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Capitolo 1


Era passata una settimana da quando Danger era nato, i medici mi avrebbero dovuta lasciar andare a casa già il venerdì ma per la mancanza di qualche firma avevano rimandato il tutto al sabato mattina.

Sinceramente non vedevo l'ora di andarmene, l'odore di medicine stava diventando abbastanza asfissiante dentro la mia stanza da quando nel letto opposto al mio - fino a quel momento vuoto - era arrivata una ragazza che avrebbe dovuto partorire di lì a pochi giorni.

 Il padre di suo figlio non lo avevo mai visto e più di qualche volta mi ero chiesta se effettivamente ci fosse o meno, a farle visita era venuta solo un paio di volte una signora abbastanza vecchia, difficile credere fosse sua madre, eppure lei la trattava proprio come tale. 

 mia parte Justin mi veniva a trovare ogni pomeriggio, mi aveva detto di non aver frequentato le lezioni per tutta la settimana e forse sarei dovuta arrabbiarmi perchè rischiava di perdere l'anno ma lo capivo anche, era nato suo figlio e voleva solo stare con lui, del resto non gli importava

"Le carte sono pronte, passate in segreteria e lasciate il fascicolo allo sportello" disse l'infermiera firmando l'ultimo foglio prima di sistemarsi il camice e andarsene.

Justin si passò una mano sulla fronte e sospirò, io ridacchiai dal fondo del letto dov'ero seduta, erano giorni che lo vedevo salire e scendere in continuazione le scale per far firmare e controllare carte a dottori, infermieri e segretari.

Spostò lo sguardo su di me e mi guardò storto continuando però a sorridere, spostai lo sguardo sul piccolo carrellino di vetro dove Danger aveva passato ogni singola notte, per le prime due aveva pianto circa per tre ore a nottata, in quelle successive invece si era calmato, almeno leggermente.

Non vedevo l'ora di tornare nel nostro appartamento con lui.

 Justin si alzò e prese la mia valigia, si girò nella mia direzione e diede un'occhiata prima a Danger e poi fuori dalla finestra.

"Porto le carte in segreteria e vado a prendere la macchina, ti aspetto all'uscita d'accordo?" mi domandò lasciandomi un bacio sulle labbra, annuii e sorrisi guardandolo andare via con carte e valigia.

Presi Danger fra le braccia e spinsi il carrellino a un lato della stanza, gli chiusi la zip della felpa blu che gli aveva già regalato mia madre ed uscii andando verso l'ascensore.

Lungo i corridoi non c'era molta gente, effettivamente era orario di visite quindi tutti erano dentro le rispettive stanze, spinsi il bottone e chiamai l'ascensore, aspettai qualche secondo prima che le porte si aprissero scorrendo.

Entrai e mi appoggiai con la schiena alla parete selezionando il primo piano, dentro l'ascensore entrò un ragazzo, era alto, aveva la pelle abbronzata e i capelli castani così come gli occhi, sembrava parecchio ben vestito per essere in un ospedale, indossava dei pantaloni che gli fasciavano davvero bene i fianchi, una camicia chiara ed una giacca da ufficio, mi chiesi se anche lui venisse dal reparto maternità e fosse venuto a trovare suo figlio magari.

"E' davvero bello, congratulazioni" disse riportandomi alla realtà.

"Oh, grazie" sorrisi passando le dita fra le poche ciocche bionde che si potevano appena avvertire sotto i polpastrelli.

"Come si chiama?" domandò sfiorandogli la mano chiusa in un pugno sopra la mia spalla.

"Mh, Danger" il suo sorriso si allargò e socchiuse per qualche secondo gli occhi fissandolo.

"E' un nome insolito per un bambino, non si sente spesso in giro" osservò infilandosi le mani in tasca, annuii distogliendo lo sguardo.

Effettivamente, anche mia madre doveva ancora farsene una ragione, era abbastanza sconvolta dal nome che avevamo scelto ma sembrava sulla buona strada per accettarlo, il che conoscendola era un gran passo in avanti.

"Le assomiglia parecchio, signorina.." si grattò la nuca imbarazzato guardandomi.

"Smith, Evelyn Smith" risposi allungando il braccio nella sua direzione, il ragazzo sorrise, mi stupii mi avesse dato del 'lei' perchè non avrà avuto più di ventitre anni e per un attimo mi passò per la testa l'idea che mi avesse appena dato della vecchia.

"Sono Jace, Jace Kooper" rispose stringendola, annuii e il suo sguardo tornò a concentrarsi su Danger, lo osservò per un po' e in quei pochi secondi lo esaminai, avevo la netta sensazione di averlo già visto in giro per la città eppure il suo nome non mi diceva molto anzi, non lo avevo mai sentito prima.

