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2. PRESENTE | Incontri


Maggio 2023

NINA

Il Giardino Esotico del Principato di Monaco era immerso nella quiete in quella tarda mattinata infrasettimanale. Una brezza gentile e salmastra accarezzava i capelli di Nina, scompigliandole la frangetta. Quel momento, però, era troppo perfetto perchè potesse curarsene. L'estate era alle porte e il sole le pizzicava la sua pelle chiara, lasciata scoperta dalle spalline a barca di un vestitino in Sangallo. Era la sua stagione preferita, e ne aveva fatto la sua intera personalità.

Benny, la sua migliore amica e socia in affari, era solita dirle che non aveva bisogno dell'arrivo dell'estate per essere felice: avere Nina accanto, affermava, era come vivere in un'eterna giornata di sole. La luce le veniva da dentro, ed illuminava e riscaldava tutto ciò che la circondava.

Nina non era certa che fosse del tutto vero, ma le piaceva l'idea che gli altri percepissero quella luce.

E comunque, che l'avesse o meno, il sole la ricaricava.

Seduta su una panchina di legno, con un blocco da disegno poggiato sulle gambe, Nina aveva il mento rivolto al cielo e gli occhi socchiusi. Un sorriso si era impossessato delle sue labbra e non sembrava intenzionato ad abbandonarle.

Il giardino, posizionato sulle alture del Principato, era un tripudio di colori e vita, un'allegra cornice dove Nina era solita passare le giornate alla ricerca di ispirazione. L'ultima linea di Cloud Nine, che aveva spopolato tra le signore dello Yacht Club dov'erano soci i suoi genitori, era nata proprio su quella panchina, tra quei sentire, copiando le sfumature dei fiori tropicali sbocciati tra le spine dei cactus, i movimenti sinuosi dei loro petali, i colori vibranti. Le signore dell'alta società amavano sentirsi esotiche senza dover lasciare i confini rassicuranti del Principato, e la collezione era andata a ruba.

Aveva venduto tutti i vestiti di campionario e realizzato dei duplicati su richiesta, ma non più di tre per ciascun modello. Unicità e ricercatezza erano parole d'ordine del suo brand, e chiunque avesse voluto un altro abito disegnato da lei avrebbe dovuto attendere la nuova collezione. Era per quel motivo che si trovava nuovamente ai Giardini. Erano stati propizi per la collezione passata e, anche se avrebbe dovuto sperimentare nuovi luoghi per cercare idee innovative, non riusciva davvero a lasciarli andare. In quel posto così pieno di bellezza, così vivo, la sua mente si apriva e la sua immaginazione sembrava quasi fare le fusa al suo cervello.

Non aveva ancora un'idea chiara di cosa avrebbe voluto realizzare, ma era fiduciosa che presto l'idea sarebbe arrivata. La sua fantasia galoppava a ritmi a tratti insostenibili.

Più tardi, sentendosi intorpidita e con le guance che andavano a fuoco per l'esposizione al sole, si alzò per sgranchirsi le gambe. Percorse i sentieri stressati fino a raggiungere un punto panoramico da cui osservò il Porto d'Ercole. Era un brulicare di vita: i turisti cominciavano a scendere dai binari alla Gare de Monaco anche in settimana, i locali espandevano i coperti all'esterno e le barche mollavano gli ormeggi sempre più spesso, spiegando le loro vele fuori dal braccio del porto, danzando al ritmo del maestrale.

Il Principato era un diamante raro. Lì era tutto diverso, i colori, i profumi, le luci. Era una bolla fuori dal mondo, lontana dalla boriosa vita al di là del confine. Era un'eccezione, il posto dove approdava la gente che realizzava i propri sogni. Per questo, era anche un po' un sogno ad occhi aperti fatto di oro colato, champagne e cristallo. E Nina, con gli anni, aveva realizzato che non c'era posto al mondo in cui si sarebbe sentita più a casa; che quel luogo le era stato cucino addosso, come fosse uno dei suoi vestiti.

«Buongiorno» la interruppe una voce alle sue spalle, in un francese vellutato e impeccabile. «Mia madre non viene qui da anni e vorrebbe visitare giardini, magari anche la grotta. Saprebbe dirmi a chi rivolgersi?»

Nina si girò e incontrò il sorriso gentile di un giovane uomo dai lineamenti raffinati. Il ciuffo di capelli scuri, divisi da una riga laterale, si posava morbido sulla fronte, e una camicia bianca infilata nei pantaloni di colore chiaro ne sottolineava la figura elegante.

Il sorriso di Nina si allargò, sino a mettere in mostra una fila di denti bianchi sotto le labbra lucide di gloss. Momenti come quello erano prova di come la magia di Monaco sapeva rivelarsi.

«Seguitemi» li invitò, pronta a non lasciarsi sfuggire una così invitante occasione. «Sono Nina e sarò la vostra guida»

Del resto, si era stancata di starsene seduta a fantasticare su quella panchina. Aver passato più tempo di chiunque altro in quel giardino doveva pur valere qualcosa.

«Serge» si presentò il ragazzo, portandosi una mano sul petto prima di indicare la donna alle sue spalle. Una signora in un bell'abito rosso, con i capelli bianchi sollevati in uno chignon francese e gli stessi occhi scuri del figlio. «E lei è mia madre, Rose»

Serge scoprì che Nina non era un'addetta ai giardini solo quando lei lo confessò, molto più tardi del loro incontro. Avevano passato un'ora splendida insieme, passeggiando lungo i sentieri circondati da cactus e succulente, soffermandosi nell'intima cornice del centro botanico. Parlare di fiori, piante e della vita nel Principato era stato sorprendentemente naturale.

Scoprirono di essere entrambi nati e cresciuti lì, legati allo stesso piccolo mondo dorato. Condividevano una passione per la città, per la moda e per quella vita mondana che, nel bene e nel male, caratterizzava Monaco.

Quando Serge si scusò per averle fatto perdere tutto quel tempo, Nina lo rassicurò con un sorriso e gli accarezzò leggermente il braccio, dove lui aveva arrotolato la camicia sino al gomito. La compagnia sua e di Rose era stata più che piacevole, disse, e magari si sarebbero rivisti per caso in uno dei locali di cui avevano parlato tra le chiacchiere.

Serge non sembrò disposto a lasciare che si concludesse tutto così, senza ricambiare la sua gentilezza. Insistette per offrirle subito un caffè, e quell'invito si trasformò in un pranzo improvvisato. Nina si ritrovò a ridere con loro, pasteggiando all'ombra della struttura di metallo e vetro del centro botanico. Si sentiva raggiante, e le sue guance rimasero rosee per tutto il tempo, complice il primo sole preso sulla panchina e le attenzioni di un bel ragazzo che sapeva come giocare le sue carte.

