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3. PASSATO | Estati


Agosto 2015


Nina era solita contare gli anni della sua amicizia con Theodor Backer in estati. Sorrideva sempre dinanzi all'ironia di associare a Theo una stagione che era tutto l'opposto del suo essere, eppure lei non l'aveva mai visto calpestare le foglie arancioni dell'autunno, stretto in un cappotto in inverno né tantomeno illuminato dal sole timido della primavera. Theo appariva a casa Madeleine il primo giorno d'estate e spariva prima che cominciasse la litania di settembre. Sapeva di finestre spalancate, cloro, cieli azzurri e incontaminati.

Lei l'estate l'aveva sempre amata, ma da quando c'era lui, l'amava un pochino di più.

Quella sera segnava la conclusione della loro terza estate insieme, ed il tempo passato assieme cominciava a riflettersi nei modi di entrambi. Se ne stavano in disparte, seduti sul loro solito muretto, condividendo una birra.

Il giardino di casa di Sophie era addobbato a festa e faceva da teatro all'ultimo ritrovo prima che la fine dell'estate portasse via amici e conoscenti che nel Principato di Monaco erano solo di passaggio.

La piscina era illuminata e sul rettangolo luccicante galleggiavano gonfiabili colorati assieme a chi, nonostante l'ora tarda, si godeva la serata sorseggiando un cocktail ammollo nell'acqua fresca. Il resto della festa si sviluppava tutt'attorno, con campanelli di invitati che chiacchieravano sulle sdraio a bordo piscina o ballavano sul prato inglese tutt'attorno, illuminati dalla luce calda delle torce di bambù sparse per il giardino.

La musica era allegra, scoppiettante. S'intrecciava con il chiacchiericcio dei presenti e con le prestazioni canore dei più alticci, che non perdevano la possibilità di intonare a squarcia gola i ritornelli più famosi.

Sophie recitava la parte della perfetta padrona di casa, eterea nel suo vestitino rosa confetto. I capelli biondi erano sciolti, più chiari del solito complici i tre mesi passati stesa sul suo lettino preferito a Le Club Mistral o lì a bordo piscina, e le ondeggiavano sulla schiena mentre saltava a piedi nudi sull'erba, cantando, ballando, coinvolgendo i suoi ospiti uno ad uno.

Nina e Theo erano in quel giardino eppure, in qualche modo, non facevano parte della festa. Theo non aveva mai avuto intenzione di partecipare, e Nina trovava lui molto più interessante di qualsiasi occasione sociale.

«Andiamo, ti prego, Theo» stava però cercando di convincerlo, inscenando una recita che era ormai parte di una routine consolidata. Non importava per fare cosa. Ogni giorno e ogni sera, per tutta l'estate, Nina cercava di coinvolgere l'amico in qualsiasi attività le passasse per la mente, con l'intento di fargli vivere la vita da adolescente alla quale lui non sembrava poi così interessato. Saltò dal muretto e si piazzò davanti a lui, afferrandogli le mani. La terza estate sarebbe passata alla storia per la difficile conquista del contatto fisico. «Erano anni che volevo andarci, ti prego, vieni con me. Veramente vuoi perderti la faccia di Manu e Sophie mentre saremo lì dentro? Sarà un spasso».

Theo alzò gli occhi al cielo con teatralità ma Nina sapeva di aver usato un'argomentazione che quasi sempre faceva breccia. Puntare sul raccogliere materiale per prendere in giro i loro amici era rinomatamente attività gradita ad entrambi.

«Perchè non puoi semplicemente lasciarmi in pace? Qui, a finire questa birra e a guardar male gli invitati» si lamentò lui, sfilando una mano dalla stretta di Nina per afferrare la bottiglia di vetro poggiata accanto a sé. Ne bevve un lungo sorso, lo sguardo fisso su di lei con aria di sfida.

«Io voglio andare» ribattè Nina, irremovibile. «Vuoi davvero passare la tua ultima sera qui, senza di me?»

Theo non esitò a contrattaccare. «E tu preferisci andare con gli altri piuttosto che passare le tua ultima sera qui, con me?»

Nina sbuffò rumorosamente, lasciando che l'aria le scompigliasse la frangia scura che le adombrava la fronte. Poi, con un gesto repentino, gli rubò la bottiglia di birra dalle mani e se la portò alle labbra. Il liquido ormai caldo le fece storcere il naso ma lo buttò giù per presa di posizione.

Si sedette nuovamente sul muretto e tornò a guardare la folla.

Nina aveva sempre amato le feste di Sophie. Portavano ogni volta una ventata di novità, nuova gente, nuovi intrattieni, nuovi pettegolezzi, ed erano un ottimo modo per combattere l'ozio estivo. Erano solita bere e ballare per tutta la notte, i piedi nudi, gli occhi al cielo, con vecchi amici e nuovi conoscenti, e ogni volta a fine serata Nina si rendeva conto di aver interagito con tutti gli invitati, fosse pure solo per una risata.

Poi Theo era piombato nelle loro vite, e a Nina le feste di Sophie erano cominciate ad interessare un po' meno. Almeno nei weekend in cui lui era nel Principato.

L'aveva conosciuto una sera di tre anni prima, ad una festa organizzata in quello stesso giardino in onore del suo arrivo. Uno striscione con la scritta "BENVENUTO THEO" campeggiava sopra la piscina, e Theo aveva profondamente odiato ogni singolo minuto di quella serata. Almeno finché Nina non aveva dato fuoco allo striscione.

Era la prima estate in cui Theo e suo padre Killian, fidanzato della madre di Sophie, si trasferivano a Villa Madeleine per far giocare alla famiglia perfetta.

Fin dal primo momento, Theo aveva chiarito di non avere intenzione di fare amicizia con nessuno. Nina però, testarda com'era, non gli aveva lasciato possibilità di scelta. L'aveva sfidato quella prima sera e, anche se c'erano voluti mesi, con pazienza, dedizione e un briciolo di follia era riuscita a guadagnare qualcosa che somigliava alla sua amicizia.

Aveva scoperto lati di lui che, ne era certa, nessun altro al mondo conosceva. Non suo padre, certo, che impersonava più la figura di un coach pretenzioso che quella di un genitore. E neanche sua madre, l'algida medaglia olimpica di pattinaggio sul ghiaccio, che gli aveva sicuramente trasmesso i geni del campione e l'arte di gestire il gelo in tutte le sue forme, ma non l'affetto, la vicinanza.

Nina non sapeva quanto effettivamente Theo parlasse con Sophie o con la matrigna quando a casa Madeleine non c'erano feste o amici, ma in qualche modo era convinta di essere l'unica ad aver insistito abbastanza da conquistare la sua fiducia.

Theo aveva solo Nina e le sue competizioni.

Quando era lontano, prima impegnato a collezionare trofei di Kart e ora in Formula 3, Nina tornava ad essere l'anima delle feste di Sophie. La aiutavano a riempire il vuoto.

Ma quando Theo rientrava nel Principato, senza che nessuno dei due dicesse niente, si ritrovavano lì, sul loro muretto. Che ci fosse una festa o tutti fossero da qualche altra parte non importava, ogni momento per loro cominciava da lì.

Si smezzavano una birra, parlavano di qualsiasi cosa. A volte ridevano, altre litigavano. Spesso litigavano. Ogni tanto qualcuno si univa a loro. Sophie per esempio, per scroccare una sigaretta a Nina e fumarla lontana dagli occhi indiscreti di sua madre. Oppure Manuel e Jérome, disposti a tollerare Theo pur di starle accanto.

Era sempre stato così, da quando si erano conosciuti e avevano messo una bandierina su quel muretto.

Loro stavano fermi e il mondo gli girava attorno, come se il mondo avesse bisogno di loro e loro, quand'erano insieme, di nessun altro.

Tanto diversi quanto affiatati, si erano dovuti riadattare l'uno all'altro, aggiustandosi un poco alla volta. Theo aveva scavato uno spazio nella sua solitudine giusto per farci stare lei e Nina, quando parlava con lui, illuminava a giorno quello spazio angusto e ne ricavava una soddisfazione maggiore di quando sentiva di essere al centro dell'attenzione ad una festa. Si bilanciavano, si completavano e nella loro diversità si capivano, spesso anche interpretando i rispettivi silenzi.

Non erano proprio amici. Non erano qualcosa di più, né qualcosa di meno. Erano qualcosa.

Qualcosa che li tormentava dalla prima volta che si erano ritrovati su quel muretto, tre anni prima.

Qualcosa che faceva struggere Nina ogni volta che Theo era lontano, e che al tempo stesso le scaldava il cuore nei giorni più freddi, pensando a quel primo abbraccio che segnava l'inizio di ogni estate, quando lei si slanciava tra le sue braccia, respirando a pieni polmoni quell'aria finalmente ossigenata dal suo profumo preferito, mentre Theo protestava inutilmente.

Qualcosa che lei non avrebbe cambiato per niente al mondo.

«Nena, me la dai una sigaretta?» domandò Sophie, interrompendo la bolla silenziosa che si era creata attorno a Nina e Theo. Sorrideva complice, le gote riscaldate da qualche bicchierino di troppo e gli occhi che brillavano, una pozza liquida di marrone caldo.

Nina annuì, rovistando nella borsetta per trovare il pacchetto. Ne sfilò due, una per l'amica ed una per sé. Le accesero dallo stesso accendino, contemporaneamente, e i volti di entrambe furono illuminati dalla luce rossa della fiamma prima di scomparire dietro il fumo che si soffiarono addosso a vicenda. Risero, poi Sophie gettò un braccio attorno alle spalle di Nina e si abbassò finché la sua guancia fu contro la testa di capelli scuri di Nina.

«Noi stiamo andando, come va con l'opera di convincimento di Theo?» chiese Sophie, parlando di lui come se non fosse lì. L'attimo dopo, si girarono entrambe a guardarlo.

«Secondo te?» rispose Nina, in un sospiro esagerato.

«Secondo me fa il difficile, come al solito»

«Ha mai non fatto il difficile, in fondo?»

«Hai ragione, sarebbe quasi uno shock»

Theo, visibilmente annoiato da quella scenetta, scese dal muretto e si pulì le mani sui bermuda blu. Lanciò alle ragazze un'occhiata stizzita.

«Che senso ha andare ad esplorare una stupida casa abbandonata che è stata lì per anni e lo sarà per tanti altri ancora?» esclamò, con la risolutezza di chi sa di aver contribuito alla conversazione con un'osservazione perfettamente razionale. «E' una perdita di tempo totale, tu vuoi andarci solo per avere una scusa per mettere le mani addosso a Kevin» si fermò per indicare Sophie, che gli fece una boccaccia in risposta, «e tu perché non sai mai dire di "no" a niente».

Le ragazze protestarono in coro, le loro voi sovrapposte in una cascata di risposte.

«Questa è una bugia,» disse Sophie, indignata, prima di aprirsi in un sorriso sfacciato e aggiungere: «una mezza bugia, diciamo».

«Ma se ho passato io l'intera estate a convincere tutti ad andarci» replicò Nina, spalancando le braccia «E comunque, non ci vedo niente di sbagliato. Un po' di mistero, qualche spavento, qualche coccola nel buio» sul finale, maliziosamente sussurrato, Nina si girò verso Sophie e le solleticò un fianco. La bionda lasciò andare un risolino acuto e lei gli fece l'occhiolino.

«Fate quello che volete, io vado a pisciare» annunciò Theo, alzando le mani e lasciando le due ragazze sole, intente a guardarlo mentre la folla si divideva per lasciarlo passare.

Molti si girarono a guardarlo. Qualcuno sussurrava commenti, altri lo osservavano con curiosità mista a soggezione. Non che fosse una novità. Theo si era guadagnato una certa fama negli anni, avendo litigato su per giù con la metà dei presenti per le motivazioni più disparate. Altri lo riconoscevano come il promettente pilota di Formula 3 e, con un po' di lungimiranza, futuro campione di Formula Uno. Qualche ragazza doveva guardarlo semplicemente perché era carino. Con i capelli biondi rasati a zero e gli occhi di ghiaccio, la postura sicura, sicuramente rientrava nei gusti di qualcuno dei centinaia di presenti.

A Theo però le occhiate non importavano, tanto meno quelle delle ragazze. Diceva sempre di non avere tempo per nessuno, anche se Nina realizzava che per lei il tempo lo trovava sempre.

Le piaceva essere l'eccezione, e al solo pensiero di lui tra le braccia di qualcun'altra sentiva un'irritazione sottile e fastidiosa, come un principio di orticaria.

«Oggi ha qualcosa non va» osservò poi, aspirando il fumo della sigaretta senza perdere di vista il dorso di Theo che si faceva largo tra la folla.

Stava crescendo, pensò, seguendo i suoi movimento. Le spalle non avevano più l'aspetto gracile di un tempo, erano diventate solide come il collo, improvvisamente ampio e muscoloso. I lineamenti del viso si erano fatto più marcati, aveva sconfitto l'acne, ed anche le la faccia da schiaffi gli era rimasta aveva comunque un aspetto più maturo.

Non era tanto l'aspetto di quell'estate che preoccupava Nina, era ciò che il futuro avrebbe portato con sé. Il campionato di Formula 3 sarebbe finito a dicembre e Theo era in vetta alla classifica, certo di portare a casa il titolo. In Formula 2 c'era già un sedile ad attenderlo e chissà quell'opportunità dove l'avrebbe portato.

