Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

1. Il sole di Falldown


Falldown è situato su un dirupo, da qui il suo nome che significa "cadere giù". Certo il nome per primo non ispira molto i turisti, infatti non si vede mai una faccia nuova e ancor di più la vista del paese da lontano pare uno di quei castelli abbandonati che si vedono nei film. Nonostante questo, tutti gli abitanti di questo luogo giurano che mai e poi mai andranno via di qui. Tutti tranne una, cioè io.
Sono nata in questo posto un po' lugubre e che sa tanto di film dell'horror. Alla mia nascita il paese ha festeggiato per giorni. Perché? Perché erano almeno dieci anni che a Falldown non nasceva una bambina e dopo la mia nascita non ne sono nate altre per ancora dieci anni. Proprio così io non ho coetanee e il paese è popolato prevalentemente da maschi. E i maschi si sa, sono dei combina guai! Mio nonno era uno di quelli. Era uno scultore, uno scultore di gessi. Un lavoro insolito, che quasi non si usa più ma lui era un maestro nell'arte di creare e formare ogni sorta di cose meravigliose con quel materiale bianco e che sa tanto di purezza. Io lo aiutavo. Mi aveva insegnato a dipingere e così quando creava uno dei suoi capolavori non aveva mai paura che potessi rovinarglielo. Lasciava spazio alla mia fantasia e diceva sotto i suoi lunghi baffi grigi: "Sono sicuro che gli darai vita. Farai un magnifico lavoro come sempre." Quanto mi faceva stare bene guardare la sua espressione commossa nel momento in cui lo portavo a vedere il nostro lavoro finito. Non parlava. Socchiudeva gli occhi tirava su con il naso e si asciugava una lacrimuccia che gli bagnava un occhio. Sempre così. E sempre quelle erano le sue parole: "Ben fatto!"

La mamma non voleva che passassi tutto il mio tempo libero chiusa in una bottega ma non aveva scelta: o con il nonno o con i maschiacci del quartiere che adoravano giocare con il pallone (col quale rompevano ogni giorno qualcosa e poi scappavano via) oppure facevano la gara degli sputi. Una volta avevo partecipato con loro a questo stupido gioco e devo dire che mi era piaciuto perché anche se non l'avevo mai fatto, ero arrivata più lontano di tutti gli altri. Loro c'erano rimasti piuttosto male ed erano andati ognuno a casa sua offeso. Non mi avevano parlato per giorni. La mamma era felice per questo.

-Una ragazza per bene non tratta con quei tipi. -diceva grattugiando il formaggio.

-Mamma, ho solo otto anni, se non gioco con loro, che devo fare?

-Hai ragione piccola mia. Ma sai, prima impari come sono gli uomini e meglio è. Sono tutti dei...

-Combina guai! -la interrompevo sempre io, conoscendo ormai a memoria le sue parole.

-Oh, Sunny...credo che tu l'abbia capito ma ...ricordalo sempre.

-Sì mamma.

Il nostro discorso si concludeva lì. Io non avevo il coraggio di chiedere che fine avesse fatto mio padre e lei non tirava ma fuori quell'argomento. Credo che le facesse molto male parlarne e che non avesse nessuna voglia di ripensarci. Io allora tornavo dal nonno e lui mi faceva scordare le parole della mamma. Lui era un uomo, ed era vero, era un combina guai, ma io lo amavo, lo amavo più di me stessa.

Ora erano passati sette anni e io mi ritrovavo di nuovo a Falldown dopo tutto quel tempo. Mi guardavo qua e là, ma nulla sembrava essere cambiato. Solo io mi sentivo diversa, un'altra persona.

-Sunny... -mi sentii chiamare alle spalle. -...Ma sei proprio tu?...

Mi voltai lentamente riconoscendo quella voce. Era lei, proprio come avevo capito, solo più invecchiata e ingrigita.

-Signora Brooks!

-Quanto tempo!...Sei tornata?...

-Per poco. Ho intenzione di ripartire fra qualche giorno.

-Da quando sei andata via questo posto non è più lo stesso... Tua madre ti ha detto che...

-Che il sole è sempre coperto dalle nuvole?

-Sì. Sono...Quanti anni sono?

