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36 - Non prenderti gioco di me

Corrado sbatté le palpebre, incredulo. "Ti hanno convocata? È successo qualcosa?"

Lei guardò l'ora sul cellulare. "È per quella questione."

Nell'androne calò il silenzio: lei fissava assente la buca delle lettere, mentre lui sentiva irrigidirsi i muscoli.

Corrado si tolse gli occhiali appannati. "È da quando sei tornata dall'ospedale che provo a parlarti, ma tuo papà mi ripete che non sei dell'umore giusto... Voglio solo darti personalmente il mio regalo di compleanno." 

Viola sorrise, continuando a tenere aperto il portone. "Sono sicura che sarà bellissimo. Ora vado, scusami."

Corrado alzò una mano. "Aspetta, voglio... chiederti una cosa." Passò due dita sulle stanghette degli occhiali arancioni. "Tuo papà mi ha raccontato di Fulvio... Quel tipo si è comportato malissimo."

"Corrado" lo richiamò lei che, sentito il nome del suo ragazzo, era sbiancata. "Non ho bisogno che mi rimproveri con Te l'avevo detto."

"Eppure è così, ti avevamo avvisata perché ti vogliamo bene."

Lei strinse la presa sul manico d'acciaio della porta e scosse la testa, gli occhi verdi persi sul tappetino sottostante. Le sembrava di rivedere le iridi di Fulvio, colme di lacrime, mentre le regalava quella collana. Da settimane il padre le ripeteva che non era un gioiello di famiglia, ma faceva parte della refurtiva della rapina appena avvenuta con i suoi complici. Aveva sentito così tante volte quella storia che poteva recitarla a memoria, comprese le pause tra una frase e l'altra. Rialzò lo sguardo. "Non c'eri alla Basilica di Superga, Corrado. Non hai visto come mi guardava, non hai sentito come mi stringeva" e distolse il viso. "Forse la chimica tra noi esisteva solo nella mia testa e Fulvio si era avvicinato a me solo perché gli facevo comodo." Mantenne il battente spalancato con un piede. "Avrei dovuto prendere meglio la mira quando ne avevo la possibilità."

Corrado si assicurò che nessuno avesse sentito. "È stato un incidente. Non devi dirlo neanche per scherzo."

Sul suo viso comparve un impercettibile sorriso. "Un incidente, certo. Nella mia vita ne capitano così tanti..." Sentì una folata di vento e si strinse nel suo cappotto a quadri grigio e bianco. "Ora devo andare... Non si sa mai che mi arrestino se arrivo in ritardo."

Salutò Corrado con un cenno e s'inoltrò nel parcheggio, inghiottita nel buio.

Sguardo davanti a sé, braccia conserte, gambe accavallate e sospiro regolare. Viola era immobile, anche se si concedeva di battere le palpebre. Nemmeno le labbra carnose e pallide, chiuse ermeticamente, tradivano fastidio. Aspettava da mezz'ora e, nonostante credesse ormai di essersi fusa con la sedia, non faceva trasparire l'irritazione.

Dalle tende bianche del vicino bovindo filtrava il rumore dei clacson, che la trasportava in una dimensione estraniante. La luce proveniva da un lampadario in bronzo dorato le cui lampadine sbocciavano da tre roselline rivolte in basso, coprendo la sala d'aspetto di una patina giallognola che conferiva un'aria spettrale.

Attendeva il suo turno da trenta minuti e avrebbe continuato a farlo se il cigolio della porta non avesse spezzato quell'atmosfera gotica.

"Viola Rancea" la chiamò la voce gracchiante di un ometto.

La ragazza si alzò leggiadra e, senza lasciar trasparire la frustrazione per la lunga attesa, seguì l'impiegato lungo il corridoio. Sempre un passo indietro, teneva le braccia conserte e guardava uffici e quadri. Svoltato l'angolo, quella persona si fermò e per poco lei non ci sbatté contro.

Con un sospiro lasciò tradire la soddisfazione per poter dare una risposta alle domande che la perseguitavano da quando il giorno prima aveva ricevuto quella convocazione. Non aveva detto nulla al padre, per il gusto di tenergli nascosto qualcosa.

