SFERA NERA (Lily POV)
Come una magia che ancora non svanisce,
o forse una maledizione,
porto con me questo pesante fardello.
(Given)
Lily's Pov
Quando mi sveglio, il mattino successivo, accanto al letto c'è seduta Simone e vicino alla finestra Sonia.
Un meraviglioso bouquet di fiori, posato sul comodino, profuma la stanza.
«Quelli te li manda il tuo ammiratore che vive su una lunga spiaggia» sottolinea Sonia senza voltarsi a guardami.
Dovrò ringraziare Sabbath appena sarà possibile uscire dall'ospedale.
«Come stai?» Simone mi accarezza la fronte.
«Meglio» cerco di mettermi a sedere e, con mia sorpresa, ci riesco!
Sonia continua a fissare fuori dalla finestra, ora vedo parzialmente il suo volto e mi pare che sia accigliata. Si apre la porta della camera ed entra Jemina.
«Tutto bene malatina?» il suo sguardo è corrucciato.
«Si grazie. Che c'è Jemina?»
«Niente»
Mente. Chi c'è là fuori? Gli uomini in nero sono venuti a prendermi?
«Simone, mi porteresti un tè caldo?» cerco di allontanarla per qualche minuto.
«Certo tesoro! Vado subito» Si alza di scatto ed esce dalla camera.
«Allora?» non lasciatemi così in ansia.
«Sono qui fuori» risponde con tono neutro Sonia.
«Gli uomini in nero?»
Annuisce, improvvisamente ho freddo.
Simone rientra e bevo lentamente cercando di non ustionarmi le labbra. Devo trovare il modo di mandarla a casa. Se gli uomini in nero facessero irruzione lei sarebbe in pericolo. Anche Sonia e Jemina pensano la stessa cosa perché cercano di convincerla a riposarsi un po', ma lei non cede. Inizia l'orario di visite mediche, Sonia e Jemina sono costrette ad uscire. Simone rimane con me e il dottore.
Mi avrebbero dimesso il giorno successivo, gli esami del sangue erano perfetti e mi stavo riprendendo velocemente, quindi non vi era motivo di trattenermi ulteriormente. Devo stare in assoluto riposo e non tornare al lavoro per qualche giorno. Simone e il dottore si avviano verso la porta della camera e lei gli chiede se è il caso di lasciarmi a casa da sola, visto che deve partire per lavoro, il dottore la rassicura: sicuramente non si sarebbe più verificato un altro episodio del genere.
Se lo dice lui...
Appena il dottore chiude la porta dietro alla schiena, uscendo con Simone in corridoio, due figure in nero appaiono davanti ad essa.
Sono in pericolo.
Mi alzo dal letto, per scappare in un'altra dimensione, ma non faccio in tempo: uno di loro mi prende per il braccio e il suo tocco provoca un dolore fortissimo, mille aghi ghiacciati si infilano nella pelle.
Mordo il labbro per non urlare. Non devo attirare l'attenzione di Simone. Non posso metterla in pericolo. Il freddo intenso risale per il braccio e la camera cambia aspetto. Mi ritrovo nella dimensione intermedia, un luogo senza ombre. Uno di loro mi blocca torcendomi un braccio dietro alla schiena, l'altro si avvicina e apre la camicia strappandola, appoggia la sua mano tra i miei seni e inizio a tremare. Un dolore fortissimo mi scuote, sembra che mi stiano strappando il cuore. Sento quel vuoto risvegliarsi e lottare contro questa presenza estranea, i suoi artigli trattengono qualcosa che gli sfugge e l'oggetto estraneo picchia contro la cassa toracica facendomi scappare un gemito di dolore. Si spezza qualcosa.
Fai che non siano le mie ossa.
Cado in ginocchio.
Vedo una sfera nera uscire dal mio corpo e il dolore scompare improvvisamente, un peso mi ha abbandonato, mi sento più leggera. Il Vuoto, ferito e agonizzante, si è rintanato più in profondità nel mio essere. Il mio corpo non sembra aver subito danni materiali, eppure il dolore era reale. Una luce calda e accogliente ci avvolge. L'uomo in nero che mi tiene bloccata lascia la presa, l'altro vola lontano scaraventato contro la parete.