-Sette anni.

-Già sette. Sono sette anni che il sole non splende.

-Sì, mia madre me l'ha detto ma...credevo fosse solo una metafora...

-E' assurdo vero? Invece è proprio così. Guarda tu stessa...- disse indicando il cielo. -Quella coltre di nuvole non si allontana mai...Il nostro sole è andato via...

Fissai il suo volto che si era riempito di rughe. L'espressione spenta pareva perdersi nel vuoto. Alzai gli occhi al cielo. Lei riprese a parlare.

-Ricordi quello che avevo detto il giorno in cui ti ho fatta nascere?...Te lo avrà detto tua madre o tuo nonno.

-Sì, me l'hanno detto.

- It's the sunny! Sì...C'è il sole! Una bambina! Finalmente era nata una bambina, il nostro sole...

La signora Brooks era l'ostetrica del paese ma fungeva anche da dottoressa. Aveva visto nascere tutti i bambini di Falldown. Era una donna inglese, che era arrivata in quel posto dove non vi era anima viva e si era stabilita con la sua famiglia. Poi era rimasta vedova e suo figlio, Nando, era andato a vivere in città dove studiava per prendere il dottorato.
Era stata lei a battezzare quel luogo Falldown ed era da lei che mia madre prese l'idea del nome. Voleva chiamarmi Gabriella, come sua madre oppure Olivia, come la bambola di pezza che aveva da bambina, ma quando la signora Brooks aveva fatto quell'esclamazione nel vedermi, quando aveva urlato: It's the sunny!, mia mamma aveva perso la testa per quel nome e aveva deciso che io sarei stata il sole di Falldown.

-Il nostro sole è andato via...- ripeté la signora Brooks.

-Non dica così...Il sole torna sempre a splendere!

Di colpo mi abbracciò lasciandomi senza parole.

-Il sole non tornerà più...Se non sarai tu a tornare!

La guardai perplessa. Era cambiata, era... strana e le cose che stava dicendo erano a dir poco assurde. Provai pena per il modo in cui mi supplicava, così decisi di assecondarla.

-Non si preoccupi... Ora sono qui. Forse... forse potrei trattenermi più di quello che avevo pensato...

-Non mentire... Solo quando deciderai di tornare veramente, il sole tornerà. Ricordalo Sunny.

Mi lasciò lì, mentre immobile, come una delle sculture che faceva mio nonno, la guardavo andare via.

Mia mamma fu felice di riabbracciarmi. Mi guardò dalla testa ai piedi orgogliosa di come fossi diventata.

-Mi sei mancata... Sentirti per telefono ormai non mi basta più. E poi come faccio a sapere se è vero che stai bene?!... Sei a mille miglia da qui!...

-Sto bene mamma e lo sai.

-Se non fosse per questa occasione speciale non saresti mai venuta a trovarmi! Vuoi più bene a tuo nonno che a me!

Dovetti tacere, per non dire una bugia. Volevo bene a mia madre ma era vero, per il nonno avevo un debole e anche se erano passati sette anni da che lui era sparito, il dolore non si mitigava, anzi semmai cresceva ogni giorno. Ogni minuto che passava mi mancava sempre di più.

-Quando sarà esattamente la celebrazione? -chiesi togliendomi il cappotto.

-Visto? Pensi sempre a lui! -ribatté la mamma quasi piagnucolando.

-Mamma... -le dissi dolcemente, avvicinandomi. -Mi sei mancata parecchio, però non fare la gelosa, ok?

L'abbracciai nel tentativo di tranquillizzarla. Certo, non era facile per una donna vivere sola e mantenere al suo sostentamento dopo aver perso un padre e subito dopo una figlia. Avevo provato a rimanere a Falldown ma ormai tutto quello che vedevo, tutto quello che mi circondava mi parlava del nonno. Non riuscivo più a vivere... dovevo andare via. La mamma, che era una di quelli che non avrebbero mai lasciato Falldown, era rimasta scioccata e non aveva neanche lontanamente preso in considerazione l'idea di venire con me. E così, anche se tristemente, avevo preparato le mie cose ed ero andata via, chissà dove e chissà per quanto tempo...

