Capitolo Otto
Non permetto la stampa delle mie storie sotto forma di libro su siti che lucrano sul mio lavoro né per uso personale né per rivenderle, altrimenti procederò per vie legali visto che hanno il copyright.
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Altrimenti, sarò costretta a bloccarvi o a togliere la storia da questa piattaforma. Mi dispiace scrivere questo avviso all'inizio di ogni capitolo, ma sono arrivata al limite.
Grazie e buona lettura 🌹
Louis aveva sempre amato dicembre non tanto per il Natale, ma perché era il mese del suo compleanno.
Scegliere l'abete da portare a casa e fare con le proprie mani le decorazioni in pasta di sale che l'avrebbero addobbato lo divertivano, ma quella festività non era niente se confrontata con ciò che organizzava Johannah per il suo compleanno e che poteva essere riassunto in un titolo sensazionalistico che ancora oggi lo emozionava, ossia "I ventiquattro giorni di Louis". Dal primo al ventitré dicembre scartava un regalo al giorno o partecipava a un'attività con sua madre o le sue sorelle: a detta sua, quella versione del calendario dell'avvento era più speciale del Natale perché aveva la possibilità di ricevere più doni e di trascorrere più tempo con la sua famiglia. La mattina del ventiquattro, giorno effettivo del suo compleanno, poi, andavano nella loro bakery preferita e festeggiavano con cioccolata calda e dolci a volontà.
Dopo la scomparsa di Johannah, avvenuta proprio in quel mese, dicembre aveva acquistato un sapore dolce amaro: non c'era alcun calendario dell'avvento, nessun grande abete a monopolizzare il soggiorno, né una grande cesta per i regali alla sua base.
Quel ventiquattro dicembre, Louis si svegliò con un peso a opprimergli il petto e pensò che fosse una pessima giornata per compiere ventisei anni. Nonostante tutto, accettò volentieri gli auguri di sua nonna e uscì per una passeggiata in città, lasciando le sue sorelle a dormire beate nei loro letti. Seduto su una panchina del centro e stretto nel suo cappotto, osservò la neve scendere silenziosa su Doncaster e pochi bambini invadere una piccola pista di pattinaggio nella speranza che quel peso svanisse come per magia davanti a quella ingenua spensieratezza. Non accadde, però. Anzi, divenne addirittura più intenso quando una voce familiare lo richiamò e un viso, che le sue mani conoscevano a memoria, comparve davanti ai suoi occhi.
«Louis?»
Una sciarpa rossa e un cappotto blu navy a tenere caldo un corpo slanciato, dei capelli scuri e mossi ad addolcire i lineamenti affilati di quel viso, un sorriso per il quale anni prima avrebbe compiuto qualsiasi follia e avrebbe corso qualsiasi rischio, anche quello di spezzarsi irrimediabilmente il cuore.
«Adam!» esclamò sorpreso. «Cosa ci fai qui?»
«È una storia piuttosto lunga, in verità.» Gli rivolse un sorriso affettuoso, capace di ammorbidire persino i suoi occhi grigi e dall'aspetto algido. «Perché non entriamo nella nostra solita bakery così posso raccontartela e ci riscaldiamo un po'?»
Louis esitò per qualche istante, ma finì per annuire. Non vedeva Adam da qualche mese, da quando lo aveva incontrato casualmente alla stazione di Doncaster e l'aveva visto prendere un treno per Glasgow, dove viveva ormai da quasi tre anni. Era stata proprio la Scozia a mettere in crisi ogni loro certezza due anni prima, a mettere tra loro una distanza che l'amore non era riuscito a colmare e a non lasciargli altra scelta che rompere.
«Prendo un tè nero anche per te?» gli chiese e lui annuì. «Qualche dolce? Non dimentico le tradizioni del tuo compleanno.»
«Meglio di no, grazie.»
«Va bene, scegli un tavolo e ti raggiungo tra poco.»
Louis si accomodò a un tavolino adiacente alla grande vetrata del locale, dalla quale si intravedeva la piazza e la pista di pattinaggio che pian piano diventava gremita. Stava ancora guardando quello scorcio, quando Adam tornò con due tazze di tè e gliene porse una con un sorriso familiare.
«Allora, come stai?»
«Sto bene.» rispose con una scrollata di spalle. «Sono qui soltanto per qualche giorno, per trascorrere il Natale a casa con la nonna e le ragazze.»
«Lavori ancora in quella clinica di Manchester, vero?»
«Sì, ormai da poco più di due anni e mi trovo davvero bene lì. E tu? Come mai sei qui e non a Glasgow? Insomma, raccontami questa lunga storia.»
«Forse ho esagerato nel definirla lunga.» ridacchiò imbarazzato. «Comunque, sono qui perché sono tornato a Doncaster definitivamente da qualche settimana.»
«E come mai? Sembrava che Glasgow avesse realizzato ogni tuo sogno anni fa.»
Almeno era quello che lui gli aveva detto quando aveva ricevuto quell'importante offerta di lavoro che non aveva potuto declinare, insieme alla promessa che il loro amore avrebbe superato ogni distanza: evidentemente non era stato così in entrambi i casi.
«Non proprio ogni mio sogno e lo sai bene, Lou.» precisò. «Qualche mese fa hanno diagnosticato un tumore a mio padre e ho capito quanto Glasgow fosse lontana da casa e dalla mia famiglia.» Inspirò bruscamente e scosse la testa. «Per questo, ho deciso di tornare qui il prima possibile e di stare accanto ai miei genitori in pianta stabile. Ho persino trovato un lavoro come commercialista in un'azienda a metà strada tra qui e Manchester.»
Spinto da Louis, Adam raccontò quanto fosse stato immediato lasciare la Scozia, amici e lavoro e raggiungere la sua famiglia dopo la prima visita specialistica di suo padre. Il quadro clinico del signor Green era incoraggiante, ma la chemio era faticosa e suo figlio non mancava mai un appuntamento: si sedeva al suo fianco e cominciava a parlare del più e del meno, recuperando il tempo in cui avevano vissuto distanti e distraendo il papà dai pensieri tristi. Louis gli accarezzò il dorso della mano per dargli forza, perché aveva vissuto una situazione simile anni prima e lo stesso Adam lo aveva consolato in ogni stadio della malattia di sua madre.
«Mi dispiace così tanto.» mormorò. «Spero soltanto il meglio per tuo padre e che riesca a guarire il prima possibile. Non pensare subito al peggio, pensa soltanto a stargli accanto e a sostenere tua madre. I-io...»
«Lo so, Lou. Non c'è bisogno che mi dica altro, soprattutto dopo quello che hai e che abbiamo passato anni fa.»
E aveva ragione perché Adam aveva fatto del suo meglio per sostenerlo durante e dopo la malattia di Johannah. Gli aveva portato il tè durante le notti insonni trascorse in ospedale, si era preso cura delle sue sorelle e di sua nonna cucinando per loro e facendole sorridere, lo aveva abbracciato in silenzio e senza dire alcuna ovvietà quando il peggio era arrivato e lui non aveva avuto neanche la forza di alzarsi dal letto.
Era rimasto al suo fianco e si era sempre mostrato ai suoi occhi come una roccia, anche quando il suo dolore era stato così forte da sopraffare ogni pensiero razionale.
E, se dopo sei anni la loro relazione era terminata, Louis non lo incolpava per essere partito o aver scelto se stesso prima di loro due perché entrambi non avevano combattuto abbastanza l'uno per l'altro. Provava per lui soltanto del profondo affetto dal momento che erano cresciuti insieme, avevano vissuto insieme tutte le loro prime volte e insieme avevano scoperto cosa significasse amare ed essere amati.
«Ci sono per te, ci sarò sempre.» gli disse tremendamente serio. «So quanto possa essere difficile in questi casi aprirsi con qualcuno, ma sono qui se vuoi sfogarti, se vuoi piangere o se vuoi semplicemente parlare con un amico. Hai il mio numero di telefono e lo puoi utilizzare anche per questo, non solo per mandarmi gli auguri a mezzanotte spaccata ogni ventiquattro dicembre.»
«Hai ragione, ma è una vecchia abitudine quella di essere il primo a farti gli auguri per il compleanno e non posso proprio dimenticarla da un giorno all'altro.» Lo guardò con una particolare e familiare espressione sul volto e arrossì, prima di schiarirsi la voce. «In realtà, sono tante le cose che non posso dimenticare di te, di noi.»
«Adam.»
Non sapeva se avesse pronunciato quel nome come una preghiera o più come un'ammonizione.
«So che potrebbe essere troppo tardi, ma due anni fa ci siamo persi a causa dei chilometri che ci dividevano e dei nostri impegni, non a causa nostra.» disse tutto d'un fiato. «Nonostante tutto, abbiamo continuato a sentirci e a cercarci per tutto il tempo: deve pur significare qualcosa. Ora io sono di nuovo qui e tu sei davanti a me che mi guardi in quel modo che apparteneva soltanto a noi. Non voglio lasciarti andare un'altra volta, non ora che ti ho ritrovato, Lou.»
«C-cosa mi stai chiedendo? Non possiamo eliminare gli ultimi due anni della nostra vita e ricominciare dal punto esatto in cui ci siamo lasciati.»
Non potevano farlo perché era successo altro in quel lasso di tempo: Louis aveva capito come andare avanti anche senza Adam, aveva imparato a vederlo come un amico e non come un amante, aveva conosciuto un'altra persona che gli aveva fatto battere il cuore ancora una volta.
«Ti sto chiedendo soltanto un'altra possibilità.»