Si rividero quello stesso pomeriggio, per una passeggiata in città. Serge glie l'aveva chiesto con un sorriso affabile e Nina non aveva trovato motivi per rifiutare.

Guardando il tramonto, con una coppetta di gelato tra le mani e la risata armoniosa di Serge in sottofondo, Nina si perse a osservare i colori che sfumavano nel cielo. Pensò a come sarebbe stato bello tradurli in tessuto, rubare i pastelli al tramonto dipinto davanti ai loro occhi per vederli sfilare su una passerella.

Prese il telefono, scattò una foto e ci scrisse sopra "Questi colori qui, abbinati all'infinito. Una collezione che racconti di una passeggiata al tramonto in Costa Azzurra". Inviò tutto a Benny, poi tornò a godersi la compagnia del giovane monegasco e al suo gelato al pistacchio.


Dopo la terza uscita, Nina scoprì di non essere convinta che Serge fosse il tipo giusto per la sua prossima, grande, storia d'amore. Certo, rifletteva perfettamente quelli che erano sempre stati i suoi standard in fatto di ragazzi: era gentile, istruito, educato e decisamente piacevole agli occhi. Ma quegli "standard", più che un criterio personale, erano le caratteristiche che più appagavano i suoi genitori, e che lei stessa aveva finito per accettare senza mai metterle davvero in discussione.

Serge sembrava un déjà-vu. Una canzone già sentita, una storia che Nina già sapeva come sarebbe andata a finire: sarebbero stati bene, per un po'. Lei si sarebbe illusa di aver finalmente trovato l'amore della sua vita, e lui l'avrebbe lasciata quando meno se l'aspettava. Era lo schema di tutte le sue relazioni.

Mentre decideva cosa farne di lui, però, si lasciava trasportare dagli eventi, approfittando della sua piacevole compagnia. Serge la faceva ridere e, come inizio, era sufficiente per concedergli una chance.

«Hai promesso» ricordò Nina a Benny, qualche sera più tardi, mentre si dedicavano a una sessione di stretching nella palestra più esclusiva del Principato. L'abbonamento era sprecato per due come loro, che trascorrevano più tempo a chiacchierare accanto agli attrezzi che a usarli, ma la frequentavano con un'assiduità impeccabile. «Ho già accettato questo appuntamento a quattro, non puoi tirarti indietro adesso».

Lo specchio rifletteva l'immagine di due ragazze giovani, nel pieno dei loro vent'anni, impegnate a eseguire pigramente un esercizio per allungare la schiena. A sinistra c'era Benny, con le gambe lunghe e le spalle dritte, i capelli rossi raccolti in una treccia sulla nuca e un portamento posato; a destra si trovava Nina, più minuta dell'amica, con due codini scuri che le sfioravano le spalle e una frangetta perennemente scompigliata.

Non c'era traccia di sforzo sulle solo facce, né di sudore sui completini coordinati. Ogni tanto qualcuno passava loro accanto, e Nina si girava per salutare, dispensando lo stesso sorriso caloroso a chiunque. Se chiacchierare e fare amicizia fosse stato uno sport, in quello sì che sarebbe stata imbattibile. Il movimento fisico, invece, non era per niente il suo forte.

Benny cambiò posizione con un sospiro rassegnato.

«Ho perso il conto degli appuntamenti a quattro a cui mi hai trascinata, tutti finiti malissimo. Non è che mi sto tirando indietro, sto solo dicendo che forse dovresti abbandonare questa fantasia» commentò la ragazza.

Nina lasciò perdere qualsiasi tentativo di stretching e si sedette a gambe incrociate accanto all'amica, una smorfia dipinta sul volto.

«Non l'ho organizzato io» replicò, alzando le mani in segno di difesa. «Ho solo detto a Serge che questa sera sarei uscita con te, e lui mi ha proposto di raggiungerci con un amico. Il fatto che lui abbia aggiunto che vorrebbe far incontrare al suo amico una brava ragazza è un dettaglio di poco conto».

Benny alzò gli occhi al cielo, visibilmente poco convinta.

«Serge ti piacerà tanto, te lo garantisco. E' bello, intelligente, un vero gentiluomo,» aggiunse Nina, con fare sognante. «Vorrei proprio sapere cosa ne pensi di lui, così magari deciso cosa fare».

«Che ne è stato di Klay?» chiese a sorpresa Benny, e il viso di Nina si contorse in un ghigno.

«Perchè vuoi parlare di Klay?».

«Non so, forse perchè fino a qualche settimana fa era l'uomo perfetto? E ora stiamo già parlando di un nuovo uomo perfetto?».

«Klay non ha mai più risposto ai miei messaggi, e sinceramente meglio così. Alla fine, era solo una palla al piede».

«E ti senti già pronta per buttarti in una nuova storia?»

«Dopo una relazione lunga, noiosa e che in fin dei conti non vedevo l'ora che finisse?» chiese Nina, la voce intrisa di sarcasmo «Io non vedo l'ora di buttarmi in una nuova storia. Klay non era per niente all'altezza».

Benny scosse la testa, rassegnata. Anche se Nina era convinta che l'amica avrebbe voluto controbattere, rimase in silenzio.

«Ci divertiremo sta sera» aggiunse Nina, dandole una pacca sul ginocchio «Andiamo a cambiarci».

La strada verso gli spogliatoi fu accompagnata dalle fantasie di Nina che, a voce alta, ricamava i pregi che avrebbero ricavato se Benny si fosse trovata bene con l'amico di Serge. Sognava una lunga estate monegasca, lei a prua dello Yacht di suo padre con un bel prendisole colorato, in compagnia di un fantastico ragazzo e con la sua migliore amica al fianco, a brindare al sole e alla giovinezza. Avrebbero potuto organizzare un viaggio magari, qualcosa di esotico in onore dei Giardini dove lei e Serge si erano conosciuti. Girare in Costa Azzurra con la decappottabile, provare i ristoranti più esclusivi e i locali più in voga, scatenandosi tra le celebrità senza dar loro conto.

«Lo conosci da meno di una settimana» le fece presente Benny, chiudendo rumorosamente la porta metallica del suo armadietto. «Studia questi piuttosto, sono gli appunti dell'ultimo mese di lezioni»

La rossa passò all'amica un plico rilegato che aveva recuperato dal borsone, e Nina se lo sistemò nello zaino con cura.

«Ho abbozzato qualcosa la scorsa notte per la nuova collezione. Niente di definitivo, sghiribizzi» disse, porgendole a un malloppo di fogli. Benny li afferrò e iniziò a spulciarli, curiosa.

«Adoro i colori» commentò, accarezzando con le dita alcuni scampoli di tessuto che Nina aveva incollato ai disegni per rendere più chiara l'idea degli accostamenti. «Pastel sunset on the French Riviera» lesse poi, ad alta voce.

Nina annuì, visibilmente soddisfatta.

Benny era parte del progetto Cloud Nine tanto quanto Nina. Se quest'ultima si occupava della direzione creativa, Benny gestiva la parte economica e pubblicitaria, curando i social e studiando strategie per far sfondare il brand al di là dei confini del Principato.

Le due si erano conosciute tre anni prima, durante i loro primi giorni all'Università di Monaco, entrambe matricole del corso di Marketing dei beni di lusso. Benny era una studentessa convinta, spinta anche dall'azienda di arredi di lusso di cui sua madre era CEO e dove l'attendeva un futuro brillante. Nina, invece, si era iscritta solo per accontentare suo padre, che non transigeva sull'importanza di possedere almeno un "pezzo di carta" per andare avanti nella vita.

Non era stato amore a prima vista tra le due.

Benny mal sopportava la superficialità e l'ipocrisia dell'alta società monegasca, nonostante ne facesse parte, e Nina, con i suoi modi esuberanti e la sua caccia perenne alle attenzioni, era stata inizialmente additata come sua nemesi.

Finché si trovarono a condividere una sigaretta in una grigia mattinata di Novembre, fuori dall'aula dove si era appena tenuto un parziale del corso che entrambe frequentavano, e prima che tutta la cenere toccasse terra erano diventate amiche.

Benny scoprì presto che per voler bene a Nina bastava andar oltre alle apparenze, perdersi nelle sue iridi accese, farsi abbindolare dalla sua parlantina, lasciarsi coinvolgere da quel marasma di idee che le frullavano in testa, dal suo entusiasmo. Sopratutto per una come Benny, più pragmatica, una sognatrice razionale come le piaceva definirsi, Nina era una boccata d'aria fresca.

E Nina, con le persone come Benny, andava particolarmente d'accordo. Le piaceva essere una parentesi di fantasia anche nelle vite più logiche, e le persone più logiche trovavano in lei un'interessante pausa dalla realtà.

Le due avevano capito di avere del potenziale, cavalcando le loro differenze, e quando Nina le aveva parlato del suo progetto di fondare un brand d'alta moda, Benny si era offerta di preparare un piano finanziario e pubblicitario per Cloud Nine.

Più tardi, quando Nina aveva segretamente lasciato l'università, Benny aveva continuato a passarle gli appunti delle lezioni così che potesse comunque apprendere nozioni potenzialmente utili senza però dover dedicare allo studio tempo prezioso rubato alla sua creatività.

Avevano creduto l'una nell'altra, sin da subito, convinte di poter raggiungere grandi traguardi insieme, come socie e come amiche. Anche quando questo, per Benny, significava farsi trascinare nell'ennesimo, potenzialmente deludente, appuntamento a quattro.

Discussero di Cloud Nine sotto la doccia e mentre si preparavano, interrotte solo dalle chiacchiere di circostanza che Nina si ritrovava ad intrattenere con le conoscenze della palestra.

Quando uscirono per le strade del Principato, la sera stava ormai la sera. Le vie de La Condamine, il quartiere dove entrambe le ragazze vivevano, erano gremite di persone a passeggio. Nina apprezzava particolarmente l'allegro via vai su Rue Princesse Caroline, la strada pedonale che conduceva al Porto d'Ercole, così come i palazzi d'epoca colorati e dalle linee tondeggianti che costeggiavano la strada, le vetrine dei negozi piene di fiori, quell'aria che univa perfettamente il fascino della città vecchia al prestigio di Monte Carlo, qualche chilometro più su.

L'aria era frizzante, carica di un'elettricità che sembrava anticipare qualcosa. Nina prese Benny sotto braccio, guidandola con passo deciso lungo la via principale sino a sbucare a pochi passi dalle Piscine, dove i giorni del Gran Premio di Formula Uno veniva imbastita la famosa variante. La loro meta era un Club di recente apertura sulla banchina del porto: il Jack. Con entusiasmo, Nina trascinò l'amica giù per le scalette che portavano al livello del mare. Una leggera brezza sollevò il vestitino dal tessuto leggero di Nina e, da non troppo lontano, si udì un fischiò di apprezzamento.

«Qui nel Principato non siamo abituate ad essere fischiate come cani» gridò Benny, lanciando un'occhiataccia al gruppo di turisti che commentavano la scena. «Balordi» aggiunse, a denti stretti.

Nina rise e basta, divertita dall'aggressività dell'amica e poco incline ad offendersi per simili comportamenti.

«Sei bellissima, Benny. Anche io ti fischierei per strada» le disse, piuttosto, poggiando la guancia sulla spalla della ragazza. I suoi lunghi capelli rossi erano nuovamente legati, come spesso accadeva, ed intrecciati in uno chignon basso.

«Guarda che fischiavano te» ribattè Benny, ma Nina si limitò a liquidarla con un gesto della mano.

A braccetto, proseguirono lungo la banchina del Porto d'Ercole, immerse nelle luci soffuse dei lampioni, tra i riflessi sull'acqua e il leggero dondolio degli Yacht ormeggiati. Quando intravidero le transenne che segnavano l'entrata del Jack, Benny piantò i piedi per terra.

«Se non mi piace posso scappare?» mormorò, cercando conforto negli occhi dell'amica. Nina le afferrò una mano e la strizzò affettuosamente.

«Tu prova a resistere» rispose, guardandola da sotto le lunghe ciglia nere. «Se non è storia, procediamo con il piano di evacuazione base».

«Vorrei proprio vedertelo mettere in atto» commentò Benny, guadagnandosi una leggera spinta in risposta.

Giunte all'ingresso, informarono il maître addetto alle prenotazioni di voler raggiungere i loro accompagnatori al tavolo Dubois. Attraversarono l'interno del locale, fino a raggiungere il dehors che si apriva sul retro, dove i tavoli alti erano sistemati sulla banchina e imponenti vasi decorativi delimitavano il perimetro. Il sottofondo Jazz e le luci soffuse contribuivano a creare un'atmosfera rilassata, elegante, e Nina si complimentò silenziosamente con Serge per la scelta del locale.