-Come va il lavoro?- chiese la mamma che pareva essersi ripresa. -...L'hai poi ottenuto quel posto come cameriera?

-No mamma... diciamo che non soddisfacevo i loro standard.

-Non ci posso credere! Mia figlia, la mia adorata figlia che deve elemosinare il lavoro da gente stupida che non capisce niente! Te l'avevo detto di non partire! Potevi stare qui! Qui ci sono tanti lavori! E poi potevi prendere il posto...

-Non dirlo!- dissi incollerita. -Sai che non voglio che tu mi dica questo! Il nonno era unico e nessuno potrà prendere il suo posto!

La mamma abbassò la testa come se avesse qualcosa da nascondere. La sua espressione e il linguaggio del suo corpo mi dicevano che dovevo correre alla bottega a vedere cosa fosse successo.

-Dove vai?- esclamò lei agitandosi.

-...C'è qualcosa che non mi hai detto?...- dissi accigliata.

-Sunny...ascolta...avevo bisogno di soldi...

-Hai venduto la bottega del nonno?!

-No, no...l'ho soltanto affittata!...Capisci... il locale era in ottime condizioni e c'era questa ragazza che voleva lavorare...

-Ma io ti avevo detto di lasciarla così com'era! E soprattutto di fare in modo che non vi entrasse nessuno! Dove sono finite le sculture del nonno?!

-Io...

-Mamma! Dove sono finite?!

-Non lo so... Ho detto a Kiria di farne quello che voleva...

A quelle parole non ci avevo visto più ed ero scesa giù per il vicolo incurante di tutti quelli che incontravo e che, riconoscendomi volevano fermarsi a salutarmi.

Arrivai furiosa di fronte alla bottega. Pareva uguale a prima. Era stata aggiunta solo un'insegna: "Lo scultore di gessi".

Mi salì un nodo in gola che mi spinse ad entrare. Mi guardai attorno, dopo che la porta si era chiusa dietro di me; sembrava non esserci nessuno. Il silenzio era assordante. Rimasi ferma a fissare le sculture esposte. Non mi sembrava che nessuna di quelle fosse opera del nonno, mi chiedevo dove potessero essere finite.

- Ciao... - sentii una voce alle mie spalle. Mi voltai.

-Ehi, non sei di qui. Non ti ho mai vista.- disse una ragazza bruna e piena di ricci. -Però somigli molto a una donna che abita su per il vicolo, una certa Giovanna, sei sua parente?

-Giovanna è mia madre. - dissi tutto d'un fiato.

-Sei identica a lei... Io mi chiamo Kiria. -disse tendendomi la mano.

-Sunny.

-Sunny... Tu sei quella di cui parlano tutti? -disse avvicinandosi alla porta di vetro attraverso la quale si mise a scrutare il cielo. -No...non devi essere tu...il sole non si vede...è ancora coperto dalle nuvole.

-Sono l'unica Sunny di Falldown! -sottolineai con fermezza. -In quanto a quella storia del sole...è solo una stupidaggine!

-Anche tu non credi a quello che dice Amelia?

-Amelia?

-Sì, Amelia Brooks. Non ti ricordi della dottoressa del paese?

-Ah sì... non sono abituata a chiamarla per nome.

-Io sì. Ci vivo insieme da quando i miei genitori sono morti. -la guardai deglutendo. Parlava di sua madre e suo padre con evidente distacco. Mi parve strano. Proseguì: -Questa storia del sole è senza senso... Ma lei sostiene che le cose stiano proprio così. Comunque...posso esserti utile?

-Questa bottega era di mio nonno. -mi concentrai nuovamente sul motivo per cui ero lì. -Sono venuta a riprendermi ciò che era suo.

-Mi spiace tanto ma avresti dovuto farlo prima. Sono passati così tanti anni ormai. Credo di aver venduto tutto.

-No...! - esclamai disperata, mentre mi portavo una mano alla fronte. -...Mia madre non avrebbe dovuto...! Le avevo detto di non farlo!

-Sono mortificata... Vorrei tanto fare qualcosa per aiutarti.

-...Non preoccuparti...- sussurrai rassegnata poi il mio sguardo si soffermò su una tartaruga fatta di gesso. -...E' davvero carina... complimenti, io poi adoro le tartarughe.

-Grazie. Anche tuo nonno era davvero bravo.

-Ascolta Kiria... posso chiederti un favore prima di andarmene?...Potresti lasciarmi andare nel retrobottega?...Era lì che passavo la maggior parte del mio tempo insieme a mio nonno...

Kiria si morse un labbro indecisa. Si vedeva chiaramente che esitava chissà per quale ragione. Mi guardò combattuta poi sospirando mi fece un cenno.

-Ok vieni.

Scesi lentamente i due scalini che portavano in quella stanza in cui mio nonno e io avevamo dato vita a tante sculture. I ricordi riaffioravano nella mia mente trafiggendomi il cuore. Ogni angolo mi diceva qualcosa di lui e di me, della mia infanzia, fino al giorno che l'avevo perso.

Sobbalzai quando mi accorsi che vicino a una parete c'era qualcuno di spalle.

-...Scusami. -disse Kiria. -Avrei dovuto avvertirti. È mio fratello... E' lui lo scultore di gessi... è lui l'artista.

Il fratello di Kiria rimase così, senza neppure voltarsi, continuando a fare il suo lavoro, quasi come se non si fosse accorto di noi. Kiria poggiò una mano sulla sua spalla per chiamarlo e lui girò la testa verso di me. Mi fissò, con lo sguardo aggrottato, serio, senza battere ciglio. Il suo viso chiarissimo, forse a causa della polvere di gesso e gli occhi scuri, privi di espressione.

-Ciao... -dissi imbarazzata accennando a un sorriso.

Lui rimase così, senza ricambiare il saluto. Quel comportamento mi fece sentire in soggezione e guardai subito Kiria.

-Scusalo... lui non parla e non sente. È praticamente un sordomuto.

-Ah... capisco.

-Si chiama Liam. E' un vero talento. Ha ricevuto un dono inestimabile. -continuò lei mostrandomi le sculture.

E aveva perfettamente ragione. La maggior parte erano rappresentazioni di animali ed era impressionante la somiglianza con quelli veri. Alcuni sembravano vivi, pareva che da un momento all'altro si sarebbero mossi.

Lui intanto continuava a fissarmi. Non capivo perché lo facesse in quel modo insistente. Il suo viso era inquietante, i suoi capelli nero carbone, scompigliati e ribelli riflettevano la loro ombra sul muro rendendo la sua testa il doppio di quello che era.

Rabbrividii al solo pensiero che si avvicinasse a me. Tornai a guardare le sculture tentando di non vederlo nemmeno con la coda dell'occhio. Ma quell'ombra scura, vestita di nero e lì immobile, mi impediva di pensare ad altro. Sembrava tanto uno di quegli incubi che mi capitava di fare. C'era sempre questo ragazzo, scuro, avvolto dalle ombre che mi fissava aspettando che in qualche modo l'aiutassi a uscirne fuori. Il sogno poi terminava quando lui mi urlava qualcosa ed io sobbalzavo in preda al panico. Mi risvegliavo sempre col battito accelerato e in un bagno di sudore...

Tornai ancora una volta a fissare le sculture, tentando di non dare a vedere la mia inadeguatezza e scacciando ogni brivido freddo che mi percorreva la schiena.

-Grazie Kiria...- dissi velocemente, poi risalii gli scalini.

-Ascolta... -disse lei prendendomi per un braccio. -Non dire a nessuno di mio fratello.

La guardai domandandomi il perché.

-Sei la prima che entra nel retrobottega... l'ho fatto perché sei la nipote di Paolo ma... Liam non vuole che la gente sappia che è lui lo scultore. Tutti credono che sia io... Anzi, in verità nessuno sa che io ho un fratello. Nessuno conosce Liam...

-Va bene... -risposi imbarazzata. -...Come vuoi. Ora devo andare.

-Torna a trovarmi! Tutte le volte che vuoi.

-...Non so quanto resterò...Sono venuta per la celebrazione del nonno.

-Ah sì, la festa che verrà fatta in suo onore. Ci sarà una bella sorpresa quel giorno!

-Davvero?...

-Rimarrai sbalordita.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro