14 - Spogliati
Il cellulare continuava a squillare. Perla aveva il fiato corto e guardava esterrefatta quel numero. Non poteva rispondere, altrimenti Riccardo sarebbe venuto a conoscenza della gravidanza, ma non poteva nemmeno rifiutare la chiamata: era stata lei a volere informazioni prima di prendere appuntamento, sarebbe stato poco carino.
Si avvicinò alla scrivania in legno e silenziò il cellulare. "Cosa mi stavi dicendo?"
"Chi era?"
"Un numero estero" mentì lei. "Fosse stata la Regina Elisabetta, te l'avrei passata."
Riccardo uscì sul balcone e rientrò: "Elettra non è arrivata, ma sarà qui a momenti. Devo dirti una cosa importante." Si sforzò di deglutire, ma la salivazione era azzerata. Sentiva il bisogno di bere un bicchiere d'acqua, però ogni secondo era prezioso. "Siediti."
Le indicò la sedia nera girevole accanto a lei, ma la ragazza scosse la testa. "Prima hai detto che mamma potrebbe scoprire di noi da un momento all'altro. Come?"
Lui si grattò la fronte. "Qualcuno mi sta ricattando!"
"I-in che senso?"
Lui si voltò verso le foto attaccate alla parete. Non aveva la forza di guardarla negli occhi. Sapeva di doverle raccontare tutto prima che arrivasse Elettra, ma le parole gli morivano in gola. Si sentiva debole, inerme. Colpevole di essere una marionetta nelle mani di qualcuno che aveva potere su di lui.
Perla lo girò di scatto. "Oh, mi spieghi cosa sta succedendo?"
Riccardo teneva gli occhi bassi, la mascella contratta. Lei gli alzò il mento e si accorse che l'uomo distoglieva lo sguardo, il petto che si muoveva freneticamente. Gli toccò le spalle. "Respira piano. Rilassati, non devi lasciarti prendere dal panico."
La ragazza si sforzava di mantenere un tono di voce calmo, ma avrebbe voluto urlargli contro per costringerlo a parlare. Le parole dell'uomo l'avevano agitata, ma almeno lei doveva cercare di non impazzire.
"Forse è meglio che ti siedi tu" gli consigliò indietreggiando di un passo.
Riccardo si passò una mano sulla fronte per evitare che delle goccioline di sudore gli imperlassero il viso. "Non so chi sia questa persona, ma ha delle nostre foto mentre ci baciamo al mare."
Perla indietreggiò sempre di più, finendo contro la scrivania. "Come cazzo è possibile? Qualcuno ci stava spiando?"
"A quanto pare. Vuole cinquemila euro in contanti. Ci vediamo giovedì in piazza CLN."
La ragazza aveva la gola strozzata. Non riusciva a parlare, poteva solo immaginare cosa sarebbe successo se non avesse pagato.
Riccardo abbassò il capo e Perla ebbe l'impressione che facesse di tutto per evitare di piangere. Era comprensibile: anche lei sentiva gli occhi pizzicare. Avevano commesso un errore che li avrebbe perseguitati per sempre. Se Elettra avesse scoperto il tradimento di Riccardo, le loro vite non sarebbero più state le stesse. Si toccò d'istinto il ventre e le parve di sentire gli insulti della madre. L'avrebbe cacciata di casa e lei avrebbe dovuto portare avanti la gravidanza da sola. Quello scenario non poteva realizzarsi. Ora doveva occuparsi del problema che pendeva su di loro, una bomba a orologeria che quel giovedì sarebbe scoppiata se non avessero pagato.
"Riccardo, fai l'uomo, basta piangere." Lui la guardò stranito e lei continuò: "Cosa sai di questa persona? Hai il numero?"
"Non la conosco, però adesso ti passo il suo contatto."
"Allora come fa ad avere il tuo numero? Ha usato una voce modificata durante la conversazione?" domandò dando un'occhiata al balcone.
"Nessuna voce modificata. Sono in tanti ad avere il mio numero, tra il lavoro come allenatore e i ragazzi ai quali do ripetizioni."
Perla lesse sul proprio cellulare il contatto del ricattatore. "Magari è qualcuno ossessionato da te che cerca un appiglio per metterti in cattiva luce. Hai dei nemici?"