Lo trovò dopo un'occhiata attenta, in piedi accanto ad un tavolo, con il cellulare all'orecchio. Non appena Nina intercettò il suo sguardo e gli sorrise, Serge sollevò una mano in segno di saluto e chiuse la chiamata.

Spalancò le braccia per accoglierla e, dopo averle dato due leggeri baci sulle guance, tese la mano verso Benny per presentarsi. Nina sorrise dei suoi modi impeccabili, che Benny avrebbe sicuramente apprezzato, e si lasciò cullare dal suo buon profumo e dal suo genuino entusiasmo che lo animava.

Serge indossava la solita camicia bianca infilata nei pantaloni, e i suoi capelli scuri, pettinati con cura, erano ordinatamente acconciati con una netta riga laterale. Nonostante cercasse di sembrare perfettamente a suo agio, Nina catturò un guizzo nei suoi occhi che parve suggerire una certa apprensione.

Quando fece cenno alle ragazze di accomodarsi, lei aggrottò la fronte.

«Siamo solo in tre?» domandò, perplessa.

Serge lasciò sfuggire un respiro profondo, quasi teatrale.

«Oh, no, Theo era qui fino a qualche minuto fa» rispose, attendendo che le ragazze si accomodassero prima di prendere posto sullo sgabello alto di fronte a Nina. «Si è allontanato un momento, tornerà» aggiunse con una risatina nervosa. «Credo. Spero.»

Nina non riuscì a trattenersi dal lanciare un'occhiata di traverso all'amica, trovando un certo fastidio disegnato sul suo viso.

Benny era molto più intransigente di Nina, meno incline a tollerare scortesie, e l'assenza di Theo non prometteva nulla di buono per le sue prime impressioni.

Nina vide i suoi sogni per l'estate vacillare un po', ma non si perse d'animo.

«Beviamo qualcosa nel frattempo?» propose Serge, facendo un cenno al cameriere in divisa. «Qualche bollicina per cominciare?»

«Le bollicine sono sempre un'ottima idea» affermò Nina con un sorriso affabile, accavallando le gambe.

Il vestitino rosa che indossava, dal tessuto leggero, lasciava scoperta quasi tutta la coscia destra e parte della schiena, pur mantenendo un taglio accollato sul davanti. Era una reinterpretazione del concetto di bon ton che aveva esplorato qualche anno prima, con il suo primo concept di Cloud Nine: una guida irriverente alla sensualità sbarazzina per le figlie dell'alta società monegasca, cresciute nel rispetto di regole ferree sul vestiario e lunghezze minime richieste dai club.

«Sono davvero contento di conoscerti, Benny» disse Serge, dopo aver ordinato una bottiglia. «E mi scuso per il comportamento di Theo. Se decidesse di non unirsi a noi, avrò l'onore di cenare con due bellissime ragazze».

«Tu si che sai sempre cosa dire, e come dirlo» lo punzecchiò Nina, rivolgendogli un sorriso divertito.

«Tutta onestà» ribattè lui, portandosi una mano sul petto in un gesto solenne. «Hai conosciuto mia madre, mi ha cresciuto per bene. Trattare le donne come meritano è stato il primo dei suoi insegnamenti».

Nina notò un quasi impercettibile rilassamento nelle spalle di Benny. L'amica, sempre impeccabile nella postura, lasciava calare di poco le spalle quando si sentiva a proprio agio. Serge sembrava piacerle.

«Sua madre è splendida» confermò Nina, cercando di coinvolgere Benny. «Abbiamo passato una fantastica mattinata al Giardino Esotico»

«Raccontatemi» rispose Benny, con un sorriso educato e il tono amichevole. Nina rise al pensiero di tutte le volte che le aveva già narrato quell'episodio. A beneficio della conversazione, però, sarebbe stata disposta a sentirlo un'altra volta.

«Prima voglio sapere di voi due» ribattè Serge, lanciando un'occhiata complice a Nina. Anche questa storia, realizzò lei, era ben nota a Serge. Ma le piacque il modo in cui aveva ribaltato la situazione per dare spazio a Benny, darle attenzione. Non voleva che si sentisse in qualche modo il terzo incomodo. Così Nina rimase in silenzio e attese che fosse l'amica a cominciare a raccontare della loro amicizia.

Intanto, a tavola fu servita una bottiglia di champagne e i commensali brindarono alle nuove conoscenze, lasciando alle bollicine il compito di sciogliere la tensione.

«E tu, di cosa di occupi?» domandò Benny, quando sentì di aver monopolizzato il discorso. Aveva raccontato di quei primi tempi all'università e di come era nato Cloud Nine e Serge aveva ascoltato tutto senza perdere neanche per un momento la concentrazione, ponendo le domande nei momenti giusti, restando in silenzio quando le ragazze si alternavano tra loro nelle parti concitate della storia.

«Uh, ottimo punto» intervenne Nina, battendo le mani davanti a sé con entusiasmo. «Serge è super misterioso sul suo lavoro»

Il ragazzo si aprì in una risata leggera, musicale.

«Mi occupo di pubbliche relazioni» rispose, con tono pacato. «Mio fratello ha rilevato un'agenzia di comunicazione e mi ci ha messo a lavorare da quando avevo vent'anni. Lui è sempre in ufficio, e io faccio il lavoro sporco in giro per il mondo».

«Non mi sembra niente di misterioso» commentò Benny, scrollando le spalle. «Ma certamente interessante».

«Prova a scavare un po' di più. E' impossibile, non ne caverai niente» insisté Nina, scoccando un'occhiata a Serge quasi con sfida. Il ragazzo alzò le mani in segno di resa.

«Ho avuto brutte esperienze, in passato, rivelando dettagli sui miei clienti. Tendo ad essere riservato sul punto, almeno all'inizio» si giustificò, prima di svuotare ciò che rimaneva nel suo flûte di champagne.

«Ma io non sono come le altre» esclamò Nina, di proposito sin troppo civettuola. Benny levò gli occhi al cielo e Serge le sorrise.

«Lo so» rispose lui, con tanta semplicità che quelle parole le si accigliarono al cuore.

Si scambiarono uno sguardo carico di promesse. Nina sentì il desiderio di prendere la sua mano, posata dall'altra parte del tavolo. Più la serata avanzava, più i suoi ripensamenti su Serge si affievolivano. Forse si sarebbe buttata ancora una volta, forse ne sarebbe valsa la pena. Lui non sembrava il tipo di ragazzo in grado di spezzare un cuore, neanche uno fragile come il suo.

«E quanti anni hai, ora?» domandò Benny, accendendo una miccia per far ripartire il discorso. Serge distolse lo sguardo da Nina e lo portò con fluidità su di lei.

