PROLOGO
GRAN PREMIO DEL PRINCIPATO DI MONACO,
Maggio 2022
THEO
Theodor Otto Bäcker camminava a testa alta lungo la pit lane del circuito cittadino del Principato di Monaco. La tuta da corsa scura era allacciata sino al collo, aveva la mascella contratta, le palpebre socchiuse a causa del sole che, alto nel cielo primaverile, illuminava l'asfalto che presto sarebbe stato calpestato da venti monoposto assetate di punti in campionato. Erano in pochi a potersi permettere di credere nella vittoria.
Theo era tra loro.
Aveva appena abbandonato la riunione con il suo team di Formula Uno, la Vortex Racing, e si sentiva più in forma che mai. La rabbia che gli era montata dentro durante il briefing lo irrorava come un carburante di ottima qualità. Gli si era infilata tra i tessuti, aveva scosso i nervi, e gli aveva dato la carica necessaria per credere davvero di poter portare a casa il trofeo del primo posto al Gran Premio di Monte Carlo, nonostante gli spettasse la terza posizione in griglia.
In testa gli frullavano ancora le parole di Rally Quinn, il Team Principal della Vortex Racing, che lo pregava di non strafare in gara, di portare la macchina a casa e basta, dopo averla quasi sfasciata proprio in qualifica in un giro estremo alla ricerca del tempo perfetto. Theo non comprendeva come potesse accontentarsi di un terzo quando aveva tutte le carte per vincere. Mai, nella sua carriera, aveva accettato la sconfitta. Anche con le macchine peggiori - vetture paragonabili a carrelli con l'aerodinamica di un aeroplano di carta - , aveva spinto fino al limite e un po' oltre, cercando di portare a casa il massimo risultato possibile. Campionati di Kart, formule minori, persino un po' di rally. Theo aveva fatto la gavetta ed era sempre emerso, fino a raggiungere la classe regina e poi il contratto con una delle scuderie migliori del Circus. Era il primo anno su una macchina con cui poteva puntare alla vittoria, nessuno sarebbe stato in grado di costringerlo a spingere meno, a frenare prima, a non cercare anche il minimo spazio per infilarsi e sorpassare gli avversari.
Neanche il suo Team Principal.
Per questo se n'era andato prima dalla riunione senza dire una parola, a metà discorso, sbattendosi dietro la porta. Aveva sentito le urla di Rally seguirlo nell'Hospitality, ma lui non si era voltato a guardare, non una volta. Rally l'aveva minacciato di sciogliere il contratto in così tante occasioni che per il pilota quelle parole avevano lo stesso effetto di un buongiorno, e poi Theo sapeva perfettamente che gli avevano dato quella monoposto proprio per il carattere che si ritrovava. La Vortex stava per affondare, schiacciata negli ultimi due anni dalla superiorità delle Ferrari e delle McLaren. Senza uno come Theo, uno disposto a tutto pur di vincere, sarebbero presto scivolati nell'oblio.
«Otto, Otto una domanda» si sentì chiamare alle spalle. Le voci precedettero il rumore di passi affannati e presto si ritrovò un microfono davanti alla bocca e una telecamera puntata in viso. «Parti terzo, schiacciato tra le Ferrai davanti e le McLaren dietro. Quante posizioni credi di poter guadagnare? Credi possibile la vittoria?»
Theo strinse i pugni e contrasse nuovamente la mascella, provocandosi un leggero dolore alle gengive.
«Quante volte ve lo devo dire che non voglio interviste prima delle gare?» sbottò, continuando dritto per la sua strada «Il mio compagno di squadra sarà più che felice di parlare per entrambi».
Theo seminò le telecamere con qualche falcata, sparendo nel retro del Paddock.
Non gli interessava apparire sgarbato. Non gli interessava apparire e basta, evenienza che l'aveva inevitabilmente portato a non avere amici nel Circus. Non sopportava il buonismo né la gentilezza forzata, pertanto i giornalisti erano soliti apostrofarlo con toni disprezzanti e i piloti tendevano a stargli alla larga, minacciati tanto dalla sua persona quanto dalla sua guida.
Ma Theo era lì per correre, non certo per farsi amici. Vincere era l'unica cosa che importava.
«Mi ha chiamato Rally, ha detto che ti sei comportato di merda» lo accolse suo padre non appena raggiunse il box della Vortex, con le pareti nere striate di blu che richiamavano i colori della monoposto coperta al centro della stanza.
Killian Bäcker era tale e quale a suo figlio Theodor, con qualche ruga e qualche graffio in più. Era stato un pilota di Formula Uno, una volta. Mediamente bravo, era famoso per essere il pilota con più secondi posti della storia. L'anno che quasi era riuscito a vincere il campionato l'avevano costretto al ritiro a causa di un incidente in pista che quasi era costato la vita al suo rivale e che gli aveva guadagnare il poco simpatico e ancor meno originale soprannome "Killer Bäcker". Non era certo un'eredità facile con cui convivere ma, anche questo, a Theo non importava.
Era difficile trovare qualcosa di cui gli importasse davvero.
A dirla tutta, se il fardello del suo cognome contribuiva a far tremare, non poteva che considerarlo come pubblicità positiva.
«Rally può trovarsi un altro pilota se ha così tanta paura di me da doverti chiamare dopo una discussione» sbottò il ragazzo, senza troppo impegno, evitando d'incrociare lo sguardo del padre. Non aveva tempo per altri futili battibecchi, sopratutto se con Killian. La rabbia che gli correva nelle vene, quell'energia che lo faceva sentire invincibile, pronto a tutto, era destinata alla gara e alla gara soltanto.
Theo cercò il telemetrista piuttosto, per guardare gli ultimi dati sviluppati sommando i dati delle prove precedenti, qualifiche comprese, più qualche informazione ricavata sugli avversari. La Ferrari era data favorita da tutti. La prima posizione in griglia l'avrebbe occupata Dean Thompson, la loro stella dai capelli fiammanti come la macchina, e subito dietro di lui sarebbe partito il suo fedele scudiero, Enrico De Noia. La legge non scritta del Gran Premio di Monaco prevedeva che, salvo incidenti, l'ordine di arrivo al traguardo sarebbe stato esattamente quello della partenza. Nonostante ciò, Theo era fiducioso di poterli scavalcare. Serviva la complicità del team, certo, per questo era intenzionato a fare quattro chiacchiere con tutti i presenti prima del ritorno di Rally.
«Se ieri non avessi toccato il muro qui,» disse il telemetrista, indicando un punto sulla mappa del circuito che corrispondeva alla prima chicane subito dopo il tunnel, «il primo posto sarebbe stato tuo. Ricordatelo più tardi».
Il ragazzo annuì, passandosi una mano tra i capelli corti e poi sul mento, doveva aveva lasciato una leggera barba perchè estremamente annoiato dall'idea di rasarsi.
Riflettè sulle parole del telemetrista. Erano informazioni che conosceva. Quella pole position l'aveva sentita, l'aveva quasi avuta tra le mani. Se avesse replicato quei giri in gara sarebbe riuscito a stare attaccato ai due cavallini senza troppi problemi. Poi, al loro primo sbaglio, si sarebbe fatto strada. Sapeva che l'avrebbero commesso, uno sbaglio. Da quando guidava la Vortex, la maggior parte dei piloti sobbalzava a vederlo negli specchietti retrovisori, sentivano la pressione del confronto, e questo gli faceva spesso brutti scherzi. Soprattutto in un circuito come Monaco, con le sue drastiche frenate e sue strade strette, sarebbe stato difficile per loro mantenere i nervi saldi.
Quelli di Theo, invece, erano d'acciaio.
Almeno quando si trovava nell'abitacolo della sua monoposto.
Dopo il telemetrista, si premurò di andare a ripetere con i ragazzi al muretto le combinazioni delle varie strategie discusse nel briefing tecnico. Più si avvicinava l'ora della partenza più il caos prendeva il sopravvento, rendendo il Paddock un posto estremamente rumoroso, fatto di meccanici che si affannavano ad apportare le ultime modifiche, controlli tecnici, telecamere alla ricerca di immagini significative, giornalisti assetati di informazioni con cui intrattenere il pubblico. La folla sugli spalti gridava, dai tetti e dai balconi dei palazzi venivano intonati inni, fatti sventolare striscioni. Stelle dello spettacolo e dello sport passeggiavano in pit lane e venivano utilizzati dai PR per i contenuti media dei team. A chi chiedeva foto con Theo veniva risposto, in una versione più garbata di ciò che aveva suggerito il pilota, "magari dopo la gara".
Rally Quinn rientrò nei box con l'aria di chi avrebbe volentieri fatto a pezzetti il contratto con Theo ma, intelligentemente, scelse di non rivolgergli la parola se non per questioni strettamente operative che il pilota ascoltò con attenzione.
«Puoi vincerla oggi» esclamò col suo bel sorriso Adrien Belmont, il secondo pilota della Vortex, affiancando Theo poco prima di entrare in macchina. Affascinante e francese, Adrien era il volto della Vortex, probabilmente anche l'unico motivo per cui gran parte degli sponsor avevano deciso di continuare a finanziare la scuderia nonostante la controversa figura di Theo.
Seppur amato dai media, Adrien era in realtà una zavorra. Nonostante guidasse la Vortex da più di tre anni non aveva mai trovato confidenza con la vettura e lasciava Theo perennemente solo in pista, privato dalla possibilità di usare strategicamente il compagno di squadra.
Quest'ultimo lanciò un'occhiata di traverso al compagno.
«Non certo grazie a te» commentò con uno sbuffo, prima di voltarsi e raggiungere la propria vettura in pista.
La monoposto della Vortex era tirata a lucido e lo attendeva sulla casella del terzo posto.
Il colore del telaio, che in casa BMW chiamavano Blu Misano, la rendeva estremamente riconoscibile e accattivante. I lati erano striati di nero e sul muso, al centro, spiccava il numero otto in giallo. Theo s'infilò nell'abitacolo e fu subito raggiunto dall'addetto del team preposto per agganciare i sistemi di sicurezza.
Osservò Dean Thompson entrare a sua volta nella monoposto rossa, sulla prima casella. Enzo De Noia, dal secondo posto, era ancora senza casco e s'intratteneva davanti alle telecamere, ridendo rumorosamente per qualche battuta fatta da un giornalista suo connazionale e sfoggiando il suo carisma.
Se Dean si era dimostrato un rivale quantomeno capace di detenere tale status, complice una macchina incredibilmente costante e con un'ottima velocità di punta, Enzo sapeva solo darsi un sacco d'arie. Era secondo in campionato solo perchè guidava la monoposto più prestante della stagione, e Theo era convinto che in qualche modo ne fosse consapevole anche lui. Per questo spendeva tutto quel tempo a conquistarsi il pubblico.
Ad Adrien, almeno, il fascino veniva naturale.
La pista venne presto sgombrata e fu il momento del giro di formazione. Theo quasi affiancò alla monoposto rossa di De Noia e gli fece un saluto con la mano che sperò il pilota avesse colto. Già pregustava il momento del sorpasso.
I motori rombavano sull'asfalto, in attesa del via. Theodor fece scrocchiare le dita prima di stringerle sul volante, spinse il pulsante Race Start per preparare la macchina, guardò dritto davanti a sé e puntò la coda della Ferrari di Thompson come avesse un mirino al posto delle iridi. Coperto dal casco, un ghigno gli contorse il viso.
Poi prese un respiro.
E quando il semaforo si spense e la guerra cominciò, il mondo di Theo finalmente divenne calmo.
Il rombo del motore lo teneva concentrato sull'obiettivo e la rabbia accumulata alimentava la convinzione di essere invincibile.
Le persone, le telecamere, le interviste, i rapporti con il team, Theo non aveva idea di come interagire con loro e non aveva la pazienza né la voglia di imparare.
Parlava un'altra lingua, una lingua che solo gli ingranaggi della sua macchina sembravano comprendere. L'acceleratore premuto sotto lo stivale, l'asfalto bruciante sotto il corpo snello della monoposto, il freno premuto all'ultimo momento possibile prima dello schianto, quelle erano le cose che sapeva fare, che sapeva gestire. Gli unici momenti in cui il mondo sembrava essere fatto per lui li viveva con la visiera del casco abbassata sugli occhi. A quasi trecento chilometri orari riusciva a vedere tutto chiaramente e, fosse stato per lui, non avrebbe fatto altro che correre in macchina per il resto della vita.
