26. Esattamente dove dovrei essere
«Ancora non lo avete capito?... Jordan Crow».
Quel nome voleva dire un miliardo di cose e Alexandra non era in grado di tenerle a mente tutte.
Prima di tutto il suo nemico d'infanzia, quell'antipatico di Brandon, era il figlio del suo sequestratore, e Frannie aveva una cotta per lui. Ricordava di aver visto Brandon dopo che lo sceriffo e Clark erano venuti a prenderli all'hangar con le volanti del dipartimento.
Subito dopo essere usciti dall'ufficio dello sceriffo i ragazzi erano stati trascinati in ospedale mentre lo sceriffo sbrigava alcune pratiche per il mandato d'arresto di Jordan Crows.
La verità era stata sviscerata e Alex sperava che ciò bastasse a garantirle un po' di serenità.
Ora un gran gruppo di persone affollava la sala d'attesa dell'ambulatorio dell'ospedale. Il dottor Dixon aveva fatto accomodare i ragazzi uno alla volta per una visita e una diagnosi immediata. Dai risultati delle lastre era stata evidenziata una brutta slogatura al polso sinistro di Kyle, mentre Miwa era in attesa di notizie riguardo alle sue reazioni allergiche. Christian fortunatamente non aveva danni troppo gravi: si limitavano a qualche ferita sanguinante che era stata meticolosamente medicata da un'infermiera.
Alex era in una stanza interamente bianca che odorava di disinfettante e altre sostanze chimiche che gli conferivano il tipico odore da ospedale. Era distesa a pancia in giù mentre il dottor Dixon era in piedi accanto a lei intento ad esaminare la ferita. Era un uomo sulla quarantina, altro e con dei riccioluti capelli neri. Aveva un camice azzurro e sopra indossava il camicione bianco con ricamato in verde scuro il nome del "Copland Memorial Hospital" di Marble Hills. Era l'ospedale della contea, secondo per grandezza solo al "Green Valley Hospital".
La ragazza era invasa dalla sensazione di bruciore che si irradiava dalla spalla quasi in tutto il corpo. Non poteva vederla ma era certa che non avesse un bell'aspetto. Ogni tanto sentiva i mormorii del medico ma non era in grado di decifrarli.
«È messa così male... la ferita?», domandò la ragazza prendendo coraggio.
Il dottor Dixon esitò prima di parlare: «Sono tre tagli particolarmente profondi. Quel bendaggio ti ha evitato il dissanguamento, ha senza dubbio rallentato e bloccato l'emorragia. Ma non credo fossero garze sterili o quantomeno pulite. Le ferite hanno fatto infezione e io sarei del parere di operare e pulire».
Alex capì tutto perfettamente. Mettere quelle bende era stata la cosa migliore che avevano potuto fare in quel momento ma non era stata la migliore dal punto di vista sanitario.
Il dottor Dixon uscì dalla stanza per andare ad informare i genitori e Alexandra rimase sola. La avevano tenuta separata dai suoi compagni proprio perché già temevano che avrebbe avuto un'infezione e che l'avrebbero spedita subito in sala operatoria. Il dottore le aveva detto di spogliarsi e indossare il camice dell'ospedale bianco a quadretti azzurri.
«Capisco dottore - disse la madre di Alexandra - ma possiamo vederla prima dell'intervento?».
«Ma certo signora, avete tutto il tempo. Io devo firmare un paio di scartoffie e riferire tutto al primario di chirurgia», rispose il dottore un attimo prima di voltarsi e sparire tra un corridoio e l'altro.
La madre di Christian, Cora Saintclaire, era infermiera in quell'ospedale, e, anche se non lavorava da quando su figlio era sparito insieme agli altri, cercava in tutti i modi di poter essere d'aiuto.
I genitori della ragazza si recarono nella stanza distogliendola dai suoi pensieri. Alexandra si era infilata il camice con fatica a causa del ritornato bruciore alla ferita.
«Tesoro, andrà tutto bene», disse la madre accarezzandole la guancia.
«Lo so mamma, non ho paura», rispose lei; forse inconsciamente sapeva che in realtà la madre non si riferiva solo all'imminente operazione.
«Devono solo pulire a fondo le ferite, non mi devo esporre a grandi rischi», fece Alex per tranquillizzare la madre.
"A quelli sono già stata esposta", pensò ma si trattenne dal pronunciare quelle parole.
«Ti fa molto male?», domandò il padre.
La giovane spostò gli occhi su di lui e rispose: «Abbastanza. È come avere un buco nella pelle che va a fuoco».
«Come... come è successo?», chiese la donna lentamente.