Lui fece un gesto stizzito con la mano. "È inutile cercare la sua identità. Dobbiamo trovare un modo per pagare." Gli s'incrinò la voce, gli occhi ancora lucidi. "Io non ho cinquemila euro, non li ho proprio. Inoltre io ed Elettra dobbiamo pagare la penale del matrimonio ed è una cifra altissima. Siamo rovinati!"
"Farò delle telefonate" lo rassicurò lei guardando la scrivania.
"Cos'hai in mente?"
"È meglio che tu non lo sappia, per ora" replicò lei laconica.
Riccardo scosse la testa con decisione. "No, tu devi dirmelo! Questa situazione riguarda anche me, ho il diritto di sapere."
"Non sempre chi ha il diritto di sapere deve per forza sapere" obiettò lei guardandolo negli occhi. Ebbe l'istinto di toccarsi il ventre, ma giocherellò con le dita. "Ti chiedo di fidarti. È un problema che ho creato io e io voglio risolverlo."
"L'abbiamo creato insieme."
"Ma io ho insistito" aggiunse lei con un filo di voce. Sentì la sabbia, il vento che le scompigliava i capelli e il mare ai suoi piedi. "Io ho voluto fare quella passeggiata con te, io ho voluto prenderti la mano, io ho voluto avvicinarmi per percepire l'elettricità tra noi. Tentavi di divincolarti e ti bloccavo. O forse non volevi davvero liberarti."
"Esatto, perciò dico che l'abbiamo voluto entrambi. Soprattutto quello che è successo quando siamo rientrati a casa dopo pranzo." Incrociò le braccia al petto e si voltò verso una foto attaccata alla parete: tra le immagini scattate nella vacanza a Berlino ce n'era una in cui Elettra abbracciava Perla. Sentì un pugno allo stomaco vedendo com'erano complici, un rapporto che aveva rovinato. "Mi ripeto sempre che la nostra ricaduta è stata solo un momento di passione, il desiderio di rievocare una relazione ormai finita, ma se non fosse così?" Si girò verso Perla ed ebbe il coraggio di guardarla negli occhi. "È stato più di un momento di passione, e lo sai anche tu. Nonostante i nostri sforzi di catalogarlo così, è stato più di questo. Quella mattina ci siamo baciati, okay? E nelle ore successive, anche davanti a Mirko, ogni volta che i nostri sguardi s'incontravano sentivamo salire un fuoco dentro più intenso di quello che potrebbe nascere nel camino del soggiorno."
Lei si avvicinò a lui e gli accarezzò una guancia. "Sai cosa dobbiamo farne di quel fuoco?" Lui stava per rispondere, ma lei lo anticipò: "Cenere, solo cenere. È stato più di un momento di passione, ma è durato solo qualche ora. Infatti quella sera stessa siamo tornati a Torino insieme a Mirko perché non sopportavamo la situazione. Mia mamma ci chiedeva perché fossimo arrivati così presto e noi le abbiamo mentito dicendole che non volevamo stare là mentre lei era qui a lavorare." Si fermò, la voce spezzata e una lacrima che le rigava il viso. "Lì abbiamo capito che la nostra relazione non avrebbe avuto futuro. Abbiamo vissuto ore spensierate, ma ognuno di noi doveva tornare ai propri ruoli. Io di figlia e tu di compagno devoto." Lui stava per replicare, ma lei continuò: "Senza rimpianto, perché sappiamo entrambi che possiamo andare d'accordo solo in camera da letto. Abbiamo provato a stare insieme prima che tu conoscessi mamma, ma avevamo visioni diverse su troppi aspetti." Indietreggiò e gli prese le mani. "Ora abbiamo un obiettivo comune: porre fine alla questione del ricatto. Faccio delle telefonate e poi ti spiego il piano."
"Attenta, non potrei perdonarmelo se dovesse succederti qualcosa."
Lei arricciò il naso. Avrebbe voluto dirgli che era già nei guai, uno in più non le avrebbe cambiato la vita.
Viola fissava il soffitto della sua camera. Non sapeva da quanto si trovava supina nel letto, probabilmente da quando era tornata dal lavoro dopo pranzo. Più passava il tempo e più le pareva che il soffitto si scurisse, per il riflesso della luce sulle pareti. Ogni tanto aguzzava la vista: nella superficie bianca sopra di lei scorgeva dei puntini. Due occhi, un naso, una bocca, fino a quando la stanza cadde nella penombra. Avrebbe dovuto accendere la luce per rivedere il soffitto bianco, ma le sue braccia la imploravano di non muoversi.
Avrebbe continuato quel gioco fino all'arrivo del padre, quella sera, se non avesse sentito qualcuno suonare il campanello.
All'inizio rimase immobile: poteva essere soltanto lui e non voleva parlarci. Non dopo quello che era successo il giorno prima. E anche lui avrebbe fatto meglio a non parlare con lei, soprattutto per ciò che le aveva detto il padre sul passato del ragazzo. Viola aveva mostrato noncuranza, ma era ancora impressionata: non capitava tutti i giorni di frequentare un criminale, anche se ciò che l'aveva colpita era che non le avesse detto nulla. Non avrebbe preteso che fosse l'argomento della loro prima conversazione, ma almeno un minimo accenno. Poi rise, isterica. Come poteva pretendere la verità dagli altri se lei stessa la ripudiava?
Fu quando il campanello continuò a suonare che lei si alzò malvolentieri. Le gambe scricchiolarono, indossò le pantofole e si diresse verso l'ingresso come se danzasse sulle note squillanti dello scampanellio. Aprì la porta, nascondendosi da una parte, e vide la figura di Fulvio precipitarsi nell'abitazione.
Il ragazzo la guardò con le pupille dilatate. "Sapevo che eri dentro. Perché non hai risposto subito?"
"Ero occupata."
Lui scosse la testa. La conosceva fin troppo bene da sapere che era solo una scusa.
"E allora spiegami perché non hai risposto alle mie continue chiamate e ai messaggi."
"Non rispondendoti ho per caso violato uno dei dieci comandamenti?" domandò lei restando accanto alla porta, le braccia incrociate sotto al seno. Voleva sfidarlo ed era disposta ad appellarsi anche alla minima sciocchezza.
"Che ti prende? Volevo sapere se avevi parlato con tuo padre, ho trovato il portone aperto e sono entrato." Si voltò verso il salotto: il pavimento era pulito, lo specchio alla parete scomparso. "È stato lui?"
"Gli ho raccontato tutto."
"Tutto?"
"Quello che avevamo concordato" completò lei la frase.
Restarono in silenzio, come se parlassero in una lingua che conoscevano solo loro. Si sentiva a disagio a citare ciò che era successo davvero il giorno precedente, come se ogni oggetto di quella casa la giudicasse. Il mobile bianco, il tavolo e il divano erano stati testimoni silenti di una scena che sarebbe rimasta impressa nelle mura di quella casa.
Fulvio allungò una mano tatuata verso di lei, ma Viola si ritrasse fredda.
"Che c'è?" domandò sorpreso.
"Non sei stato sincero con me."
Lui si passò una mano tra i capelli biondo platino. "A cosa ti riferisci?"
"Papà mi ha raccontato che anni fa hai fatto il palo durante una rapina in collina. Perché non me ne hai parlato?"
Lui si toccò il piercing al naso adunco. "Non ne vado fiero."
"Quindi dovrei passare un weekend con un criminale? Chissà cosa potresti combinare..."
Fulvio scattò verso di lei e le bloccò le braccia. "Che hai detto?" Le pupille dilatate, nei suoi occhi strabici, lo rendevano pazzo. "Prova a ripeterlo!"
"Ho detto..." cominciò lei, le braccia che dolevano. "Chissà cosa potresti combinare!"
Lui le diede uno schiaffo così forte che la fece sbattere contro la porta. "Ricordati" sentenziò col dito puntato, "che tra noi il criminale non sono io."
Dopodiché entrò in soggiorno e aprì con un gesto secco l'anta del mobile bianco in cui il padre di Viola conservava i vini. Quell'azione fu così violenta che lo sportello di vetro tintinnò.
Viola si massaggiò la guancia dolorante e delle lacrime le rigarono il viso. Vide Fulvio che prendeva una bottiglia di vino quasi vuota, toglieva il tappo e se la scolava. Non sapeva quanto stesse bevendo: per secondi interminabili notava il gozzo alzarsi e abbassarsi, fino a quando lui sbatté la bottiglia vuota sul tavolo.
Fulvio si pulì le labbra nella maglia a maniche lunghe. "Mi farai impazzire, dopo tutto quello che ho fatto per te. Un'altra persona al posto mio sarebbe scappata. Io non solo voglio starti vicino, ma addirittura ti ho proposto di fare un weekend insieme."
"Sei malato" replicò lei. "Non so cosa ti sia messo in testa, ma non devo essere salvata. Eravamo in due qui, ieri. In due abbiamo stabilito cosa raccontare. In due abbiamo deviato i sospetti. In due ci siamo convinti che sia stato un incidente." Gli poggiò una mano sulla spalla. "Hai voluto vedere la pistola, te l'ho concesso e quando me la sono ripresa è partito un colpo. Questo è importante, punto."
Fulvio cominciò a barcollare. "Tu hai bisogno di me quanto io di te. Ti salverò."
"Allora non capisci. E come vorresti dimostrarmi di aver bisogno di me?"
Fulvio strinse gli occhi. Non aveva sentito quello che Viola aveva appena detto, nelle orecchie rimbombava ancora l'ultima frase da lui stesso pronunciata. "Spogliati."
"Che ti prende adesso?"
"Ti ho detto di spogliarti" ordinò lui categorico. Vedendo che rimaneva immobile, si avvicinò alla bottiglia di vino e guardò la ragazza di traverso. "Non mi lasci scelta."
Viola uscì dalla sua stanza, ancora scossa. I capelli ramati scompigliati, una maglia bianca troppo larga e la testa intontita. Qualcuno aveva appena suonato il campanello e temeva che fosse suo padre. Lanciò uno sguardo all'orologio in cucina: erano le cinque e mezza del pomeriggio, presto per il rientro.
Guardò dallo spioncino e tirò un sospiro di sollievo quando vide Corrado. Si voltò verso la sua camera chiusa e poi verso l'ingresso dell'abitazione. Un impercettibile sorriso comparve sulle sue guance stanche. Mise una mano sulla maniglia e aprì distendendo le labbra. "Ciao Corrado!"
"Ehilà! Come va?"
"Bene, tu?"
"Bene" rispose lui sistemandosi gli occhiali. "Posso entrare?"
"Ah, certo!" replicò lei spalancando la porta.
Corrado entrò imbarazzato e sentì un odore pungente di chiuso. Le serrande del soggiorno e della cucina erano abbassate e le due parti della casa al buio. L'unico chiarore proveniva dal pianerottolo, uno scampolo di luce insufficiente a illuminare l'ambiente.
"Fai una seduta spiritica?" le domandò allargando un braccio.
Lei premette l'interruttore nell'entrata. "Riposavo."
Corrado abbassò lo sguardo. "Allora ti lascio riposare."
"No, dai. Vuoi qualcosa?"
"Non è urgente, volevo solo sapere come stavi."
Viola accese la luce in cucina e lo invitò a seguirla. "Sono ancora intontita, ma penso sia normale."
"Già" concordò lui girandosi verso il soggiorno: alcuni pezzi di vetro giacevano a terra, residui del giorno precedente. "Ti aiuto a pulire?"
"Ci ha pensato papà ieri" rispose lei sistemando dei panni su una sedia.
"E allora perché ci sono ancora dei pezzi di vetro?"
Viola diede un'occhiata veloce al soggiorno. "Colpa mia. Bagnavo le piante e sono inciampata. Il bicchiere è caduto e voilà." Si fermò e poi ridacchiò. "Forse è meglio che per qualche giorno smetta con i lavori manuali."
Corrado si accomodò dal lato opposto rispetto alla televisione. "Oggi non sei andata a lavorare al bar?"
"Ho dovuto. Posso offrirti qualcosa? Un Crodino?"
"Caffè." Più parlava con lei e più era certo che gli stava nascondendo qualcosa, non credeva neanche a una parola.
La ragazza prese la base della caffettiera. "Dicevo... ho dovuto. L'alternativa era fissare il soffitto tutto il tempo e non potevo permettermelo."
"E tuo padre? Come ha reagito?"
Lei riempì la base della caffettiera con dell'acqua fredda fino al livello della valvola. "Mi ha rimproverata per aver mostrato la pistola a Fulvio... Non hai sentito le sue urla?" Lui scosse la testa e lei continuò: "Strano, ero sicura che sarebbe passato alle mani." Inserì il filtro e lo riempì con il caffè macinato.
"Si è rotto qualcosa d'importante?"
"Uno specchio."
"Sette anni di disgrazia."
"La mia vita è già una disgrazia" replicò lei cupa.
Lui si zittì, ricordandosi quanto Viola aveva sofferto dopo che l'aveva lasciata. La mamma della ragazza era morta solo da poche settimane e lei non si sarebbe mai aspettata un'altra tegola sulla testa, ma Corrado non avrebbe potuto aspettare oltre. Era stato meglio essere sincero. Lui aveva finalmente capito di non essere attratto dal corpo femminile e non poteva continuare a mentirle.
Viola preparò la caffettiera e accese il fornello tenendo il fuoco basso.
"Sei sicura di amare Fulvio?"
Lei si allontanò dal fornello. "Certo, perché non dovrei?"
Lui guardò i quadratini gialli e viola sul tavolo. "Siete mal assortiti, come i colori di questa orrenda tovaglia."
"Mi è sempre piaciuto stupire le persone, a quanto pare ci sono riuscita ancora. Lo amo così tanto che passeremo questo weekend insieme per il mio compleanno."
"E il tuo papà te lo permette? Non è mai stato così permissivo..."
"Non può fare altrimenti. Sa che ci andrei comunque, con o senza la sua autorizzazione."
Il ragazzo annuì: era certo che quella non era la sua Viola. La persona che conosceva lui non era mai stata così ribelle e menefreghista. Non sapeva cos'aveva combinato Fulvio, ma desiderava che tornasse indietro la vera Viola. Quella che correva nei prati, che si stupiva quando una farfalla le si posava sulla mano, che riconosceva lo stato d'animo altrui a una prima occhiata. Se lui era così estroverso e aveva sempre la battuta pronta, per pessima che fosse, lo doveva a lei.
"Due cucchiaini abbondanti di zucchero, giusto?"
Corrado annuì. "Mi conosci bene."
La ragazza aprì un'anta del pensile e prese la zuccheriera tondeggiante di ceramica. Afferrò il coperchio e guardò all'interno: quasi vuoto. "Devo prendere un pacchetto." Riaprì l'anta e guardò nell'ultimo piano, si mise in punta di piedi e alzò un braccio.
La manica della maglia, essendo troppo larga, si rovesciò in basso e quello che Corrado vide sulla pelle di Viola lo costrinse a drizzarsi. "Cosa ti sei fatta?"
Viola, il pacchetto nella mano destra, chiuse l'anta con la sinistra. "Dove?"
"Il braccio, ci sono dei segni."
Lei si voltò in modo che lui non vedesse cosa stava facendo. "Oggi sono caduta a lavoro. Bella botta, ma sono ancora in piedi."
"Smettila con queste fregnacce." Le prese il braccio e tirò su la manica, facendo scappare dei lamenti dalla bocca di lei.
Corrado rimase immobile davanti a quei lividi sparsi fino alla mano, chiazze violacee che gli strinsero lo stomaco. "È stato Fulvio?"
"Hai bevuto? Lui non..."
"Mostrami l'altro braccio!"
Viola indietreggiò. "Vattene subito o..."
"Ti ho detto di mostrarmi l'altro braccio!" urlò lui sempre più convinto, le labbra storte in un'espressione di disgusto verso colui che l'aveva ridotta così. "Fulvio ti ha picchiato? Parla!"
Viola spostò lo sguardo prima su di lui e poi all'ingresso della cucina. "Perché non lo chiedi a lui?"
Corrado sentì un tuffo al cuore e si voltò lentamente: Fulvio era appoggiato allo stipite della porta, la canottiera stropicciata e gli occhi dardeggianti.
Spazio Sly
Come promesso, ho pubblicato un nuovo capitolo. Cosa ne pensate?
Perla ha un piano in mente per risolvere la questione del ricatto. Di cosa potrebbe trattarsi? A fine capitolo Corrado si è ritrovato in una posizione scomoda... Come andrà a finire?
Sentitevi liberi di commentare per esprimere la vostra sincera opinione.
Ci vediamo venerdì con un nuovo e imperdibile capitolo!
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