopo tutti quei chilometri, ci meritiamo un buon pranzo. Poi potremmo chiedere informazioni alla cassa."

Elettra tornò a concentrarsi sui quadri. "Scusatemi, è che..." Abbassò lo sguardo sulla tovaglia bianca. "Ho sognato così tante volte questo momento che... Non ho fame."

Riccardo le sfiorò un braccio. "Tesoro, mangia. Ti prometto che troveremo Oscar, ma dobbiamo ricaricarci."

Elettra mise una mano sulla sua e la strinse forte, per poi accarezzargli una guancia.

Perla era a disagio: quel gesto esprimeva tutto l'amore che sentivano. Più di un bacio, più del sesso. Quelle mani che si stringevano avevano un unico significato: essere uniti contro gli ostacoli della vita. Un legame così forte che Perla non voleva spezzare e sentiva lo stomaco attorcigliarsi al pensiero di averlo messo a repentaglio. Le cadde una lacrima che fece sparire, per poi tossicchiare. "Concordo", lo sguardo rivolto alla famiglia che pranzava vicino a loro. Da lì vedeva l'intera sala. "Il cervello funziona meglio a stomaco pieno, soprattutto dopo il fritto misto di pesce."

Elettra sorrise e le lanciò un bacio. La collega della cameriera precedente fu da loro pochi minuti dopo e consegnò i menù da consultare.

Mentre Riccardo ed Elettra commentavano le pietanze, Perla sentì una risata lontana e alzò automaticamente gli occhi come se il corpo avesse captato un suono familiare. Oltre i tavoli occupati e oltre i camerieri indaffarati, scorse un uomo robusto che sparecchiava un tavolo. Lo vide di schiena e sfogliò il menù aspettando che si voltasse. Quando lui si spostò vicino alla vetrata per raccogliere i piatti, la luce dell'esterno evidenziò il suo viso affilato, scarno e sbarbato.

Le labbra sottili di Perla tremarono, per poco lei non fece cadere il menù sul proprio bicchiere. "Mamma..." Più che un sussurro sembrava un balbettio di chi non crede ai propri occhi.

Elettra si rivolse alla figlia, dalle cui palpebre spalancate capì che qualcosa non andava. Si voltò verso gli altri tavoli e il cuore fece una capriola nella cassa toracica quando vide Oscar sparecchiare un tavolo. Lo indicò a Riccardo e iniziò a balbettare parole incomprensibili.

"Vado io" decise Perla drizzandosi.

"No, lascia andare me!" Si alzò, ma era tardi: la figlia avanzava con passo felpato verso l'amato zio ed Elettra la seguì da lontano.

Perla raggiunse il tavolo e abbassò lo sguardo: il parente per anni lontano e creduto morto era lì e, concentrato com'era a togliere le posate, non si era accorto di lei. Si portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e finalmente Oscar alzò il viso. Perla restò immobile davanti a quegli occhi azzurri che aveva dimenticato. Erano così chiari da sembrare lastre di ghiaccio, al di sotto delle quali si nascondevano chissà quali segreti. Ma aveva anche l'amorevole sguardo con il quale giocava con lei al parco, l'espressione gentile con cui rispondeva alle sue continue curiosità.

"Hai bisogno di qualcosa?" domandò rivolgendole un sorriso di circostanza. Persino la voce era simile, solo più matura.

Lei trattenne a stento le lacrime per l'emozione e distese le labbra in un ampio sorriso. "Sono tua nipote. Perla, la tua Perla."

L'uomo arricciò il naso largo e prese i piatti in mano. "Devi avermi scambiato per qualcun altro."

Lei sentì lo stomaco stringersi in una morsa ferrea. Stava per replicare, ma la voce della madre l'anticipò: "Oscar."

Perla vide sua madre avvicinarsi e spostò lo sguardo sull'uomo, che sussultò per aver sentito il proprio nome. "Ci... ci conosciamo?"

La donna, a pochi centimetri da lui, sorrise e lo squadrò da capo a piedi. "Sì, sono... tua sorella, Elettra."

Perla trattenne il respiro, gli occhi prima sull'uno e poi sull'altra.

"Sono Elettra. Mi riconosci?", la disperazione nella voce.

Oscar deglutì e aggrottò la fronte. "Elettra, Elettra..." S'incurvò e un fremito alle mani gli fece cadere i piatti sul pavimento.

Il rumore assordante fu solo l'inizio di una scena che avrebbero ricordato per sempre: l'uomo portò le mani alla bocca e guardò i pezzi di ceramica abbandonati a terra e la donna davanti a lui. Riccardo si alzò, preoccupato, e Oscar indietreggiò toccandosi i capelli grigi in preda al delirio. "Mia sorella, Elettra..." Le strattonò un braccio, le pupille dilatate. "Via, vattene! Hai capito? Fuori da casa mia!"

Il suo vocione baritonale immobilizzò Perla che guardava la scena a occhi spalancati, incapace di agire.

"Cosa dici?" urlò Elettra, stupita quanto spaventata. "Lasciami, non ho fatto nulla!"

"Come ti permetti di chiedere scusa dopo tutto il male che hai fatto alla nostra famiglia? Questa è casa mia, capito? Mia! E tu l'hai disonorata..." Continuò a delirare con frasi sconnesse nel silenzio dei commensali, ammutoliti dopo la caduta dei piatti. L'unica voce che sovrastava l'uomo era il pianto di un neonato terrorizzato.

Riccardo passò davanti a Perla e si avventò su Oscar, ma lui gli tirò un pugno che lo fece barcollare fino al tavolo vicino.

"Hai disonorato il nome della famiglia, della pasticceria!" blaterava mentre i colleghi lo trattenevano. "Hai perso la tua dignità... sei una schifosa prostituta!"

Perla sobbalzò e guardò gli occhi gonfi della madre, che sarebbe presto scoppiata a piangere.

Riccardo si preparò per attaccarlo, ma la ragazza prese per mano lui e la madre. "Andiamocene, svelti!"

Scesero di corsa le scale, i commensali del piano terra li fissarono come fossero alieni. Sentivano le offese di Oscar, sempre più colorite, e i colleghi che lo calmavano.

In pochi minuti Elettra, Perla e Riccardo si chiusero la porta del ristorante alle spalle e si guardarono straniti mentre stringevano i giacconi. 

Elettra volle rientrare, ma Perla s'impuntò: "Mamma, no! Andiamocene, ti prego" e le accarezzò un braccio per poi stringerla a sé. Sentì il suo cuore accelerato e le passò una mano sulla schiena.

Riccardo si toccò il segno rosso sulla guancia, per poi rivolgere uno sguardo adirato verso la vetrata del primo piano. Elettra aveva vissuto anni senza sapere nulla del fratello e avrebbe fatto meglio a continuare così.

Da quel momento non proferirono parola. In macchina, si avviarono verso il gruppo di case poco distante e percorsero il dedalo di viuzze del paesino. Sembrava che Riccardo non avesse una meta precisa, voleva soltanto sbollire la rabbia e allontanarsi dal ristorante. Solo le lucine di Natale dei pochi negozi che incontrarono diedero la conferma che la cittadina fosse abitata, ma le strade erano deserte. L'eccezione erano alcuni uomini che spalavano la neve per ammucchiarla agli angoli della via.  

Perla sentiva ancora le parole di Oscar rimbombare nelle orecchie. Era accaduto tutto così in fretta che nemmeno lei si spiegava cosa gli fosse scattato nella mente. Si voltò verso Elettra che, accanto al guidatore, guardava il panorama mordicchiandosi un dito impaziente. Avrebbe dato tutto l'oro del mondo per sapere cosa sua mamma stava pensando. Le accarezzò una spalla e la madre le strinse la mano per poi appoggiarsi dolcemente sul dorso. Calde lacrime le scesero dalla guancia e arrivarono fino alla pelle della figlia, che percepì un brivido. Raramente l'aveva vista piangere.

Riccardo parcheggiò l'auto vicino al cartellone pubblicitario di un circo. "Facciamo una passeggiata?"

Elettra annuì e scese dall'auto. Da quello slargo rialzato rispetto alla strada sottostante vide, oltre ai vicini tetti, le colline innevate e le montagne nascoste dalla nebbia. Sembravano denti aguzzi, come la bocca digrignata di Oscar. Fece un cenno a Perla e Riccardo per iniziare a camminare; le bastarono pochi passi per imbattersi in una piazzetta con una fontana al centro e un santuario che si stagliava maestoso.

Tirò un respiro profondo e sentì la figlia accarezzarle un braccio, per poi metterle una mano sul fianco e la testa sulla spalla. Perla voleva starle vicino: dopo le giornate passate a parlare di Oscar, mai si sarebbe aspettata una tale reazione da parte dello zio. Voleva farle capire che non era sola e non doveva nascondere sotto al tappeto tutto il dolore.

Anche Riccardo si avvicinò e si limitò ad accarezzare i capelli di Elettra.

"Va... tutto bene" disse lei dopo essersi tolta una lacrima.

"Mi dispiace" commentò Perla stringendola sempre più forte, "per tutto... Non so cosa sia successo."

"Non avrei mai dovuto cercarlo" spiegò con tono assente. "Avrei dovuto fregarmene di lui come in questi anni... Credevo che grazie al matrimonio potessimo fare pace, ma da quella maledetta domenica ci sono stati solo casini..."

Perla sentì Riccardo sospirare e chiuse gli occhi per trattenere le lacrime. "La prossima volta... prima di organizzare qualcosa di bello facciamo un viaggio a Lourdes?" chiese per risollevarle il morale.

Elettra fece un sorriso forzato. "Con la nostra fortuna, potrebbe succederci qualcosa durante il tragitto." Tirò su il naso e avanzò verso la fontana: nell'acqua scorse dei pesciolini. "Vi devo delle spiegazioni... su tante cose dette da Oscar."

Riccardo intrecciò le dita. "Non devi farlo... Nessuno ti costringe."

"Avete il diritto di sapere" spiegò Elettra dando le spalle alla fontana, "ha detto cose gravi e voglio che sappiate... che sono vere, in parte." Sentì un brivido di freddo e mise le braccia conserte. "Credevo di non dover riaprire quel capitolo, ma Oscar..." Si diresse verso una panchina. "Avevo quindici anni. Un giorno, mentre tornavo da scuola, mi si è avvicinata una donna. Ha detto che mi vedeva spesso passare e si è complimentata per il mio portamento." Un sorriso tirato comparve sul suo viso. "Era la direttrice di un'agenzia di modelle, mi ha proposto uno shooting di prova. Ho declinato l'invito, ma mi ha dato comunque il suo numero di telefono." Si fermò per fissare il santuario, a pochi passi da loro, e la cupola in cemento armato. "Ci ho pensato su per qualche settimana e, dopo una delusione amorosa, ho accettato la sua proposta."

"Non hai detto nulla ai nonni o Oscar?" domandò Perla, curiosa. Sarebbe stata la soluzione più logica.

"No, non me l'avrebbero permesso. Volevo sentirmi bella e così ho concordato un appuntamento in un palazzo dall'altra parte della città. Sono salita in ascensore e... un uomo mi ha seguita."

Riccardo, seduto vicino a lei, le strinse una mano. Ricordò il brutto episodio avvenuto nella sua scala il giorno del matrimonio. Le aveva chiesto spiegazioni, ma lei aveva eluso la domanda.

Perla le strinse una mano. "Se non vuoi continuare..."

"No, devo" rispose Elettra dopo un grande sospiro. "Sapevo che in lui c'era qualcosa di strano e all'improvviso... ha bloccato l'ascensore e mi ha fatto svenire." Riccardo le strinse l'altra mano e lei continuò: "Mi sono risvegliata, non so dopo quanto tempo. Ero su un letto. Quella stessa donna mi si è avvicinata e si è scusata per i modi rudi. Ha iniziato a tranquillizzarmi e mi ha chiesto..." Il petto si alzava e abbassava, le lacrime che rigavano le guance, "di spogliarmi. Mi sono agitata e ho urlato, ma dietro di lei è comparso quello stesso uomo che impugnava un coltello. T-tremavo, ho obbedito e mi ha scattato delle foto. Mi ha ordinato di rivestirmi e... non ricordo nulla, forse mi hanno riaddormentata." Aveva detto tutto velocemente, come in una metaforica maratona in cui parole e ricordi correvano a perdifiato. Fece un altro respiro profondo e chiuse gli occhi nello sforzo di rimembrare. Forse solo parlandone con Perla e Riccardo avrebbe affrontato le paure derivanti da quell'esperienza. "Mi sono risvegliata in macchina, in viaggio, e quella donna era seduta al mio fianco. Le ho chiesto dove saremmo andate e mi ha risposto: «In Austria». Mi sono dimenata, volevo parlare con i miei, ma mi ha detto..." La voce s'incrinò e tra un singhiozzo e l'altro concluse: "...che ormai la mia famiglia era lei, ero di sua proprietà."

"Mamma..." commentò Perla, per poi baciarle la mano che le stringeva.

Elettra si alzò, il viso rosso per lo sforzo di dover rivivere quel periodo buio. "Durante il viaggio" spiegò con voce rotta, "mi ha raccontato che avrei vissuto in una... casa di piacere... e che avrei dovuto fare tutto quello che gli uomini mi avrebbero ordinato. Ho finto di... essere accondiscendente, ma alla prima occasione buona sono scappata." Prese un fazzoletto e si soffiò il naso. "Poi mi hanno ritrovata e picchiata, ma ho tentato di fuggire anche in altre occasioni. Una volta... ho persino raggiunto la centrale di polizia, ma sono stata riportata indietro."