Qualcosa di nero rotola sul pavimento.
Vengo sollevata da terra e mi ritrovo tra le braccia di Marco. Per la prima volta, da quando lo conosco, vedo rabbia sul suo volto. Le labbra sono serrate, la mascella tesa, i muscoli pronti per l'attacco.
«Marco... l'oggetto è là per terra» gli indico l'angolo della stanza. La sfera è incrinata e spezzata in più punti.
«Non preoccuparti. Pan lo sta prendendo» non distoglie gli occhi dai due uomini in nero.
Uno di loro si lancia verso l'oggetto. Non riesce a raccoglierlo perché, una piccola e veloce, figura prende quella sfera e svanisce nel nulla.
Stavolta gli uomini in nero non scompaiono avendo perso la battaglia, ma si scagliano su Marco e me. Lui non si muove, mi stringe tra le braccia per proteggermi il più possibile. Una luce esce dal suo petto. La sento sulla pelle, illumina ogni singola cellula del mio corpo e l'attraversa. È la stessa sensazione che ho provato toccando le sue piume: energia solida, che pizzica i polpastrelli al tocco. La sfera di luce attraversa il mio corpo, lasciandomi una strana sensazione di pace, e di qualcosa che conosco fin troppo bene ma che non riesco a ricordare. Colpisce i due uomini e li vedo dissolversi come fumo. Ha dissolto gli uomini in nero? Sono morti?
Marco si calma, fa un profondo respiro, e mi rimette a letto coprendomi col lenzuolo. Appena in tempo: Simone rientra in camera.
«Ciao Marco. Quando sei arrivato? Ero qui in corridoio e non ti ho visto passare»
«Ho visto che eri occupata a chiacchierare col dottore e non ho voluto disturbarti» le risponde senza allontanarsi da me, senza smettere di guardarmi.
«Ah» alza un sopracciglio dubbiosa.
Non ha sentito nulla? Nessun rumore?
«Gattina» Marco si abbassa sul letto, in modo tale che Simone non possa vedere il suo volto «Va tutto bene? Stai bene? Ti fa male qualcosa?»
«Sono o-ok» non sento assolutamente nulla. Anzi il vuoto, che mi ha accompagnato fin da che ho ricordo, sembra scomparso. Ho la sensazione di avere più spazio all'interno del corpo «Agitata ma sto bene»
«Sicura?» i suoi occhi non si scollano dai miei, il volto è a pochi centimetri dal mio. Respira sulla mia pelle.
«Si. Ora il pericolo è passato, giusto?» stritolo nervosamente il lenzuolo.
«Si» lo dice buttando fuori l'aria dai polmoni, come per liberarsi da un peso «L'oggetto è in mano nostra e tu sei guarita» sorride dolcemente, poi il suo sguardo perde quella sicurezza che sempre trasmette: ritorna ad essere il bambino di sette anni che tanto voglio proteggere «Ho temuto di perderti... di non poterti più rivedere... e»
«Marco!» Jemina entra come una furia nella camera.
Lui si volta di scatto.
«Dobbiamo andare» continua lei nervosa «Ho mandato avanti Sonia con P... con lei, però non sono tranquilla»
«Vengo» con un sospiro di frustrazione torna a guardarmi e posa le labbra, calde e morbide, sulla mia fronte. Rimane in quella posizione per qualche secondo. Il mio cuore fa un balzo e smette di battere «Ciao piccola» mi accarezza la guancia e si alza «Ciao Simone» e richiude la porta dietro di sé uscendo.
«Tesoro sei passata da un pallido cadaverico ad un delizioso e salutare rosso peperone» e scoppia a ridere divertita.
«Cre-credo che dormirò un pochino» in realtà non ho sonno. Sono agitatissima per quello che è appena successo, ma se Simone avesse visto la mia camicia da notte strappata avrebbe pensato chissà cosa.
Rimasta sola ripenso alla sfera nera: è uscita dal mio cuore ne sono certa, sono stata scelta dall'oggetto perché soffro pene d'amore? Il mio cuore è una facile preda? Gli oggetti scelgono consapevolmente chi colpire o vengono attratti da ciò che trovano simile? Ora che si è nutrita del mio dolore, cosa è diventata?
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