12 - Ehi, Occhiali fashion
Corrado terminò di scrivere le parole della professoressa e posò la penna sul quaderno, stremato. Era passata un'ora da quando la lezione era cominciata e la docente non si era fermata un attimo. Dopo essersi presentata, aveva illustrato i contenuti del corso e poi aveva introdotto il primo argomento. Non aveva nemmeno parlato delle modalità d'esame, a quello avrebbe riservato gli ultimi minuti della lezione.
Rialzò lo sguardo e vide che i ragazzi si stavano sgranchendo le gambe. Probabilmente la professoressa aveva annunciato una breve pausa e non se n'era accorto. Guardò l'orologio al polso: erano le nove e si sentiva stanco, come se avesse passato l'intera giornata a seguire lezioni. Si massaggiò le dita della mano con le quali aveva scritto e poi iniziò a rileggere. Si accorse solo in quel momento di aver preso appunti fitto fitto, senza lasciare una riga tra un argomento e l'altro. In compenso ogni tanto spuntavano dei punti interrogativi, segno di non aver capito cosa aveva appena detto la professoressa e che avrebbe integrato coi libri.
La vicina si era alzata, mentre il posto alla sua sinistra era libero come quando era arrivato. Sospirò, chissà cosa stava facendo Perla in quel momento.
All'improvviso vide un'ombra scura in un angolo della sua visuale. "Posso sedermi?"
Corrado annuì, distratto, e riprese in mano la penna per correggere eventuali errori commessi per la fretta.
"Qui si sta meglio, non come accanto a quelle oche."
Il ragazzo alzò lo sguardo, riconoscendo la voce. Si girò a sinistra e vide lo stesso giovane con cui aveva interagito un'ora prima. A causa della sua scenata aveva deciso di cambiare posto: non voleva assistere a una litigata nel suo primo giorno di lezione.
Il nuovo arrivato lo fissava, forse in attesa che dicesse qualcosa, e Corrado abbassò lo sguardo. "Già." Posò la penna, capendo che ogni proposito di leggere gli appunti era sfumato. "Non stavi bene con loro?"
"Scherzi? Il loro profumo è nauseante, hanno passato tutto il tempo a parlare dei tipi spompinati quest'estate. Non ce la facevo più!"
Corrado sorrise. "Anch'io avrei cambiato posto, lo ammetto. E..." Si guardò intorno, non sapendo cosa dire. Non era mai stato bravo a parlare con uno sconosciuto. "Perché ti sei messo proprio qui?"
Il ragazzo alla sua sinistra increspò le labbra carnose in un sorriso tirato. "Disturbo?"
Corrado scosse prontamente la testa e d'improvviso si sentì accaldato. Era pronto a scommettere che stava arrossendo. Pensò di schiaffeggiarsi per togliersi quel colorito paonazzo, ma avrebbe solo aumentato il rossore. "No, è che... beh, ci sono altri posti liberi e ho pensato..."
"Volevo scusarmi" rispose con le braccia incrociate e lo sguardo verso la lavagna. "Per aver pensato che fossi amico di quell'oca e stessi tenendo il posto per loro. Avevo ragione: due non si sono presentate."
Corrado continuava a fissarlo con la bocca aperta: uno sconosciuto non solo gli stava parlando, ma gli chiedeva addirittura scusa?
Quando il giovane si voltò verso di lui, il ragazzo serrò le labbra e si sistemò gli occhiali arancioni a disagio. Spostò lo sguardo sul quaderno aperto e fissò le righe come se contenessero una lingua ignota. "Non è successo nulla di grave."
"Tu però non avresti dovuto alzarti."
Corrado ritornò a guardarlo e si strinse nelle spalle. "Perché?"
"Perché non hai fatto nulla di male."
Corrado s'irrigidì ed ebbe la sensazione che il cuore stesse battendo più velocemente del solito. Uno sconosciuto non solo gli parlava e gli chiedeva scusa, ma lo stava addirittura difendendo?
Si soffermò sul volto dell'interlocutore: mascella squadrata, labbra rosse, guance paffute, naso adunco, un ricciolo scuro che spuntava ribelle sulla fronte, occhi grandi e neri. Cosa gli stava succedendo? Perché sentiva il bisogno di fargli una radiografia?