Non riusciva a smettere di pensare a come sarebbe stata la loro vita, le loro estati, quando Theo sarebbe cresciuto davvero e l'esposizione mediatica l'avrebbe reso famoso. Si chiedeva cosa sarebbe stato del loro rapporto quando avrebbe dovuto dividerlo col mondo, e le risposte la terrorizzavano.

Una parte di lei era sicura che niente sarebbe cambiato, che certe persone semplicemente non potevano fare a meno l'una dell'altra. Persone come loro.

Ma Theo sarebbe partito per la Germania l'indomani a Nina sembrava quasi di averlo già perso. Non era altro che una sensazione, che però le si era appiccicata addosso come sudore nell'aria umida di quella sera e la tratteneva in uno stato costante di agitazione.

Il distacco tra loro era sempre pieno di tribolazioni, ma Nina si sentiva più confusa e malinconica che mai, così come anche lui pareva particolarmente scontroso e assente. Il cambiamento era nell'aria e avrebbe voluto chiedere a Theo di restare un giorno ancora, una settimana, un mese. Sedere su quel muretto in un giorno di pioggia di settembre, parlare della scuola e lamentarsi dei compiti. Restare vicini per evitare che la distanza rendesse la loro, inevitabile, metamorfosi troppo visibile per essere accolta semplicemente con quell'impacciato abbraccio del primo giorno d'estate.

Tutti quei pensieri però non trovarono voce, troppo intimi per essere condivisi con Sophie e così diversi dalle cose di cui lei e Theo parlavano da non poter appartenere a quella dimensione. Sophie, che nel frattempo si era seduta al posto del ragazzo, la sollevò dal dover intavolare una conversazione e iniziò a raccontare di come avesse scoperto Manu impegnato in una conversazione intima con uno sconosciuto che indossava un bellissimo gilet Ralph Lauren, che lei stessa avrebbe voluto comprare per sfoggiarlo al Golf Club sulla sua gonnellino a pieghe bianca.

Tra le gambe delle due comparve Oscar, uno dei tanti gatti di Sophie che gironzolavano per il giardino e che lei si premurò di sistemarsi tra le gambe mentre continuava a straparlare.

Non vedendo Theo nei paraggi, Jerry e Kevin si permisero di avvicinarsi al muretto con un cocktail ciascuno, offrendoli alle ragazze.

Jérôme Alarie de Fontenay era l'amico più longevo che Nina avesse mai avuto. Figlio di amici di famiglia, avevano passato tutta la vita assieme fino a diventare fratelli per scelta. Alle elementari si erano imbattuti in Manu, diminutivo di Emmanuel Vincent, e grazie alle sue sue stranezze e all'aria vispa l'avevano ritenuto degno di far parte del loro duo, poi diventato trio.

Sophie era arrivata anni dopo, conosciuta per caso tramite amici di amici a Le Club Mistral. L'intesa tra lei e Nina era stata così immediata che, fin dal primo scambio di battute, avevano capito di aver trovato l'una nell'altra la propria anima gemella.

Così era cominciata la loro storia, il loro gruppo, lo zoccolo duro di ogni occasione sociale ed il cuore pulsante di mille ricordi.

Kevin lo conoscevano da poco, la sua famiglia si era trasferita dall'Inghilterra nel Principato per il lavoro del padre e Nina l'aveva incrociato ad un pranzo allo Yacht Club all'inizio di quella primavera. Viso pulito e sorriso smagliante, vestito sempre con polo e pantaloni chino, non aveva esitato neanche un istante ad approcciarlo. Quando l'aveva presentato agli altri, Sophie si era irrimediabilmente invaghita di lui e Nina si era fatta da parte.

Mentre la sua migliore amica metteva in atto ogni strategia possibile per conquistarlo – senza troppo successo – Kevin era diventato una piacevole aggiunta al gruppo, una presenza spensierata e affabile.

Raccolti attorno al muretto, si misero a discutere appassionatamente dell'escursione di mezzanotte alla casa abbandonata, stilando una lista di ciò che avrebbero dovuto portare, di chi si sarebbe incaricato di fare cosa. Cocktail e sigarette passavano dalle mani di uno a quelle dell'altro, scambiati assieme a qualche risata e agli ultimi pettegolezzi della festa.

Erano momenti come quello che facevano sentire Nina ad un passo da terra, leggera e inattaccabile finché avesse avuto i suoi amici accanto. Li guardava con occhi pieni d'affetto, chiedendosi se sapessero quanto li amava. Nel dubbio, ripetè come faceva almeno una volta al giorno: «Vi voglio troppo bene ragazzi».

Eppure, mentre si perdeva nella gioia del momento, Nina non potè fare a meno di notare l'assenza prolungata di Theo. Cominciò a guardarsi nervosamente attorno, senza riuscire ad individuarlo. Alla fine, scese dal muretto e si sporse verso Jerry per lasciargli un bacio sulla guancia.

«Dillo anche a Manu quando lo recuperi» gli disse, dando un leggero colpetto sulla punta del suo naso dritto e stretto. «Sempre che riuscirai a staccarlo dalla sua ultima conquista».

«Dove vai?» le chiese Jerry, seguendola con lo sguardo.

«A cercare Theo, ovvio» rispose Sophie al posto suo.

Nina scrollò le spalle con fare innocente e sorrise, poi si addentrò tra la folla e si diresse verso l'ingresso di villa Madeleine con tutta l'intenzione di trascinare Theo con sé alla casa abbandonata.

*

Un'ora più tardi il gruppo si ricompose davanti alla meta, un'imponente costruzione in stile coloniale in rovina da anni, a poche centinaia di metri da casa di Sophie. La musica della festa arrivava sino a lì, ovattata, e riempiva il silenzio mentre i ragazzi osservavano la cancellata dismessa davanti ai loro occhi.

Theo sbuffò rumorosamente accanto a Nina. Quando era contrariato da qualcosa s'impegnava sempre affinché tutti conoscessero il suo stato d'animo. Il sorriso sul volto della ragazza, al contrario, appariva trionfante.

«Che stronzata» borbottò lui, incrociando le braccia sul petto.

«Qualcuno qui ha paura» lo punzecchiò Manuel, all'estremo opposto della fila che avevano creato le spalle dei presenti.

Nina diede una piccola spallata contro il braccio di Theo, come per tenerlo a bada, ed il ragazzo si limitò a schioccare sonoramente la lingua sul palato.

«Entriamo davvero?» chiese invece Kevin, la voce incerta. Il silenzio calò nuovamente sul gruppo.

A Nina quella casa aveva sempre messo i brividi. Allo stesso tempo, le sembrava il luogo perfetto per un'avventura da ricordare, di quelle che avrebbero raccontato negli anni a venire, ricamandoci storie e aneddoti.

«Sai Kev, io e Manu abbiamo stretto amicizia parlando di questo posto» disse Sophie, accarezzando ogni parola con quel tono mellifluo che utilizzava sempre quando si rivolgeva a Kevin. Allungò una mano verso Manuel e lui l'afferrò, stringendola tra le sue dita con naturalezza. I capelli ricci e biondi di lui erano sciolti e gli ricadevano disordinatamente sulle spalle, conferendogli l'immancabile aria indomabile.

Manuel era un accanito appassionato di sovrannaturale e, la prima volta che Sophie li aveva invitati a casa sua, l'aveva tediata per un pomeriggio intero dopo aver scoperto dell'esistenza di quell'immobile a pochi passi da Villa Madeleine. Ne aveva sentito parlare in un podcast sui luoghi infestati di Francia e, da allora , non aveva fatto che insistere per organizzare una spedizione.

Per Nina, l'escursione sembrava il modo perfetto per chiudere in bellezza l'estate. Si pentiva semplicemente di non aver avuto tempo a sufficienza per architettare qualche scherzo da disseminare negli antri bui della casa.

«L'altro giorno ho parlato con la signora della casa accanto,» aggiunse Manuel, lasciando la mano di Sophie per sfregare le proprie davanti al visto, entusiasta. «Ha detto che le notti senza luna sente cori di persone che piangono, provenire dalla mansarda.»

Le sue parole suscitarono un coro misto di proteste, risate e "si certo".

«Manu, ti prego. Sapete che sono suscettibile» spiccò la voce tesa di Jerry.

«Oh, Jer, non vedo l'ora di sentirti gridare» esclamò Nina, lanciandogli uno sguardo di traverso con un sorrisino divertito sulle labbra. Jerry le fece una smorfia in risposta, poi con un cenno la invitò a fare un passo avanti.

«Va' pure, ti seguo»

Nina, pungolata nell'orgoglio, fece un passo avanti. Oltre la cancellata la casa si stagliava alta nella penombra, anticipata da un giardino di erbacce tanto alte da coprire l'ingresso. Le finestre rotte del primo e del secondo piano si muovevano al vento, riflettendo i lampioni in strada e creando spaventosi giochi di luce. Si voltò verso il gruppo e, con un sorriso, diede il via ad una discussione per decidere chi dovesse entrare per primo.

«Dovremmo dividerci ed entrare a coppie,» propose subito Sophie «Come nei migliori film horror!».

«Nei film horror muoiono tutti proprio perchè si dividono, genio» ribattè Jerry.

«Esagerato. Non moriremo,» s'intromise Manu, sorridendo sornione. «Al massimo verremo posseduti da uno spirito maligno centenario e dovremo fare una gita a Roma per cercare il miglior esorcista del Vaticano».

La conversazione si animò e gli amici presero a scherzare tra loro, rompendo le fila e facendo un gran baccano. La strada era immersa nella penombra, il palo della luce più vicino emetteva una luce gialla che colorava i volti dei ragazzi ed esaltava i chiaroscuri.

Nina sentì una mano posarsi sulla sua schiena, leggera, gentile.

«Ci andiamo insieme?» domandò Kevin in un sussurro, approfittando del caos in cui era piombato il gruppo per non dare nell'occhio. Nina fece un balzo d'impeto e senza riuscire a trattenersi cercò prima lo sguardo di Sophie, poi quello di Theo. Entrambi sembravano non essersi accorti di niente, anche se Theo era ancora a pochi passi da lei e non partecipe della conversazione.

Si girò allora a guardare Kevin, notando prima la mano ferma nel vuoto che un attimo prima era stata sulla sua schiena e poi l'espressione carica di aspettative. Aprì la bocca ma non ne fuoriuscì alcun suono.

«Basta, diamoci una mossa. Chi entra per primo?» esclamò Manuel, lasciandole involontariamente un'ancora di salvataggio. Nina si trattenne dal sospirare.

L'attimo dopo, Manu, Jerry e Sophie esclamarono in coro: «Theo!»

«Dio, morivo dalla voglia» esordì Theo, facendo un passo verso il gruppo. «Andiamo Nena» aggiunse, il tono che non ammetteva repliche.

Si girò a guardarla e il suo viso fu integralmente travolto dal raggio del lampione. I suoi occhi chiari apparivano spiritati in quella luce calda, quasi ultraterreni.

Poi, senza aggiungere altro, le diede le spalle e s'incamminò verso l'inferriata sbilenca.

Nina gli corse dietro.

«Ci vediamo dentro, cagasotto» gridò Theo prima di arrampicarsi con facilità sul muretto di mattoni che recintava la proprietà e scavalcare l'alta grata che lo sovrastava. Si lasciò cadere dall'altra parte e per un momento, complice il buio e il muretto, sparì dalla vista degli altri.

Trattennero tutti il respiro, tutti tranne Nina che era vicina abbastanza da vedere la sua testa bionda dall'altra parte della recinzione. Sorrise comunque quando lo vide rimettersi in piedi, offrendole una mano per aiutarla a scavalcare.

«Principessa» disse, prendendola in giro con il solito tono sarcastico che accompagnava quel nomignolo. Nina sapeva che lui la chiamava in quel modo con disprezzo, facendosi gioco dei suoi privilegi, dei suoi capricci, del retaggio culturale e comportamentale che si accompagnava al suo essere una ragazzina privilegiata cresciuta da una famiglia altolocata, eppure per qualche perversa ragione a lei piaceva. Come tanti dei comportamenti di Theo, la faceva sentire speciale.

Rispose con una boccaccia alla provocazione e rifiutò la sua mano, dimostrandogli di essere perfettamente capace di scavalcare da sola. Le ginocchia si lamentarono quando atterrò dall'altra parte della recinzione ma non ne diede atto.

Accesero le torce dei telefoni e cominciarono a farsi strada nel giardino pieno di sterpaglie, con l'erbaccia che a tratti accarezzava le cosce nude di Nina. Quando con il piede ruppe un rovo marcio saltò a causa del rumore e afferrò la maglietta bianca di Theo, più per assicurarsi di averlo affianco che per paura.

Lei puntò la torcia per terra e il ragazzo si procurò un ramo con cui liberare il percorso. Dalle loro spalle provenivano gli schiamazzi degli altri che scavalcavano, si udivano i gridolini nervosi di Sophie e le incitazioni di Manuel, e Nina rise quando una parolaccia sfuggì dalle labbra di Jerry che a malapena ne aveva nel vocabolario.

Poi nell'oscurità guardò Theo, fissò il profilo tagliente e impassibile del suo viso finché non fu costretta a concentrarsi sui propri piedi, felice di poter condividere quel momento con lui. Fu quasi sul punto di dirglielo quando dei rumori attirarono la loro attenzione e lei si fermò per scoprire cosa stava succedendo al resto del gruppo.

«Voi entrate dal retro» spiegò Manu, intento a falciare erbacce per raggiungerli. «Kevin e Sophie dall'ingresso. Quanto a me e Jer, ho sentito che c'è una botola nel prato che collega la casa con un tunnel. Entreremo da lì».

«Ora siamo ufficialmente noi la coppia che ci lascia le penne» esclamò Jerry, prossimo alla disperazione. L'aria si riempì delle pacche sonore che Manu diede sulla spalla dell'amico.

Nina si rese conto solo in quel momento che Theo non l'aveva aspettata.

«Ci chiamiamo tra qualche minuto, quando saremo tutti dentro» gridò in risposta, poi si cimentò in una corsetta per raggiungere il suo compagno. Gli finì addosso di proposito, ridacchiando, poi afferrò un lembo della sua maglietta bianca per evitare di perderlo nuovamente.

«Dimmi che almeno un po' sei eccitato da questa avventura» lo interpellò, cercando nuovamente il suo viso nella penombra.

Theo le lanciò uno sguardo di traverso, l'espressione come sempre in bilico tra il serioso e l'annoiato.

«Non me ne frega niente, e lo sai» rispose semplicemente, mentre circumnavigavano le mura infestate da edera rampicante della parete est della casa. «Basta che ti diverti tu» aggiunse, accelerando il passo.

Nina si chiese se in quella frase, sotto un primo strato di sarcasmo, si celasse in realtà un'esternazione d'affetto. O comunque, qualcosa che nella testa di Theo poteva avvicinarcisi.

«Ho abbastanza entusiasmo per entrambi, come sempre» esclamò, riempiendo lo spazio che si era nuovamente creato tra loro con due saltelli e dando un leggero strattone al tessuto che stringeva tra le mani.

«Mi strapperai la maglietta se continui a tirarla» commentò il ragazzo.

«Tanto a te non frega niente di niente, e lo sai» gli fece il verso Nina, in un'imitazione della voce grossa e dal marcato accento tedesco di lui.

«Sei una palla al piede».

«Sì, ma sono la tua palla al piede».

«Risparmiami».

La torcia del telefono di Theo illuminò il giardino che si stagliava davanti ai loro occhi, dando loro un'idea della profondità di quel posto. Nina si focalizzò sulle finestre del primo piano, la maggior parte con i vetri rotti e gli infissi scardinati, e provò a dare un primo sguardo all'interno della casa senza però riuscirci. Erano troppo in alto per lei, che con il suo metro e sessanta d'altezza non ci sarebbe arrivata neanche in punta di piedi.

Manu aveva spiegato che la costruzione era stata abbandonata nel corso dei lavori di ristrutturazione che l'avevano interessata più di un ventennio prima. Il suo proprietario era stato un facoltoso imprenditore greco, fallito quando la crisi aveva interessato il suo paese e poi morto suicida sull'isola di Othoni. L'immobile era stato ereditato dalla madre di lui, una donna anziana e conservatrice che non aveva mai concepito il desiderio di ricchezza del figlio e che tuttavia aveva speso i suoi ultimi risparmi per portare avanti la ristrutturazione della casa dei sogni di lui, il locus amenus di cui il figlio aveva tanto parlato, ed in cui aveva sperato un giorno di godersi le sue ricchezze e invecchiare. Era stata costretta a interrompere i lavori quando le imprese edili avevano cominciato a rifiutarsi di prendere l'incarico, a causa degli improbabili ed inspiegabili infortuni che avevano interessato gli addetti ai lavori e culminati anche la morte di uno sfortunato operaio.

Era abbandonata da allora e Nina, più che spaventata, era rattristata dall'idea della bellezza che quel posto avrebbe potuto raggiungere se la tragedia non avesse bussato alla porta dei proprietari.

Quando lei e Theo raggiunsero finalmente il retro scoprirono che l'accesso era più difficoltoso di quanto la ragazza si sarebbe aspettata. Tre scalini marci portavano ad un patio malandato che scricchiolò sotto i loro piedi e l'unica porta presente sembrava bloccata dall'interno.

La finestra accanto, nonostante l'infisso fosse spalancato, aveva le tapparelle abbassate e quando Nina cercò di sollevarle le scoprì incastrate e potenzialmente irremovibili. Theo rimase in disparte ad osservarla mentre s'ingegnava per creare un varco, probabilmente indeciso tra abbandonarsi ad risata o rimanere con la solita espressione di ghiaccio per non dare l'impressione di starsi divertendo. Dopo qualche momento decise di porre fine alle pene di entrambi, facendo Nina da parte e sollevando la tapparella quanto bastava per lasciarli passare, senza troppi sforzi.

Nina evitò di incrociare il suo sguardo vittorioso e si arrampicò sul davanzale per scivolare nel varco creato da Theo, senza tuttavia pensare a cosa ci sarebbe potuto essere al di là della finestra.

Cadde a terra con un tonfo dopo un volo di quasi mezzo metro.

Theo, a quel punto, non riuscì più a trattenere le risa.

Atterrò al suo fianco con agilità e la sua risata fragorosa, insolita e graffiante, rimbombò tra le pareti sgangherate di quella che doveva essere stata una splendida cucina. Si piegò per aiutare Nina a rimettersi in piedi. Lei si lamentò mentre teneva ferma la spalla con una mano, ma i suoi mugugni furono presto spazzati dallo sghignazzare di lui.

«Devo per forza sfracellarmi per farti ridere?» commentò Nina, afferrandogli il braccio per ritrovare l'equilibrio perso. Quando si guardò le gambe nella penombra le scoprì lievemente graffiate, il bordo della minigonna color malva strappato in un angolo.

La frase fece rinsavire Theo, che tornò a murarsi dietro il suo silenzio. Puntò lo sguardo sul pavimento polveroso e Nina sprofondò nuovamente in un oceano di dubbi.

«Mi spieghi cos'hai?» azzardò allora a chiedere, pensando che con la sua partenza dell'indomani non ci sarebbero state più occasioni di approfondire qualsiasi cosa lo turbasse.

Per non dare troppa importanza alla conversazione prese a camminare per la stanza, puntando la torcia del telefono sulla carta da parati gialla strappata e sui teloni di plastica che coprivano lo scheletro di una cucina. Individuò due porte, una affacciata su una stanza adiacente e l'altra che sembrava coprire una dispensa. Mosse i primi passi verso l'ambiente sulla sinistra ma un tonfo fece tremare le assi del pavimento e il cuore le saltò in gola. La colpa doveva essere stata di qualcun altro del gruppo, intento a farsi strada tra i meandri della casa, eppure la razionalità di quel pensiero non fu sufficiente a placare la tachicardia. Istintivamente tornò ad agganciarsi al braccio di Theo.

Si scambiarono uno sguardo fugace nella penombra creata dalle torce, il cuore le batteva furiosamente nel petto, la presenza di lui al tempo stesso rassicurante ed elettrizzante. Rimasero in quella posizione un attimo di troppo rispetto a quanto sarebbe stato considerato consono, così Nina si fece coraggio e si decise a riprendere l'esplorazione. Quando le sue dita scivolarono lungo il braccio di Theo, però, lui non la lasciò andare. Le afferrò la mano e lei rimase così sorpresa da perdere uno, due respiri.

Non si ritrasse.

Le loro dita si intrecciarono placidamente, creando un contatto che apparentemente nessuno dei due si impegnava a mantenere e che si reggeva sul mero incastro degli arti.

Lei proseguì verso la stanza successiva e lui la seguì, una presenza rigida e silenziosa alle sue spalle. Oltrepassarono la porta per accedere ad una sala da pranzo ancora più deprimente della cucina. L'antico splendore dei lampadari era opacizzato da strati di polvere e cristalli mancanti, teli di tessuto che un tempo doveva essere stato bianco ricoprivano un tavolo immenso e le sue numerose cornici sulle pareti, un set di divani, un pianoforte. I veri fantasmi della casa erano lì, i ricordi delle vite cui quei mobili avevano fatto da sfondo, ora assopite sotto strati di lenzuola piene di detriti.

Nina afferrò il lembo di un telo sul muro e lo tirò di lato, rivelando una cornice intarsiata e una superficie riflettente tanto sporca e opaca da rimandare solo pochi dettagli della ragazza che gli stava di fronte.

Le torce svelarono migliaia di particelle di polvere che si libravano nell'aria e quasi sembrò che nella stanza nevicasse. Sotto la neve posticcia, catturati in quelle piccole frazioni di specchio ancora capaci di riflettere, si scovavano dettagli di Theo e Nina. Un'iride glaciale, un naso piccolo e all'insù, l'angolo teso di un paio di labbra serrate.

Niente in quel collage avrebbe potuto suggerire che le loro mani fossero ancora intrecciate, eppure Nina percepiva la pelle di Theo a contatto con la propria così distintamente che le parve impossibile concentrarsi su qualcos'altro.

«Ora possiamo andare?» chiese il ragazzo, rompendo il pesante silenzio che li aveva avvolti.

Nina si voltò e quando si ritrovarono l'uno di fronte all'altra non ebbe il coraggio di guardarlo in viso, così lasciò correre lo sguardo per la stanza.

«O mi dici cos'hai o la smetti di lamentarti» lo rimbeccò.

«Tu mi hai trascinato qui, io volevo solo passare la mia ultima sera tranquillo, a bere, senza nessuno tra i piedi».

«Non mi sembra che ci sia nessun altro qui con noi, a meno che non vedi i fantasmi».

«Hai capito cosa intendo».

«Theo, devi renderti conto che non posso capire tutto da sola se tu non mi parli».

Evidentemente colpito da quella frase, il ragazzo spalancò le dita e lasciò che quelle di Nina scivolassero via. Lei fece un primo passo di lato e poi attraversò la stanza sino a raggiungere le finestre sulla parte opposta, coperte da massicci tendaggi. Strinse la mano, improvvisamente troppo leggera, e se la portò al petto.

«Pensavo ti piacesse stare con me, in disparte».

La voce di Theo arrivò bassa e profonda, da qualche parte alle sue spalle, e come un un accordo malinconico le smosse qualcosa dentro. Nina si morse la lingua, ponderando la risposta.

I loro battibecchi erano sempre stimolanti e, spesso, Nina diceva la cosa sbagliata apposta per farlo infuriare e dar vita ad un'intrigante e dilettevole bisticcio. Quella sera però c'era qualcosa di diverso nell'aria, nel modo in cui Theo le parlava, si comportava, e Nina non aveva voglia di litigare.

Quella sera, avrebbe voluto usare le parole giuste.

«E lo adoro, Theo, ma vorrei che tu vivessi con me anche tutta la vita che c'è da vivere oltre quel muretto» gli rispose, cercando di suonare dolce e pacata. «Solitamente, quando ti trascino a fare qualcosa con me, non sei mai così di cattivo umore. Quindi, per favore, puoi dirmi cosa c'è che non va?»

Il ragazzo si lasciò sfuggire uno sbuffo rumoroso e Nina lo inquadrò con la torcia, catturando la smorfia infastidita che s'impossessò del viso di lui quando dalla credenza al suo fianco si levò una nube di polvere. Le particelle presero per un momento le sembianze di una persona e Nina provò l'irrimediabile desiderio di tornare accanto a Theo, di far sparire nuovamente la propria mano nella sua. Scosse il capo però, scacciando quell'idea e cercando di ritrovare un contegno.

«Non voglio che parti con qualcosa di irrisolto. Parlami. Se non sta sera, quando?» insisté.

Theo rimase lontano, dalla parte opposta della stanza, con le braccia incrociate sul petto e lo sguardo tanto assorto che a Nina quasi sembrò di sentir girare gli ingranaggi del suo cervello. Stava soppesando le possibilità, come faceva sempre, ma lei sperò che fosse uno di quei momenti in cui decideva di mettere la razionalità da parte e lasciarsi andare.

«Hai mai avuto qualcuno come me?» le chiese all'improvviso, restando quasi senza fiato sul finale e mostrando quanto gli stesse costando intavolare il discorso.

Nina sentì un tonfo nel petto, aspettandosi qualsiasi cosa tranne una domanda simile.

«In che senso?» Si ritrovò a sussurrare, e la voce le mancò all'ultimo. Con un passo all'indietro cercò un appoggio, finendo con la schiena contro un davanzale impolverato.

«Qualcuno con cui ti senti come quando sei con me» cercò di spiegare Theo, dopo qualche tentativo andato a vuoto.

«E come mi sento quando sono con te?» Chiese lei, odiando il risolino nervoso che le scappò dalle labbra. Theo fece un passo in avanti e a Nina l'aria sembrò improvvisamente pesante e rarefatta, la testa vuota. «Cosa stai dicendo, Theo?»

Lui si sfilò una mano dalla tasca dei bermuda e se la portò sul viso, accarezzandosi la fronte con pollice ed indice e poi stringendosi il ponte del naso.

Nina ebbe l'impressione che neanche lui sapesse dove quel discorso sarebbe andato a parare e ne era terrorizzata. Per la prima volta gli sembrò in difficoltà, per la prima volta sembrò non avere la situazione sotto controllo. Con quell'insicurezza a dirigere le proprie mosse, sembrò finalmente un diciassettenne qualunque.

«Ci sono un miliardo di cose che dovrei dirti e non volevo dirtele qui» sbottò, infine.