«Quasi trenta,» rispose. «Ormai a breve»

«E il tuo amico quanti anni ha?» s'informò Nina, anche con l'intento di ricordare al tavolo che mancava ancora qualcuno.

Serge sembrò tirare un sospiro di sollievo non appena guardò in direzione di Nina.

«E' arrivato, potete chiederlo direttamente a lui» disse, scostando lo sgabello e sbracciandosi per catturare l'attenzione dell'amico, da qualche parte dietro le due ragazze.

Loro ne approfittarono per scambiarsi uno sguardo e Nina ebbe l'impressione che Benny, con quell'occhiata, le stesse ricordando della possibilità del piano di fuga.

«Antonia» disse una voce alle loro spalle, spazzando qualsiasi conversazione silenziosa, qualsiasi pensiero.

Nina spalancò gli occhi, incredula e quasi spaventata dalla persona che si sarebbe potuta ritrovare davanti. Si girò piano.

Il ragazzo che si ritrovò davanti la guardava con un ghigno inaccessibile sul viso, un'espressione che conosceva fin troppo bene.

«Otto» esclamò, portandosi una mano sulla bocca spalancata dalla sorpresa. «Non ci credo».

Un istante dopo, le sue braccia erano già corse attorno al collo di lui e lo strinsero con foga.

«Antonia?» sentì ridacchiare Benny, incredula, da qualche parte dietro di lei. A Nina non importava, troppo presa dal sentire il corpo familiare dell'amico stretto contro il suo. Non le importava neanche che lui non stesse ricambiando il gesto. Non si sarebbe aspettata niente di diverso.

«Chi poteva immaginare che Theo saresti stato tu?» chiese, quando l'abbraccio cominciò a sembrarle troppo lungo per essere causale. Si scostò appena e le sue mani scivolarono sino ad afferrargli le braccia, incapace di lasciarlo andare.

Scrutò da vicino l'uomo che aveva sostituito il ragazzino dei suoi ricordi. Non c'era più traccia dell'adolescente irascibile, con i capelli a spazzola e il viso sempre imbronciato. Almeno nell'aspetto.

Nei quasi dieci anni che li avevano separati, Theodor Otto Bäcker era cambiato profondamente. Nina aveva visto alcune sue foto recenti, catturato dagli obiettivi della stampa, e lo aveva osservato da lontano mentre festeggiava sul podio del Gran Premio di Monaco, solo un anno prima. Eppure, nulla l'aveva preparata a quel momento: averlo lì, davanti agli occhi, reale e tangibile. Un ricordo che prendeva vita.

Era più alto, parecchio più di lei, e i lineamenti del suo viso si erano induriti, perdendo ogni traccia dell'innocenza giovanile. I capelli, di un biondo cenere più scuro rispetto a come li ricordava, erano più lunghi, spettinati, e un accenno di barba gli ombreggiava le guance. Le spalle larghe e il collo possente spuntavano da una maglietta crew neck, che lasciava intuire un corpo solido, solenne.

Solo gli occhi erano rimasti gli stessi, e in quanto tali, imperscrutabili. Nina non avrebbe mai dimenticato la freddezza con la quale l'avevano guardata quell'ultimo giorno passato assieme, prima di perdersi.

«Sicuramente sono il miglior Theo che potesse capitarti» disse lui, con quel tono arrogante che Nina ricordava fin troppo bene. Esuberante, incurante, anche un po' stronzo. E Nina sorrise, perchè quello era davvero il Theo che conosceva.

Alle loro spalle, Serge intervenne, cercando di riportarli tra loro. «Chi l'avrebbe mai immaginato, voi due che vi conoscete?»

Nina si costrinse a lasciar cadere le mani, deglutendo a fatica, ma togliergli gli occhi di dosso sarebbe stato più difficile ancora. Ne era come ipnotizzata. Theo. Il suo Theo. Di nuovo davanti a lei, dopo tutti quegli anni. Da quando era apparso, da quando aveva pronunciato il suo nome, il non aveva smesso un attimo di batterle furiosamente nel petto.

Theo sembrò riuscire a mettere distanza tra loro senza troppi sforzi. Fece il giro del tavolo e salutò frettolosamente Serge, che l'aveva aspettato in piedi, rubandogli lo sgabello di fronte a Nina. Poi fece un cenno verso Benny e le disse «Piacere» senza neanche presentarsi.

Nina pensò che dovesse essere un difetto della vita sotto i riflettori. Quando tutti conoscevano il tuo nome, presentarsi sembrava superfluo. Theodor era un pilota di Formula Uno. Uno dei più promettenti, dicevano i giornali. Il futuro del Motorsport. Quando Nina l'aveva conosciuto che ancora gareggiava nei campionati di Kart, e quando si erano separati lui aveva appena firmato un contratto per un sedile in Formula 2. Non che a Nina fosse mai importato niente del motorsport. Era un'attività che esisteva solo perchè Theo la portava in vita. Ma aveva seguito i suoi progressi, negli anni. L'aveva visto scalare le categorie, cambiare scuderie, fino a farsi davvero un nome. In segreto, senza ammetterlo neanche a sé stessa, aveva continuato a tifare per lui per tutto il tempo.

Serge, visibilmente interdetto per il cambio di posto, prese posto di fronte a Benny senza fare storie. Ma il suo sguardo continuava a vagare tra Theo e Nina, curioso e un po' sospettoso, nonostante il sorriso cortese che cercava di mantenere.

«Quando ci conoscevamo, era Nena» rispose Theo.

L'uso del verbo al passato ferì Nina più di quanto avrebbe voluto ammettere. Sentire nuovamente quel soprannome però, pronunciato da quelle labbra familiari, era come spalancare tutto d'un tratto le tende sul palcoscenico dei loro ricordi.

Nina non aveva avuto trovato il coraggio di guardare Benny. Lo fece in quel momento, trovando l'amica intenta a guardarla con un sopracciglio alzato, chiaramente in attesa di spiegazioni.

Serge sembrò sul punto di dire qualcosa, ma le parole gli morirono in bocca. Nina maledì il flûte vuoto davanti ai suoi occhi, poi lo sguardo venne attirato come un magnete dal ragazzo che le sedeva di fonte. La sua espressione era solida, composta, ma qualcosa nei suoi occhi sembrava suggerirle che anche lui era toccato da quell'incontro. Era solo una scintilla di speranza, ma Nina ci si aggrappò per non dover portare da sola il fardello di emozioni che Theo aveva portato con sè.