«Mamma, siamo stati attaccati da un orso. Ho provato a sparare ma ero troppo vicina e...», non riuscì a finire la frase che venne interrotta dal tono preoccupato della madre.
«Un orso? Oh mio dio! E cos'è questa storia che gli hai sparato, tesoro, cosa stai dicendo?».
La donna si coprì la bocca con le mani.
«Ne avremo di tempo per parlare, mamma non ti preoccupare. Quello che stavo dicendo è che non ce l'avrei mai fatta senza i miei amici», concluse la ragazza.
Vide un piccolo sorriso di comprensione farsi spazio sulle labbra del padre. La famiglia riunita in quella stanza si abbracciò facendo attenzione alle ferite della figlia. Per Alexandra, mentre si trovava tra le braccia dei suoi genitori, il dolore delle ferite si faceva sopportabile, aveva un senso, lo definiva un male necessario che aveva permesso a lei e i suoi amici di tornare a casa sani e salvi.
Pochi istanti dopo Christian si precipitò nella stanza affannato dopo la corsa. Garrett Correll sciolse l'abbraccio e lo guardò con aria interrogativa.
«Il dottore non voleva dirci come stavi perché non siamo tuoi familiari ma sono riuscito comunque a sapere qualcosa», fece il ragazzo ricominciando a respirare.
La giovane lo guardò sorridendo e dopo una frazione di secondo anche Kyle e Miwa furono presenti davanti a lei.
«Davvero ti operano?», chiede Kyle e Alex annuì.
«Voi come state?», domandò e i tre si scambiarono un'occhiata.
Miwa rispose: «Esattamente come vedi».
«Ragazzi non credo sia il caso di stare qui: tra poco la porteranno in sala operatoria. Non dovreste nemmeno essere entrati», disse il padre della ragazza incoraggiando i ragazzi ad uscire.
«Con tutto il rispetto signore, Alexandra ha salvato la vita di tutti noi. Siamo un gruppo adesso, una squadra. Proprio per questo sono convinto di essere esattamente dove dovrei essere. Senza di lei noi non saremmo qui perciò non la lasciamo da sola adesso», disse Christian e tutti i presenti si stupirono delle sue parole.
Fino a una settimana prima i quattro ragazzi si ignoravano e ora si definivano una squadra. Alex meditò a lungo su quelle parole: erano davvero così uniti, una banda di amici, alleati. Si considerava davvero fortunata ad averli incontrati anche se avrebbe sperato in circostanze migliori. Tuttavia non avrebbero mai legato fino a quel punto se non fosse stato per la loro poco gradita permanenza nella Oak Forest.
Pensò agli accadimenti di venticinque anni prima e si disse che se quella, per i loro genitori, era stata la fine, per loro era l'inizio di una grande amicizia.
Il dottor Dixon tornò per accompagnare la ragazza in sala operatoria, dove sarebbe stato presente anche lui. Insieme ad un'altra dottoressa, spinse il lettino lungo il corridoio e Alexandra si sentì seccata nel non poter percorrere quella distanza a piedi. La sua famiglia e i suoi amici erano rimasi dietro di lei. Avrebbero aspettato con il cuore in gola finché non l'avrebbero vista uscire. Sapevano tutti che non era un intervento rischioso ma l'effetto dell'ospedale è questo per tutti.
Prima di entrare in sala operatoria, Alex venne portata in un'ampia stanza che i medici avevano definito fase preoperatoria. Si trattava di una stanza grande quasi come un'aula scolastica. C'erano sei posti letto corniciati da tende azzurre. C'era più gente di quanto si aspettasse: anestesisti, infermieri di sala, il chirurgo e altri medici che avrebbero potuto essere gli specializzandi di turno. C'erano innumerevoli oggetti e strumenti di cui ignorava l'utilità ma non poté fare a meno di guardarsi intorno.
La ragazza venne aiutata a sistemarsi su un secondo lettino di colore nero. Alexandra, distesa a pancia sotto non aveva più la possibilità di osservare scrupolosamente l'ambiente attorno a sé.
Due infermiere si avvicinarono, le misurarono la pressione e inserirono la flebo. La ragazza ebbe modo di constatare che, il fatto che i medici parlassero degli affari loro durante il lavoro, come aveva visto nei film per televisione, fosse vero.
Successivamente fu il turno dell'anestesista che, dopo aver delicatamente liberato la spalla dal camice chirurgico e aver disinfettato la zona, parlò alla ragazza con tono sereno.
«Ciao Alexandra», disse l'uomo spingendola a guardarlo negli occhi.
Era un uomo piuttosto basso e, all'apparenza, il più vecchio di tutti. Pareva il classico nonno che, ogni anno, si traveste da Babbo Natale per i bambini del quartiere.
«Andrà tutto bene, non ti preoccupare. Sentirai un leggero pizzicore, ma è indispensabile che tu stia ferma. Se ti va, appena senti di perdere sensibilità alla spalla e al braccio, puoi contare alla rovescia da dieci: aiuterà a tranquillizzarti».
Alexandra si concentrò sul proprio corpo cercando di percepire ogni singolo movimento, volontario e involontario, e ogni variazione di pressione dovuta ad agenti esterni.
«Ok», disse senza nemmeno accorgersi che l'iniezione era appena stata fatta.
L'anestesia locale avrebbe agito in fretta e la sensazione di fastidio la stava gradualmente abbandonando. Trascorsero diversi e interminabili minuti prima che la ragazza iniziasse a avvertire la sua spalla pesante. Istintivamente fece il tentativo di muoverla. La sensazione di non avere il controllo sul proprio corpo la fece agitare.
«Dieci», pronunciò in un sussurro, tanto che si domandò se qualcuno l'avesse sentita.
«Nove».
I dottori si prepararono intorno a lei; si infilarono i camici e indossarono guanti e mascherine chirurgiche. Avevano tutti una cuffietta in testa; alcune erano colorate altre avevano il colore di base dell'ospedale.
«Otto», due infermieri si accinsero a spostare il suo lettino.
Accompagnata dai medici, uscì dalla stanza preoperatoria ed entrò nella sala vera e propria. Era un ambiente spoglio, adornato unicamente di macchinari di svariate dimensioni e forme e carrelli chirurgici. Le pareti erano di un grigio spento e un grosso spazio vuoto dominava la sala. Il suo lettino si incastrò proprio lì. Sul soffitto il metallo rifletteva la luce di una grossa lampada, la quale illuminava con arroganza ogni superficie nella stanza.
«Sette», Alex sbatté lentamente le palpebre: sentiva il suo corpo sempre più gravoso.
Strizzò le palpebre tanto forte da poter vedere solo il buio, escludendo anche quella luce chirurgica. Quando i suoi occhi tornarono ad osservare la realtà, la situazione davanti a sé era molto diversa. Era tetra, buia, di uno strano e raccapricciante colore verde scuro, così scuro che era quasi irriconoscibile.
«Sei».
La ragazza cercò di capire se si fosse erroneamente addormentata per caso. Si rese conto di essere ancora sveglia ma non si spiegò il motivo di tale scherzo da parte del suo cervello. Tutto intorno a lei era oscurità e tronchi oscuri intrisi di buio.
«Cinque».
Concentrò la sua attenzione su un medico chino sul carrello chirurgico che le dava le spalle. Era proprio accanto a lei, l'unico che poteva vedere solamente girando la testa. Non appena si girò la giovane si accorse che era senza abbigliamento medico ed era invece vestito di scuro.
«Quattro», Alex vide i suoi occhi.
Erano rossi. Un rosso accesso e brillante, ma allo stesso tempo tenebroso. Spaventoso. E, come quelli dell'orso nel suo sogno, brillavano come lampioni nella notte. Il medico era senza mascherina. Ciò le permise di vedere zanne sporgenti al posto dei denti. Sembrava un essere metà orso e metà umano. Mostruoso. Quegli occhi rosso vivo la fissavano e l'essere si avvicinava lentamente.
«Tre».
Era sempre più vicino ma la ragazza non aveva la forza di muoversi. Ebbe ragione di credere che il suo battito stesse accelerando. Un dolore lancinante le attanagliò la spalla. Che fosse unicamente frutto della sua immaginazione? Strizzò ripetutamente gli occhi nel tentativo di scacciare quella visione, quell'incubo tremendo. L'unica cosa che sembrava essere in grado di fare era enunciare sistematicamente quei numeri dal dieci allo zero.
«Due».
Alex chiuse di nuovo gli occhi.
Finalmente l'anestesia completò il suo effetto e il dolore svani.
Spazio autrice 🪐
Spero che ora per colpa mia non vi venga improvvisamente l'incubo dell'anestesia. Io di mio ho già quello della spinale. 😂
Scherzi a parte, mi sono divertita a scrivere questo capitolo e sono andata di fantasia per quando riguarda il conto alla rovescia in sala operatoria.
Che ve ne pare invece del discorso di Christian? Immaginavate che i quattro avrebbero legato così tanto?
Cosa accadrà quando Alex si sveglierà dall'anestesia? Sarà tutto da vedere!
A presto con il capitolo 27
Emma 💙
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro