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16. La sosta

Si erano rimessi in marcia senza perdere ulteriormente tempo.

Ora che avevano superato il burrone si domandavano se ci sarebbe stato un viaggio di ritorno e se avessero dovuto affrontarlo di nuovo.

Kyle e Miwa, muniti di guida cartacea, camminavano l'uno accanto all'altra cercando di decifrare la calligrafia disordinata del loro defunto amico cacciatore.

Miwa aveva approfittato della corda che aveva usato come imbragatura per fissarsi la katana in vita.
Lei, come Christian, aveva ritenuto opportuno portarsi via un'arma non perché ritenesse che ce ne sarebbe stato bisogna ma perché ciò la faceva sentire più sicura, inoltre la katana tagliava sicuramente meglio dei coltellini che avevano recuperato nel rifugio.

Alexandra e Christian camminavano appena dietro di loro osservando i loro movimenti. Alex aveva fissato a lungo la spada curva legata alla vita di Nicole, la quale, secondo lei, sembrava vestita per il carnevale.

«Sai Alexandra, ti ammiro molto per quello che hai fatto prima per Miwa», disse all'improvviso Christian con un tono di voce che solo la ragazza poté sentire.

Alex spostò lo sguardo fino ad incontrare i suoi occhi verde scuro.

«Io non avrei saputo fare di meglio», continuò.

«Ecco perché ho parlato io», disse Alex ironica con un sorriso sulle labbra.

Ma la verità era che non sapeva cosa dire né tantomeno sapeva da dove le fossero uscite quelle parole.

«Lo sai... non ti ho mai considerato tanto come persona, senza offesa, principalmente per il fatto che non ti conoscevo se non di vista. Solo ora sto iniziando a capirti di più», disse Christian per far sì che la conversazione non morisse lì ma successivamente sembrò pentirsi delle sue affermazioni.

Alexandra era confusa, sapeva di essere considerata una persona introversa quando invece non lo era; d'altronde per lei era sempre stato più semplice socializzare con le persone che la conoscevano meglio.

«Anche io ho capito che non siete come pensavo che foste», rispose tenendo lo sguardo fisso sui due che camminavano davanti a loro.

«E come pensavi che fossi?», chiese Christian con un misto di curiosità e sfida nella voce.

La conversazione stava prendendo una piega strana e alla ragazza sembrava di essere immersa in una partita di "obbligo o verità" delle medie.

«Non lo so, mi sembravi molto più insignificante a dire il vero», fece Alex scherzosa.

Di risposta Christian si lasciò sfuggire una lieve risata.

«Come hai detto tu: non pensavo che valessi tanto», aggiunse la ragazza.

«Le persone possono sempre stupirti», fece il moro con il tono di chi ha sentito pronunciare quella frase centinaia e centinaia di volte.

Tra una grossa radice e l'altra Alexandra inciampò finendo con la faccia per terra.

Ogni tanto le capitava di fare cadute imbarazzanti, specialmente quando si distraeva con qualcos'altro.

«Alexandra, tutto bene?», le chiese Christian aiutandola a rimettersi in piedi.

Dopo aver verificato che la ragazza fosse tutta intera, un sorriso scherzoso si incurvò sulle sue labbra.

«Sto bene», disse la ragazza rimettendosi agilmente in piedi e cercando di ripulirsi i vestiti dalla terra, con le mani tutte sporche di terriccio.

I due camminarono scavalcando gli ostacoli e tenendo gli occhi fissi sul terreno. Alexandra si sentiva seguita dal moro e questa cosa la innervosiva ma non ci diede troppo peso.

«Cosa pensi che faremo dopo? Cioè... se sopravviviamo... che cosa faremo?», chiese Christian anche se si immaginava già qualcosa.

«Non ne ho idea. Ma usciremo di qui, sulla mia parola», fece Alex scavalcando un masso piuttosto grande.

«Oh ora che abbiamo la tua parola suppongo che siamo salvi», scherzò lui ma l'insinuazione infastidì leggermente Alex.

«Non faccio mai promesse che non posso mantenere. Ma prometto che ce la metterò tutta, come voi».

***

I quattro camminavano ormai quasi da un'ora quando Kyle si bloccò all'istante lamentandosi a bassa voce.

«Io muoio di fame».

Miwa stava iniziando a farsi prendere dall'ansia tanto che gli altri tre riuscivano a percepirlo.

Alexandra cercava di mantenere il suo sangue freddo ma non aveva la ben che minima voglia di procedere a stomaco vuoto.
Non mangiavano niente da giorni e i crampi si facevano sempre più forti.
Erano arrivati al punto in cui avrebbero scuoiato la pelle da un animale morto pur di mangiare qualcosa.

Si sentivano dei cavernicoli ma ciò non era motivo di imbarazzo tra di loro poiché ormai la sopravvivenza era il loro unico obiettivo.

Alex li aveva convinti a non arrendersi e fino a quel momento ci erano riusciti abbastanza bene.

«Ragazzi! RAGAZZI! - esclamò all'improvviso Kyle spezzando il vuoto che si era creato - ragazzi, ditemi che quello non è un miraggio!».

Il ragazzo si mosse velocemente tra gli alberi senza aspettare alcun cenno dai compagni. I restanti tre si guardarono un istante ed esitarono prima di seguirlo tra la vegetazione.

Forse aveva visto qualcosa ma ciò non spiegava il suo grido improvviso che aveva fatto spaventare alcuni di loro. Si affrettarono a seguirlo alla svelta prima che si perdesse.

Kyle era arrivato in una piccola radura, così piccola che sembrava essere stata disegnata a mano. Il ragazzo informò che non ce n'era traccia nel taccuino.

Quel piccolo spiazzo era interamente circondato da cespugli, cespugli su cui crescevano dei frutti scuri dall'aspetto di un conglomerato di sferette.

Il cespuglio, però, era protetto da spine dall'aspetto molto appuntito.

«More selvatiche?», chiese Alex incerta.

Ce n'erano in abbondanza, sembrava che nessun animale si fosse mai accorto della presenza di questi frutti o più probabilmente non si erano avvicinati per via delle spine.

«Ragazzi la fortuna è dalla nostra parte: questo è il periodo in cui maturano», disse Miwa con gli occhi pieni di gioia.

A confermare la sua esclamazione erano le diverse api e insetti che vi giravano intorno inebriati del profumo delle more mature.

«Questo vuol dire che non dovremo squartare animali, almeno non per ora», fece Christian sollevato.

Nel giro di un secondo i ragazzi mollarono la borsa e le armi a terra e si fiondarono sui cespugli. Non avevano l'accortezza di prestare attenzione ai graffi che gli procuravano le spine poiché la fame non gli faceva sentire né bruciore né dolore.

Le more erano dolci ma alcune avevano ancora un retrogusto acidulo.
Appena i ragazzi se le infilarono in bocca si sentirono come non si sentivano da giorni. Mangiarono more finché non ebbero paura di scoppiare. Così dolci e così piacevoli ripagavano i giovani di tutti i loro sforzi, che erano stati necessari per giungere fino a lì, a tutto quel ben di dio.

Dopo una bella scorpacciata di more, quando l'imbrunire era ormai prossimo, Alexandra ebbe il buon senso di far capire ai compagni che esistevano ancora nel mondo reale: «Ragazzi direi che possiamo anche riposarci qui per questa sera... rifocillarci e sperare di trovare un'uscita domani al più presto: non mi va di procedere al buio».

L'assenza di inquinamento luminoso all'interno della riserva rendeva il buio ancora più buio di quanto i quattro lo avessero mai visto.

Tutti furono subito d'accordo e si sistemarono esausti appoggiandosi a tronchi e grossi massi. Nel cielo erano già visibili le stelle ma per Alexandra non sapere con precisione che ora fosse era realmente snervante.

«Solo io penso all'uomo con la cicatrice da quando ci siamo svegliati qui? Mi domando continuamente chi sia eppure mi era sembrato così familiare», esclamò Kyle per far nascere una conversazione.

«Chiunque sia quel corvo del malaugurio giuro che gliela farò pagare appena usciremo da qui, perciò gli conviene non farsi trovare.», disse Christian serrando i pungi per la rabbia.

Nessuno disse nulla riguardo la sua promessa di vendetta ma se questo gli dava un motivo in più per sopravvivere andava bene.

I quattro parlarono del più e del meno finché il cielo non accennò a farsi scuro.

Per i quattro, quella era stata la serata più bella, il momento più bello che avevano condiviso e quasi erano certi di potersi chiamare "amici", non quegli amici con cui non hai nulla il comune ma quelli che ci sono adesso e ci saranno anche domani.
Da quel momento sentivano di potersi fidare l'uno dell'altro completamente, nessuno avrebbe lasciato indietro nessuno.

Le chiacchiere e le risate avevano provocato in loro una certa nostalgia di casa e della loro vita normale, la paura di rimanere intrappolati si mescolava al forte desiderio di tornare a casa a tutti i costi.

«Ehi amico, posso vedere il tuo fucile?».

La richiesta di Kyle ruppe il silenzio che si era formato tanto velocemente tra i ragazzi. Christian acconsentì e liberò l'arma dalla corda stretta alla vita.

«Wow, ho sempre desiderato di tenerne in mano una».

Kyle se la girò tra le mani osservandone ogni singolo dettaglio.

«Sembra di stare in un film, beh in tutti i sensi - sospirò - quanto vecchia credi che sia?».

«Non ne ho minimamente idea ma sicuramente non è moderna, i cani esterni mi sembrano piuttosto arrugginiti», rispose Christian indicando l'arma.

«È incredibile che siamo riusciti a trovare queste armi, per non parlare del rifugio del cacciatore», continuò Kyle.

«Personalmente sono maggiormente grata al cielo per quelle buonissime more selvatiche», ribadì Alex.

«E dobbiamo solo che ringraziare te perché se non ci avessi convinto a superare quel ponte da brivido ora probabilmente staremmo morendo di fame chissà dove nella foresta», disse il moro.

«O potremmo essere ancora al sicuro nel rifugio, dove probabilmente ci avrebbero già trovati», ribatté Miwa sgarbatamente.

«Lo sai benissimo che se fossimo rimasti lì non ci avrebbero mai e poi mai trovati».

Christian anticipò Alexandra sul tempo evitandole di cercare il modo più consono e meno scortese per risponderle.

«Hai ragione, scusami. Sono ancora molto nervosa».

"Miwa che si scusa? Non me la bevo", pensò Alex.

Quanto ancora avrebbero dovuto aspettare prima di essere trovati? Quella ormai era una domanda ricorrente che tormentava i ragazzi da giorni ad ogni ora del dì. Tuttavia, la paura di essere perduti, si era affievolita e i quattro erano convinti che quell'incubo sarebbe presto finito, una convinzione che arrivava dalla speranza.

Kyle sbadigliò e osservò ancora l'arma tra le sue mani prima di riconsegnarla alcompagno.

«Devi insegnarmi come si fa, amico», esclamò con occhi sognanti.

«Non ti facevo amante delle armi», rispose Christian con tono stupito.

«Di mio non lo sono ma amo tutti quei film d'azione, pieni di sparatorie e lotte».

Kyle puntò l'arma al cielo e avvicinò le dita al grilletto. Imbracciò il fucile appoggiandone la parte posteriore in prossimità della spalla.

Fece finta di sparare, mimando il contraccolpo con un movimento del gomito. Sì sentì proprio come in uno di quei film, che Miwa tanto detestava, con lampi rossi, gialli e verdi e proiettili rallentati in stile Matrix.

Ma qualcosa andò storto.

Dal centro del fucile, lungo tutta la canna, si propagò un frastuono insopportabile e un grosso botto seguì il colpo.

Miwa urlò per lo spavento.

In una fazione di secondo una fantasticheria si trasformò in un incubo terribile.

Kyle aveva sparato davvero.

Dentro la canna c'era una cartuccia carica che era esplosa lasciando cadere a terra il bossolo vuoto.

Il cuore di tutti e quattro si fermò.

Lo sparo aveva certamente attirato l'attenzione su di loro. E percepirono che qualcosa di grosso nella foresta si stava muovendo nelle vicinanze.

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