Alla fine fu lei a coprire a distanza tra loro, troppo sconvolta da quella versione di Theo e da quell'apertura da non sopportare di vederlo solo, al centro della stanza buia e desolata, a combattere con sé stesso.

«Tu mi puoi dire sempre tutto. Ovunque. Che t'importa di dove siamo,» lo rassicurò Nina, poggiandogli una mano sul petto e stringendo il tessuto della maglietta tra le dita.

Theo abbassò leggermente la testa e quasi le sfiorò la fronte.

Lei era solita cercare sempre un contatto fisico con lui, ma non erano mai stati vicini in quel modo.

Rumori di passi e porte che sbattevano giunsero da altri luoghi della casa, sembrando improvvisamente irrilevanti rispetto a ciò che stava accadendo in quella stanza sinistra, infestata dalle parole sospese che non si erano mai detti, dal prossimo addio, dal loro qualcosa.

«Quello che penso è,» mormorò lui, in un soffio «che quando sono con te, è facile essere me stesso. Solo con te è così facile. No, non facile, naturale».

Nina trattenne il respiro e cercò d'incrociare il suo sguardo nella penombra, sperando di trovare nei suoi occhi un'anticipazione di ciò che l'avrebbe aspettata. Le parole di Theo avrebbero dovuto confortarla, erano ciò che aveva sempre sperato di sentire, ciò che aveva sempre sperato di essere per lui. Tuttavia, il turbamento che riconosceva nelle sue iridi chiare, spettrali nella luce fredda della torcia e tanto vicine da poterne distinguere ogni sfaccettatura, non le permetteva di godersi appieno quel momento.

«Questo dovrà pur significare qualcosa» aggiunse.

Certo che significava qualcosa, avrebbe voluto rispondere. Significava tutto per lei. Le parole rimasero incastrate nelle macchinazioni dei suoi pensieri e non riuscì a rispondere, persa nell'intensità di quel momento e spaventata da quello che lui avrebbe potuto dire o fare, da cosa sarebbe cambiato tra loro.

«'Fanculo, lo sai che non sono bravo con le parole» esclamò Theo, infine.

Non le diede più tempo di riflettere. Si piegò a baciare le sue labbra con irruenza, senza chiedere il permesso, senza pensare alle conseguenze. Dalla sorpresa Nina lasciò cadere il cellulare per terra e con esso persero qualsiasi fonte di luce nella stanza.

La ragazza sapeva di esistere, in quel buio, solo perché le sue mani erano aggrappate alla maglietta di Theo, e quelle di Theo tenevano salde le spalle di lei.

Sentiva le sue labbra sulle proprie, calde e ruvide, e non seppe come reagire se non pensando a quanto fossero diverse rispetto a ciò che si sarebbe aspettata. Non aveva mai davvero fantasticato su Theo, la prospettiva di quel bacio le era sembrata così improbabile fino a pochi istanti prima che neanche la sua mente si era mai azzardata ad esplorarne la possibilità, ma una volta l'aveva sognato e al risveglio si era domandata come sarebbe stato nella realtà.

Diverso, fu la risposta che potè finalmente darsi. Diverso da qualsiasi cosa avesse mai provato.

Qualcosa.

«Theo, aspetta» si ritrovò però a mormorare, infilando una mano tra le loro labbra e poggiando la punta delle dita sulla bocca di lui. Tenne gli occhi chiusi, spaventata da ciò che avrebbe potuto trovare in quelli di Theo, finché non ricordò che il buio li avvolgeva completamente, la proteggeva.

«Nena» sussurrò Theo, avendo l'ardore di parlare contro le sue dita. «Se non sta sera, quando?» Ripetè le sue parole.

Nina scostò la mano d'istinto, come scappando da una fiamma libera. Abituata alla sua freddezza, neanche si sarebbe potuta immaginare che Theo potesse bruciare. Lui interpretò quel gesto come un lasciapassare e si sporse nuovamente verso le sue labbra, con più confidenza, più carattere, afferrandole le spalle per tenerla ferma. Nina ci cascò per un istante, concedendosi di assaporare il momento, di respirare la sua stessa aria e stringersi contro il suo petto, chiedendosi se lui riuscisse a percepire con quanta violenza il cuore le stesse frantumando la cassa toracica.

Fu solo un momento però.

Nina cercò di sottrarsi, prima facendo un passo indietro e poi, quando lui la seguì, premendo con forza una mano sul suo torace solido.

«Theo» mormorò con il fiato corto, scivolando di lato finché la sua fronte non si poggiò sulla spalla di lui. Non ebbe il tempo di chiedersi se quel bacio fosse qualcosa che desiderava, se desiderasse Theo. Doveva prima assicurarsi di salvaguardarli. «Aspetta, parliamone».

«Non farmi rovinare anche questo» disse lui, le parole che s'infrangevano tra i capelli di lei.

Il buio cominciò a farsi opprimente e la ragazza si piegò sino a recuperare la sua torcia, restituendo alla stanza una confortevole penombra. Almeno finché non guardò Theo. Sembrava disorientato, distante, e Nina avrebbe voluto toccarlo nuovamente, rassicurarlo, ma temeva che qualsiasi mossa sarebbe stata un passo falso.

Sentirono gridare i loro nomi, da qualche parte alla loro destra. A Nina sfuggì uno sbuffo. Aveva bisogno di più tempo.

«Saremo sempre noi, Theo. Io e te, quello che c'è tra noi, sarà sempre speciale,» disse, mettendo già in discussione le parole che sapeva sarebbero seguite. «Ma non so se questo fa per noi, non so se sono disposta a cambiare qualcosa per scoprirlo».

Il silenzio cadde tra loro, innalzando un muro che, già lo sapeva, avrebbero passato il resto della vita a distruggere.

In quella quiete innaturale, nel buio che sospendeva quel momento nel tempo, per un attimo sperò che fosse solo un sogno.

Poi sentirono chiaramente avvicinarsi le voci degli altri e Nina sobbalzò. Theo, abituato a mantenere i nervi saldi, rimase immobile a guardarla.

E Nina non riusciva a sopportarlo.

Allungò una mano, cercando di lasciargli una carezza, ma lui si tirò indietro appena prima che la mano lo sfiorasse e le dita di Nina ricaddero nel vuoto, pesanti.

«Pensavamo foste morti» esclamò Sophie, emergendo dall'oscurità e puntando la luce della torcia sul volto dei ragazzi. «Questo posto è troppo figo!»

Nina si coprì gli occhi, abituatasi alla mera penombra, e quando riprese la vista la sua attenzione venne catturata dalla figura di Theo intento a lasciare la sala da pranzo.

«Che succede?» domandò Manu.

Nina non fece caso a nessuno di loro. Scattò verso Theo, gridando il suo nome, e quando riuscì ad afferrare un lembo della sua maglietta lui le scacciò la mano, preciso e letale come lo sguardo che le rivolse subito dopo.

«Ho chiuso con questa stronzata, lasciami andare» proferì, perentorio. Lei lo guardò andare via, la bocca spalancata e arida, priva di tutte le cose che avrebbe potuto dire per salvare la situazione.

«Immagino te l'abbia detto» momorò Sophie con un sospiro, avvicinandosi piano. «Mi dispiace, Nena»

«Tu lo sapevi?» domandò, voltandosi di scatto a guardarla.

La sua amica sollevò le spalle, l'espressione affranta.

«E' stato un colpo scoprirlo, ma Theo mi ha vietato di parlartene. Voleva essere lui il primo a dirtelo».

Le due ragazze si scambiarono uno sguardo nel quale Nina cercò conforto e risposte, senza trovarne. Manu e Jerry passarono loro davanti, illuminando con le torce la porta dalla quale Theo era scappato e guardandosi attorno, sforzandosi di non sembrare interessati alla discussione. Kevin, impacciato e fuoriluogo, rimase fermo all'angolo opposto della sala da pranzo.

«Non so che fare» confessò Nina, inclinando la testa sino a poggiarla contro quella di Sophie. L'amica le circondò le spalle con un braccio e la strinse dolcemente.

«Non significa niente. So che sembra la fine del mondo ma non lo è. Se vorrete, potrete vedervi comunque. Potrai andare a trovarlo, potremmo andare insieme a trovarlo. Magari lo inviteremo comunque qui, a villa Madeleine, per passare l'estate».

Nina lasciò che le parole di Sophie sedimentassero, cercando di dar loro un senso, ma si rese conto che la stava consolando in un modo del tutto fuori contesto.

«Di che stai parlando?» chiese, quindi, sciogliendo l'abbraccio per poterla guardare meglio.

I lineamenti morbidi del viso dell'amica s'irrigidirono, la fronte corrucciata.

«Ma scusa, che ti ha detto Theo?»

In quel momento le fu chiaro, lei e Sophie stavano parlando di due questioni completamente diverse.

«Parla Sophie» disse, imitando il tono che Theo aveva usato con lei prima di andar via. «Cos'è che Theo non voleva che tu mi dicessi?».

I ragazzi smisero di fingere di non essere interessati alla conversazione e si voltarono a guardare le due che si fronteggiavano accanto al tavolo da pranzo coperto, sotto uno dei malandati lampadari di cristallo.

Sophie trattenne il fiato.

«Killian e Sylvie» mormorò.

Nina sentì il flusso sanguigno accelerare nelle sue vene e riversarsi nelle sue orecchie, sino ad ovattarle.

«Che c'entrano Killian e Sylvie?» domandò, in un soffio.

«Theo mi è parso turbato, pensavo te l'avesse detto lui».

La ragazza bionda cambiò più volte la distribuzione del peso sui piedi. Quando Nina le lanciò uno sguardo tagliente si ritrovò ad alzare le mani, arrendevole.

«Killian e Sylvie si sono lasciati, ce l'hanno detto sta mattina anche se, a dirla tutta, era nell'aria da un po'» spiegò, e Nina si ritrovò a guardarla con un'espressione interrogativa, come se non riuscisse - o non volesse - giungere alla conclusione cui quel dato di fatto portava.

«Theo e suo padre non torneranno più nel Principato» aggiunse, cercando la sua mano.

Nina però non la stava già più ascoltando.

Scattò in avanti, lasciandosi alle spalle la voce di Sophie che gridava il suo nome e scansando le mani di Jerry che si allungarono verso di lei con l'intento di trattenerla. Lottò con la tapparella della finestra che si era richiusa dopo il loro passaggio, scoppiando quasi a piangere dal nervoso quando finalmente riuscì ad uscire all'aria aperta. Poi corse, corse a perdifiato per le sterpaglie del giardino che le solleticavano le gambe e le rovinavano il vestito, scavalcò la recinzione e poi dritta sino al cancello di Villa Madeleine, dove la festa procedeva imperterrita.

Dalla strada, Nina riusciva a vedere la finestra della camera di Theo e il pensiero che quella stanza non gli sarebbe più appartenuta la trafisse allo stomaco.

La luce era accesa e lei si prese solo allora del tempo per pensare. La notizia rivelata da Sophie aveva dato un senso a tutto. Theo sapeva già che le cose tra loro sarebbero cambiate, l'aveva saputo per tutto il tempo. Solo, avrebbe voluto saperlo anche Nina. Avrebbe voluto giocare quella partita conoscendo le carte, invece era stata costretta ad una mano al buio.

Ipotizzò come doveva essersi sentito Theo per tutta la sera, sapendo che suo padre aveva per l'ennesima volta distrutto qualsiasi sua speranza di avere una famiglia, sedendo al fianco di Nina sul muretto consapevole che sarebbe stata l'ultima, e si maledisse per averlo trascinato in quella stupida casa.

Vide sgretolarsi tutte le aspettative per le estati a venire, realizzando che la loro conta si sarebbe fermata a tre. Tre estati. Si chiese come sarebbe riuscita a sopravvivere all'inverno con il vuoto che la tormentava ogni volta che Theo era lontano, sapendo che non ce ne sarebbe stata una quarta.

Guardando la sua finestra però, rimuginando e riavvolgendo gli eventi di quella sera, Nina realizzò che in quel momento non avrebbe potuto fare niente. Se avesse bussato alla sua porta lui l'avrebbe chiusa fuori e lei non sapeva se sarebbe stata in grado di sopportarlo. Non avrebbe neanche saputo cosa dirgli, cosa ne sarebbe stato di loro, come spiegargli che per quel qualcosa che li legava avrebbe fatto di tutto, tranne forse trasformarlo in altro.

Non sapeva se ne sarebbero stati capaci.

Fece un passo indietro e un'altro ancora, lanciò un'ultima occhiata alla stanza accesa e prese un grosso respiro, sperando che, prima o poi, sarebbe riuscita a venire a capo della matassa di pensieri nella sua testa. E che lei e Theo avrebbero trovato un modo di esistere, nonostante tutto.

Si trascinò fino alla sua Vespa rossa, parcheggiata poco distante dall'ingresso della villa, e con un senso d'irresolutezza che le divorava il fegato tornò a casa.

Nina già sentiva di averlo perso, l'aveva saputo per tutta la sera, in qualche modo.

Sarebbe stato il suo arto fantasma, tanto suo quanto inesistente.

Passò la notte a pensare che quel bacio sarebbe stato il loro ultimo ricordo assieme, il punto alla fine della loro terza estate. Con tristezza realizzò che, se non si fosse tirata indietro, almeno sarebbe stato un bel ricordo. 

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