23 - Una cosa per volta
Elettra aveva il capo chino, gli infossati occhi verdi concentrati sul fondo del bicchierino che teneva tra le mani. In quel cerchio rivedeva il corpo della ragazza immobile in mezzo alla strada e il cuore aumentava i battiti ricordando lo spavento provato. Non sapeva chi fosse, ma era rimasta impressionata. Pensò alla figlia, a cosa avesse fatto se al suo posto ci fosse stata lei, e strinse il bicchierino fino a ridurlo a un ammasso di plastica. Non avrebbe mai potuto immaginare una vita senza Perla; non avrebbe mai potuto immaginare di sopravvivere a lei, la gemma più preziosa del collier che portava nel cuore.
Vide un lembo di un camice bianco passarle davanti e si rialzò appoggiandosi al fragile schienale della sediolina. Inspirò e le narici furono inondate dal profumo di disinfettante, espirò e lasciò andare ogni preoccupazione. Quella ragazza ce l'avrebbe fatta, doveva fidarsi dei medici. Si passò una mano sulla fronte, pensando che solo un'ora prima era in macchina con Riccardo, e sobbalzò quando sentì qualcuno fare un'esclamazione.
"Mamma!" Elettra si voltò e vide la figlia correrle incontro. "Mamma, tutto bene?"
La donna sbatté le palpebre per accertarsi che non stesse sognando. "S-sì, perché?"
"Riccardo mi ha raccontato tutto, ma non gli ho creduto e sono voluta venire di persona per accertarmi delle tue condizioni. Stavo per chiedere alla reception e poi ti ho intravista qui."
"Hai due occhi da falco" commentò Elettra guardando la lontana segreteria del pronto soccorso.
"Sei mia mamma, ti riconoscerei anche in mezzo alla folla" e le accarezzò un braccio. Perla indicò il portone marrone accanto a loro. "L'hanno portata qui?"
"Sì, ma vai a casa, davvero. Questo posto non fa per te."
"Non vado da nessuna parte" obiettò Perla poggiando la borsa sulla sedia e accomodandosi in quella vicino a lei. "Ti siedi o vuoi restare in piedi ancora per molto?"
La madre sorrise e fece come le era stato detto. "Hai ragione, è che non mi aspettavo che venissi. Non ce n'era bisogno."
"Secondo te riuscivo a pranzare tranquillamente sapendo che mia mamma si trovava al pronto soccorso ad aspettare di sapere come stava una sconosciuta? Non lo credevo possibile, per questo ho voluto accertarmene di persona. Riccardo poteva avermi mentito per non farmi preoccupare, magari avevi avuto un giramento e..."
"Perla" la stoppò Elettra girandosi verso di lei. "Non ti mentirei mai su cose così importanti. Le bugie fanno male all'orgoglio."
Perla abbassò lo sguardo e accavallò le gambe per dissimulare il disagio. "È vero, sono stata stupida... Quindi cosa è successo? Riccardo me l'ha spiegato, ma appena mi ha detto che eri al CTO mi si è annebbiato il cervello."
Elettra continuò a toccare quell'ammasso di plastica. "Io e Riccardo abbiamo convinto il ristoratore a farci pagare la penale a rate. Così, mentre scendevamo dalla collina, ci siamo imbattuti in un corpo disteso lungo la strada che bloccava il passaggio. Abbiamo chiamato un'ambulanza, la ragazza era ancora viva e ci siamo fatti dire in quale ospedale l'avrebbero portata. Ho consigliato a Riccardo di tornare a casa per voi e ho voluto star qui per accertarmi delle sue condizioni."
"Mamma" la chiamò con tono dolce la figlia mentre le accarezzava una guancia. "Non la conosci nemmeno, potevi tornare a casa con lui. Qui è in buone mani."
"Non lo so. In parte mi sento responsabile... Prima di andarcene dal ristorante, abbiamo fatto una passeggiata nel giardino e abbiamo goduto un po' di quella magnifica vista. E se fossimo tornati giù prima? Ho insistito io a vedere il panorama."
Perla storse le labbra sottili. "Non avresti potuto fare nulla. Anzi, magari saresti stata in pericolo. È un bene che vi siate fermati un attimo lì."
"E se dovesse morire? Non me lo perdonerei. Se fossimo passati lì dieci minuti prima..."
"Mamma, non è detto che le cose sarebbero andate diversamente. La vita è così: si prende gioco di noi come se fossimo dei pupazzi ai quali i bambini si divertono a staccare la testa, ma non possiamo farci nulla."
Elettra si toccò il collo al pensiero di quella macabra metafora e si voltò verso il muro davanti a sé. Una linea blu divideva la parete in due parti e si perdeva oltre il portone marrone. La donna guardò l'orologio al polso. "Il padre della ragazza sta parlando con i medici, è già da un po' che sono dentro." Si voltò verso la figlia e cercò conforto nel modo gentile con cui la guardava. "Non è che..."
"No" la tranquillizzò Perla posando una mano sul palmo della madre. "Vedrai che ci sarà un'altra spiegazione. Sai come sono i medici: parlano, parlano e tu non capisci niente. Si starà facendo rispiegare le cose." Le sorrise per nascondere la preoccupazione che le annodava la gola. Aveva detto la prima cosa che le era venuta in mente.
"Me lo ricordo, quando aspettavo te mi parlavano tutti in ostrogoto. Penso di essere diventata un'esperta nel campo." Poi le strizzò l'occhio. "Potrai richiedere la mia consulenza, quando ne avrai bisogno."
Perla tolse d'impulso la mano. La madre allargò gli occhi e la figlia si massaggiò il palmo nascondendo l'imbarazzo con l'ennesimo sorriso. "Certo, ma sarà gratuito? Sai, le spese sono tante..."
"A proposito di spese" la interruppe Elettra riaccomodandosi meglio sulla sedia, gli occhi verdi luminosi per aver ritrovato la loro complicità dopo giorni di mugugni. "E se lunedì pomeriggio andassimo a fare shopping?"
Questa volta fu Perla a sgranare le palpebre. "Lunedì pomeriggio?" La madre annuì e Perla si tirò indietro un ciuffo di capelli finito sulla fronte. "Non credo di venire, mi dispiace."
"Perché? Dai, sarà nel tardo pomeriggio dopo il lavoro. Magari puoi raggiungermi al pet shop e..."
"E fingere di essere una promoter?"
La donna sorrise. "Perché no? Da piccola ti piaceva così tanto..."
Perla si ravviò i capelli, frustrata. Non poteva certo dirle che lunedì pomeriggio aveva la prima visita dal ginecologo. Doveva inventarsi qualcosa, e in fretta. Alzò lo sguardo e vide una locandina sulla parete. "Mi piacerebbe, però ho già un appuntamento con Corrado nella biblioteca dell'uni. Dobbiamo fare un progetto per un corso e... beh, preferisco pianificare tutto per tempo. Odio gli imprevisti."
Elettra annuì, orgogliosa che desse priorità allo studio. "Va bin, allora facciamo martedì?"
"Martedì è perfetto."
Il portone marrone si aprì e ne uscì un uomo pelato e tarchiato. Elettra si alzò come se fosse stata appena chiamata e aspettò la sua successiva mossa.
"Viola è cosciente."
La donna tirò un sospiro di sollievo. "È una buona notizia. L'ha vista? Ha parlato con lei? Cammina?"
"Mamma, ti prego" la chiamò Perla avvicinandosi a lei. "Non lo assillare."
Elettra si accorse solo in quel momento di avergli bloccato la strada e indietreggiò per farlo passare.
L'uomo si sedette su una sedia, scricchiolante sotto il suo peso. "I medici mi hanno raccontato che hanno visto una ferita sul braccio destro; in ambulanza si è ripresa e ha cominciato a dare di matto, infatti hanno dovuto sedarla. Stanno aspettando che si risvegli per fare accertamenti." Si passò una mano sul capo pelato e sospirò più volte, incredulo.
"Quindi... si riprenderà?" domandò Elettra, cauta.
La figlia la guardò, sicura di non aver capito. Certo che si sarebbe ripresa, non aveva detto che era in fin di vita.
"Sì, adesso... posso tranquillizzarmi dopo il brutto momento passato."
Elettra allungò un braccio per stringere la figlia, che non si oppose al contatto. "Dev'essere stato brutto quando i medici l'hanno avvisata."
"Già, mi sentivo mancare il terreno sotto i piedi." Intrecciò le mani. "Sono quelle notizie che non ti aspetti. Dici sempre che accade agli altri e non a te e poi..."
"Ma sua figlia è forte" lo incoraggiò Perla. "Si riprenderà!" Era stufa della negatività che si respirava in quella parte del corridoio, così intrisa di brutte sensazioni che le voci degli altri pazienti arrivavano ovattate.
"Mi dispiace terribilmente" riprese Elettra frenando le lacrime. "Se fossi arrivata dieci minuti prima, a quest'ora..."
Perla alzò gli occhi al soffitto: aveva appena cercato di trasmettergli un po' di positività e la madre insisteva sulla scia del dolore? Aveva la delicatezza di un elefante. "E cosa le è successo?" chiese Perla. "Cioè, come sono andate le cose?"
"Ho chiamato la polizia" cominciò a rispondere l'uomo. "Loro credono che..."
Il suo tono di voce basso fu stracciato da un rumore pesante di passi.
Elettra e Perla si voltarono e videro un ragazzo che correva verso di loro.
"Fulvio!" urlò l'uomo, che inveì contro di lui e lo inchiodò a una colonna. "Sei un bastardo, pezzo di merda!" Lo prese per il colletto della maglia. "Se succede qualcosa a mia figlia, ti uccido con le mie stesse mani! Ti ammazzo, verme di periferia!"
Fulvio, la faccia deformata dalla paura, provò a spiegare: "Aspetti, voglio sapere come sta Viola."
Gustavo gli diede uno schiaffo e gridò: "Tu Viola te la devi scordare, è chiaro? Deve sparire dai tuoi perversi pensieri, perché non la rivedrai più!" Gli puntò il dito contro e continuò: "Farò in modo che tu marcisca in galera, qualunque cosa abbia fatto a mia figlia!"
Un capannello di persone guardava la scena incuriosito e Fulvio, vedendo così tanti occhi che lo fissavano inorriditi, scappò spaventato. Nessuno provò a fermarlo, accadde tutto in pochi secondi.
Elettra aveva fissato la scena con le dita alla bocca, esterrefatta di fronte all'atteggiamento dell'uomo, e Perla si era portata una mano alla fronte. Se quel ragazzo era Fulvio e la giovane portata in ospedale era Viola... non poteva che essere l'ex di Corrado. Prese il cellulare dalla borsa e compose il suo numero, mentre i medici chiedevano spiegazioni all'uomo per l'accaduto. Aspettò qualche secondo e poi riagganciò ricordandosi, tra le urla del padre di Viola, che forse Corrado era a lezione. Non le restava altro da fare che avvisare Ingrid.
Urla strazianti le laceravano i timpani, sguardi assassini mai visti prima, la violenza in ogni gesto. Viola cercò di strappare dei ciuffi d'erba, ma ciò che riuscì a toccare fu una superficie bianca e ruvida. Aprì gli occhi percependo un tuffo al cuore, come se il mondo si fosse appena ribaltato, e contemplò il reticolo di luci al neon sopra la sua testa. Si voltò, ancora intontita, e vide suo padre vicino all'ingresso con le mani nelle tasche e il capo basso.
"Papà" pronunciò, ma uscì un lamento incomprensibile, come se inciampasse nelle sue stesse parole. Continuò a tenere la testa inclinata a destra, il collo pesante come un macigno. Le urla di poco pima erano state sostituite dal rumore di un macchinario e da voci lontane.
Il padre si avvicinò, cauto, e portò una sedia accanto al letto. "Stellina mia" disse dolcemente mentre si accomodava. "Come va?"
Le prese una mano, ma Viola non aveva la forza di stringerla. "Bene... credo." Si girò a sinistra, per controllare se nella stanza ci fossero altre persone. "Dov'è Fulvio? Come sta?"
"Una cosa per volta. Ci sono questioni più importanti di cui parlare."
La ragazza notò la fronte aggrottata, il sudore grondante. "Ti ho fatto una domanda."
"Viola" iniziò lui dopo un sospiro. "La polizia vuole sapere... e anch'io. Potrei aiutarti a parlare con loro, se mi dicessi cos'è successo..." Viola stava per aprire bocca, ma Gustavo la interruppe: "Ma tu ti rendi conto di quello che hai fatto? Mi hai dato del sonnifero per uscire di casa indisturbata... Ti sembra normale?"
"Non mi avresti mai permesso di andarmene" e girò la testa dall'altra parte.
"Quindi l'unica soluzione era farmi addormentare?" domandò lui spostandosi verso la direzione del suo sguardo. "Conosci i miei problemi, potevo morire."
"Un po' di sonnifero non ha mai fatto male a nessuno."
L'uomo sentì le mani fremere: in condizioni normali l'avrebbe schiaffeggiata. Come poteva trattarlo così dopo quello che aveva fatto per lei? Voleva il suo bene, possibile che non lo capisse? Si grattò il capo, nervoso. "Vi eravate lasciati, com'è possibile che siate fuggiti insieme? E dove diavolo siete andati?"
"Vuoi sapere cosa mi hanno fatto o no?" urlò lei per porre fine a quelle fastidiose domande. Il padre si allontanò, non sapendo come sfogare la sua rabbia, e lei riprese: "Prima sembravi così deciso a voler sapere cos'è successo e ora ti perdi in quisquiglie? Io sarò da prendere a ceffoni, ma anche tu non scherzi."
Gustavo le lanciò un'occhiataccia, alla quale Viola rispose con un sorriso di sfida. Sapeva che il padre non poteva reagire alle sue provocazioni. Era in un letto d'ospedale, gli infermieri sarebbero potuti entrare in qualsiasi momento. L'uomo continuò a fissarla con le labbra frementi di rabbia. "O-okay, spara."
Viola sospirò, la testa ancora pesante. "Io e Fulvio stavamo scendendo dalla collina, dopo essere stati alla basilica di Superga."
"La basilica di Superga?"
"Sì, la basilica di Superga. Non mi ha rapita, non mi ha drogata. Solo una fuga romantica per il mio compleanno, eravamo già di ritorno." Si fermò, le tempie che pulsavano e il braccio destro stranamente rigido. "A un certo punto tre tizi sono spuntati dal nulla, Fulvio li stava quasi per investire. Uno di loro ha aperto la portiera e..." Udiva quelle urla, i loro occhi allucinati che la fissavano con disprezzo. "Mi ha gettata fuori dall'auto."
"E Fulvio?"
"Non lo so, io... Quando l'auto se n'è andata, lui non c'era..."
"Come non c'era?" ripeté lui, stordito.
Si mise due dita sul mento, riflessivo, e Viola continuò: "Senti, ero sola quando l'auto è ripartita. Mi faceva male il braccio, mi sono trascinata fino in mezzo alla strada... poi non ricordo più nulla."
L'uomo le si avvicinò e le accarezzò un braccio. "Mi dispiace, stellina mia." Incurvò la schiena verso di lei, appoggiando una mano sul letto. "Non capisci che io ti voglio bene? Che mi preoccupo per te? Se ti dico certe cose, è per il tuo bene. Non devi frequentare Fulvio, io..."
"Fulvio non c'entra" replicò Viola trafiggendolo coi suoi occhi verdi. "L'hanno rapito, magari è ferito... Devo dirlo alla polizia, devono cercarlo!"
Il padre scosse la testa e si allontanò. Mise una mano sulla pediera in ferro e la strinse per reprimere il suo odio verso quel ragazzo. "Quindi... lo ami davvero?"
"Come neanche immagini, altrimenti non ti avrei mai dato quel sonnifero." Lui stava per replicare, ma la figlia riprese: "Non lo faccio per il gusto di andare contro di te. Ho vent'anni e forse sono troppo giovane per capire cos'è l'amore, ma una cosa è certa: con lui mi sento bene. Prima che succedesse quel casino in collina, io ero tranquilla. Certo, una piccola parte di me era preoccupata per ciò che ti avevo fatto, ma... È stata una pazzia, tu non ne hai mai fatte?"
"Io..." iniziò lui spostando lo sguardo sulle lenzuola bianche. "Non mi sono mai innamorato di un criminale."
Lei spalancò la bocca, esterrefatta. "Ancora con questa storia? Sono passati anni, adesso è cambiato. Non è la stessa persona, glielo leggo negli occhi."
"Allora ti devo portare da un oculista" replicò lui fermo, la mano sempre poggiata sulla pediera. "Perché non è come lo descrivi." Lei stava per urlargli qualcosa, ma il tono del genitore fu più alto. "E lo dimostra..." iniziò, per poi fermarsi. "E lo dimostra... il fatto che il tuo caro Fulvio ti avesse teso una trappola."
Viola sbarrò gli occhi, ma liquidò le sue insinuazioni con un gesto della mano sinistra. "Hai finito di spalare merda contro di lui? Con me non funziona."
"Stellina mia" continuò lui facendo scorrere la mano sulla pediera in ferro. "È meglio che tu lo sappia da me che dalla polizia, no? Fulvio non è stato rapito, lui... lui era loro complice."
"Ma cosa stai farneticando? Non ti credo, non ne sarebbe mai capace dopo quello che mi ha detto."
"Allora è un attore eccellente" commentò il padre dopo essersi seduto, la maglia rossa che metteva in evidenza la pancia prominente. "Visto che la polizia l'ha appena arrestato, insieme a quei tre ragazzi, per una rapina avvenuta in collina di recente."
Lei s'irrigidì e si toccò il collo. Solo in quel momento si ricordò che, mentre erano in auto, lei aveva tra le mani il regalo di Fulvio. Dono che doveva esserle sfuggito quando uno di quei tre balordi l'aveva gettata fuori dall'auto. Il cervello iniziò a galoppare in terreni che si rifiutava di prendere in considerazione, ma la logica la portava proprio lì: e se quella collana non fosse stata davvero della madre ma parte della refurtiva e lui gliel'avesse regalata per sbarazzarsene?
Si portò la mano sinistra alla bocca. Doveva esserci una spiegazione: aveva visto Fulvio, i suoi occhi lucidi... E se non fossero dovuti alla commozione, ma al terribile gesto che stava compiendo? E per quale motivo quei bastardi avevano corso il rischio di bloccarli di giorno lungo la strada? Ogni domanda ne produceva altre, che si accumulavano fino a creare un groviglio di perché difficile da sbrogliare. E il mal di testa non collaborava...
Si toccò una guancia per calmare le vocine nella testa che la torturavano. "Voglio... devo vederlo."
"Non credo che sarà possibile" commentò Gustavo allargando le braccia. "Fulvio ti ha già fatto abbastanza male."
Lei distolse lo sguardo e lo puntò sull'ago nella vena del braccio destro, il deflussore che si allungava verso l'alto. "Pensi di sapere tutto, è questo il problema. Non sai nulla di me, della mia vita, del mi... del mio a... del mio amore pe..." Inclinò la testa ciondolante a destra finché la stanchezza, la fatica e la tensione ebbero la meglio.
Gustavo appoggiò una mano sulla sua gamba. "Dormi bene, devi prepararti all'interrogatorio della polizia." Mise le mani in tasca e uscì, non prima di aver dato un'occhiata alla figlia. "E buon compleanno."
In corridoio c'era un viavai di pazienti e infermieri, che con il loro parlare creavano un vociare indistinto.
L'uomo si appoggiò al muro, digitò un numero e appoggiò il cellulare all'orecchio tenendo gli occhi fissi sulla stanza. "Il pacco sta arrivando a destinazione. Ora sparisci dalle nostre vite, ritorna nella periferia da cui provieni."
Spazio Sly
Come promesso, ho pubblicato un nuovo capitolo. Cosa ne pensate?
Riguardo a Fulvio e Viola, ad alcune domande abbiamo ottenuto risposta e tante altre sono sorte. Con calma capiremo tutto, ve lo assicuro.
Sentitevi liberi di commentare per esprimere la vostra sincera opinione.
Ci vediamo venerdì con un nuovo e imperdibile capitolo!
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