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2 - Sono nei guai

Il fiato corto, gli occhi verdi che saettavano in quel dedalo di corridoi. Era la prima volta che Perla si addentrava lì. Aveva promesso a Mirko che avrebbe impiegato pochi minuti a trovare lo spogliatoio, però doveva ancora scovarlo. Avrebbe dovuto ascoltare il fratellino e lasciare che fosse lui ad andare a prendere la felpa, ma non si era abituata all'idea che potesse essere indipendente. L'aveva visto crescere e ci teneva a trattarlo come un piccolo re.

Il tipo al quale aveva chiesto informazioni le aveva risposto che lo spogliatoio si trovava in fondo a destra, ma quei corridoi erano tutti uguali. Cambiavano solo le foto alle pareti, che mostravano i bambini mentre giocavano a calcio.

Svoltò l'ennesimo corridoio e notò in lontananza una porta viola. Sbatté più volte le palpebre per accertarsi che non stesse sognando: magari, abituata a quel bianco, la sua mente si stava prendendo gioco di lei. Si chiese chi potesse dipingere una porta di viola. Tutti sapevano che quel colore portava sfortuna, soprattutto quelli che frequentavano il teatro. Adesso si spiegava perché il fratellino non aveva mai vinto una partita. Si avvicinò all'uscio e notò che il battente era socchiuso, così lo aprì sperando che quello fosse lo spogliatoio. Tirò un sospiro di sollievo quando vide la felpa beige di Mirko e la afferrò senza esitazione.

Voltandosi a sinistra notò che anche altri bambini avevano lasciato qualcosa: un calzino sull'orlo della panca e due fazzoletti stropicciati che interrompevano il motivo a rombi del pavimento. Alzò lo sguardo su una parete e vide tre finestre quadrate circondate da una spessa cornice nera che la colpirono come un pugno in un occhio. La sua teoria sullo scarso rendimento della squadra si rafforzava sempre di più.

"E tu che ci fai qui?"

Perla allargò gli occhi al pensiero che qualcuno l'avesse scoperta. Seguì qualche istante di silenzio durante il quale lei abbassò la testa: quel timbro caldo continuava a risuonare nelle orecchie. Un suono profondo che esprimeva autorità e mal celava sorpresa.

"Ehi, sto parlando con te!"

La ragazza sospirò, pronta a sfoggiare un sorriso di circostanza, ma appena volse lo sguardo ogni muscolo facciale si bloccò.

Un uomo a petto nudo, davanti a lei.

La sua attenzione si concentrò sulle spalle larghe, proporzionate al petto tonico. Muscoli guizzanti si stendevano sull'addome, fino a nascondersi sotto l'asciugamano che copriva il bacino.

Perla provò a parlare, ma ogni tentativo svanì in una serie di suoni incomprensibili. Se Michelangelo si fosse ispirato a una persona reale per realizzare il David, era sicura che sarebbe stata lui. Non le importava nulla di cos'era scritto nei manuali di storia dell'arte: il modello era lì, davanti a lei.

"Potrei porti la stessa domanda" lo incalzò dopo essersi ripresa dallo shock. Era come se non avesse mai visto dal vivo degli addominali, forse ciò che l'aveva stupita era l'essere stata colta di sorpresa.

L'uomo incrociò le braccia muscolose. "Io sono l'allenatore."

Perla inclinò la testa. "Ne dubito. Non ti ho mai visto alle partite e... ti assicuro che di te mi ricorderei. Dov'è Giuseppe?"

L'uomo si appoggiò alla parete. "È in pensione, se n'è andato qualche settimana fa. Da quest'anno sono io l'allenatore dei pulcini."

La ragazza cercò di mantenere un'espressione imperscrutabile; si era appena ricordata che Mirko, prima che lei gli domandasse dove fosse finita la felpa, le aveva accennato che ci fosse uno nuovo.

"Non dici niente?" continuò lui con un sorriso di sfida.

"Sono la sorella di uno di questi bambini e dovevo prendere la sua felpa. Ora vado!" rispose Perla d'un fiato.

Non sapeva nemmeno lei dove aveva trovato il coraggio di uscirsene con quel tono squillante.

Si avvicinò all'uscita dallo spogliatoio, ma l'uomo le bloccò il passaggio con una mano. E così lei si ritrovò a pochi centimetri dai suoi luccicanti occhi azzurri. Unica caratteristica che gli faceva perdere il titolo di modello del David di Michelangelo, perché non credeva che l'artista si fosse ispirato a un uomo con le iridi celesti.

"Chi mi assicura che sei la sorella di uno dei miei piccoli campioni?"

La ragazza indietreggiò, pensando che fosse bello quanto stupido. "Hai ragione, sto facendo un sopralluogo per creare un tunnel che mi faccia entrare nel caveau della banca qui accanto. Ora posso andare dal mio capo o vuoi chiamare la polizia?"

Corrado avrebbe riso a quella battuta, ne era certa.

L'uomo si lasciò scappare una risata e ritirò il braccio, così lei uscì dallo spogliatoio. Si avviò a grandi falcate verso la fine del corridoio, scorgendo una porta sul lato destro che prima non aveva visto. Il nuovo allenatore poteva essere spuntato da lì, magari si stava cambiando e l'aveva sentita.

"Un attimo!" udì esclamare. Si voltò e l'uomo allargò le braccia. "Si può sapere come ti chiami?"

La giovane accennò un saluto con il braccio libero dalla felpa. "Magari la prossima volta."

Uno squillo riportò Perla alla realtà. Stava per muovere la testa, ma la sentì pesante e rimase immobile. Aprì piano gli occhi, mettendo a fuoco la familiare parete blu scuro vicino al letto sul quale era sdraiata. Era a casa, finalmente.

"Non si è ancora svegliata. Sembra morta, ma ti assicuro che respira."

Si girò verso Ingrid, che aveva appena riattaccato.

"Perla!" esclamò l'amica non appena la vide sveglia. Lasciò la sedia con lo schienale a forma di cuore e le si avvicinò. "Tutto bene? Era Corrado, voleva sapere come stavi."

Perla chiuse gli occhi, intontita, e solo in quel momento si accorse di avere le mani incrociate al petto come una salma. Alzò un braccio verso la fronte. "Parla piano, rimbomba tutto."

Ingrid annuì e portò la sedia accanto al letto. "Come va? Ci hai fatto preoccupare."

"Perché?" domandò Perla, la cui mente era un susseguirsi di immagini indistinguibili. "Che è successo?"

L'amica si slegò lo chignon e lasciò ricadere i capelli lisci e neri sulle spalle. "Sei svenuta in chiesa. Eravamo al matrimonio..."

Perla assottigliò gli occhi; nella tempesta di ricordi che imperversava nella sua mente emerse un tassello, poi un altro e un altro ancora.

"Il matrimonio!" esclamò allarmata, tentando di sedersi.

Ingrid la fece sdraiare. "Aspetta un po' prima di alzarti. Non vorrai vomitare come fuori dalla chiesa?" Perla aggrottò la fronte e l'altra continuò: "Quando sei svenuta, Riccardo e Corrado ti hanno portata fuori e ti sei ripresa. Hai insistito che il matrimonio dovesse continuare, ma ti sei messa a vomitare e stavi per svenire ancora. Quindi niente pazzie!"

La ragazza stesa sul letto annuì sforzandosi di deglutire, oltre alla saliva, tutta la paura.

"Piuttosto, dimmi se hai ancora nausea."

Perla contrasse le labbra. "Sembra che qualcuno abbia scambiato il mio stomaco per un impasto e lo stia sbattendo sul bancone."

"Non farmi venire fame, sono a stomaco vuoto" finse di lamentarsi Ingrid. Poi toccò la fronte di Perla. "Febbre non ne hai, penso, ma meglio provarla. Avverto tua mamma."

