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36 • FRANCESCO

Stella si svegliò di soprassalto, balzando seduta sul letto col cuore a mille e completamente fradicia di sudore.

Era sola. Francesco accanto a lei non c'era, quella notte doveva partire per lavoro.

Dopo essersi ripresa si alzò e si vestì coi primi abiti che le capitarono sotto mano, cercando di ripensare a quel nuovo inquietante sogno in maniera razionale e distaccata.

In seguito a una buona mezz'ora di riflessione, giunse a una conclusione. Doveva contattare i suoi. Non si erano più visti, tanto meno parlati, dopo la loro discussione all'interno del villaggio: da ambo le parti era stato eretto un muro. Ma ora Stella aveva bisogno di un nuovo confronto: l'incubo le aveva insinuato molteplici dubbi.

C'è qualcosa... qualcosa che riguarda l'incidente e che non mi hanno raccontato, pensò.

In quel momento suonò il campanello. Corse ad aprire, pensando l'avessero anticipata, ma dietro al portone vi trovò invece la sorella. Immediatamente notò un'insolita freddezza.

«Ciao, ti devo parlare.» La superò e si intrufolò in casa. «E ti avverto, non sarà piacevole.»

Stella richiuse la porta e la seguì. «Che succede?»

«Nulla di buono.»

«Oh mio Dio.» Sospirò, iniziando a preoccuparsi. Raggiunse in fretta il divano in pelle, e si sedette di fronte a lei, incrociando le braccia al petto.

«Non mi sono mai piaciuti i giochi di parole, perciò arriverò subito al punto.» Luna accavallò le gambe e abbassò lo sguardo, lisciandosi con una mano una ciocca di capelli. Le sue unghie laccate di rosa erano eccessivamente lunghe. «Ti devo raccontare alcune cose che non sai.»

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Mancava ormai pochissimo al suo incontro con Lauro, e lei, per l'occasione, voleva comprarsi un nuovo vestito, e magari anche un paio di scarpe eleganti.

Mi aveva chiesto di accompagnarla in quel nuovo negozietto che avevano appena inaugurato, e io avevo accettato, seppur con non troppo entusiasmo.

Premetto che il rapporto con mia sorella era sempre stato ottimo... oserei dire raro. Ma negli ultimi tempi avevo iniziato a sviluppare una sorta di invidia nei suoi confronti. Era successo da quando lei aveva conosciuto Lauro.

Da un lato ero felice per lei, se lo meritava. Ma d'altro canto mi chiedevo: "perché proprio a lei? E io?"

Io? Disoccupata, uno Zip scassato come unico mezzo di trasporto, e senza aver mai trovato un uomo o una donna che mi avessero amato per più di tre giorni.

Avevo iniziato a desiderare la sua vita. Un piccolo tarlo che cresceva sempre di più.

"Speriamo che questa giornata passi in fretta." Avevo pensato, mentre lei parcheggiava la sua macchina.

Eravamo scese dalla vettura. Stella era elettrizzata, non faceva altro che fantasticare sul suo incontro con Lauro. Parlava, parlava, e mi dava quasi fastidio.

Avevo attraversato il piazzale con questo ronzio nelle orecchie, ipnotizzata dal suo saltellare.

E non ero riuscita a fermarla.

Era talmente presa dall'entusiasmo, che si era praticamente buttata in mezzo alla strada senza guardare.

Il mio grido non era servito a niente: una Porche blu, lanciata a velocità folli, l'aveva colpita in pieno, scaraventando il suo corpo a diversi metri di distanza.

Non ricordo precisamente cosa fosse successo subito dopo. Ero talmente sconvolta da non capire più niente. Non avevo nemmeno pensato di chiamare l'ambulanza, o di correre da lei per cercare di fornirle un primo soccorso.

La guardavo da lontano, con gli occhi umidi. Un'ampia macchia di sangue che si allargava attorno alla testa.

Il traffico era completamente bloccato. La polizia era arrivata prestissimo, e subito dopo anche l'ambulanza.

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«Mio Dio... deve essere stato tremendo.» Sussurrò Stella tra sé e sé.

«Lo è stato. L'impatto è stato fortissimo e vedendo il tuo corpo e tutto quel sangue... ho creduto fossi morta.»

La sorella deglutì a vuoto, scossa da un brivido freddo. «Io vado a prendermi un bicchiere d'acqua.»

Si alzò dal divano e si diresse in cucina. Pierfausto stava sgranocchiando una carota, seduto sopra il tavolo. Lo sguardo assente, fisso fuori dalla finestra. Stava per piovere.

«Portami qualcosa anche a me.» Le urlò Luna dalla sala.

Dallo scompartimento delle medicine prese una bottiglia di tè alla pesca che aveva nascosto dietro a una muraglia di scatole: aspirine e antidepressivi ormai scaduti.

Recuperò anche del ghiaccio, acqua e due bicchieri, e si diresse in sala.

«Ti ho preso del tè alla pesca, il tuo preferito.»

Appoggiò il vassoio sopra il tavolino.

«Grazie, bravissima.»

Entrambe si servirono da sole, prendendosi una piccola pausa.

Ma dopo qualche minuto, Stella volle saperne di più. Per quale motivo le stava raccontando quelle cose?

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Erano stati i sei mesi più lunghi di tutta la mia vita. Stella era finita in coma e io mi sentivo terribilmente in colpa.

Non ero riuscita a fermarla.

E poi c'era l'invidia che provavo nei suoi confronti. Era come se l'universo avesse ascoltato i miei pensieri e avesse rimescolato le carte.

Ma quel che era peggio era che quel criminale sarebbe rimasto impunito: perché al giorno d'oggi si sa, i soldi sono potere... e lui di soldi ne aveva una montagna.

Francesco si chiamava.

Guida in stato di ebbrezza e senza patente... la fedina penale sporca come uno straccio in un'officina meccanica.

I primi a cadere nella sua trappola erano stati mamma e papà, e per un periodo li avevo odiati per questo.

Ma poi nella rete ci ero finita anch'io.

Francesco si era infatuato di me e mi aveva offerto un lavoro nel suo locale, come cameriera.

Io non volevo lavorare nel suo schifoso pub-night club!

E non volevo avere nulla a che fare con lui!

Ma quando l'uomo mi aveva proposto di lavorare la metà delle ore per il doppio dello stipendio, avevo cambiato idea e avevo accettato.

Inoltre avrebbe fatto trasportare Stella in una clinica svizzera, dove le avrebbero garantito le migliori cure, e tutto a sue spese... noi non avremmo dovuto sganciare un centesimo!

Ma come si suol dire, non è tutto oro quel che luccica...

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