Riabbassò lo sguardo, resosi conto di averlo osservato troppo. Sarebbe stato un bel ragazzo se non avesse avuto delle orecchie a sventola che lo facevano somigliare a Dumbo. "Beh... io sono così."
"Così come?"
Corrado voleva guardarlo un'altra volta, ma era come se il collo fosse bloccato. Preferiva non rimanere incantato a fissarlo senza spiccicare una parola.
"Così come?" sentì ripetere ed ebbe l'impressione che il ragazzo gli si fosse avvicinato. Il suo tono di voce era così profondo, rassicurante, privo di accenti. Sembrava una voce impostata da attore. O, meglio, da doppiatore.
Il collo ritornò a muoversi e lui poté voltarsi di nuovo verso il giovane che stava attendendo una sua risposta. Risprofondò nei suoi occhi neri senza fondo e iniziò a pensare che stava sognando. Non poteva essere reale.
Il contatto visivo s'interruppe quando il nuovo arrivato gli passò una mano davanti alla faccia. "Mi senti? Terra chiama Occhiali fashion."
Corrado deglutì e gli parve che le sue orecchie ricevessero i suoni nelle vicinanze in modo amplificato. Gli sembrava di essere appena uscito da una bolla.
Alzò lo sguardo e si mise una mano sulla fronte, per poi girarsi verso lo sconosciuto. Allora era reale: le labbra, il naso, quegli occhi che sembravano dipinti. Persino le orecchie a sventola, a differenza di ciò che aveva pensato prima, erano sexy nell'insieme. Non gli era mai capitato di rimanere colpito così da qualcuno, soprattutto da un ragazzo. "Scusami, è che... non me l'aspettavo."
"Cosa?"
Corrado si tolse gli occhiali arancioni e lo guardò di sottecchi.
"Ma tu sai solo fare domande?"
"E a te non piace rispondere?"
Corrado sospirò: quanto ancora potevano proseguire con quel ping pong verbale?
"Ho avuto un attimo di confusione" si limitò a dire, per poi rimettersi gli occhiali. "Siediti dove vuoi, per me non c'è problema se rimani. Accetto le tue scuse."
Prese la penna e si mise a ripassare una parola. Non perché fosse scritta male, ma per mostrare al suo interlocutore che era impegnato. Non sapeva nemmeno lui come spiegarlo, ma parlare con lui lo metteva in imbarazzo. Forse era quello il colpo di fulmine di cui sentiva tanto parlare nelle serie tv, o magari era solamente un mix di emozioni dovuto all'ambiente universitario. Sapeva solo che avrebbe voluto voltarsi e guardarlo, ma senza parlare. Visto che non era possibile, decise di ripassare per l'ennesima volta quella parola fino a quando divenne incomprensibile. Adesso anche le sue mani tremanti non volevano collaborare...
"È la tua prima lezione in università, vero?"
Corrado trattenne il respiro. Si voltò verso di lui e, sapendo di non poter reggere il suo sguardo, si concentrò sulla maglietta nera del suo interlocutore.
"È così evidente?"
Il ragazzo mostrò i denti bianchissimi. "Un po'. Diciamo che puzzi ancora di latte."
Corrado inarcò la schiena, come se avesse appena ricevuto una coltellata. Non si aspettava quelle parole.
La figura davanti a lui diventò sempre meno nitida, fino a quando vide una macchia scura. Serrò gli occhi, agitò il capo e li riaprì con vigore. Chiuse il quaderno con i denti digrignati e si alzò. "Tu sai di cosa puzzi?"
"Di cosa?"
"Del nulla cosmico!" urlò Corrado e uscì dall'aula con grandi falcate. Per fortuna non trovò nessuno sul suo cammino, altrimenti avrebbe spostato di peso i malcapitati. Non sapeva quanti minuti mancavano alla fine della pausa, sentiva solo il bisogno di prendere una boccata d'aria. Era come se un estraneo gli stesse stringendo la gola impedendogli di respirare. Forse qualcuno poteva ritenere quella reazione esagerata e infantile, ma faceva parte del suo carattere: quando una persona lo feriva, anche se solo con una battuta, creava da un fiammifero un incendio.
Iniziò a vagare senza meta, fino a quando si trovò davanti a una porta che dava su una terrazza. Spinse il maniglione antipanico con un gesto secco e fu accolto dal vento di fine settembre. Allargò le braccia e respirò a pieni polmoni: finalmente era tornato a sentirsi in forma. Aveva proprio bisogno di ossigenare il cervello, cancellando quello che era successo prima. Corrado era così: duro con gli altri e indulgente con se stesso, capace di riprendere lucidità solo con il passare del tempo.
La sensazione di fresco si trasformò a poco a poco in una sensazione di freddo che lo fece rabbrividire. Si strinse nella camicia hawaiana e si guardò intorno: era in un'ampia terrazza, in cui erano presenti tavoli circolari attorno ai quali chiacchieravano dei ragazzi. Si avvicinò alla balaustra e notò la città di Torino che continuava a vivere: il rumore dei tram sulle rotaie; i clacson delle auto; i piccioni che volavano in gruppo da una parte all'altra del marciapiede; gli alberi scossi dal vento e i rami che si muovevano come se ridessero di lui. Abbassò lo sguardo sulle macchine che sfrecciavano lungo il corso e gli ritornarono in mente le emozioni di poco prima: la vicinanza di quel ragazzo gli aveva fatto provare una sensazione che non aveva mai vissuto, neanche con Viola. Non sapeva identificarla, però aveva percepito qualcosa che l'aveva fatto stare bene. Almeno fino a quando quello stupido non aveva detto che puzzava di latte. Ma chi si credeva di essere per fare un simile commento? Doveva volare lontano da lui e dalle sue orecchie a sventola.
Si voltò verso Palazzo Nuovo, appoggiando la schiena alla balaustra, e vide le vetrate sopra di lui. Da quella posizione l'università sembrava ancora più ampia di come pareva all'ingresso. Da una parte della terrazza vide dei tubi che non gli ispiravano fiducia, mentre dal lato opposto notò uno stretto passaggio che portava a un secondo piazzale. S'incamminò, incurante della lezione magari già cominciata, e si aprì davanti a lui un terrazzino. Era più piccolo e meno affollato del precedente, ma lo rendeva affascinante la Mole Antonelliana che sbucava dal palazzo dall'altra parte della strada e s'imponeva nella sua maestosità. Da lì gli pareva di toccarla e sentì una scarica d'adrenalina pulsargli nelle vene. Quel posto gli dava energia, sentiva che in futuro avrebbe passato molto tempo lì.
"Ehi, Occhiali fashion."
Corrado rimase paralizzato. Quel timbro caldo e rassicurante, ma perché lo pedinava?
"Mi hai sentito?"
Corrado fissò le colonne del Tempietto della Mole. Doveva concentrarsi su un punto qualsiasi per non dargli retta.
"Vuoi ancora giocare al bell'addormentato? Io mi sono già stancato."
"E allora vattene se ti sei stanc..."
Corrado si era girato, la frase in sospeso. Lo sconosciuto era a pochi passi: solo in quell'istante si rese conto di quanto fosse alto, quasi la stessa altezza di Ingrid, e delle sue spalle larghe che facevano sembrare quella maglietta nera troppo stretta.
"Finalmente una reazione" commentò il nuovo arrivato a braccia conserte. "Volevo scusarmi, non avrei dovuto dirti quello."
Corrado ridusse gli occhi a due fessure. "La smetti di scusarti per tutto?"
"Volevo solo essere gentile."
"E invece risulti stucchevole."
Rimase di nuovo incatenato a quegli occhi neri che lo attiravano a sé come un vortice scuro e si sforzò di porre fine alla conversazione facendo qualche passo verso la terrazza.
"Abbiamo cominciato col piede sbagliato" commentò il giovane. Gli si avvicinò e allungò una mano. "Mi chiamo Diego."
Corrado guardò di sottecchi le sue cinque dita, come se ne avesse una in più. "Io no."
Percorse quel tratto che lo separava dalla terrazza e il giovane lo rincorse. "Ehi, non sei troppo prevenuto?"
Corrado si fermò vicino all'unico cestino dei rifiuti di quell'ambiente. "Dobbiamo andare, la lezione sarà già cominciata." Lo sconosciuto stava per ribattere e Corrado esplose: "Senti, se cerchi un cagnolino che ti passi le lezioni e i riassunti dei libri hai sbagliato persona. Parlane con qualcun altro."
Stava per aprire la porta che l'avrebbe fatto entrare in università, ma sentì lo squillo di un cellulare. Si voltò verso il giovane e lo guardò mentre estraeva il telefonino dalla tasca.
"Devo rispondere, è urgente. Tu entra pure."
Corrado sgranò gli occhi. "Non darmi ordini!"
Le sue parole non ebbero replica: lo studente si era allontanato con il cellulare all'orecchio.
Il ragazzo sbuffò e rientrò in università, ma quando fu all'interno vide attraverso il vetro la figura scura che camminava per la terrazza. Sembrava agitato: gettava occhiate di fuoco a chi osava guardarlo e si passava una mano tra i capelli come se volesse strapparsi ogni ricciolo. Poi lo sconosciuto fissò la porta. Dall'esterno non poteva vederlo, ma Corrado era suggestionato dal suo sguardo iroso. Si allontanò dal vetro e si guardò attorno alla ricerca dell'aula. Aveva perso troppo tempo con gente che non lo meritava.
Perla posò il cellulare e chiuse e aprì gli occhi più volte per rendersi conto di vedere i colori. Nelle due ore di Storia del cinema aveva guardato così tante clip in bianco e nero che non era più certa di vivere nel 2020. Aveva appena avvertito Corrado del fatto che la lezione fosse terminata e lo stava aspettando. Non vedeva l'ora di raccontargli la novità, ma probabilmente sarebbe stato troppo occupato a contemplare l'aula per rendersi conto delle sue parole.
La sala si era svuotata ed erano entrati pochi studenti: quell'ambiente, con la maggior parte delle sedie vuote, sembrava inquietante.
Appoggiò la testa sulla panca e osservò la porta d'ingresso, in attesa che arrivasse Corrado. Soffocò uno sbadiglio: se era già stanca alle dieci, non sapeva come avrebbe retto fino alle quattro del pomeriggio. Forse nelle due ore libere, invece di far compagnia al suo amico, le conveniva mettersi su una panchina e dormire. Anche se dubitava che ci sarebbe riuscita, con quel continuo viavai di persone.
Finalmente notò la borsa a tracolla di Corrado e alzò una mano per avvertirlo della sua posizione.
Lui la riconobbe subito e le si avvicinò. "Quest'aula è grandissima! Dev'essere molto bello fare lezione qui."
Perla lo salutò con un bacio sulla guancia. "Aspetta a dirlo. Non hai ancora visto i chewing gum appiccicati sotto le panche. Credo risalgano al secolo scorso..."
Corrado, convinto che stesse scherzando, si sedette vicino a lei. "Qui ci sono tanti posti liberi, menomale."
"Perché?"
"Nulla."
Lei notò lo sguardo del ragazzo vagare sulla superficie verde della panca. "Non me la racconti giusta. Prima eri così pimpante all'idea di fare lezione e adesso le tue energie si sono già prosciugate?"
Corrado la fissò: come poteva dirle di non essere caduto per un pelo nelle maglie di un'associazione comunista, di aver evitato una possibile rissa e di aver battibeccato con un tipo dall'ego smisurato?
"Già, ho scoperto che le lezioni non sono diverse rispetto al liceo" rispose con mezzo sorriso. Perla non se la sarebbe bevuta, ma tentare non costava nulla.
"A me invece è successa una cosa stranissima" replicò la sua amica osservando le file inferiori.
Corrado alzò un sopracciglio, resistendo alla tentazione di dirle che anche la sua breve esperienza lì dentro si era rivelata più strana del previsto. "Cosa ti è successo? Certo che non hai un attimo di pace..."
Perla indicò le panche vicino alla cattedra, il professore della lezione successiva era già arrivato.
Il ragazzo fissò le file semioccupate. "Ti sorprende che nessuno voglia sedersi davanti? Dovresti saperlo che..."
"Corrado" lo interruppe lei. "Guarda quella ragazza con i capelli blu."
Lui allungò il collo per vederla. "Quindi? Vuoi tingerteli an..." Non continuò, avendo capito perché la stava indicando con insistenza. "Aspetta, credo..."
"Sì" continuò Perla appoggiandosi allo schienale. "È la ragazza di Guglielmo."
Corrado passò i successivi cinque secondi a fissare prima lei e poi la ragazza in questione, stupendosi di quanto fossero diverse, e poi rise. Per poco non fece girare i ragazzi seduti nelle vicinanze.
"Ti ha morso una tarantola?"
"No" rispose lui contendendosi. "Mi fa ridere."
Lei sembrò trucidarlo con lo sguardo. "Smettila!"
"Non è colpa mia se in due giorni sono successe più cose a te che in una settimana di Beautiful."
Lei lo colpì allo stomaco e lui si contrasse per il dolore, finendo quasi per sbattere la testa contro la panca. "Ma sei impazzita? Prenditela con Riccardo o Guglielmo, che c'entro io?"
"Te ne darò un altro se non mi dici perché prima avevi quella faccia mogia."
Corrado stava per confessare, ma sentì una voce nasale dare il benvenuto al corso di Letteratura italiana B.
Perla lo incenerì con lo sguardo, come per avvertirlo che durante la pausa l'avrebbe obbligato a dirle tutto.
"Grazie, le auguro una buona giornata" salutò Elettra con un sorriso smagliante.
La sua cliente si diresse con passo svelto verso la cassa e la donna sistemò sullo scaffale gli integratori per cani che aveva appena mostrato. Con la coda dell'occhio vide avvicinarsi un collega e finse di non averlo notato, continuando a leggere le etichette.
"Ehi, ho saputo quello che è successo ieri. Spero che tua figlia stia meglio."
Elettra lo ringraziò con un sorriso forzato e si allontanò. Era da quando aveva messo piede nel negozio che i clienti affezionati e i suoi colleghi le chiedevano come fosse andato il matrimonio. Era la notizia del giorno. Nessuno si aspettava che potesse esserci quell'intoppo ed erano dispiaciuti che non avesse coronato il suo sogno d'amore. Anche perché, nei giorni precedenti, aveva contagiato con il suo atteggiamento propositivo coloro che lavoravano con lei. Vederla camminare mesta tra gli scaffali, quindi, contrastava con l'immagine felice che aveva dato di sé.
Diede un'occhiata all'orologio al polso: mezzogiorno, il tempo era volato. Si chiese se Riccardo fosse andato a parlare con il proprietario del ristorante e si guardò intorno: non sembravano esserci clienti all'orizzonte. Con una lenta melodia proveniente dagli altoparlanti, si diresse nella parte del negozio in cui si trovava la sua roba. Aprì una porta e attraversò un corridoio piccolo e stretto, dalle pareti scure, che cozzava con il giallo canarino con cui erano dipinti i muri e i pilastri del pet shop.
Svoltò l'angolo e si trovò in una piccola stanza con degli armadietti. Si avvicinò al proprio, estrasse una chiave dai pantaloni della divisa ocra e aprì l'anta. Prese il cellulare dalla borsa e vide una chiamata persa di Riccardo. L'avrebbe subito richiamato: non poteva aspettare la pausa pranzo, era urgente. Voleva sapere se avrebbe dovuto indebitarsi per il resto della sua vita per pagare la penale di un matrimonio mai celebrato.
Su WhatsApp notò un messaggio di Germana: Elettra le aveva proposto di vedersi nel tardo pomeriggio e l'altra le aveva appena dato l'okay. Si allontanò dall'armadietto e compose il numero di Riccardo, ma sul display comparve un'altra chiamata. Le sembrava di riconoscere chi le telefonava e quindi rispose con stupore: "Pronto?"
Le frasi dall'altra parte della linea erano confuse, forse perché là dentro c'era poco campo, ma ciò che le era parso di comprendere non le piaceva affatto. "Non ho capito... Cos'è successo a mio figlio?"
Spazio Sly
Come promesso, ho pubblicato un nuovo capitolo. Cosa ne pensate?
Abbiamo conosciuto un nuovo personaggio, Diego. Cosa vi aspettate da lui? E, soprattutto, chi ha chiamato Elettra e cosa sarà successo a Mirko?
Sentitevi liberi di commentare per esprimere la vostra sincera opinione.
Ci vediamo venerdì con un nuovo aggiornamento!
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