Il suo cuore cominciò a battere furioso nel petto e non perché i suoi sentimenti per lui si fossero d'un tratto risvegliati, ma perché un'altra richiesta tanto simile a quella gli era ritornata alla memoria. Adam gli chiedeva un'altra occasione, di risvegliare quello che era rimasto dei suoi sentimenti per lui e tentare di ricostruire pezzo per pezzo un qualcosa che era andato distrutto. Harry, invece, gli aveva chiesto di fortificare quel qualcosa che pian piano avevano costruito insieme e lui l'aveva rifiutato senza alcuna esitazione, pentendosene un attimo dopo.
Tuttavia, ormai Harry era partito e con lui ogni possibilità di vivere un presente e un futuro insieme e Louis non poteva tornare indietro sui suoi passi, poteva soltanto andare avanti. Per questo, scelse di non concedere una seconda possibilità al suo rapporto con Adam, né di tornare a due anni prima ed essere una persona che non gli apparteneva più. Sospirò e ricambiò con profonda tristezza il suo sguardo carico di speranza, prima di stringere la presa sulla sua mano e lasciarla andare una volta per tutte.
«Non posso, Adam.» disse. «È vero che la distanza ci ha diviso anni fa, ma siamo stati noi a permetterglielo e a non combattere con le unghie e con i denti per quello che avevamo. Avremmo dovuto insistere invece di gettare la spugna dopo alcuni mesi, io avrei dovuto chiamarti di più e tu tornare più spesso nel nostro appartamento di Manchester, ma non lo abbiamo fatto e ora non possiamo far finta che non sia accaduto.»
«A-abiti ancora lì, Lou?»
«No, ho lasciato il nostro appartamento qualche mese dopo la nostra rottura. C'erano troppi ricordi, c'erano tutti i nostri sei anni insieme e a volte mi sembrava di sentire persino la tua risata tra quelle quattro pareti.» spiegò. «Quando Charlotte mi ha detto di volersi trasferire a Manchester per frequentare la scuola di make-up ho colto la palla al balzo e ho cercato un nuovo appartamento, volevo soltanto un nuovo inizio.»
«Non ti biasimo, l'avrei fatto anche io.» ribatté Adam. «Ma...»
«...ma non voglio illuderti. Ora che sei tornato voglio starti accanto e frequentarti perché ti voglio bene e perché hai bisogno del mio supporto, ma non posso darti un'altra possibilità o prometterti qualcosa che non provo più.» mormorò dolcemente. «È un periodo di grandi cambiamenti per te tra la malattia di tuo padre e il tuo trasferimento, ma non è giusto affrontarlo in questo modo e cercare di recuperare un passato ormai lontano.»
Adam abbassò lo sguardo sconfitto e lo posò sulla sua tazza di tè, le mani tremavano sul tavolino e qualche lacrima cominciò a scendere silenziosamente sulle sue guance. Louis gliele asciugò una a una senza mai abbandonare il sorriso affettuoso che aveva curvato le sue labbra.
«Mi sono reso ridicolo, scusa.» mormorò, tirando su col naso. «Pensavo che, una volta tornato qui, avrei aggiustato ogni cosa e avrei riportato tutto come era un tempo.»
«Ma io non sono com'ero due anni fa e non lo sei neanche tu.»
«È vero, non siamo più le persone che eravamo una volta.» disse. «Se potessi tornare indietro, non farei gli stessi sbagli e lotterei per noi due. Se potessi tornare a due anni fa, non...»
«...ma non puoi farlo. Smettila di tormentarti, Adam: a volte dobbiamo soltanto accettare ciò che accade e andare avanti.»
«Da quando sei diventato così saggio? Sei cambiato per davvero in questi anni, sì, ma la tua espressione triste è sempre la stessa.»
«Che intendi?»
«Andiamo, ti ho visto prima su quella panchina con le labbra arricciate in un broncio e gli occhi velati da chissà quale preoccupazione.»
Louis boccheggiò per qualche istante: dopotutto, la realizzazione che qualcun altro, oltre la sua famiglia, potesse conoscerlo così bene riusciva sempre a stupirlo. «Non è vero!» mentì.
«Invece sì e sono stato uno sciocco a credere che quell'espressione potesse ancora avere a che fare con noi due.» affermò amareggiato. «Che succede? Tua nonna e le ragazze stanno bene, no?»
«Stanno bene, non preoccuparti.»
«Allora cosa c'è che ti rattrista proprio il giorno del tuo compleanno?»
«N-non credo che...» esitò per un istante. «...insomma, non credo che tu voglia saperlo per davvero.»
Adam abbassò lo sguardo incerto, prima di sollevarlo ancora sul suo viso con un'espressione rassegnata. «C'è qualcuno nella tua vita ora, vero?»
«Potrebbe esserci, sì, ma ho troppa paura di soffrire ancora una volta per dargli persino una possibilità.»
«Buttati, Lou. Noi ci abbiamo provato e non ha funzionato, ci siamo lasciati e abbiamo sofferto, ma ora siamo qui insieme. Io devo ancora capire come considerarti un semplice amico, ma non rimpiango nulla, neanche il mio disperato tentativo di riconquistarti.»
«Neanche io, Adam.»
«Allora promettimi di dare a te e a questo ragazzo una possibilità, non è detto che debba andare male anche tra di voi.»
«Lui abita a Londra.» ribatté, come se quella precisazione bastasse a spiegare ogni suo dubbio. «Non credo di poter sopportare un'altra relazione a distanza dopo la nostra, ma mi manca e non faccio altro che pensare a lui, a come sarebbero potute andare le cose se non l'avessi rifiutato e se non l'avessi fatto tornare a Londra con il cuore in mille pezzi.»
«Ogni relazione è diversa e non puoi pensare che la nostra esperienza sia la regola, ma puoi utilizzarla per capire cosa non fare con lui.» affermò, prima di rivolgergli un sorriso rassicurante. «Sono certo che farai la cosa più giusta, ma devi promettermi che non avrai rimpianti in ogni caso. La vita è troppo breve per averli e noi lo sappiamo bene.»
Louis annuì, quasi a ringraziarlo, prima di spostare la loro conversazione su argomenti più leggeri e che non coinvolgevano i loro cuori infranti. Trascorsero in quel modo la mattinata e, quando Adam ricevette una telefonata da sua madre, si salutarono con la promessa di vedersi ancora: Louis si lasciò stringere più del solito e non lo allontanò tanto presto perché sapeva che ne avesse bisogno per porre fine a quel capitolo della sua vita e andare finalmente avanti. Tornò a casa con le mani in tasca e la neve tra i capelli e, non appena varcò la soglia d'ingresso, si ritrovò in un groviglio di braccia, baci e auguri. Le sue sorelle lo trascinarono nella sala da pranzo per un delizioso brunch, sua nonna sistemò una grande torta al cioccolato al centro del tavolo e a Louis toccò spegnere con un soffio ben ventisei candeline.
Fu allora, quando si guardò intorno e vide i volti sorridenti dei suoi familiari, che si accorse di non sentire più alcun peso sul suo petto.
*
Le vacanze di Harry erano durate troppo poco per i suoi gusti, ma lui non se ne lamentava perché significava essere tornato finalmente alla solita vita.
Dicembre era sempre stato un mese frenetico per le consegne di metà corso e la preparazione degli esami e quell'anno non era stato da meno, soprattutto con il suo ritorno all'università. Aveva dovuto lavorare il doppio dei suoi colleghi per recuperare i mesi trascorsi in clinica in così breve tempo, ma alla fine i suoi docenti si erano congratulati con lui per i suoi sforzi e gli avevano permesso di partecipare agli esami e ai corsi del secondo e ultimo semestre.
Forse, quello di laurearsi a fine luglio non sarebbe stato soltanto un sogno e lui non avrebbe deluso alcuna aspettativa, né le sue, né quelle di suo padre.
Il Natale era trascorso velocemente grazie a sua madre, Robin e Gemma che lo avevano raggiunto a Londra per festeggiare in famiglia e ora aveva rimesso la testa sui libri, precisamente su un tomo di legislazione edilizia e urbanistica che proprio non sopportava. Non poteva fare a meno di sbuffare leggendo quei nomi, quelle date e quelle informazioni così dettagliate. Aveva scoperto, poi, che immagazzinare tante nozioni fosse più difficile dopo l'incidente e il coma, ma il dottor Smith gli aveva ripetuto che fosse parte del percorso e che non ci fosse niente di cui preoccuparsi. Inspirò ed espirò bruscamente quando contò le pagine ancora da studiare, poggiò la fronte sul libro e chiuse gli occhi per un istante, soltanto uno, giusto il tempo di rilassarsi e svuotare la mente.
«Puoi farcela, Harry.» mormorò. «Devi soltanto ricordare un centinaio di leggi, decreto più, decreto meno.»
A quella realizzazione, però, non poté che scoraggiarsi maggiormente. Era sul punto di uscire dalla sua stanza e rifugiarsi in soggiorno per convincere Zayn a guardare un film insieme, quando sentì il campanello suonare e un vociare indistinto subito dopo. Harry aggrottò la fronte perché non aspettavano nessuno, neanche Niall, ancora impegnato a passare matematica finanziaria. Si sporse oltre la soglia della sua stanza e strabuzzò gli occhi per la sorpresa quando riconobbe la voce che confabulava con Zayn all'ingresso. In punta di piedi raggiunse il soggiorno e si nascose nell'ombra del corridoio, tendendo l'orecchio e ascoltando quella conversazione.
«...Niall si è sempre sbagliato sul vostro conto, Lou. Pensava che saresti tornato da Harry con la coda tra le gambe soltanto a gennaio e ci ha anche scommesso cinquanta sterline.» ridacchiò Zayn. «Io, invece, ho sempre pensato che avresti cambiato idea entro l'anno anche se cominciavo a perdere ogni speranza. Meglio tardi che mai, però.»
«Che dire, sono sempre a tua disposizione quando si tratta di scommettere sulla mia vita sentimentale.»
Harry abbozzò un sorriso, anche se avrebbe dovuto arrabbiarsi con Zayn e Niall per quelle scommesse e con Louis per aver impiegato così tanto a raggiungerlo.
«Allora, dal mazzo di rose rosse che hai in mano e dal borsone suppongo che tu sia venuto qui per riconquistarlo e che rimarrai per qualche giorno? Insomma, hai intenzioni serie o no stavolta?»
Harry trattenne il fiato per qualche istante e si chiese perché Louis non rispondesse, poi si sporse di qualche centimetro e lo vide in difficoltà. Si disse che, per una persona riservata come lui, le domande dirette di Zayn fossero già state una punizione sufficiente e decise di uscire allo scoperto con un colpo di tosse. Louis sollevò lo sguardo e si alzò dalla poltrona sulla quale sedeva, sistemandosi in modo goffo la frangia color miele e il cappotto nero. Il suo nervosismo iniziale sembrò dissolversi in un'espressione adorante quando notò Harry indossare la felpa che gli aveva prestato mesi prima a Manchester, quella che era diventata un conforto nelle giornate tristi e grigie.
«Okay, ora vi lascio soli così potete guardarvi come due stoccafissi ancora per un po'.» ridacchiò Zayn. «Mi raccomando, parlate a voce alta così posso sentirvi anche dalla mia stanza e scommettere ancora con Niall sulla vostra vita sentimentale!»
Rivolse un occhiolino a entrambi e sgusciò via dal soggiorno, prima ancora che uno dei due potesse rimproverarlo. Scossero la testa all'unisono e i loro sguardi si incrociarono per qualche istante, entrambi fecero un passo in avanti e accorciarono la distanza che li divideva, a Harry sembrò persino di ascoltare il battito accelerato del cuore di Louis.
«Lou.» mormorò. «Cosa ci fai qui?»
«Sono venuto a vedere se Londra è così grigia come si dice.»
«E quelle?»
«Queste sono per te.» disse, porgendogli le rose. «Spero che siano ancora i tuoi fiori preferiti, nonostante quello che è successo nella serra di Anne poche settimane fa.»
«Sono bellissime e sono ancora i miei fiori preferiti, tranquillo.»
Prese le rose dalle sue mani e non poté ignorare i dieci, cento, mille brividi che gli percorsero la schiena quando sfiorò le sue dita, le stesse che aveva desiderato ogni giorno sulla sua pelle da quando si erano lasciati. Affondò il naso nei fiori e ne respirò a pieni polmoni il profumo, cercando di dimenticare i ricordi dolorosi legati alla serra e a quella sera di inizio dicembre.
«Poggia il tuo borsone in camera mia, io metto queste rose in un vaso.» disse. «Sono rinchiuso a studiare qui dentro da giorni e ho bisogno di uscire, vuoi fare una passeggiata con me nelle vicinanze?»
Louis annuì e sembrò sorpreso dal suo tono così conciliante. Tuttavia, Harry non ne capì il motivo: aveva ancora molte domande da fargli e non avrebbe accettato risposte vaghe o silenzi quella volta, ma non l'avrebbe mai potuto mandare via senza ascoltare una spiegazione. Infilò le scarpe e un giubbetto sportivo sopra la tuta e lo portò tra i mercatini di Natale che affollavano le strade di Dalston, il quartiere eclettico in cui viveva, indicandogli gli stand ricchi di leccornie e cianfrusaglie. Di tanto in tanto le loro spalle si sfioravano così come le loro mani e Harry dovette mettere a tacere più volte il desiderio che aveva di sfiorarle, di baciarle e di prenderle nelle sue.
«Vista da qui Londra non mi sembra una ruota di colori, ma le ciambelle di questo stand sono ottime.» ridacchiò Louis, dopo aver addentato l'ultimo pezzo del dolce che aveva tra le mani. «Grazie per avermici portato.»
Harry si ritrovò a guardarlo e a sorridere inevitabilmente perché sembrava un bambino con gli occhi che brillavano e le labbra sporche dello zucchero della ciambella.
«Che c'è?»
«Vieni qui.»
Si avvicinò a lui e tirò fuori un fazzoletto dalla tasca per portarlo sulle sue labbra e ripulirle. Sorrise e scosse la testa per tutto il tempo, concentrandosi soltanto su quell'azione, perché se avesse alzato lo sguardo e avesse incontrato quello di Louis sarebbe capitolato in un istante.
«Ecco, ora sei pulito.»
Fece per compiere un passo indietro, ma l'altro lo trattenne a sé per i fianchi. «Aspetta, Harry.»
Erano a un soffio di distanza, le mani di Louis bruciavano sulla sua pelle nonostante i vestiti che indossava e i suoi occhi blu sembravano incatenarlo a lui, non permettendogli alcun movimento. Harry pose le mani sul suo petto, ancora indeciso se allontanarlo o accorciare ogni distanza.
«Perché sei venuto qui? Non voglio battute stavolta, solo la verità.»
Louis sospirò. «Perché non tutte le relazioni a distanza sono un buco nell'acqua, perché mi sei mancato da morire e perché sono stanco di privarmi delle cose belle per paura di soffrire ancora.»
«Lou.» mormorò. «Mi sei mancato tanto anche tu.»
Si sporse nella sua direzione e premette le labbra sulle sue in un bacio disperato, che Louis accolse volentieri perché era tutto ciò che aveva desiderato dal loro ultimo incontro. Le loro bocche si plasmarono le une sulle altre, accolsero i sospiri dell'uno e liberarono sottili gemiti dell'altro, si cercarono come se quei baci fossero necessari a respirare, a vivere. E in parte lo erano perché Harry respirava soltanto in sua presenza, mentre quelle mani delicate lo stringevano a sé, e dimenticava tutto il resto. Dimenticava i mercatini e la folla che li circondava e ascoltava soltanto i loro cuori battere all'unisono.
«Non avrei mai dovuto farti partire in quel modo settimane fa.» disse Louis, prendendo fiato. «Vederti in lacrime ha spezzato anche il mio cuore, ma credevo di fare il bene di entrambi.»
Harry lo zittì con un bacio e un altro ancora, le sue mani gli carezzarono il viso quasi a liberarlo da quei pensieri. «Non fa nulla, ora sei qui.» sussurrò. «Sei qui per davvero. Non mi sveglierò domani mattina senza di te, vero?»
«Sono qui e mi sveglierò al tuo fianco fino a quando tu lo vorrai.»
Harry sorrise ad occhi ancora chiusi e poggiò la fronte sulla sua, quasi a trattenere quel momento ancora per un po', prima che la realtà bussasse alla loro porta.
«Allora per sempre.» ridacchiò, prima di lasciare un altro bacio sulle sue labbra sottili e trascinarlo mano nella mano per le stradine affollate. «Come hai fatto a venire qui con la clinica e tutto il resto? Insomma, quanto tempo puoi rimanere?»
«Cinque giorni e devo ringraziare soltanto Nick che ha accettato lo scambio di turni che gli ho proposto, visto che mi spettavano soltanto tre giorni di ferie.» gli spiegò. «Ha anche detto che non lo farà mai più perché odia lavorare a Capodanno e non lo biasimo, ma so che l'ha fatto col cuore.»
«Ho sempre detto che Nick fosse il mio infermiere preferito di tutta la Saint James...» ribatté Harry con un sorriso furbo. «...dopo di te, ovviamente.»
«Già, ovviamente.» sbuffò. «Comunque, cos'è questa storia che sei rinchiuso in casa a studiare da giorni?»
«Capisco che hai terminato l'università un bel po' di anni fa, ma non ti dice niente la parola "esami"?»
«Ma è il ventotto dicembre, non sei ancora in vacanza?»
«Le mie vacanze sono terminate il ventisei, quando mamma, Robin e Gemma sono tornati a casa. Non avrò l'esame prima della fine di gennaio, ma devo studiare da adesso se voglio ricordare tutte quelle leggi e quelle postille, soprattutto se voglio avere un bel voto.»
Louis strinse la presa sulla sua mano e lo invitò a fermarsi, lo fronteggiò e lo guardò con aria preoccupata. «Non ti starai affaticando troppo, vero?»
«No, tranquillo.»
«Non mentire.»
«Non lo sto facendo, te lo giuro. Ho già dovuto rallentare i ritmi settimane fa perché ora mi stanco più facilmente e in ogni caso non aprirò libro fino a quando tu sarai qui.»
«E cosa hai in mente di fare, invece?»
Harry indugiò qualche istante sulle sue labbra con un'espressione maliziosa sul volto, prima di allontanarsi da lui con una risata e trascinarlo ancora per Dalston. «Ho una missione, ricordi? Farti piacere Londra e non c'è neanche un istante da perdere!»
Louis scosse la testa e alzò gli occhi al cielo annuvolato di Londra, Harry sorrise e non poté fare a meno di pensare quanto gli fosse mancato persino quel suo gesto.
*
«Non ci credo!»
