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Robinson Crusoe

Robinson Crusoe era il figlio di un mercante di Brema emigrato in Inghilterra, il quale educava severamente il figlio sperando diventasse in futuro un avvocato. 

Ma Robinson era un amante della vita di mare e dei viaggi e un giorno disse:

«Avvocato? Ma io voglio fare un cazzo nella vita e vedere tanta gnocca!»

Così a diciannove anni mandò a farsi benedire il padre e partì con un'imbarcazione, all'avventura.

Forse quel giorno in cui i pirati lo rapirono, in uno dei suoi primi viaggi lungo le coste del Nord Africa, se ne pentì leggermente.

«Ecco, ti pareva. Quando e se il babbo mi rivedrà mi dirà "te l'avevo detto". Gode proprio a rinfacciarmelo ogni volta», disse tra sé e sé.

Dopo aver fatto lo schiavo dei pirati per ben due anni, in Marocco, riuscì a scappare e a incontrare un capitano della marina portoghese, che lo portò con sé in Brasile. Qui, grazie alla sua esperienza nel commercio, essendo figlio di un mercante, prese la guida di una piantagione di canna da zucchero.

Un giorno gli venne una strada idea, forse di canne se ne era fatte troppe, ma non quelle da zucchero, e decise di far soldi con la schiavitù. Così partì verso l'Africa in cerca di uomini da schiavizzare.

Il Signore, meno razzista di lui quel giorno, volle fargli uno scherzo e una terribile tempesta tropicale si abbatté sulla nave che lo stava trasportando. 

Fu l'unico dell'equipaggio a salvarsi e a fatica raggiunse un'isola sperduta nell'oceano, riuscendo a recuperare dell'attrezzatura del relitto. Non si perse d'animo e costruì subito un'abitazione in legno e foglie e iniziò a coltivare i campi, con dei semi casualmente trovati ancora sigillati dentro delle bustine prese al mercato. Trovò anche delle capre selvatiche, che sull'isola abbondavano. 

Ma soprattutto, costruì la cosa più utile alla sua sopravvivenza: una grande croce in legno.

Ebbe infatti un'illuminazione e diede senso alla croce incidendola giorno per giorno a mo' di calendario, per tener conto del passare dei giorni.

Questa fu la prima croce veramente utile della storia.

Dopo dodici anni da solo, leggermente annoiato, si accorse finalmente di altre presenze nell'isola. 

"Ma in una isola così grande, davvero non c'è nessun altro?", pensò quel dì.

Meglio tardi che mai. Così decise di allontanarsi oltre il suo perimetro di cento metri che aveva delineato dodici anni prima e scoprì una tribù di indigeni. Osservandoli si accorse che stavano cucinando, e decise di non disturbarli. 

Magari per loro il pranzo è sacro, non si sa mai. Potrebbero arrabbiarsi.

Ma le urla provenienti dal pentolone col fuoco acceso lo costrinsero a scendere dalla collinetta e a manifestarsi a loro.

Non parlava ovviamente la lingua ma tra gesti e disegni si fece capire, e viceversa li capì.

In pratica questi indigeni non erano cannibali, in principio. Anzi, erano vegani.

Ma la frutta e le piante sull'isola o erano velenose o facevano schifo, e così per non uccidere le povere caprette, che sull'isola, ricordiamolo, abbondavano, si mangiavano tra di loro. 

Facevano la conta ogni pranzo e ogni cena e il povero sfortunato, a malincuore, veniva cucinato vivo.

Si dice che la carne sia migliore in questo modo. Con le aragoste è così. Ed essendo vegani, ogni animale ha la stessa importanza di un uomo, se non di più.

Robinson, che ormai aveva verdura e frutta in eccedenza, propose un patto: 

«Datemi quest'uomo e vi insegnerò a coltivare. Potrete mangiare ogni giorno verdure diverse, e avere una dieta equilibrata e varia, ricca di vitamine e minerali. Le proteine le potete trovare nei legumi. Altri minerali li potete recuperare nei vari semi di canapa, di sesamo, di chia, e non dimentichiamo le radici di curcuma che sono ottime per... ».

«Sì sì amico, taglia corto», gli fece capire a gesti il capo della tribù, muovendo due dita a V come una forbice e sbuffando.

«Bene cominciamo oggi, capo. Vediamo, che giorno è oggi?», domandò poi a se stesso. Si guardò la croce portatile in legno sul polso sinistro ed esclamò: «Oggi è venerdì! Polpette di lenticchie infarinate e succo di carote e limone! Un'insalatina di contorno e... » e gli lanciarono letteralmente l'uomo in braccio, pur di levarseli di torno. Avevano fame.

Consegnata una gran quantità di verdure per cominciare, gli promise che sarebbe venuto l'indomani per iniziare il corso.

«E tu amico mio, come ti chiami?», chiese al suo nuovo compagno.

«Adu bhada waghi sama zaradi kadi... ».

«Ok ok, oggi è il tuo giorno fortunato, quindi ti chiamerò... Venerdì!»

Così gli insegnò l'inglese e a coltivare, e lo fece diventare il suo schiavo personale. Era il suo sogno da sempre quello di aver uno schiavo nero tutto per sé. Persino il conto dei giorni sulla croce gli faceva fare.

Passarono così altri quattordici anni.

Non si accorse mai che gli indigeni avevano creato dall'altra parte dell'isola un villaggio molto frequentato dai mercanti per via della qualità delle verdure e della frutta che proponevano.

Un giorno una grande nave mercantile sbagliò rotta e passò davanti alla zona di isola dove viveva Crusoe, che si fece notare e poi imbarcare insieme a Venerdì.

«Venerdì, siamo salvi! Possiamo tornare alla civiltà!»

«Ci sono vegani anche da voi, Bob?»

«Mah, spero di no».

E così tornò in Brasile dove scoprì che la sua azienda di piantagioni era diventata molto importante e lui si ritrovò ricchissimo.

Vendette tutto e tornò in Europa con Venerdì e una marea di quattrini, e vissero felici e contenti.

A parte Venerdì che da schiavo personale divenne il suo maggiordomo personale.

"Erano meglio i vegani", pensava ogni tanto.

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