«Otto Bäcker, sei un folle ma quanto cazzo sei bravo!» gli gridò Rally Quinn tramite radio quando tagliò per primo il traguardo del Gran Premio di Monaco.
Sulla linea del traguardo la ruota anteriore della monoposto di Dean Thompson, che aveva superato grazie all'effetto di un undercut ben studiato, quasi sfiorò la sua posteriore. Il primo pilota Ferrari gli era stato vicino, vicinissimo, per gli ultimi venticinque giri, ma non aveva mai trovato lo spunto per provare a superare Theo. Enrico De Noia, invece, si era schiantato contro le barriere dopo aver forato e il suo posto l'aveva usurpato Marc Herràn, della McLaren. Adrien Belmont, il compagno di squadra di Theo, era arrivato solo nono.
Il vincitore di Monaco portò la vettura al Parc Fermè e fece cadere per terra terra il segnaposto con il numero "1" che indicava dove stazionare. Si sfilò le cinture, staccò il volante e si arrampicò fuori dalla monoposto. La sensazione inebriante della vittoria gli si ribaltò addosso. In piedi sulla sua Vortex si sollevò la visiera del casco, indicò il numero "8" che brillava sul muso della macchina e poi si batté entrambi i pugni contro il petto.
Venitemi a prendere, avrebbe voluto gridare. Sono qui, venitemi a prendere se avete il coraggio.
I fan, i giornalisti, il suo team, potevano tutti continuare a lamentarsi del suo carattere, come i piloti potevano sprecare tutte le parole che desideravano lamentandosi della suo guida, della sua aggressività. Tutto ciò che sarebbe rimasto di quelle parole, però, sarebbe stato spazzato dalla storia.
Il mondo della Formula Uno era diverso prima del suo arrivo. C'era stato un prima Otto Bäcker, e ci sarebbe stato un dopo Otto Bäcker. Chiunque si sarebbe trovato a condividere il tracciato con lui avrebbe dovuto imparare a giocare un nuovo gioco, ad imparare nuove regole, ad andare oltre il limite.
Per gli altri, sarebbe stato lui stesso il limite.
Theodor l'aveva già superato ed era disposto a tutto per mantenere alta l'asticella, per restare in cima.
Perché oltre l'abitacolo della sua monoposto c'era solo un posto dove riusciva a respirare a pieni polmoni, ed era il gradino più in alto del podio.
Altrove, l'aria sembrava rarefatta.
Fu da lì su che la vide, mentre teneva in alto il trofeo.
L'idea lo imbarazzava ma avrebbe riconosciuto quegli occhi grandi dovunque. Lei se ne stava contro la barriera della tribuna di fronte al podio e applaudiva con fare mesto, come se i suoi pensieri fossero altrove. Suo padre le stava accanto e le teneva una mano sulla spalla.
Theo non aveva mai pensato a come sarebbe stato incontrarla di nuovo. Gli fece uno strano effetto, né negativo né positivo. Solo strano. E quando i festeggiamenti finirono, fischi inclusi, Theo lasciò il podio e tornò al box sentendo finalmente la testa e le membra alleviate dal senso di trionfo. Dopo una bella gara era sempre euforico.
Mentre si preparava per le interviste alle quali non poteva sottrarsi, si chiese se Nina sarebbe andata a salutarlo. C'era stato un tempo in cui aveva creduto di conoscerla e, se Nina fosse stata davvero quella persona che conosceva, allora riteneva credibile che sarebbe passata a dirgli ciao, o quantomeno a rinfacciargli gli anni che li avevano tenuti lontani.
Ma non lo fece.
A fine giornata, Theo si convinse di non averla vista davvero, che Monaco stava giocando con la sua mente, facendosi beffa dei suoi ricordi.
Nina non era altro che un fantasma, un vuoto.
Uno dei tanti con cui era abituato a convivere, e che riusciva a lasciarsi alla spalle quando premeva il piede sull'acceleratore, correndo più veloce del mondo.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro