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12. Rifugio

I ragazzi non avevano parole.

A bloccare la porta dall'interno era una trave di legno, probabilmente marcio, inserita in un chiavistello che ora giaceva a terra insieme alle viti tutte storte che il moro aveva sfondato.

In quel momento Alex ringraziò il fisico super palestrato di Christian poi però si chiese come potesse essere possibile che la porta fosse bloccata da dentro se all'interno non c'era nessuno.

"Ci sarà un modo per farlo anche da fuori, forse una serratura indipendente dal chiavistello e decisamente più moderna", pensò.

Rimasero tutti a bocca aperta davanti a ciò che vedevano e, per un momento, sembrò quasi che tutti stessero aspettando che qualcuno parlasse.

«Sono... armi», esclamò Alex con un misto di incredulità e stupore nella voce.

Volgevano le spalle alla porta e davanti a loro un tavolino con diversi oggetti sopra e due sedie di legno occupavano metà dello spazio. Dietro al tavolo di legno c'era una branda che avrebbe potuto accogliere al massimo due persone. Accanto alla branda delle mensole, anche quelle in legno, mettevano in mostra diversi tipi di armi da caccia come fucili e altre che Alex non riuscì a riconoscere. Gli scaffali più alti invece erano colmi di corde di vario genere dall'aspetto molto resistente, c'era inoltre un'ascia, vecchi indumenti come camicioni e gilet logori e una manciata di fiaschette per contenere presumibilmente del whisky o altri alcolici.

A destra e a sinistra della porta, lungo le pareti una grande quantità di altre armi copriva quasi interamente i muri. C'erano balestre, frecce, proiettili di tutte le dimensioni e forme, fucili di diverso tipo e altre armi simili a pistole.

Il pavimento era in pietra ma nonostante i quattro avessero involontariamente tirato dentro acqua non era comunque scivoloso.

«Wow, questo sì che non ce lo aspettavamo», commentò Kyle guardandosi intorno.

«Credo sia un vecchio rifugio di cacciatori», disse Christian perlustrando la stanza con gli occhi.

«Siamo già stati fortunati a trovare un riparo», osservò Miwa.

Alexandra non disse nulla, era intenta ad osservare nei minimi dettagli tutto ciò che i suoi occhi vedevano.

«Credete che finita la tempesta potremmo andare a caccia? Io muoio di fame», disse Kyle.

Gli altri tre non sembrarono molto propensi ad acconsentire.

Non appena finì di parlare una forte folata di vento colpì impetuosamente il rifugio facendo spalancare la porta. Kyle e Christian si precipitarono a chiuderla lanciandosi di peso contro di essa. La tempesta batteva sulla porta e fu difficile per i due ragazzi impedire che si spalancasse completamente.

«Miwa! Prendi quella sedia», urlò Alex affrettandosi a tirare giù una grossa e pesante cassetta di legno.

Era così pesante che quasi le ricadde sui piedi ma con un movimento goffo riuscì a depositarla indelicatamente sulla sedia che ora bloccava la porta.

«Quella non basterà», disse Christian spostandosi per sfilare dagli scaffali un'altra cassetta e impilarla sulla sedia.

«Credo che così dovrebbe tenere», affermò il ragazzo dopo aver posizionato la seconda cassa di legno sicuramente più pesante della prima.

Successivamente i ragazzi tornarono a guardarsi intorno.

Kyle e Miwa approfittarono della branda per rilassarsi.

Erano ancora tutti bagnati e stremati ma la curiosità generata da quel luogo era più forte di qualsiasi altra sensazione provassero.

Alexandra si avvicinò al tavolo scuro. Afferrò la sedia rimasta e vi si sedette a cavalcioni poggiando i gomiti sullo schienale davanti a lei.

Sul tavolo di fronte a lei c'erano diversi oggetti. Alcuni erano coperti di polvere mentre su altri erano chiaramente visibili segni e strisci di dita. Alcuni segni apparivano più vecchi di altri e lì la polvere aveva già ricominciato a riformarsi.

Uno strano ciondolo di metallo sporco catturò la sua attenzione. La forma del ciondolo era quella di un simbolo che aveva visto su un libro di mitologia celtica: la quercia.
Appariva come un'asta verticale intersecata da due semicerchi: uno rivolto verso il basso e uno verso l'alto.
Secondo diverse culture rappresentava il sacro albero che per i celti era la quercia.

Sulla tavola c'erano moltissimi proiettili, punte di freccia e bossoli. Su alcuni di questi, ma non su tutti, era inciso lo stesso simbolo del ciondolo.

Ad Alexandra la cosa parve strana poiché non aveva mai visto proiettili o punte di frecce incise.

Quando aveva undici anni aveva partecipato a corsi estivi di tiro con l'arco ma una volta iniziato il liceo aveva smesso semplicemente perché non le interessava più.

Tra gli altri oggetti c'era anche una grossa chiave di metallo annerito e la ragazza capì che si trattava di quella per aprire e chiudere la porta dall'esterno; era evidente che ne esistessero delle copie.

Alla sua destra notò un taccuino con la copertina di pelle legata ad una penna stilografica dall'aspetto piuttosto vecchio. Alex aprì il libricino e cercò di leggere la grafia disordinata del proprietario.

«Che sono?», domandò Kyle che ancora stava seduto accanto a Miwa.

«Solo... appunti di caccia», rispose lei con disinvoltura.

Il ragazzo si alzò per recuperare il libricino dalle mani di Alexandra, poi tornò a sedersi curiosando tra le pagine polverose nel tentativo di capirci qualcosa.

La ragazza si rimise a confrontare i bossoli e i proiettili analizzando l'incisione della quercia stilizzata.

Senza che nessuno la vedesse si infilò in tasca il ciondolo mezzo arrugginito riportante il simbolo dell'albero: se mai fossero riusciti ad uscire di lì lo avrebbe fatto pulire e avrebbe fatto delle ricerche molto più approfondite su quel simbolo.

«Ragazzi – chiamò all'improvviso il moro rompendo il silenzio. Aveva continuato a camminare avanti e indietro dinnanzi agli scaffali – credo che sia il proprietario».

Christian reggeva in mano una piccola cornicetta di legno chiaro contenente una foto in bianco e nero. Il vetrino era impolverato, ci soffiò sopra per pulirlo ma ottenne solo qualche colpo di tosse. La foto in bianco e nero ritraeva una coppia sorridente. Lui era vestito da cacciatore con un fucile a tracolla. Lei invece aveva i lineamenti tipici giapponesi, indossava un lungo vestito a fiori chiari e scuri. La donna teneva con una mano una specie di spada ricurva mentre con l'altra cingeva il marito. Si poteva dedurre che fossero sposati dalla presenza degli anelli sui loro anulari sinistri.

«Credete che questo luogo appartenga a lui?», domandò Christian.

«Secondo voi possiamo stare?», aggiunse Miwa chinandosi sulla fotografia.

«Sì e credo anche che siano entrambi morti quindi non gli dispiacerà se ci ripariamo qui. Ma se ti va puoi sempre andare a chiederglielo», fece Christian piegando la testa e guardando Miwa negli occhi.

«Tu proprio non riesci a fare a meno del tuo sarcasmo eh», commentò Alexandra a bassa voce con un sorrisetto divertito sulla bocca.

Il ragazzo ripose la fotografia sullo scaffale e spostò lo sguardo altrove.

«È strano non trovate?», disse Christian.

«Che cosa?», fece Kyle senza smettere di girare le pagine del vecchio taccuino.

«Prima di tutto con la quantità di materiale qui dentro si potrebbero armare quasi una quarantina di persone e poi alcune delle armi non sono neanche così vecchie. Ricordate il sentiero? Quello non può essere in quelle condizioni da vent'anni: è scientificamente impossibile», spiegò.

Alexandra si spostò verso la parete accanto alla branda e ne estrasse una torcia elettrica.

«Dici?», fece ironica.

«Io dico che non siamo i primi ad aver trovato questo posto», chiarì subito dopo.

«Ma la chiave è sul tavolo e ce n'è una sola», ribatté Miwa indicandola.

«Forse qualcuno ha fatto una copia», disse Alex come aveva già ipotizzato ma in fondo a nessuno dei presenti interessava saperlo in quel momento.

Nel frattempo fuori la pioggia batteva ancora ma con meno violenza, segno che il temporale si stava calmando e presto sarebbe finito.

Poco dopo uno strano rumore metallico giunse alle orecchie di tutti, che si girarono per individuare l'origine del suono. Per lo stupore Alexandra si alzò di scatto dalla sedia su cui era tornata a sedersi.

Miwa stringeva tra le mani una grande spada ricurva, la stessa che appariva nella foto. L'aveva sfilata da una fessura presente tra due scaffali accostati. La impugnava con entrambe le mani e la guardava come se le ricordasse qualcosa.

Miwa si avvicinò alla cornice contenete la fotografia e confrontò la lama che aveva in mano con quella raffigurata: era la stessa.

«Questa è la tipica katana giapponese. Ora, non vorrei cavarvi un occhio ma sono curiosa di sapere se so maneggiarla ancora», disse con un'insolita delicatezza nella voce.

Alexandra stava per parlare ma Christian la interruppe: «Ma fino a ieri non eri coreana?», domandò.

Miwa lo guardò come se avesse appena posto la domanda più stupida del mondo.

«Ma certo che sono coreana – disse ricominciando a fare la smorfiosa tanto che Alex alzò gli occhi al cielo – mia madre è giapponese e così anche mio nonno. È per questo che ho il cognome di mia madre: è un usanza giapponese. Si sono trasferiti in corea quando mia madre aveva la mia età e pochi anni prima della mia nascita arrivarono in America. Quando ero piccola, mio nonno, mi riempiva la testa con i proverbi giapponesi e quando diventai più grande mi insegnò a maneggiare la katana, anche se quella che usavo era di legno», spiegò.

Nessuno dei presenti se lo sarebbe mai aspettato. Chi lo avrebbe mai detto che Miwa sapesse usare una spada?

«Perdona la mia ignoranza ma che differenza c'è tra la katana e la spada samurai?», chiese Alexandra osservando la compagna.

«La spada samurai è dritta mente questa è ricurva, vedi?», disse spostandosi leggermente e inclinando la lama di profilo.

La tempesta volgeva al termine tanto che i ragazzi sentivano il tempo sempre più calmo. Nel giro di poco sarebbero potuti uscire e concentrarsi sul da farsi.

«Ehi!– chiamò improvvisamente Christian con voce strana – questo non è un fucile da caccia. È un AK-47, ne riconosco uno quando lo vedo ed è un fucile d'assalto neanche troppo vecchio».

Il ragazzo teneva con due mani un grosso fucile dall'ariapesante e aveva un'espressione confusa. Alex cercò di capire se fosse l'unico pezzo o ce ne fossero altri ma a quanto pareva era un pesce fuor d'acqua, l'unica arma d'assalto tra una moltitudine di armi da caccia.  

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