43 • IL REGALO DI ZIO DOMS
Doms si sfilò gli occhiali scuri e se li portò sopra la testa. Gli occhi spalancati come due lune. «Stai a scherzà spero!»
«Non è uno scherzo. L'ho scoperto quella volta quando sono svenuta, dopo aver cantato assieme a Damerino David, te lo ricordi?»
«Seh, me 'o ricordo.»
«Dagli esami del sangue è emerso che ero incinta.»
Doms non disse nulla, pietrificato dallo shock.
«E no, non può essere di Francesco.» Aggiunse. «È da una vita che non facciamo l'amore e le tempistiche non coincidono, quindi... può essere solo tuo.»
«Oh mamma mia, me sto a sentì male!» Si passò una mano sul volto. Non ci poteva credere... non era pronto a crescere un figlio!
«Lo so... è un casino.» Sfogò la tensione in lungo sospiro. «Ma non intendo rinunciare al mio bambino.» Tornò a fissarlo. «A costo di perdere quel poco che mi è rimasto.»
«Questo no... nun te 'o chiederei manco pe' sogno.»
«Davvero?»
«'A bambolì, io so' qui. So' serio, nun te sto a racconta' favole. So' stato 'n cojone, mo' pago 'e conseguenze... un fijio de troppo, e Lauro che me fa 'n culo come 'na capanna.»
«Grazie Doms.» Accennò un sorriso.
Sarebbe scoppiata a piangere, in realtà. Tutto sommato Domenico l'aveva presa piuttosto bene... ma Lauro? Quale sarebbe stata la reazione di Lauro?
Il solo pensiero di poterlo perdere la mandava fuori di testa.
«Che je racconterai ar piccoletto?» Abbandonò la scomoda sedia in vimini e andò a sedersi accanto a lei, sul divano.
«Già... che gli racconto?»
«Je stai a frigge 'e orecchie tra 'n po.»
Stella si accorse solo in quel momento che effettivamente le orecchie del piccolo erano diventate bollenti. «Oh, giusto!» Scostò i palmi dalla sua testolina.
L'idea arrivò in quel momento.
«Sai che gli racconto?» Riprese, voltandosi verso l'amico, poi, subito dopo, in direzione del figlio. «Tesoro mio, zio Doms ti ha fatto un bellissimo regalo.»
«Un regalo?! Davvero?!» Gli occhi del bambino luccicarono di gioia.
«Sì, ma lo potrai vedere solo tra otto mesi, circa... e solo se prometterai di non dirlo a nessuno e di fare il bravo.»
«Otto mesi?! Così tanto tempo?!» Protestò.
«Vedrai che ne varrà la pena. Prometti?»
«E va bene, lo prometto.» Si rivolse poi a Domenico. «Grazie zio Doms!»
Mo' so finito. Pensò l'uomo, accennando un sorriso tirato.
*****
Le ore passavano veloci a casa di Santos. Come se quel luogo non rispettasse le naturali leggi del tempo.
Altrettanto sorprendente era la rapidità con la quale, giorno dopo giorno, i tre ospiti riuscivano ad adattarsi a quell'ambiente ostile, tutt'altro che ospitale... a quello stile di vita spartano, quasi primitivo.
Persino Pier Fausto non faceva capricci. La casupola di Santos distava pochi metri dal mare, e da quella piccola spiaggia allo stato brado, che era una vera e propria oasi di pace. Ci trascorrevano intere giornate, il piccolo Pier era instancabile.
Quando si faceva buio, poi, si mangiava un panino o un piatto di pasta in bianco, e ci pensava la compagnia di zio Doms a colmare la mancanza di papà, di zia, dei nonni, ma anche del televisore e di tutti i suoi giochi.
Stella era stata molto brava a camuffare la verità, parlando al bambino di una vacanza estiva "diversa", anche se, sveglio com'era, lui probabilmente aveva mangiato la foglia.
«Ma perché papà non è con noi?» Le chiese una sera.
«Papà è fuori per lavoro.»
«E zia?»
«Anche zia lavora.»
«Lavora con papà?»
Dopo una lunga serie di domande, a cui Stella cercò di rispondere senza commettere passi falsi, il piccolo si addormentò rannicchiato al suo fianco, su quel logoro materasso gettato a terra. La fioca luce lunare accarezzava il volto angelico. Il fatato mondo di un bambino che presto sarebbe andato in frantumi, come i vetri rotti di quell'unica finestra che tutte le notti vegliava su di loro.
Per Stella fu una notte insonne. Il cervello masticava pensieri ma non li digeriva. Fermentavano domande, il mal di stomaco.
Come glielo avrebbe spiegato? La sua intera esistenza era stata una menzogna. Papà non era papà, casa non era casa. Nonni e zia... nelle loro vite non sarebbero più esistiti.
Quando sarebbe arrivato il momento giusto?
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Stasera abbiamo cantato e ci siamo sballati un po'. Doms con una chitarra in mano e uno spinello in bocca. Santos coi suoi mix di droghe. Pasticche colorate erano dappertutto. Talmente fuori che a un certo punto ha iniziato a cantare in una lingua tutta sua.
Verso mezzanotte sono crollati sul pavimento.
Io sono rimasta sveglia, e ora sono qui. Il mio angelo custode seduto sulla spalla mi sussurra di andarmene, di trovare un'altra sistemazione, un'altra strada.
"Non puoi rimanere in questo tugurio in eterno. Questa non è la tua vita, non sei tu. Ma soprattutto non è l'ambiente adatto a un bambino di quattro anni."
Nell'altro orecchio un demone tentatore mi suggerisce di rimanere e di godermela.
"La libertà che hai sempre sognato."
Mi alzo in piedi, scavalco il corpo di Doms, di fronte al divano. I fumi l'hanno inghiottito, masticato e sputato in una posa scomposta.
Nella penombra calpesto cartacce, cicche di sigarette e spinelli, calcio bottiglie di birra vuote, e rischio quasi di cadere. Domani dovrò pulire di nuovo.
A tentoni raggiungo la mia camera. Pier Fausto è ancora sveglio, seduto sul materasso, ricurvo sullo schermo del cellulare. Luci colorate illuminano il suo volto cupo e stanco. Sono le due passate ed è ancora sveglio.
Quando ho smesso di pensare a mio figlio?
Quando ho iniziato a mettere me stessa al primo posto?
«Tesoro dovresti andare a dormire.» Dico, avvicinandomi a lui. Mi siedo a suo fianco.
«Hai iniziato a fumare?» Mi chiede, continuando a giocare con lo smartphone. Non avrei dovuto lasciarglielo.
«Non ho fumato. L'hanno fatto zio Doms e Santos.»
«Lo sai che il fumo passivo è peggio?»
Lo so benissimo. Ho respirato tanta di quella robaccia che mi gira la testa.
«E va bene, domani ti porto dai nonni.»
Lui accenna un sorriso, concordando con la mia decisione.
Ripenso a Doms e a Santos.
«Ora però restituiscimi il telefono, devo fare una cosa.»
Me lo porge senza obiettare. Afferro i due cuscini e la coperta ed esco dalla stanza. Mi faccio luce con la torcia.
La piccola sala è completamente in soqquadro. Quei due non si sono mossi di un filo.
Quando raggiungo Santos mi accovaccio accanto a lui e gli posiziono il cuscino sotto la testa. Poi mi avvicino a Domenico e faccio lo stesso. A differenza dell'amico, è a torso nudo. Per qualche secondo mi godo la deliziosa visione, poi con la coperta lo copro. Ma lui mi afferra per un polso, spaventandomi a morte. Vaneggia qualcosa, a occhi chiusi, scuote nervosamente il capo. Parole incomprensibili.
Devo andarmene da questo posto.
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