Harry si aggirava per la sua stanza come un leone in gabbia e ripeteva quelle parole con crescente incredulità, mentre Louis lo osservava dal letto e scuoteva la testa per la sua melodrammaticità. Erano rientrati nell'appartamento da un'ora, dopo aver incontrato Niall e Zayn in un pub di Dalston e aver mangiato lì un hamburger insieme, e lui avrebbe voluto soltanto addormentarsi, ma l'altro era ben deciso a impedirglielo.
«Non è nulla, credimi.» ridacchiò. «Ti prego, vieni qui.»
«Non è "nulla"?» chiese Harry. «Pochi giorni fa è stato il tuo compleanno e io non ti ho fatto gli auguri perché non lo sapevo neanche!»
«E va bene così perché neanche ci parlavamo cinque giorni fa, non preoccuparti.» Indicò la parte destra del letto e mise su un sorriso conciliante. «Andiamo, vieni qua!»
Harry sbuffò e lo raggiunse, gattonando sul letto e imbronciandosi come un bambino. Si sedette a gambe incrociate al suo fianco e tenne le braccia conserte quasi a mantenere il punto, lui cercò di scioglierle e prendergli le mani nelle sue riuscendoci soltanto dopo qualche tentativo grazie ai suoi baci.
«Almeno hai trascorso un buon compleanno?»
«È iniziato in modo molto strano, ma si è concluso nel migliore dei modi. Non passavo un compleanno così bello da anni.» aggiunse, prima di farsi serio. «Sai, dicembre non è un bel mese per noi Tomlinson.»
«E come mai? Insomma, è il mese del tuo compleanno e del Natale.»
«Perché a dicembre di quattro anni fa le condizioni di mia madre si sono aggravate ed è venuta a mancare. Quell'anno non abbiamo festeggiato né il mio compleanno né il Natale perché eravamo tutti distrutti dalla sua scomparsa e dovevamo ancora metabolizzare la sua assenza. Mi alzavo dal letto soltanto per aiutare la nonna a cucinare qualcosa o per vedere come stessero le mie sorelle. Se non fosse stato per Adam e Liam sarei ancora nel mio letto a piangere e a disperarmi.»
«Ma non lo sei, Lou.» disse Harry, stringendo la presa sulle sue mani. «Non importa grazie a chi, come o dopo quanto tempo, l'importante è che tu ti sia rimesso in piedi e che ora il resto della tua famiglia stia bene.»
«Lo abbiamo fatto tutti insieme, ci siamo rialzati e abbiamo festeggiato il mio compleanno e il Natale negli anni seguenti, ma...» esitò per un istante. «...non è più come una volta. Anche se addobbiamo l'albero, se ci divertiamo a cantare le solite canzoni natalizie o se ci scambiamo i regali tra noi. Anche se sorridiamo, sentiamo la mancanza della mamma e di ciò che faceva per noi più di ogni altra cosa.»
«Credo che, ovunque sia ora, Johannah sia felice del fatto che sorridiate tutti e cinque insieme, nonostante tutto. C'era qualcosa in particolare che faceva? Avevate delle tradizioni di famiglia?»
Louis sorrise. «Ha sempre pensato che il mio compleanno non venisse festeggiato abbastanza vista anche la Vigilia di Natale e, fin da bambino, ha ideato una sorta di calendario dell'avvento versione compleanno. Lei lo chiamava "I ventiquattro giorni di Louis".»
«Tua madre era un genio e tu un bambino davvero amato, Lou.» ribatté Harry, accarezzandogli la guancia. «Quindi, ricevevi ventiquattro regali? Io ti avrei invidiato parecchio da bambino!»
«Non erano sempre regali veri e propri da scartare. A volte mi portava allo zoo o in un museo o mi proponeva attività da svolgere insieme a lei e, negli anni successivi, alle mie sorelle. Altre volte erano giocattoli, videogiochi o un pallone da calcio. Altre ancora, invece, erano maglioni, sciarpe o cappelli lavorati a maglia da mia nonna.»
«Come il cappellino blu che mi hai prestato al campo di calcio?»
«Esatto, quello risale a qualche anno fa, quando c'era ancora la mamma. Erano piccole cose, niente di impegnativo, ma aprire qualcosa ogni giorno in vista del mio compleanno mi faceva sentire speciale, anche più del Natale.» disse con un sorriso. «Poi, la mattina del ventiquattro, ci portava in una bakery di Doncaster e ordinavamo la cioccolata calda e una montagna di dolci per colazione. So che non è ortodosso per un bambino o per un salutista come te, ma era il nostro modo di sentirci una famiglia, di sentirci felici.»
«Da quando Johannah è andata via non lo avete più fatto?»
Louis scosse la testa. «Ho chiesto io alle ragazze e alla nonna di non organizzarlo più, senza la mamma non avrebbe avuto più lo stesso sapore.» Fece spallucce. «Quest'anno, però, hanno organizzato a sorpresa un buonissimo brunch a casa e la nonna mi ha fatto spegnere ben ventisei candeline sulla sua famosa torta al cioccolato.»
«Ne sei stato felice?»
Pronunciò un flebile «sì», prima di prendergli il viso tra le mani e avvicinarlo al suo per baciarlo come meritava.
Era quello uno degli aspetti che più apprezzava di Harry, il suo continuo interessarsi alla sua felicità e al suo benessere. Lo baciò con premura, come se in ogni bacio, sospiro o respiro ci fosse un sottile «grazie», come se tra le mani avesse un prezioso tesoro o il fiore più bello. Le loro lingue si intrecciarono languidamente, le loro mani si scoprirono di nuovo abituandosi ancora una volta alle curve dei loro corpi, i loro petti si scontrarono e i loro cuori cominciarono a battere all'unisono. C'erano soltanto loro due in quella stanza e il resto del mondo e delle preoccupazioni fuori.
«Sono molto felice anche ora perché finalmente sono con te.» sospirò, prima di premere le labbra sulle sue e intrecciare le dita ai riccioli che solleticavano la nuca di Harry. «Fammi dimenticare quanto possa essere brutto dicembre, fammelo dimenticare una volta per tutte.»
Harry annuì e assecondò quella preghiera, cullandolo tra le sue braccia e baciandogli il viso, la punta del naso all'insù, le guance, persino le palpebre e, infine, ancora il suo sorriso. Louis non riusciva proprio ad abbandonare quella felicità che sembrava aver acceso ogni lembo del suo corpo, né voleva farlo: lì, con le mani dell'altro che lo spogliavano dolcemente e gli carezzavano il corpo, scoprendolo ancora e ancora, si sentiva felice e al sicuro. Le sue labbra gli percorsero il collo, lasciandogli dei marchi che l'indomani non sarebbero andati via, scesero sul petto e gli stuzzicarono i capezzoli, prima di soffermarsi sul ventre e baciarne la rosa tatuata.
Quella rosa era la parte più intima di sé, quella che gli ricordava sua madre, quella che soltanto in pochi potevano vedere e sfiorare con la punta delle dita o le labbra.
In quel momento, fu felice persino del fatto che fosse Harry e soltanto Harry a farlo. Quest'ultimo la sfiorò con delicatezza e portò l'indice e il medio sulle sue labbra sottili disegnandone il contorno e violandole un istante dopo per lubrificarli. Louis li accolse e li leccò devotamente, perché voleva disperatamente quello che sarebbe successo di lì a poco: mentre le labbra di Harry scendevano con famelicità sul suo sesso e ne succhiavano la punta, le dita bagnate percorsero l'incontro delle sue natiche e si soffermarono più volte sulla sua apertura, prima di penetrarla lentamente e con movimenti circolari. Trattenne il fiato per poi rilasciarlo in un sottile gemito quando lo sentì dentro di lui e intorno a lui.
Con quelle labbra rosse attorno al suo membro, le ciglia lunghe che sfarfallavano per il piacere e gli occhi di un verde brillante, Harry era il connubio perfetto di erotismo ed eleganza, oscenità e ingenuità.
Presto cominciò a muoversi con lui, assecondando gli affondi sul suo sesso e le dita che colpivano il suo punto più sensibile: non c'era più vergogna o imbarazzo, c'erano soltanto il piacere e la necessità di averlo vicino a sé, dentro di sé, intorno a sé. Infilò una mano tra i suoi riccioli castani e lo invitò ad allontanarsi dal suo ventre e a incontrare le sue labbra in un bacio languido. Poi, allacciate le gambe intorno al suo bacino, prese a massaggiare i loro membri insieme e a bearsi dei sospiri e dei gemiti di Harry che si infrangevano sulla sua bocca tra un bacio e l'altro. In quel modo, non impiegarono molto a raggiungere il culmine e a riversarsi l'uno sul ventre dell'altro.
Si guardarono ancora, occhi negli occhi, riconoscendo tra il piacere che li sporcava anche le loro sfumature di verde e di blu e si sorrisero senza alcuna timidezza. Boccheggiarono per alcuni istanti, ancora stravolti da quell'orgasmo che li aveva scossi e da quei sentimenti che entrambi non provavano da tempo. Harry si sistemò al suo fianco, ma non si allontanò da lui neanche per un attimo: lo accolse tra le sue braccia e gli riempì di baci il collo, le clavicole e la spalla, beandosi di quel momento spensierato e delle sue risate sottili.
A quel punto Louis non riuscì a fare a meno di pensare che con Harry al proprio fianco avrebbe potuto persino amare nuovamente il mese di dicembre.
Spero che scoprire qualcosa sul passato di Louis vi abbia incuriosito e che questo capitolo di riconciliazione vi sia piaciuto. Il prossimo sarà pieno di sorprese!
Fatemelo sapere qui con un commento o su Twitter con #isytcst.
A presto,
Lucia
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