Rivolse un sorriso di cortesia al suo accompagnatore, che le aveva aperto la porta, ed entrò nell'ufficio del Pubblico Ministero.

"Buonasera" iniziò.

L'uomo dietro alla scrivania chiuse un fascicolo. "Buonasera, signorina Rancea." Abbassò gli occhiali blu dalla montatura sottile e indicò una sedia in pelle. "Prego."

Viola fece qualche passo sul parquet in rovere, si accomodò e allungò le mani sui braccioli. Quella comodità contrastava con le seggioline della sala d'aspetto.

L'uomo prese un altro fascicolo e si rimise gli occhiali. "Scusi per l'attesa, ma le riunioni sono così" e sfogliò le pagine. "Si sa quando iniziano, ma non quando finiscono."

Viola si concentrò sull'enorme quadro dietro di lui: una vecchia stampa del Duomo di Torino. "Per fortuna sono una ragazza paziente."

Il Pubblico Ministero s'interruppe, un lieve sorriso sul viso glabro. "Vorrei che lo fossero anche i miei collaboratori" e continuò a cercare i fogli che gli interessavano.

Viola ne approfittò per contemplare gli stemmi attaccati al muro dietro di lui, vicino alla bandiera europea e italiana.

"Signorina, immagina perché è stata convocata?"

Viola tamburellò due dita. "Sicuramente non per consigliarle come vestirsi ad Halloween."

L'uomo si fermò a leggere una pagina. "Le farò delle domande e dovrà darmi delle risposte, chiaro?"

Lei avvicinò un dito all'orecchio. "Provi a ripetere lentamente, magari mi sono persa qualcosa."

"Devo dedurre che non vuole collaborare?"

Viola accavallò le gambe. "Non vorrà avvalorare lo stereotipo delle serie americane, sia più simpatico con me." Non sopportava il potere che evocava quella stanza: era convinta che ogni oggetto fosse stato posizionato per metterla in soggezione e non voleva sentirsi sottomessa.

Lui appoggiò un gomito sulla scrivania in legno. "Il mio compito non è esserle simpatico o antipatico, ma far sì che la verità venga alla luce. Può decidere di aiutarmi o..." e lasciò la frase in sospeso.

Viola sospirò. Doveva mettere da parte l'orgoglio. "Mi scusi. È che... quelle mi mettono in soggezione" e indicò le bandiere.

L'uomo le guardò per un istante. "Le assicuro che hanno già mangiato, me ne sono assicurato personalmente." Strappò un sorriso a Viola. "Ora che le sto simpatico posso continuare?" Senza aspettare una risposta spostò la sua attenzione sul foglio. "Sabato 3 ottobre era nella macchina di Fulvio Ramis e stava tornando a casa. A un certo punto sono sbucati tre ragazzi che si sono avvicinati minacciosamente, uno di loro ha aperto la portiera dell'auto e l'ha buttata per terra. Corretto?" Viola, che quando aveva cominciato a raccontare l'episodio aveva chiuso gli occhi, annuì. "E mi conferma che non ha voluto denunciare l'aggressione?"

La ragazza aprì le palpebre, confusa. Quella domanda era piombata nel suo cervello come una bomba e aveva distrutto le poche certezze sui fatti avvenuti in collina. "Come?" Appoggiò una mano sul mento, pensierosa. Suo papà non le aveva mai parlato della possibilità di denunciare l'aggressione. "Posso chiederle un favore?" domandò ostentando sicurezza. "Dove ha letto tutte queste cose?"

Lui indicò il foglio. "Nella dichiarazione che lei stessa ha rilasciato alla polizia."

Viola allungò una mano. "Posso leggerla?"

Il Pubblico Ministero si sistemò il bottone della giacca nera. "Perché?"

Lei sentì l'impulso di grattarsi i capelli, ma ritirò la mano che s'impose di tenere incollata al bracciolo. Non doveva mostrarsi esitante. "Ho rilasciato quella dichiarazione dopo poche ore dall'incidente e non ricordo effettivamente il contenuto. Tra gli antidolorifici e il resto..."

L'uomo posò i suoi occhi piccoli e neri sul foglio. "La dichiarazione risale al giorno successivo e non era sotto l'effetto degli antidolorifici..."

Viola non riuscì a frenare l'impulso di toccarsi i capelli e lasciò che una mano togliesse una ciocca ramata dall'orecchio. Fissò la cravatta a righe rosse e nere dell'uomo, assorta. Ogni volta che diceva al padre di voler parlare con la polizia, le ripeteva che aveva già testimoniato il giorno dell'incidente e che non lo ricordava a causa degli antidolorifici. Perché allora quell'uomo parlava di ventiquattr'ore dopo?

"Si sente bene?"

La sua voce la riportò alla realtà e Viola accavallò l'altra gamba. "È vero... Dopo tre settimane è normale che non ricordi certe cose." Si massaggiò il braccio che era stato ferito. "Non è stato facile rielaborare quello che è successo, mi vengono i brividi se ci ripenso."

L'uomo intrecciò le dita, modulando la voce per apparire il più comprensivo possibile. "Non si preoccupi, è normale dopo quello che le è successo. Poteva andarle peggio... Ora quei tre sono stati arrestati e non faranno del male per un bel po'. E poi..."

Il resto risuonò alle sue orecchie come un'eco lontana, come la pioggia che picchietta sul finestrino e rende irriconoscibili gli altri suoni. La sua mente continuava a ripetere che erano tre le persone arrestate... Tre, non quattro. Che fine aveva fatto Fulvio? Possibile che suo padre le avesse mentito?

"Mi sta ascoltando?"

La domanda dell'uomo le fece accantonare quei dubbi. "Non capisco dove vuole andare a parare."

L'uomo ricominciò a sfogliare il fascicolo, dal quale lei notò di sfuggita dei volti ma non quello di Fulvio. Si slacciò l'unico bottone della giacca. "Tra qualche settimana inizierà il processo a carico dei tre ragazzi che hanno rubato l'auto di Fulvio Ramis. Deve sapere che loro, prima di imbattersi in voi, avevano rapinato una villa in collina e si erano nascosti in una baracca nelle vicinanze. Sospettando che la polizia fosse sulle loro tracce, hanno cercato un modo per scappare e hanno preso possesso dell'auto."

"Non li abbiamo aiutati."

"Lo so, ma tra qualche settimana comincerà il processo per la rapina e sto cercando elementi che possano avvalorare la pericolosità degli imputati."

Viola incrociò le braccia sotto al seno. "Cioè?"

"Vede, la difesa cercherà di sminuire il reato." Con un dito alzato continuò: "Se dimostrassi che non sono semplici ladruncoli ma gente disposta a tutto, sarebbe diverso. Gente disposta persino ad aggredire delle persone estranee ai fatti solo per cavarsela. Sono soggetti pericolosi che non meritano di essere reintegrati subito nella società."

"Questo non sarà il giudice a stabilirlo?" obiettò, cominciando a capire dove voleva arrivare.

"Certo, ma spetta a me dargli le prove affinché disponga di tutti gli elementi necessari per dare una sentenza equa. E sta a te aiutarmi."

"A lei" lo corresse Viola riappoggiando le mani sui braccioli. "Quindi cosa dovrei fare? Testimoniare al processo?"

"Sì, e denunciarli. Ho provato a contattare Fulvio Ramis e non ha voluto saperne, lei è la mia ultima speranza."

Viola percepì un brivido a risentire il nome del ragazzo. Fulvio doveva essere tornato a casa... E allora perché non si era messo in contatto con lei? Per suo padre che le faceva da guardia? No, se avesse voluto avrebbe trovato il modo di parlarle. Doveva essere successo qualcosa...

"Non mi dice tutto, vero?" domandò l'uomo riabbassando gli occhiali.

Viola si graffiò un labbro con un dito, esitante. Poteva rivelargli i suoi dubbi, ma avrebbe messo nei guai suo padre. Prima preferiva vederci chiaro e sfoggiò il miglior sorriso possibile. "Glielo dice l'istinto?"

L'uomo si riaggiustò la montatura sul naso. "Beh, sì."

Viola si alzò. "Allora gli dica che si sbaglia. Ora devo andare, casa mia è dall'altra parte e papà mi uccide se non mi vede arrivare per cena. Non voglio finire come vittima in uno di quei fascicoli..."

"Non abbiamo finito, si sieda." Sperava che il tono imperioso bastasse a costringerla a tornare indietro.

Viola, vicino alla porta, si girò. "Io e Fulvio preferiamo dimenticare questa storia. Forse lei sarà abituato a tutto questo, ma io no. Amo la monotonia. Amo i giorni tutti uguali, quelli in cui esco di casa e vado a lavorare. Di certo il tempo per presentarmi al processo non ce l'ho. Cordiali saluti."

Viola apparecchiava la tavola, sovrappensiero. Non riusciva a dimenticare la conversazione avuta qualche ora prima con il Pubblico Ministero. Dunque Fulvio non era stato arrestato, ma perché suo padre le aveva mentito? Dov'era finita la collana? E soprattutto per quale motivo il ragazzo non si metteva in contatto con lei? Troppe domande senza risposta, ma la cosa peggiore era mettere in tavola piatti, bicchieri e posate come nulla fosse.

Dopo aver posizionato il cesto del pane accanto all'acqua e al vino, sentì il padre entrare in cucina. "Perché non accendi la tv?"

"Ah, scusa" fece lei, per poi schiacciare il tasto rosso del telecomando.

Con un film in sottofondo, Gustavo rimestò la polenta sul fuoco. "Sta raggiungendo la giusta consistenza, tra poco è pronta." Prese un grissino e lo addentò. "Com'è andato il doppio turno al bar?"

Viola si sedette. "Bene, ho aiutato il capo ad allestire il bar per Halloween."

"Queste cose non si fanno prima? Mancano tre giorni..." osservò lui continuando a girare il cucchiaio di legno.

Viola si sfregò le mani: non poteva dirgli della convocazione in Procura. "Beh, non è come Natale che ti prepari un mese prima."

"A proposito di Natale" disse lui addentando un altro pezzo di grissino. "Sto pensando di prendermi una pausa più lunga dal lavoro. Potremmo andare in montagna."

Viola appoggiò la schiena alla sedia. "Non ci andiamo da quando eravamo con mamma" e sgranocchiò un cracker. Stranamente non aveva sentito alcun brivido ripensando a lei, troppo concentrata su ciò che era successo quel pomeriggio.

"Appunto..." Appoggiò il cucchiaio su un piatto. "Di recente ci è successo di tutto, forse dovremmo cambiare aria e potresti ricominciare a sciare."

Viola mangiò un altro cracker. "C'è una sola persona con cui vorrei sciare e al momento non è qui."

Il padre si versò del vino. "La mamma è sempre con noi, ricordalo."

"Non mi riferisco alla mamma" replicò dopo aver deglutito, "ma a Fulvio."

Il padre bevve, serio. "Ancora? Ti proibisco di vederlo, non ti farai ancora del male."

Viola si aggiustò le maniche della felpa color mango. "Sai che hai ragione?" Il padre la guardò, sbigottito, per poi rimettersi a mescolare la polenta. "Devo smettere di farmi del male" continuò lei con piglio sicuro "e Fulvio deve pagare per ciò che mi ha fatto."

L'uomo appoggiò le mani sullo schienale della sedia. "Non capisco."

Lei bevve un bicchiere d'acqua. "Voglio denunciare Fulvio per ciò che mi ha fatto. Mi ha teso una trappola, no? L'hai detto tu, sono certa che la sua situazione peggiorerà."

Gustavo si tirò il colletto della felpa. "Sicura? Non volevi gettarti indietro questa storia?"

"Sì, ma è meglio che stia in carcere più tempo possibile. Magari la mia denuncia non avrà effetto sulla sua pena, però almeno mi sarò tolta questo sassolino dalla scarpa."

L'uomo strinse lo schienale della sedia, sospettoso. "Lascia perdere, non ne vale la pena."

Tornò a occuparsi della polenta, ma lei insistette: "Tanto sono io quella che è stata aggredita. Voglio che paghi..." e si alzò. "Non vuoi che parli con la polizia?"

Il padre si grattò il capo pelato. "È successo qualcosa oggi pomeriggio, vero?"

Lei alzò la testa verso il soffitto. "Non so di cosa tu stia parlando."

Lui strinse le mani a pugno. "Non prenderti gioco di me."

Viola scoppiò in una fragorosa risata. "Questo puoi farlo solo tu. Solo tu puoi urlare, ingannare, mentire, insultare..." e indicò ogni verbo con le dita, lasciandone alzato uno. "Non mi viene in mente altro, per ora." Indicò il padre. "Questa è una prerogativa tua e delle tue sporche macchinazioni."

Gustavo la stava per colpire con il cucchiaio di legno, ma lei retrocesse finendo contro il frigorifero. "Non farlo mai più!" urlò lei. "Non farlo mai più o è te che denuncio! Avrei dovuto farlo oggi." Deglutì. "Non sono andata al bar, okay? Mi hanno convocata in Procura e ho scoperto che Fulvio non è stato arrestato. Che gli hai fatto?"

Il padre poggiò il cucchiaio con un braccio tremante e si portò le mani al viso triangolare. "Scusa, non avrei dovuto."

"Potevi ammazzarmi con quell'affare bollente" sibilò lei con i denti digrignati. Lui si sedette e poggiò una mano sulla fronte trincerandosi in un asfissiante silenzio, al quale Viola tentò di porre fine. "Dimmi cos'è successo." Si accomodò vicino a lui. "Comincio a pensare che tu ti sia inventato quella dichiarazione grazie al tuo amico poliziotto."

Nemmeno quelle parole servirono per farlo confessare. Rimaneva a fissare la televisione davanti a sé, serio. La pubblicità allegra di una marca di caramelle che stonava con la tensione della cucina.

Viola spense lo schermo e gli si mise davanti. "Oggi potevo parlare di te al Pubblico Ministero, ma non l'ho fatto. Volevo darti la possibilità di essere sincero con me. Sfruttala, prima che sia troppo tardi."

Lo sguardo vitreo dell'uomo le restituì altro silenzio e allora lei non ebbe scelta. Decise di recuperare il bigliettino che quel pomeriggio aveva preso dal segretario, pronta a mettere un punto alla situazione. Sicuramente il padre avrebbe perso il lavoro come guardia giurata, ma non le importava. Voleva solo che fosse fatta giustizia.

"Un attimo" la richiamò lui quando ormai era sull'uscio. "Perché la Procura ti ha convocata?"

Lei rimase tra l'ingresso e la cucina. "Per chiedermi di denunciare quei tre ragazzi... e lì ho capito che Fulvio non era stato arrestato. Vuoi dirmi cosa gli hai fatto o devo passare alle maniere forti?"

Lui si alzò, le mani nelle tasche della felpa e la polenta che sfrigolava sul fuoco. Si avvicinò al fornello e continuò a mescolare, lei lo guardava appoggiata alla porta. Dopo secondi che le parvero un'eternità, lui iniziò: "Quel sabato, mentre in ospedale aspettavo di vederti, ho ricevuto una telefonata dal mio amico poliziotto. Mi ha raccontato di aver fermato quattro ragazzi a un posto di blocco: tre erano quelli della rapina e uno era Fulvio Ramis. Mi ha raccontato la versione dei fatti del giovane, cioè che l'avevano minacciato e gli avevano ordinato di guidare, e che i suoi colleghi avevano deciso di lasciarlo libero. Allora mi è venuta in mente una cosa." Lei si passò una mano tra i capelli ramati, stravolta, e continuò a sentire il suo racconto: "L'ho chiamato e gli ho dato dei soldi perché sparisse per sempre dalle nostre vite... e ha funzionato." Smise di rimestare e si voltò verso la figlia. "Capisci? Ha accettato i miei soldi quel bastardo e non ha lottato per il tuo amore. Questo è quello che vali per lui."

Lei percepì gli occhi pizzicare. "Quanto valgo? Quanti soldi gli hai dato?"

"Meglio che tu non lo sappia."

Quella risposta portò Viola a stringere i capelli come volesse strapparseli ed emise un lamento di frustrazione. "Non ho fame" e si chiuse in camera sbattendo la porta.

Spazio Sly

Come promesso, ho pubblicato un nuovo capitolo. Cosa ne pensate?

Il capitolo è stato interamente dedicato a Viola e ai fatti accaduti in collina tre settimane prima. A questo punto cosa deciderà di fare lei? 

Sentitevi liberi di commentare per esprimere la vostra sincera opinione.

Ci vediamo venerdì con un nuovo capitolo!

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