3 - Dimmi la verità
Corrado spalancò la bocca, sbigottito. Tutto si sarebbe aspettato, ma non quello. Rimase immobile per secondi, come se una parte del suo cervello dovesse ancora elaborare quella scottante informazione.
Viola si alzò e cercò di regolarizzare il respiro.
"Dimmi che... no, non è possibile" farfugliò il ragazzo in preda alla confusione.
Uscì dall'appartamento e salì i gradini a due a due per recarsi al quarto piano, dove viveva lei. Non gli importava sapere se Viola lo stava seguendo, al momento voleva arrivare là e scoprire cos'era successo.
Le voci erano sempre più insistenti, sui pianerottoli quasi tutte le porte erano spalancate o semiaperte e i proprietari sbirciavano fuori per capire ciò che stava accadendo in una domenica come tante altre. Appena vedevano Corrado cercavano di fermarlo per carpire qualche informazione, ma lui continuava la sua corsa. Non era abituato a correre, però le gambe fremevano di un'energia nuova che gli avrebbe permesso persino di partecipare alla maratona di New York. Giunto a destinazione, si toccò il costato, strinse i denti e s'impose di non mostrare quanto fosse stanco.
Nel pianerottolo vi era un assembramento che non si sarebbe mai aspettato. Tutti anziani che, incuranti del possibile pericolo, erano accorsi. Vi era persino gente col bastone che non voleva perdersi quella riunione improvvisata, ennesima occasione per ciacolare. Poteva essere morto qualcuno o esserci una rapina, ma a loro non importava: erano sempre pronti ad assistere dal vivo alle disgrazie altrui. E poi erano i primi a offendersi quando qualcuno invadeva la loro privacy.
Corrado si fermò su uno degli ultimi gradini, davanti a una decina di persone appostate di fronte all'appartamento che parlottavano in piemontese stretto.
Dall'uscio emergeva una figura: un ragazzo alto e slanciato dai capelli biondo platino tagliati a spazzola. Ecco Fulvio, non era ferito. Mostrava il suo solito sorriso di cortesia e dava pacche sulle spalle per rassicurare i condomini curiosi.
Quando la calca si disperse, si avvicinò. Corrado notò che Viola lo stava seguendo e, in pochi passi, la ragazza si trovò dietro di lui.
Non appena Fulvio lo vide, sbuffò. "Anche tu preoccupato?"
Il ragazzo si sistemò gli occhiali arancioni e, in evidente disagio, abbassò lo sguardo. Non sapeva nemmeno lui il motivo, ma Fulvio lo metteva in soggezione: forse per il piercing al naso adunco, per gli occhi castani e strabici, oppure per altro che prescindeva il suo aspetto fisico.
Il giovane coi capelli platinati si avvicinò a Viola, preoccupato. "Finalmente ti ho trovata. Mi chiedevo dove fossi."
Le mise una mano sulla schiena, per invitarla a entrare, ma lei si ritrasse. Viola si strinse nelle spalle e si toccò spasmodicamente un braccio.
"È confusa" spiegò Corrado. "E spaventata." Poi si rivolse al ragazzo: "Cos'è successo? Lei mi ha raccontato che..."
"Oh, è stata solo disattenzione. Un errore mio, tutto qui" minimizzò Fulvio, dandogli una pacca sulla spalla.
Lo stesso gesto con cui aveva tranquillizzato gli altri. Il medesimo sorriso di cortesia che nascondeva segreti.
"Cioè? Viola mi ha detto che ti ha... sì, insomma, che ti ha sparato..."
La sicurezza del biondo cozzava con la paura di lei, che continuava a massaggiarsi il braccio. Forse era lo stesso col quale aveva imbracciato l'arma.
"Magari lo sai già, ma il padre di Viola ha una pistola regolarmente detenuta che tiene chiusa in cassaforte. Non appena lei me l'ha detto, ho voluto subito vederla. Sai, sono un patito di armi. Ci ho messo un po' a convincerla, ma poi si è arresa e me l'ha mostrata. Si è trattato solo di pochi secondi, giusto il tempo di toccarla. Poi gliel'ho ridata e a lei dev'essere partito un colpo."