Stava per alzarsi, ma Perla le sfiorò un ginocchio. "Un momento." Ingrid si voltò e l'altra giovane domandò: "Cos'è successo dopo che ho vomitato? Ho un vuoto..."

"Tesoro, mica potevano sposarsi con te che eri più di là che di qua" rispose l'amica sedendosi di nuovo. "Non ricordi nemmeno che Riccardo ha insistito per portarti al pronto soccorso?"

Perla aggrottò la fronte e poi un altro tassello si aggiunse al puzzle che formava la sua mente. "È vero, ricordo che ero in macchina e guardavo dal finestrino, girava tutto. Poi..." Chiuse gli occhi e sentì la gola secca. Altre immagini sfocate si aggiunsero e furono arricchite da suoni lontani e distorti.

Inspirò ed espirò più volte per cercare di ricordare, ma era come se il suo cervello avesse eretto un muro che non le consentiva di scavalcarlo. Forse ciò che era accaduto era stato così doloroso che il suo inconscio voleva risparmiarle ricordi spiacevoli.

Cercò di spremere le meningi, ma ogni volta che ricordava quegli istanti aveva la sensazione di scontrarsi con qualcosa di più grande di lei. "Non... non ricordo... Com'è possibile?"

Il panico le attanagliò le viscere e le provocò piccoli brividi sulle braccia. "Tu... sai cos'è successo?"

Ingrid s'intrecciò le mani nervosamente. "Sì, tua mamma mi ha accennato qualcosa. Siete arrivati al pronto soccorso, i medici volevano farti degli esami e tu hai dato in escandescenze. Ti sei messa a urlare, a sbraitare... Non ricordi proprio nulla?"

Perla trattenne il respiro a quelle parole. Abbassò lo sguardo verso il pavimento e, in effetti, cominciò a venirle in mente qualcosa. Le immagini sfocate erano diventate più nitide e mostravano un ambiente bianco, sterile, e delle figure che cercavano di calmarla. E poi i suoni indistinti ebbero improvvisamente un senso: erano le sue urla, la sensazione di soffocamento che la faceva blaterare.

Non aveva mai avuto un buon rapporto con gli ospedali: ogni volta che vi entrava, anche solo per delle semplici analisi, ne era terrorizzata. Vedeva sempre quell'edificio come saturo di dolore, una sofferenza alla quale lei non voleva contribuire con la sua presenza. Ma quella volta, nelle urla laceranti che le spezzavano la voce e nelle preghiere verso la madre e Riccardo di portarla a casa, c'era stato altro.

"Mi hai sentito o devo ripetere?"

Le parole di Ingrid la riportarono alla realtà, risvegliandola dai propri pensieri come acqua gelida. Annuì svelta, stringendo le spalle. "Adesso sì... non so cosa mi sia preso."

Nascose il viso tra le mani e la ragazza accanto a lei replicò: "Hai combinato un bel casino. Il matrimonio è rimandato e oggi non ci sarà alcun rifresco. Peccato, Elettra aveva inserito le tartine di salmone nel menù perché sapeva quanto io le amassi."

"Puoi fartele da sola" replicò Perla, piccata.

Ingrid alzò le mani. "Hai ragione, quando parlo di cibo non connetto più." Si drizzò e le porse una mano. "Vuoi sederti?"

Perla annuì e scostò le lenzuola, indossava ancora il vestito verde della cerimonia. Toccò il pavimento coi piedi e Ingrid si accomodò accanto a lei sul letto. "Va meglio?"

Perla si toccò la fronte dolorante. "Ho ancora nausea e mal di testa."

Ingrid si morse l'interno della guancia e si avvicinò alle foto attaccate alla parete opposta. "È passata una vita da allora. Quando siamo stati a Berlino?"

Perla alzò la testa. "Luglio 2018, credo."

L'amica continuò a guardare quelle foto ritraenti gli scatti migliori, o peggiori, della vacanza in Germania. "Avevo il debito in fisica e ho faticato per convincere i miei a farmi viaggiare con te e Corrado. Alla fine mi hanno lasciata andare per disperazione."

"Già" replicò Perla, appoggiando una mano sul mento. "Quelli erano bei tempi. Senza ansie, preoccupazioni. Non sapevo ancora quello che mi sarebbe successo da settembre."

Ingrid si sedette di nuovo accanto a lei e le mise una mano sulla schiena. "Sai perché sei svenuta? Quando il prete ha cominciato a parlare ti sei alzata e te ne stavi andando, poi hai perso i sensi." Si schiarì la voce e continuò: "Non volevi partecipare alla cerimonia, vero? Prima di entrare eri strana..."

Perla si alzò aggrappandosi allo schienale a forma di cuore. "Te l'ho detto, è un periodo un po' così. Non so nemmeno io cosa mi è preso, avevo bisogno di aria."

Ingrid le si avvicinò con le mani conserte. "E dimmi... Non per farmi i fatti tuoi, ma... hai un ciclo regolare?"

Il volto pallido di Perla s'incupì. "Perché me lo chiedi?"

"E tu perché non mi rispondi?"

"Non te l'ha insegnato nessuno che non si risponde a una domanda con un'altra domanda?" replicò seccata Perla, fulminandola coi suoi occhi verdi.

Ingrid le appoggiò le mani sulle spalle.

L'altra giovane, a disagio, abbassò lo sguardo verso il pavimento scuro. "Penso di avere un ritardo."

"Che vuol dire Penso? Dovresti saperlo!" scattò Ingrid scandendo le parole.

"È che non ricordo nulla, ma... sì, ho un ritardo" asserì Perla, trovando il coraggio di osservare quegli occhi grandi e grigi ai quali non sfuggiva nulla.

"Okay, hai un ritardo di quanto?"

Perla indietreggiò, ponendo fine a quel contatto. Si avvicinò alla portafinestra che dava sul balcone e contò con le dita. "Tre... sette... dieci..." Poi si rivolse all'altra ragazza: "Venti giorni."

"Venti giorni?" ripeté Ingrid urlando e mettendosi le mani nei capelli. "Venti giorni, venti giorni, venti giorni!" Poi cominciò a girare su se stessa, per riflettere sul da farsi. "Ascoltami" spiegò, appoggiando entrambe le mani sul viso. "Sei incinta..."

Aveva detto quell'ultima parola in un sussurro, come un alito di vento che arriva per portare via le questioni scomode.

Perla arricciò il naso per la confusione. Non era sicura di aver capito bene, ma... no, era impossibile. Un sorriso amaro comparve sulle sue labbra sottili e stranamente secche. "Mi rifiuto di pensarlo." Si sedette sul letto e si toccò lo stomaco per cercare di placare il senso di nausea.

Ingrid la seguì con lo sguardo. "Ne sei certa?" Ridusse la loro distanza a qualche centimetro e si accomodò vicino a lei. "Pensaci: è da giorni che sei stanca e svogliata, stamattina sei svenuta e hai vomitato. In più hai un ritardo di venti giorni. Fossi in te, farei il test."

Perla scosse la testa e avvicinò le mani all'incavo delle gambe per non far vedere quanto tremava. "È stata una settimana stancante, ma sono piena di energia."

Ingrid alzò un sopracciglio folto. "Tesoro, non mentirmi. Stamattina Mirko mi ha raccontato che in macchina stavate andando a sbattere contro un albero. Hai avuto un colpo di sonno?"

"E allora? Sarei incinta solo perché stavo per fare un incidente? Sei una parrucchiera, non una ginecologa!"

Ingrid si drizzò e le fece segno di abbassare il tono di voce.

Perla si morse un labbro, inviperita, e incrociò le braccia sotto al seno.

"Ottimo, adesso aggiungiamo alla lista dei sintomi anche gli sbalzi d'umore."

"Scusa, non volevo offenderti" si difese Perla alzandosi. "Sai che non ho nulla contro il tuo lavoro, anzi. Almeno sai fare qualcosa di utile, io combino solo casini..."

"Allora, vogliamo fare 'sto test?" la incitò Ingrid prendendo la propria borsa.

Perla alzò gli occhi verso il soffitto chiaro. "Domani giuro che lo faccio. Che lo faremo, volevo dire. Non puoi la..." Abbassò lo sguardo e notò una confezione rettangolare tra le mani dell'amica.

"Ecco, tieni." Ingrid gliela porse dal lato in cui si vedeva il nome del prodotto. "Così ti togli ogni dubbio."

In una situazione normale Perla si sarebbe messa a ridere, ma le sue labbra si mossero solo in un movimento forzato. "Che ci fai con un test di gravidanza in borsa?"

"L'ho comprato mentre portavo Mirko a casa. Sapevo che c'era qualcosa di strano, tu hai una salute di ferro. Sono passata in farmacia e poi sono venuta qui. Tua mamma mi ha detto che non ti eri ancora svegliata e le ho chiesto se potevo starti vicino."

Perla incrociò le braccia sotto al seno. "È assurdo che tu abbia comprato un test di gravidanza solo perché eri preoccupata. Quanto l'hai pagato?"

L'amica sbuffò. "Sempre a pensare ai soldi stai. Ho fatto quello che sentivo e, a quanto pare, non mi sbagliavo."

Perla rimase in silenzio per qualche secondo, come se volesse capire chi ci fosse in casa in quel momento.

Ingrid anticipò la sua domanda: "Riccardo è andato a parlare con gli invitati e a sistemare le cose in chiesa e al ristorante. Elettra invece sta facendo giocare Mirko sotto, nel soggiorno. Povero bimbo."

"In che senso Povero bimbo?" domandò Perla. Non tanto perché era interessata, ma per parlare di altro che non fosse il test.

"Perché era molto preoccupato per te. Per quel cucciolo è come se fossi una seconda madre" rispose Ingrid con un velo di tristezza nella voce. Avrebbe sempre voluto avere un fratello o una sorella. "E anche tua mamma era preoccupata, ovviamente."

"Bene, allora è meglio che vada da lei."

Ingrid allargò le braccia. "Ehi, ma mi prometti che dopo facciamo il test?"

Perla si toccò lo stomaco, sperando che le venisse in mente qualcosa per ritardare quel momento. Preferiva non pensarci. Dio non poteva tirarle quel brutto scherzo.

"Okay, avvertimi quando si risveglia. Oggi mi sentivo male per lei" commentò Corrado entrando in cucina e guardando di sfuggita l'orologio azzurro appeso alla parete.

Chiuse la telefonata e appoggiò il cellulare su una sedia, poi aprì un'anta del mobile e prese dei piatti.

Non appena li mise sul tavolo circolare, si ricordò che era solo a pranzo e ne tolse due. La sua mente era là in chiesa: sentiva ancora le voci spaventate degli invitati quando Perla era svenuta. Lui era stato il secondo a soccorrerla, dopo Riccardo, e per fortuna era bastato portarla fuori per farla riprendere. Poi però aveva vomitato e lui non aveva avuto il coraggio di guardare. Si malediceva per essere stato così sensibile. Quando Elettra e il suo compagno avevano portato Perla al pronto soccorso, avevano proposto a lui e a Ingrid di prendersi cura di Mirko. Poi, quando la donna li aveva chiamati per avvertirli del loro imminente ritorno a casa con la figlia, lui si era proposto di accompagnare Mirko insieme a Ingrid, ma la parrucchiera aveva insistito per andare da sola.

"Ti terrò informato, tu vai a casa e riposati. Non hai una bella cera."

E in effetti era vero: Perla, in quello stato, gli aveva spezzato il cuore. Raramente l'aveva vista così abbattuta. Lei era quella sempre pronta a dare manforte, a farti sorridere anche quando vedevi tutto grigio. Con la sua grinta sarebbe stata capace di portare il sole negli angoli più bui del mondo, anche se in realtà già da tempo era un po' strana. Lui sapeva cosa aveva passato, ma credeva che fosse riuscita a superare ogni cosa. E invece no, fuori da quella chiesa era esplosa tutta la frustrazione covata.

