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44 • RITORNO A CASA

Spengo il motore dell'auto e sblocco le portiere.

«Scendi tesoro, siamo arrivati.»

«Ma tu non vieni?»

«Mamma deve tornare da Doms e da Santos.»

«E perché?»

«Dai Pier, non fare storie, scendi e basta.» Dico, stanca e svogliata.

Lui mi abbraccia da dietro, poi sbuffa e scende dalla macchina.

Con un nodo in gola lo guardo percorrere il vialetto, col suo zaino in spalla.

Fingo che sia appena tornato da scuola. Una merenda dai nonni. Ma non serve a niente.

Vedo mamma scostare le tendine della finestra. La luce dell'alba bagna il suo volto di una luce sinistra.

Vorrei scorgere un po' di malinconia nei suoi occhi, ma quando i nostri sguardi si incrociano, la sua indifferenza mi prende a schiaffi.

Mi ha vista nascere, crescere, e senza battere ciglio, morire.

Mi volto e rimetto in moto la macchina, Pier è appena entrato. Ma quando sto per ripartire qualcuno bussa al mio finestrino, spaventandomi.

È mia sorella. O meglio, colei che un tempo lo era.

Controvoglia pigio il pulsante e apro uno spiraglio. Non so nemmeno io perché lo faccio.

 «Stella, dovresti tornare a casa!»

Schiena ricurva, mani appoggiate al finestrino. Mi fissa negli occhi fingendosi preoccupata. Alle dita ha tutti quegli anelli d'oro che le ha regalato Francesco. Certi pensieri mi fanno salire la nausea.

«Stella, ti prego!» Insiste.

«E perché dovrei?»

«Francesco è furioso, temo che farà qualche cazzata!»

«Lo temi, o lo sai?»

Premo l'acceleratore a vuoto, facendo rombare il motore, e lei si scosta dalla macchina. Mi fissa confusa, forse non ha capito il significato delle mie ultime parole. O forse è l'ennesima recita.

Innesto la marcia e parto senza voltarmi indietro. E mentre scendo lungo la via, costeggio le case, gli alberi che hanno vegliato sulla mia infanzia. Il bar di Gigi e le sue deliziose brioches al cioccolato. La panetteria dove papà tutte le mattine comprava le focacce baresane, quando mamma aveva smesso di farle. Erano immangiabili ma non gliel'ho mai detto. E poi il piccolo parco dove mi portava sempre da bambina.

Quando scendo lungo quella via, una spiazzante consapevolezza mi travolge.

Sto abbandonando per sempre il mio nido. Questo paesino che è la culla dei miei ricordi più belli. Sto lasciando tutto per volare verso l'ignoto.

Allora faccio inversione a "U" e mi fermo al bar di Gigi. Poi faccio tappa dal panettiere e mi compro una focaccia rinsecchita e con le olive bruciacchiate.

Faccio colazione al parco, seduta su quella giostra scassata e mezza arrugginita, che era il mio gioco preferito, mentre guardo, già con nostalgia, il mio paesino che si risveglia.

Mando un messaggio a Doms:

"Ho preso in prestito la tua auto per riportare Pier Fausto dai nonni... e anche un po' di soldi dal tuo portafoglio. Tornerò verso sera."

Prima da andarmene dal mio paesino, dalla mia città, dalla mia regione, voglio passare a salutare nonna Giuseppina e due mie care amiche d'infanzia, Marta e Alessandra.

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Parcheggiò nel piccolo piazzale, si munì di torcia e scese in fretta dalla macchina, sbattendo lo sportello forse un po' troppo forte.

Aveva comunicato a Doms che sarebbe rientrata verso sera, ma Marta l'aveva convinta a restare per cena, e tra una chiacchiera e l'altra si erano fatte le undici.

Sarà furioso come una iena. Gli ho rubato auto e soldi e sono tornata con almeno un paio d'ore di ritardo.

Formulò quel pensiero avanzando a passo spedito verso la boscaglia, ma percorse solo pochi metri.

Degli scricchiolii e una forte luce alle sue spalle le fecero schizzare il cuore in gola, costringendola a voltarsi.

«Scusa, non volevo spaventarti.» Disse una voce maschile.

Si abbagliarono a vicenda con la luce della torcia.

Stella si riparò sollevando il braccio sinistro davanti agli occhi.

«Santos... mio Dio, mi hai fatto perdere dieci anni di vita, non farlo mai più!»

Riprese fiato, illuminando, per precauzione, la zona circostante. Deserta.

«Stai serena, non ci sono pericoli. È una zona tranquilla.»

«Non si sa mai.»

«Volevo informarti che Doms è incazzato nero.»

Stella tornò a fissarlo. «Oh... mi dispiace, davvero, ma converrai con me che casa tua non è un luogo adatto a un bambino di quattro anni. In qualche modo ho dovuto portarlo via.»

Santos rise. «Sai, sei molto diversa dalla ragazzina impertinente e sfacciata di cui mi ha parlato Lauro. Sei scortese, ma non troppo.»

«È un complimento?»

«Casa mia è una lurida topaia, puoi dirlo.»

«Avrei optato per "latrina puzzolente", ma anche "lurida topaia" rende l'idea.»

Con una risata smorzarono la tensione che si era creata.

«Faccio uno squillo a Doms.» Estrasse il cellulare dalla tasca, tornando serio. Selezionò il numero e avviò la chiamata.

Domenico rispose quasi subito. «È arrivata?»

«È arrivata. E non ti preoccupare la tua macchina è sana e salva.»

«E allora datte 'na mossa e portala in spiaggia, che ormai è ora de colazione.»

«Sarà fatto.»

*****

Avevano appena finito di fare l'amore. Luna era tornata da lui per scongiurarlo di non far del male a Stella e a Lauro, come temeva sarebbe successo. E inevitabilmente erano finiti in camera da letto.

Francesco si stava infilando un paio di pantaloni. «Mi dispiace, ma non posso promettertelo.»

«Che cosa?!» La cognata si sollevò seduta, coprendosi il seno nudo con un lembo del lenzuolo.

«Non lascio mai questioni in sospeso.» Si allacciò la cintura. «E la mia vendetta è tutt'altro che terminata.»

«Ma hai me.»

«Non è questo il punto.» I suoi occhi lanciavano fiamme. «È una questione di principio.»

«Tutto ciò che dici non ha senso. Sei stato tu a spingerla tra le sue braccia!»

«Il suo cuore è sempre appartenuto a Lauro.»

«Ma l'aveva dimenticato. Dopo che le hai mandato in pappa il cervello in quel dannato incidente, aveva dimenticato tutto.»

Lui digrignò i denti. Luna sentiva che stava infilando un coltello in una piaga. Decise di rincarare la dose.

«Se solo fossi stato più dolce, più gentile con lei...»

«Parli troppo per essere una donna.»

«Non ti permetto di dirmi questo! Ricordati che io non sono mia sorella!»

L'avrebbe presa a schiaffi, ma si trattenne: con lei sarebbe stato un uomo migliore. «Un giorno di questi ti dovrò dare una bella lezione di buone maniere!» Con un gesto stizzito afferrò la camicia che mezz'ora prima aveva lanciato sopra la scrivania, e in fretta uscì dalla stanza.


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