Corrado corrugò la fronte: Fulvio aveva parlato con troppa sicurezza e rapidità. Come se avesse voluto concludere presto quella conversazione. Aveva raccontato le stesse cose a una decina di persone ed era normale che fosse stanco di ripeterle. Qualcosa però continuava a non convincerlo: quegli occhi, attratti al naso come calamite, avevano visto altro. Corrado non era mai stato bravo con le ipotesi, ma quella volta era diverso. C'era di mezzo una persona a cui teneva e quel tipo non gli era mai stato simpatico. Già dal primo giorno che l'aveva visto, quando l'altro l'aveva bellamente ignorato. Si voltò verso Viola e lei alzò lo sguardo.
"È... tutto vero..." mormorò la ragazza, ancora in preda alla confusione. La sua carnagione chiara era più pallida del solito.
Fulvio abbozzò un altro sorriso e le si avvicinò. "Non ti preoccupare, tesoro, ora è tutto passato. Speriamo che tuo padre non si arrabbi quando lo verrà a sapere, in tal caso ci sarò io a difenderti."
L'abbracciò e lei si lasciò stringere, come un gattino spaventato durante una tempesta.
Corrado continuava a guardarli con aria interrogativa, gli occhi piccoli e neri che fissavano quella strana coppia. Sì, perché non capiva cosa lei ci trovasse in lui. Erano opposti, due mondi che insieme non potevano che collassare. E invece erano lì, abbracciati, in barba a ogni pregiudizio. Eppure lei continuava a tremare tra le braccia di Fulvio. Forse il ricordo dello sparo palpitava ancora nel suo cuore, oppure il motivo era da ricercare nella persona che la stringeva.
Lei si accorse che l'amico li stava osservando guardingo e si staccò. "È vero, sono stata stupida. Papà mi aveva raccomandato di non toccarla e io..." Poi alzò lo sguardo verso Fulvio. "Avevo ragione. Non avrei mai dovuto farti vedere la pistola, dovevi ascoltarmi."
Il suo ragazzo le accarezzò le guance con le dita lunghe e tatuate. "Non sei stata stupida, non darti colpe che non hai. Sono io il colpevole, se solo sapevo che finiva così..." L'abbracciò di nuovo e le stampò un bacio sulla fronte. "Ti vedo pallida, hai bisogno di aria. Andiamo a fare una passeggiata?"
"Sì, mi farà bene."
Viola prese dalla tasca dei jeans neri attillati la chiave dell'appartamento e chiuse la porta a doppia mandata.
Corrado continuava a guardarli, sempre più stranito. Lei pareva senz'anima, al pari di un robot nelle mani dello scienziato che l'aveva creato. I suoi occhi verdi erano spenti, succubi dell'imponente presenza che la osservava come se la stesse marchiando a fuoco. Prima di conoscere Fulvio, Viola non era così.
"Si è rotto qualcosa?" indagò Corrado, rivolgendosi ai due che stavano per scendere i gradini. "I-Intendo per lo sparo. Insomma, ha causato danni?"
Fulvio prese Viola per mano e si voltò verso di lui. "Non ti preoccupare, è tutto sistemato."
Gli strizzò l'occhio in modo arrogante e poi i due cominciarono a scendere le scale. Nel frattempo altri vecchietti li fermarono e lui diede la stessa identica versione.
Corrado mise le braccia conserte e lanciò un'occhiata furtiva alla porta. Si chiese come avrebbe reagito il padre di Viola una volta scoperto ciò che era successo e non poté fare altro che domandarsi quanto tollerava che la figlia uscisse con quel tipo. C'era qualcosa di strano nella faccenda, nelle parole che Viola gli aveva rivolto quando era andata a chiamarlo. Perché si era precipitata da lui?
Sentì lo stomaco gorgogliare e decise di tornare nel proprio appartamento, promettendo a se stesso di tenere d'occhio quella coppia.
"Dai, ora tocca a te" lo spronò Elettra, appoggiando i gomiti sul tavolo.
Mirko sorrise e pescò un foglietto dalla tazza di Pikachu. Sperava che la fortuna lo assistesse, così avrebbe potuto almeno fare un punto. Anche perché sua mamma stava stravincendo e non riusciva a tollerarlo. Osservò il biglietto e lo appoggiò sul tavolo dalla parte senza scritte. Poi guardò di sbieco il mobile grigio sul quale erano presenti varie cornici.
"Okay, ci sono" spiegò a bassa voce. Era troppo facile, anche questa volta la madre l'avrebbe battuto. La fissò con i suoi occhioni scuri e sbottò: "Bau, bau, bau!" e poi digrignò i denti, mettendo in evidenza lo spazio vuoto al centro della bocca nell'arcata superiore. Alzò un braccio e finse di azzannarselo, continuando ad abbaiare.
"Mmh..." rifletté lei, arrotolando una ciocca di capelli ricci. "Questa è difficile." Trattenne a stento una risata guardando l'imitazione del figlio. Aveva intuito il suo dispiacere nel non essersi aggiudicato nemmeno un round e aveva deciso di fargliene vincere almeno uno.
"Ma come?" esclamò sbigottito Mirko, spalancando le labbra sottili. "È facilissimo, guarda bene."
Ricominciò ad abbaiare e a fingere di morsicarsi il braccio.
"Non ne ho idea, te lo giuro."
Lui sbuffò, cercando di capire come poter rappresentare meglio quel proverbio.
Quando aveva trovato un altro modo, Elettra alzò le mani. "Mi arrendo. Che proverbio era?"
Lui afferrò il foglietto, sbigottito per la resa della mamma, e glielo fece vedere. "Can che abbaia non morde."
"Ah, è vero. Che stupida. Ecco perché sembravi impazzito!"
"Ma dai, era facile."
"Cos'è che fa tanto ridere?" domandò Perla entrando nel soggiorno.
Appena la vide, Elettra le corse incontro. "Finalmente! Come stai?"
La madre la strinse forte a sé e la ragazza rispose a fatica: "Be-Bene, mamma. Se non mi strozzi, forse starei pure meglio..."
La donna si staccò dall'abbraccio. "Scusa, è che ero preoccupata. Ci hai fatto prendere un bello spavento! Soprattutto quando, in ospedale, hai cominciato a urlare come un'isterica."
Perla abbozzò un sorriso e annuì. "Sì, mi dispiace che... sia finita così. Mi sento responsabile."
"No, non devi dirlo nemmeno per scherzo. Mi sono spaventata quando hai cominciato ad agitarti in quel modo. I medici volevano solo farti un prelievo e una tac cerebrale, non avrei mai immaginato che potessi reagire così. Che ti è preso?"
La ragazza si toccò la fronte. "Forse avevo soltanto bisogno di riposo. Sentivo di stare bene, non capivo perché volessero fare tutti quegli esami." Le mise una mano sulla spalla. "Grazie per avermi assecondata."
Elettra le rivolse un sorriso sincero. "È il minimo che potessi fare. Eravamo già abbastanza sconvolti per aver interrotto la cerimonia in quel modo, non mi andava di litigare per convincerti ad ascoltare i dottori." Le accarezzò i capelli e scrutò il suo volto con preoccupazione. "Hai freddo? Vuoi che ti prepari una tisana? Sei bianca come un cencio."
La figlia indietreggiò, a disagio per quelle attenzioni. "No, mamma. E poi sento più caldo adesso che ad agosto, quindi la tisana non mi sembra proprio il caso."
"Sicura? Dai, siediti con noi che te la preparo" propose la madre, tirandosi su le maniche della maglia bianca a brillantini.
Perla arricciò il piccolo naso all'insù. "No, ti prego. Voglio solo riposare." Lanciò un'occhiata a Ingrid, che l'aveva seguita in soggiorno, per chiederle aiuto. La bocca sorridente della madre si chiuse in un sorriso tirato. Perla se ne accorse e le mise una mano sulla spalla. "Però lo apprezzo. Sei la mamma migliore del mondo", poi si avvicinò al fratellino e gli stampò un bacio sulla guancia.
Elettra abbassò lo sguardo. "Che razza di madre sono se non mi accorgo che mia figlia sta male?" Nel soggiorno calò il silenzio. La donna cominciò a stringere un lembo dei pantaloni. "Dovevo immaginare che c'era qualcosa che non andava. In questi giorni eri sempre triste e stanca. Non mi hai nemmeno accompagnato alle ultime prove dell'abito da sposa." Le si avvicinò e le accarezzò un braccio. "Se hai un problema, dimmelo."