«Mi chiamava così un ragazzo spagnolo, un'estate di tanti anni fa. L'unico coraggioso abbastanza da provarci con me senza farsi intimidire da Theo. Almeno non subito» spiegò Nina, con l'intento di sembrare tranquilla e a suo agio, ma troppo sconvolta per pensare a qualcosa da dire che non fosse srotolare i suoi ricordi. La voce uscì vibrante e non potè far niente per aggiustarla. «Alla fine, per prendermi in giro, diventò il mio soprannome».

Sospirò, e poi ripetè «Nena» per riassaporarne il suono.

«Antonia quando mi facevi arrabbiare» aggiunse Theo, mantenendo il suo sguardo. Le sue labbra piene erano piegate in una smorfia.

«Cioè sempre» rise Nina, pensando che neanche i suoi genitori l'avevano mai chiamata col suo nome di battesimo. Solo Theo. «E quando mi facevi arrabbiare tu, eri Otto. Ricordo come odiavi quel nome. Ora è diventato il tuo nome d'arte».

«Non l'ho scelto io» ribatté subito lui. «Ai giornali è piaciuto e me l'hanno affibbiato».

«Theo è un pilota di Formula Uno» s'intromise Serge, rivolgendosi a Benny, che era rimasta in silenzio per tutto il tempo. Theo, nel frattempo, sollevò la bottiglia vuota di champagne e fece segno al cameriere di portarne un'altra «Ed io da qualche mese gli faccio da PR, per lui e la sua scuderia,» aggiunse, pacato.

La rivelazione lasciò Nina esterrefatta. Il mondo sembrava essersi impegnato parecchio pur far incrociare nuovamente le loro vite.

Benny, dal canto suo, non parve toccata né dalla celebrità di Theo, né dalla sua persona. La sua scarsa puntualità e l'assenza totale di galanteria erano stati più che sufficienti a eliminare ogni interesse. Nina, intanto, pregava silenziosamente perchè l'amica non decidesse di attuare il piano di fuga. Non era pronta a lasciarlo andare, ora che l'aveva ritrovato. Non ancora.

«Sto vincendo parecchio, ultimamente» disse Theo, lo sguardo rivolto verso Nina e una domanda nascosta tra le parole.

Tu mi stai guardando vincere?

Nina lo conosceva così bene che di ogni sua frase carpiva testo e sottotesto.

«Ho accompagnato mio padre al Gran Premio di Monaco, lo scorso anno. Ti ho visto correre» decise di rivelargli, richiamando alla mente i ricordi confusi e i sentimenti contrastanti di quella giornata. «Vincesti. Ero di fronte al podio».

Theo inclinò leggermente il capo, sollevando un sopracciglio folto.

«Potevi venire a congratularti».

Nina sbuffò piano, cercando di minimizzare l'accaduto. Era un nervo scoperto, per lei.

«Come se fosse facile entrare nel Paddock durante un Gran Premio» rispose, mentendo. Possedeva tutti i mezzi per guadagnare un accesso al paddock, e le labbra di Theo si sollevarono a un angolo perchè anche lui lo sapeva.

«Ti avrei fatta entrare io».

«Davvero?»

La domanda rimase sospesa mentre si guardarono in silenzio, un accenno di sfida negli occhi.

Nina aveva sempre pensato a come sarebbe stato rincontrarsi, rincontrarlo, e l'idea di scoprirlo la terrorizzava. Per ciò aveva preferito rimanere in disparte, al Gran Premio. Osservarlo a distanza di sicurezza, senza svelare il mistero.

Gli occhi gelidi con cui Theo l'aveva guardata per l'ultima volta, in una mattina che sembrava appartenere ad un'altra vita, l'avevano tormentata per anni.

A volte, si era concessa di pensare a lui e si era domandata cosa avrebbe fatto quando l'avrebbe rivisto, o come avrebbe reagito lui. Le versioni del loro incontro, sopratutto all'inizio, sapevano di occhi taglienti, parole fredde e cuori infranti. Poi, lentamente, erano sfociate in scenari più positivi. Forse lui avrebbe azzardato un "ciao", magari anche un mezzo sorriso, un "come stai?".

Alla fine, dopo tutto quel tempo a fantasticare, la realtà l'aveva spinta direttamente tra le sue braccia.

Con uno come lui, uno che analizzava e ponderava qualsiasi cosa, parola o gesto, forse avrebbe dovuto trattenersi, ma non era mai riuscita a somigliargli in questo. Non aveva mai saputo come non essere spontanea davanti ai suoi occhi.

«Che ci fai a Monaco?» chiese Nina, quando l'arrivo del cameriere con la bottiglia di champagne interruppe il loro gioco di sguardi e la curiosità prese il sopravvento.

«Tu che ci fai a Monaco?» ribattè lui, con quell'aria noncurante e al tempo stesso disarmante. «Pensavo che saresti andata in Italia, in qualche accademia di moda».

Nina scrollò le spalle, pensando alla ragazzina che aveva ardentemente desiderato di lasciarsi il principato alle spalle, andare a scoprire una nuova vita lontano dalla sua famiglia e dai salotti dell'alta società. Alla fine, però, era rimasta intrappolata in quel mondo, incapace di lasciarlo andare.

«Mio padre mi ha incastrato qui, con l'università» disse, prima di lanciare un'occhiata a Benny. «Ma ora finalmente faccio qualcosa che mi soddisfa».

L'amica rispose con un sorriso a denti stretti, appena abbozzato.

«Tocca a te. Sei di passagio?» insisté Nina, tornando a guarda Theo.

«Vivo qui da qualche mese. Avevo soldi da investire» rispose lui, liquidò frettolosamente l'argomento.

Un cameriere si avvicinò per rifornire le ciotole di olive e noccioline, e Serge colse l'occasione per proporre di ordinare del finger food al centro, proferendo parola per la prima volta da più di dieci minuti. Nina gli lanciò uno sguardo di scuse per la piega inaspettata che aveva preso la serata, annuendo senza aggiungere nulla.

«Benny è un'amica di Nina, si sono conosciute all'università» intervenne Serge, dopo aver completato la comanda, nel vano tentativo di allargare le maglie della conversazione a tutti i presenti.

Theo non si degnò neppure di guardare Benny, sancendo con quel gesto la fine di ogni possibile interesse.

«Sei ancora una principessina?» domandò a Nina, piuttosto, con un ghigno che la sfidava a reagire.

Lei lo fulminò con un'occhiata, più per il modo in cui aveva silenziosamente rifiutato ogni conversazione con la sua amica che per quell'insinuazione. Lui si aprì in un accenno di sorriso, non sentendosi offeso per quella bacchettata silenziosa. Era abituato al modo in cui Nina cercava di metterlo in riga.

«Ho imparato, a volte, a non esserlo» gli rispose, slasciando che un sorriso malizioso le piegasse le labbra. «Tu mi sembri ancora un bulletto scontroso».

Theo scrollò le spalle, come se quell'affermazione fosse del tutto scontata.

«E con le ragazze come procede? Hai imparato a tollerarle?» azzardò allora Nina, sfruttando un guizzo di coraggio per punzecchiarlo su una così delicata questione.

A Serge andò di traverso il drink.

«Tutto bene?» si preoccupò Benny, allungandogli frettolosamente i fazzoletti poggiati al centro del tavolo mentre lui tossiva, rosso in volto.

Sul viso di Theo si disegnò un ghigno divertito.

«Perdonatemi» esclamò Serge, tamponandosi il fazzoletto sulla bocca e sul colletto chiaro della camicia. «E' che, conoscendo la risposta, preferirei scomparire piuttosto che sentirla».

Nina rise piano, osservando Theo con aria divertita.

«La situazione è davvero così tragica?»

Theo non rispose subito, spallandosi leggermente sullo schienale dello sgabello altro e fermandosi a guardarla.

«Un tempo, io ero l'unica ragazza con cui Max parlava. Oltre a Sophie, la sua sorellastra» cominciò Nina, spiegando la sua domanda al resto del tavolo. «Aveva proprio un'avversione. "A che servono le ragazze quando puoi guidare una macchina veloce?" Te lo ricordi? Me lo dicevi sempre».

Nina, in realtà, era sempre stata felice di essere la sua eccezione.

Theo si prese un momento ancora per scrutarla, in silenzio.

«Diciamo che ho trovato dei motivi per farmele andare a genio» rispose infine, con un sorrisetto sfrontato. Un attimo dopo, guardò il telefono e si alzò.

«Theo» lo riprese Serge, cauto.

«Devo andare» annunciò semplicemente, lanciando un'occhiata veloce all'amico. «Grande serata».

«Serata? Sei rimasto a malapena mezz'ora» sbottò l'altro, sotto lo sguardo attonito delle ragazze. Una vena prese a pulsare in vista, sulla fronte di Serge, e Nina ebbe lo strano presentimento che fosse una specialità di Theo farla salire in superficie. «Perchè devi farmi fare queste figure di merda?»

«La rossa si è scansata una rogna, non conoscendomi» affermò Theo, con una scrollata di spalle, prima di fare un passo verso Nina. La guardò con tanta intensità che Nina quasi si sentì traballare. Poi proseguì, con voce bassa, mormorando: «E Nena, Nena mi perdonerà sempre qualsiasi cosa».

La familiarità di quella frase le fece venire la pelle d'oca. Per Nina, fu come risentire il ritornello di una vecchia melodia che sembrava perduta per sempre, e all'improvviso riaffiora. Riascoltarla portò con sé tutti i sentimenti a cui era legata, i ricordi, i giorni di sole.

«Come tu perdoneresti a me» replicò lei, sforzandosi nonostante tutto a tenere lo sguardo saldo nel suo.

Quello fu il loro modo di silenzioso di perdonarsi, ancora una volta. Perdonarsi per il passato, per tutto il silenzio degli anni a venire, per ciò che si erano detti e ciò che non avevano invece avuto il coraggio di dirsi.

Perdonarsi, per ritrovarsi.

Theo annuì, con un'insolita serietà.

«Ci sentiamo» disse, e Nina non capì se fosse una promessa o una domanda. Lui, comunque, non attese risposta.

Diede le spalle al tavolo, allontanandosi con il passo rilassato, le spalle dritte, e Nina non riuscì a staccargli gli occhi di dosso finché non varcò l'uscita.

«La rossa si è scansata una bella rogna» lo scimmiottò Benny, tirando un sospiro di sollievo per la ritrovata tranquillità.

«Non so come scusarmi, davvero. Theo mi era sembrato in vena di uscire, pensavo che si sarebbe goduto la serata per una volta...» si apprestò a dire Serge, gli occhi colmi di rammarico.

Benny gli fece segno di lasciar perdere, dedicandosi a allo champagne nel flute che si rigirava tra le dita. Nina, invece, scrollò le spalle. Sapeva meglio di chiunque altro quanto fosse faticoso tenersi accanto a Theo, quanta dedizione e quanta pazienza dovevano essere sfoderate persino per la più piccola e insignificante interazione.

Anche se con lui, nessuna interazione era banale.

E anche se Nina, in fondo, non aveva mai davvero fatto fatica a rapportarcisi.

«Quindi ho fatto rincontrare dei vecchi amici?» domandò Serge, tastando il terreno. «Non sapevo che Theo conoscesse qualcuno, oltre me, qui a Monaco»

«Storie di una vita fa,» rispose Nina, intenta a valutare quanto condividere del suo passato con Theo. Certe sfaccettature del loro rapporto a Serge non sarebbero piaciute per niente, altre l'avrebbero fatto sicuramente ridere, altre avrebbero richiesto una chiave di lettura più profonda del ragazzino scorbutico la cui sedia era ormai vuota.

Alla fine, decise di tenere tutti quei racconti per sé, gelosa nonostante tutto di ogni minuto passato assieme.

«Ero amica della sua sorellastra, Sophie» rivelò, soppesando le parole. «Killian, il padre di Theo, è stato il compagno della madre di Sophie per anni, e Theo passava le sue estati da lei, in una meravigliosa villa alle porte di Monaco Vecchia. Sophie era tutto l'opposto di Theo, amava le feste e circondarsi di gente. Theo non parlava con nessuno. Lo presi come sfida personale. Decisi che sarei riuscita a fare breccia in quella corazza gelida. E non ho mai mollato, mai. Ad un certo punto siamo sicuramente stati amici, anche se lui negherebbe».

«Come hai fatto ad essere amica di uno così?» chiese Benny, sinceramente sorpresa. Nina le diede un colpetto affettuoso con il ginocchio e le sorrise.

«Credo sia una mia dote speciale, fare amicizia anche con le persone più ostili» ribattè.

L'amica scosse la testa, cogliendo il riferimento implicito alla loro iniziale diffidenza reciproca.

«Benny non mi sembra una persona ostile» aggiunse Serge, con un cenno verso il soggetto della sua frase.

«Potrò anche essere ostile, ma maleducata mai».

La frase di Benny sembrò porre una pietra monumentale sul discorso. Le due ragazze si scambiarono uno sguardo silenzioso, gli occhi scuri di Nina cercarono in quelli cervone dell'amica un appiglio per redimere la figura di Theo, ma tra le sfaccettature di verde e giallo si leggeva già l'emessa sentenza.

«Quindi è per questo che giri il mondo, per la Formula Uno» esclamò sempre Benny, dando nuovo input alla conversazione e sorridendo in direzione di Serge.

«Si, e seguo Theo durante tutto il campionato, cercando di non far scappare i suoi sponsor, contendendo i suoi deliri in conferenza stampa, ogni tanto evitando qualche omicidio di giornalisti, cose all'ordine del giorno».

Nina cercò di seguire il discorso che imbastirono, ma non appena il nome di Theo scomparve dalle bocche dei suoi commensali la sua attenzione calò. Il suo sguardo si perse tra i volti sconosciuti degli avventori del Jack, attorno ai loro tavoli, illuminati dai neon colorati e dai gioielli, tutti ben vestiti, tutti sorridenti.

Era il suo tipo di locale, il suo tipo di folla preferito. Accanto a lei c'era la sua migliore amica, di fronte un bellissimo ragazzo che sembrava impazzire per lei.

Eppure, all'improvviso, tutto ciò che riusciva a notare era un'assenza. La mancanza di Theo.

Se non si fosse mai presentato lì, quella sera, Nina non avrebbe mai pensato a lui - non pensava più a lui spesso. Certo, lui era rimasto avvinghiato a lei in modi che Nina neanche comprendeva. C'erano cose sparse nella sua vita che a volte le ricordavano Theo, che la facevano fantasticare sui bei tempi a casa di Sophie, su quelle indimenticabili estati fatte di gioventù e spensieratezza. Spesso quando si ritrovava con Jerry e Manu, gli amici con cui aveva passato quelle estati, si divertivano a ripescare aneddoti di quegli anni e ci ridevano su per ore. Ma più il tempo passava, più i nomi di Sophie, di Theo, venivano nominati di rado.

Quella sera però, ad un passo dalla damnatio memoriae, Theodor Bäcker aveva fatto il suo improvvisato cameo nella vita di Nina. E Nina, che si guardava attorno, che fingeva di ascoltare i suoi amici, non riusciva a far altro che pensare a lui. Rivivere, riavvolgere. Negli anni che li avevano tenuti lontani si era chiesta come avesse fatto a sopportarlo per tutto quel tempo, e la risposta non le era mai stata chiara come in quel momento.

Perché più insopportabile di Theo stesso, era il peso della sua assenza.

Poi Nina guardò Serge, osservò il suo sorriso aperto, caloroso, i suoi capelli ordinati e il colletto inamidato della camicia, il modo assorto in cui guardava Benny, intenta a raccontargli un aneddoto di cui Nina aveva perso il contesto.

E perse ogni senso d'essere. Tutta la serata perse senso.

Se fosse stata un po' più incosciente, un po' più coraggiosa; se fosse stata la ragazza che, un tempo, Theo le aveva insegnato ad essere, si sarebbe alzata e gli sarebbe corsa dietro. Senza rimpianti.




«Mi piace Serge, sembra proprio un bravo ragazzo»

Benny parlò con leggerezza, le parole sollevate dalla brezza fresca che proveniva dal mare alle loro spalle e che aveva notevolmente abbassato la temperatura della serata.

Le due ragazze camminavano fianco a fianco sul marciapiede, sole nonostante Serge avesse insistito per portarle a casa. Quello era il loro momento preferito di ogni serata, quasi un rituale, e nessun ragazzo sarebbe mai riuscito a strapparglielo.

Nina annuì distrattamente, non avendo niente da ridire a proposito. Aveva una sigaretta accesa tra le dita che stava fumando senza troppa attenzione, strascico di un'abitudine più che irrinunciabile piacere.

Sarebbe dovuta essere più contenta che il suo uscente fosse stato approvato dalla sua migliore amica, invece la conferma la lasciava indifferente. Continuò a camminare in silenzio, ondeggiando la borsetta griffata a ritmo dei suoi passi.

«E onestamente, Nina, Theo mi sembra davvero un cafone. Non so come tu abbia potuto averci a che fare. Consideralo un esperimento fallito, per quanto mi riguarda».

«Ho scollegato il cervello dopo che è andato via» confessò Nina, ancora preda dei pensieri che l'avevano tenuta occupata per tutta la seconda parte della serata.«Ho notato» commentò Benny, lanciandole un'occhiata di traverso, acuta come sempre.

Nina prese un respiro profondo, quasi cercando coraggio.

«Vederlo mi ha scossa» ammise infine, sia alla sua amica che con a stessa. Tirò una boccata di fumo e sentì le spalle rilassarsi, più per aver finalmente condiviso quel pensiero con la sua amica che per la sigaretta. «Eravamo così vicini, un tempo. Credo di essere stata la persona più vicina che abbia mai avuto. E ora non so più chi sia».

«Quando ci ha degnato della sua presenza a tavola non ti ha tolto gli occhi di dosso neanche per un istante,» commentò Benny, con una nota infastidita. «Sembrava ossessionato».

Nina incrociò le braccia sul petto e si accarezzò distrattamente la pelle, poi prese a torturarsi le labbra con le dita. Fece un ultimo tiro e si liberò del mozzicone approfittando di un cestino poco più avanti. La strada era silenziosa e i loro passi, le loro parole, riecheggiavano con un'eco vibrante sulle mura chiare dei palazzi.

«C'era qualcosa tra noi, tanti anni fa. Non saprei dire cosa fosse, non lo sapevamo neanche allora. Ma tenevo davvero a lui».

Fece una pausa, lo sguardo fisso sulle mattonelle del marciapiede mentre nella testa riaffioravano ancora immagini di quelle estati: lunghe notti sul loro muretto, risate soffocate, l'ultima sera passata insieme, la mattina successiva che aveva cambiato tutto.

«Theo non è mai stato capace di amare nessuno» continuò, con un sorriso amarlo che incurvava le sue labbra rosee. «Non i suoi genitori, non le ragazze, non i suoi amici, neanche un animale. Nessuno. Ma in qualche modo credo amasse me».

Fece una pausa, la voce quasi un sussurro. «Ed io gli ho spezzato il cuore». 






🏎️🏎️🏎️

E niente, io pensavo di pubblicare questi capitoli per festeggiare il quarto titolo di Maxie, e invece ci ritroviamo a festeggiare la sua paternità 😂♥️
Sono ancora sotto shock.
Beccatevi questo Theo stronzetto per bilanciare.

A domani ✨

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