Riccardo si alzò, impotente. "Quindi la polizia era d'accordo con loro? È..." Ogni aggettivo era troppo poco per esprimere tutta la brutalità di quella situazione.

"Dove ti hanno portata?" domandò Perla dopo essersi avvicinata a lei.

"In un paesino dal nome impronunciabile, ma dopo vent'anni ricordo persino lo spelling." Elettra si avvicinò ai cespugli che circondavano la fontana. "Dopo pochi mesi ho tentato il suicidio... Mi ha fermata una mia collega... o compagna di sventura."

Perla inclinò il capo: qualcosa le suggeriva di conoscere la sua salvatrice. "Germana?"

Elettra annuì. "La sua storia era simile alla mia e inoltre parlavamo la stessa lingua, quindi è stato più facile entrare in contatto con lei che con altre ragazze. Germana è stata un grande sostegno, era lì da più tempo di me."

Perla sospirò dalle narici: ora capiva perché sua mamma era riconoscente nei suoi confronti e non tollerava gli insulti verso Germana.

Riccardo incrociò le braccia al petto. "E i tuoi sapevano della situazione?"

"No, sono stati anni senza mie notizie." Intrecciò le dita ricordando tutte le volte che aveva pianto per la lontananza. "L'unico modo per tornare dalla famiglia era estinguere un debito fittizio. Germana mi ha suggerito che per uscire in fretta da quella situazione dovevo avere clienti sempre più danarosi. Mi ha insegnato a sopravvivere." Riabbassò lo sguardo e decise di escludere qualche dettaglio. Ancora ricordava le luci accecanti e i versi animaleschi dei festini dell'alta società in cui Germana l'aveva introdotta. Girò intorno alla fontana. "La mia famiglia non aveva notizie di me, ma io sì. Ogni tanto mi arrivavano foto o video."

"Non hai più provato a scappare, dopo i primi tempi?" chiese Perla allargando le braccia. "Come hai potuto accettare quell'orrenda situazione?"

Elettra si grattò la testa. Ecco perché non ne aveva mai parlato: il timore di essere giudicata, di non essere capita. Che quelle parole provenissero dalla figlia le spezzava il cuore.

"Quando avevo un minimo cenno di ribellione, ai miei capitava qualcosa di brutto. Una volta hanno incendiato la pasticceria!"

Perla avvicinò una mano alle labbra, incredula, il respiro mozzato.

"Odiavo quella vita" proseguì aspra. "Nel frattempo gli anni passavano e il debito diminuiva sempre di più, anche se avevo l'impressione che aumentasse per ogni minimo capriccio. Poi un giorno Germana mi si è avvicinata, felice, e mi ha raccontato che un cliente si era innamorato di lei e che aveva addirittura pagato per farla uscire dal giro." Tornò a sedersi sulla panchina e a contemplare la facciata antica del santuario. "Ammetto di essere stata un po' gelosa, ma ero contenta per lei. Prima di andarsene, però, mi ha detto una cosa e la conversazione che abbiamo avuto... beh, ha cambiato per sempre il nostro rapporto." Perla la invitò a proseguire ed Elettra alzò il capo verso l'architrave del santuario che recitava a caratteri cubitali la frase Mariae gratiae mari.

Spazio Sly

Come promesso, ho pubblicato un nuovo capitolo. Cosa ne pensate?

Questa volta è stato particolarmente impegnativo, lo ammetto: da un lato abbiamo una grande svolta nella storyline di Oscar e dall'altra il drammatico racconto del passato di Elettra. 

Per quanto riguarda Oscar, ovviamente più avanti capiremo meglio a cos'è dovuto il suo delirio. Spero che la scena sia stata descritta bene, soprattutto le emozioni provate da Perla ed Elettra prima dello scontro con lo zio.

Per quanto riguarda il passato di Elettra, qui il rischio (da autore) era quello di appesantire troppo la narrazione farcendola di dettagli inutili. Ho cercato di dare le informazioni giuste senza annoiare troppo. Adesso sappiamo come vi sono conosciute Germana ed Elettra (dettaglio che forse si poteva già capire da qualche battuta che si sono scambiate nel quinto capitolo e anche in quelli successivi, quando hanno parlato di cinque maledetti anni). Pian piano quindi arriveremo a parlare anche di Germana e dell'origine del suo carattere aspro e altezzoso (nel capitolo "34 - Cin cin" vi ho dato qualche assaggio della causa...). 

Mi rendo conto che sia difficile seguire il filo logico, per questo ogni tanto ci tengo a riepilogare con voi (direttamente nel testo o negli spazi autore) certi importanti indizi.

Sentitevi liberi di commentare per esprimere la vostra sincera opinione.

Ci vediamo sabato/domenica con un nuovo capitolo!

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