Perla rimase incatenata a quei grandi e infossati occhi verdi, di una sfumatura un po' più scura rispetto ai propri. Avrebbe voluto guardare Ingrid, ma l'espressione inquisitrice della madre non le lasciava alternative. "In questi giorni ero strana, ma penso sia normale." Si sforzò di sorriderle e accarezzò le sue guance paffute. "Mia mamma si stava per sposare, era un'emozione grandissima e non sapevo come gestirla. Mi hai chiesto di aiutarti con i preparativi e l'ho fatto, ma probabilmente la situazione mi è sfuggita di mano e l'ho presa troppo sul serio. Volevo che tutto fosse perfetto e controllavo ogni cosa nel dettaglio."
"Vero" intervenne Ingrid. Solo in quel momento Perla riuscì a staccarsi dagli occhi della mamma. La sua migliore amica continuò: "Siamo stati un pomeriggio intero a scegliere la banda che avrebbe cantato oggi durante il rinfresco. E abbiamo litigato perché la maggior parte di quelle che mi piacevano cantava in piemontese e a lei non andava."
Perla annuì. "Per non parlare dei biglietti per gli invitati, le bomboniere, le decorazioni..."
"Okay, ho capito. Ti ho dato troppe responsabilità. È che in questo periodo a lavoro mi tartassano e..."
"No, non preoccuparti. Sono io che mi sono proposta di aiutarti, ma non immaginavo che fosse così impegnativo."
"Abbiamo anche litigato con i fornitori delle bomboniere perché erano arrivate quelle sbagliate" s'intromise Ingrid. "È stato un periodo ricco di stress, tua figlia ne ha risentito."
"Già" concordò Perla. "Non sono Wonder Woman!"
Elettra le accarezzò una spalla. "L'importante è che ora ti riposi. E se domani stai ancora male, niente università."
"Ma è il primo giorno" si lamentò la ragazza. Poi alzò le mani. "Va bene, vado a riposarmi."
"Vuoi che ti accompagni in bagno?" domandò Ingrid.
Perla la fulminò con lo sguardo e sospirò. "Forse è meglio."
Rivolsero un saluto a Elettra e Mirko e poi uscirono dal soggiorno. Attraversarono l'ingresso della villetta e il lungo corridoio, fino ad arrivare a metà e salire lungo la stretta scala a chiocciola che le portò al piano superiore. Una volta lì, si diressero con passo veloce in bagno.
Mentre camminava, Perla sentiva la nausea aumentare e le palpitazioni battere nel petto come se il cuore volesse uscire.
Si fermò sulla soglia e Ingrid le mise una mano sulla spalla. "Vado in camera tua a prendere il test, tu entra."
Perla annuì e avanzò di qualche passo, finendo al centro del bagno. Si girò a destra e si guardò allo specchio, ma distolse subito gli occhi. Si vergognava del suo stesso riflesso e non riusciva a capirne il motivo. Mise le mani sui fianchi e tirò tre respiri profondi, reprimendo l'ennesima forte sensazione di vomito. Alzò lo sguardo sul soffitto chiaro e si mise una mano sul petto, come se potesse servire a far diminuire il battito. Strinse sempre di più quella parte dell'abito e chiuse gli occhi, riuscendo a stento a trattenere le lacrime. Si odiava per essere finita in quella situazione: un lato di lei era curioso di scoprire il risultato del test e un altro non voleva. Il primo le urlava di provarci, il secondo di rimandare. Posticipare finché possibile, a costo di vivere nel dubbio. Una prospettiva non così brutta, perché in quel modo avrebbe avuto meno pensieri. O forse gli interrogativi si sarebbero moltiplicati fino ad attaccarsi a ogni neurone e farle saltare la testa dal nervoso.
Si avvicinò allo specchio e appoggiò le mani sul lavabo, lo sguardo dritto verso quegli occhi uguali ai propri che la guardavano con scherno. Aveva fatto una pazzia? Bene, ne avrebbe pagato le conseguenze e avrebbe imparato che a ogni azione corrispondeva una reazione. E se l'azione era disastrosa, la reazione non poteva che essere esplosiva. Guardò le lacrime scendere e attraversare le sue guance tonde e bianche. Strinse i denti, in un impeto di rabbia, ma qualcosa nell'espressione del viso le faceva intuire di non essere pentita. Al di là del risultato del test, Perla non avrebbe mai rinnegato ciò che aveva vissuto. Era il lato più irrazionale di sé a urlarlo, il primo a compiere pazzie e l'ultimo disposto ad assumersi le proprie responsabilità, che combatteva contro quello razionale che condannava l'accaduto e allo stesso tempo era pronto ad accettare il volere di Dio.
La porta del bagno si aprì e Ingrid entrò trionfante brandendo la confezione come se fosse la fiamma olimpica.
"Ma di solito il test non si fa alle prime ore del mattino?" osò domandare Perla.
Ingrid si avvicinò al lungo mobile sul quale era custodita una serie quasi infinita di trucchi. "È un consiglio, non un obbligo, perché al mattino la pipì è più concentrata e si riesce a vedere meglio l'eventuale ormone della gravidanza. I test attuali, però, sono molto sensibili e il risultato è attendibile comunque."
Perla alzò un sopracciglio folto e ben arcuato. "Già, ma non sarebbe meglio ascoltare questo consiglio? E se il test si rivelasse positivo e io non fossi incinta?"
La sua migliore amica sbuffò e aprì il contenitore, facendole vedere due stick. "Tesoro, ho preso apposta questa confezione. Ora non perdiamo tempo e..."
Sentirono il suono del campanello.
"Chi sarà?" si allarmò Perla, cogliendo l'occasione al volo per rimandare quel momento tanto atteso e odiato al contempo.
Ingrid si avvicinò alla finestra. "C'è la macchina di Riccardo. Credo sia arrivato."
"Riccardo? Allora... forse è meglio posticipare. Non voglio che ci trovi."
"Perché ti preoccupi così? Hai paura che entri in bagno?" Ingrid le scoccò un sorriso d'incoraggiamento. "Ce n'è uno anche sotto. E non penso che lui veda la porta di questo bagno chiusa e insista per entrare. Non mi sembra il tipo."
"Non me la sento." Perla si spostò vicino al battente e si voltò verso l'amica. "Forse sarebbe meglio rimandare. Non mi sento molto bene e ho solo voglia di riposare."
Ingrid assottigliò gli occhi grigi e guardò Perla, ancora fasciata nell'abito verde del matrimonio. Con la sua pelle diafana pareva una vampira vestita a festa. Lo sguardo vagava sul pavimento tortora e i denti mordevano le labbra come se fosse pazza. Non erano semplici reazioni di una persona malata. C'era qualcosa dietro a quel comportamento, qualcosa che Ingrid ancora non sapeva. La giovane avanzò verso l'amica e mise una mano sulla maniglia. Perla la guardò di sottecchi, ma Ingrid continuò a stringerla e si posizionò davanti alla porta. "Se vuoi uscire dal bagno, devi passare sul mio cadavere."
"Non è divertente."
"Nemmeno la tua vigliaccheria lo è" replicò duramente Ingrid.
"Non posso passare sopra un armadio di un metro e ottanta, quindi non mi rimane altro da fare che... urlare."
"Grida pure, così tua mamma, Riccardo e Mirko accorreranno e dirò che stai facendo i capricci per un test di gravidanza." Ingrid sospirò e concluse, rivolgendole un sorriso vittorioso: "Non hai scampo, tesoro."
"Credevo fossimo amiche."
"È proprio per questo che mi comporto così. Le amiche, quelle vere, non si supportano in tutto per tutto. Una vera amica è anche capace di dire all'altra che sta commettendo la più grande cazzata della sua vita."
"Io non..."
"Perla." Ingrid le alzò il mento e la costrinse a guardarla negli occhi. "Dimmi la verità. Cosa c'entra Riccardo in tutto questo?"
Spazio Sly
Come promesso, ho pubblicato il terzo capitolo. Cosa ne pensate?
Corrado nutre dei sospetti verso la coppia formata da Fulvio e Viola. I suoi dubbi hanno fondamento oppure no?
Ingrid ha messo alle strette Perla: quale sarà la risposta alla domanda finale? La studentessa riuscirà a svicolare o le dirà la verità?
Sentitevi liberi di commentare per esprimere la vostra sincera opinione.
Ci vediamo venerdì con un nuovo aggiornamento!
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