Appena arrivato a casa, le aveva mandato un messaggio: Ohi, riprenditi presto. E butta quell'orrendo vestito.

Voleva farla sorridere, a ogni costo.

Corrado aveva passato il resto della mattinata a letto, a guardare il soffitto chiaro e aspettare. Però a un certo punto il suo stomaco aveva reclamato del cibo e così lui era andato in cucina. Dopo la telefonata a Ingrid si era un po' calmato: Perla era in ottime mani ed era certo che si sarebbe presto risvegliata.

Accese il televisore e cambiò canale non appena comparve il tg del Piemonte. I telegiornali gli mettevano ansia. Fece zapping per qualche secondo, ma tra film sdolcinati e noiosi documentari decise di spegnere. Si sarebbe accontentato di un po' di musica da ascoltare cucinando. I genitori erano usciti con gli amici, visto che lui sarebbe stato assente per il matrimonio, per cui poteva fare ciò che voleva. Scorse la playlist finché trovò la canzone che stava cercando e poi riappoggiò il telefono sulla sedia: Clocks dei Coldplay stava per partire!

Quando le prime note del piano cominciavano a riempire l'ambiente e lui stava per prendere un bicchiere, un forte boato lo fece sobbalzare. Per poco non sbatté la testa contro l'anta del mobile. Stoppò la musica e rimase in ascolto: una porta che sbatteva, qualcuno che faceva le scale di fretta e altre voci indefinite. Il campanello suonò diverse volte prima che realizzasse che fosse quello del proprio appartamento. Era abituato ai rumori del condominio, ma così era troppo.

Corse all'entrata e vide dallo spioncino Viola che fissava spaventata le scale, una mano sulla bocca e un'altra sul campanello. Perché quella ragazza era lì?

Aprì la porta e la giovane piombò all'interno chiudendosi dentro.

Corrado la fissò con gli occhi sgranati. "Viola, mi... dici che è successo?"

Solo in quel momento notò che la ragazza piangeva, i capelli lunghi e ramati che le coprivano il viso.

"Così mi spaventi!" esclamò lui, avvertendo un brivido salirgli lungo la schiena.

"Fu-Fu-Fu..." continuava a ripetere lei, le mani sulla bocca e lo sguardo basso.

Si accasciò per terra e si tappò le orecchie, nelle quali si ripeteva il fischio derivante da quel rumore.

Fuori dall'appartamento le voci si accavallavano, fino a creare un frastuono di stupore e spavento.

"Viola, dimmi cos'è successo. Cos'era quel boato?"

Lei continuò ad alzare e abbassare il petto, come se non riuscisse a domare la paura che le attanagliava le viscere. "Fulvio... Sono nei guai!"

"Cosa c'entra Fulvio? Eravate insieme?"

Lei annuì e si tirò i capelli indietro, gli occhi piccoli e verdi luminosi per le lacrime. "I-Io... Fulvio... ho..."

"Che è successo?"

Il cuore della ragazza batteva così forte che gli pareva di sentirlo, anche se non era possibile.

Lei si strinse i capelli come fossero stati erbacce e buttò fuori: "Credo di aver sparato a Fulvio!" 

Spazio Sly

Come promesso, ho pubblicato il secondo capitolo. Cosa ne pensate?

Perla si è ripresa e si è ritrovata in casa. Ingrid azzarda un'ipotesi che potrebbe cambiare per sempre la loro vita. Sarà davvero così?

Nel frattempo a casa di Corrado non ci si annoia... O forse sì, ma poi arriva questa sconvolgente notizia. Cosa accadrà?

Sentitevi liberi di commentare per esprimere la vostra sincera opinione.

Ci vediamo venerdì con un nuovo aggiornamento!

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