Le porte dell'ascensore si aprirono e mi ci scambiai un ultimo sguardo prima di uscire e raggiungere l'ingresso, appostata sul ciglio della strada c'era la Range Rover nera di Justin, era alla guida ma il motore era spento, aprii la portiera posteriore e legai Danger sul seggiolino dietro prima di andare a prendere posto davanti.

Justin mi guardò corrugando la fronte.

"Ci hai messo parecchio per fare tre piani, in ascensore per di più" disse dando uno sguardo all'ospedale, alzai gli occhi al cielo e mi allacciai la cintura.

"Ho incontrato un ragazzo in ascensore, credo di essermi trattenuta troppo a parlarci insieme" dissi con una scrollata di spalle e alle mie parole i suoi occhi si fecero curiosi, avviò il motore e sfrecciò lungo la strada mandandomi diverse occhiate.

"Lo conoscevi?" domandò.

"Mi ha chiesto di Danger, suppongo sia appena diventato padre anche lui" spiegai stringendomi nelle spalle.

"Non mi piace che tu parli con gli sconosciuti" disse stringendo le labbra in una linea retta, alzai gli occhi al cielo e feci pressione con il gomito sul bracciolo del sedile guardando fuori dal finestrino.

"Non diventare mio padre, per favore" dissi, "Sei il suo" aggiunsi indicando Danger.

"Non voglio essere tuo padre" rispose subito come se fosse appena stato offeso, "Mi sto solo preoccupando per te" tentò di tenere un tono tranquillo ma lo conoscevo troppo bene per non capire fosse innervosito.

"Sei paranoico, Justin" i suoi occhi vennero trafitti da una scarica di adrenalina, allungò una mano nella mia direzione e la portò sulla coscia stringendola.

"Sono protettivo, Ev" ridacchiai baciandogli la spalla, forse dargli ragione era l'unica soluzione, Justin sospirò consapevole che avessi interrotto la discussione e svoltò a destraLa nostra attenzione venne catturata da Danger, aveva iniziato a lamentarsi e a scalciare tirando pugni in aria dal seggiolino, Justin lo guardò dallo specchietto retrovisore e ridacchiò.

Mi morsi il labbro osservandoli, erano così simili e tutte le volte che avevo guardato Danger in quei giorni in ospedale, nonostante fosse così piccolo, rivedevo già le stesse espressioni di suo padre, me lo potevo immaginare a vent'anni, con le braccia tatuate, i capelli alzati dal gel e un sorriso abbagliante.

"Mentre caricavo la valigia ha telefonato tua madre" disse tornando a guardare me.

"Mia madre?""Già" annuì, "Vuole vedere Danger, verrà con tuo padre a cena da noi martedì" spiegò fermando la macchina sul ciglio della strada di fronte casa nostra, alzai gli occhi al cielo e sospirai.

"Scommetto quello che ti pare che questa storia capiterà tutte le settimane" dissi aprendo la portiera, conoscevo mia madre e il fatto che fosse appena diventata nonna non rendeva le cose più semplici anzi, si sarebbe autoinvitata per cena ogni settimana.

Justin sorrise e prese Danger dai sedili posteriori stringendoselo al petto, sembrava un pulcino in confronto e fu una delle scene più tenere che avessi mai visto.

"Beh, preparati perchè questa sera abbiamo i miei a cena" disse stampandomi un bacio sulle labbra, sgranai gli occhi incrociando le braccia al petto dopo aver lasciato cadere la valigia fuori dal portabagagli.

"Spero che tu stia scherzando" gemetti.

"Credevo andassi d'accordo con i miei genitori" alzò un sopracciglio sorpreso recuperando le chiavi dalla tasca posteriore dei pantaloni ed aprendo la porta.

"Ed è così" sbuffai alzando gli occhi al cielo, "Ma non voglio avere una cena di famiglia ogni santo fine settimana" spiegai entrando in casa gesticolando, Justin sospirò passandomi un braccio dietro la schiena.

"Lo so, lo capisco" annuì, "Ma vedrai che è solo questione di tempo, Danger ora è una novità, devi dar loro il tempo di abituarsi all'idea di essere nonni" mi baciò le labbra nuovamente e mi sorpassò portandosi dietro Danger in cucina.

Sospirai cercando di convincermi di quelle parole, amavo l'idea che ai miei genitori, al padre di Justin e a Jane importasse e molto di Danger, ma speravo con tutto il cuore che ciò non volesse dire che li avrei avuti a cena ogni sera, volevo vivermi la mia famiglia, volevo che imparassimo ad essere una cosa sola, io, Justin ed il bambino, nessun altro.

Mi morsi il labbro sedendo in uno degli sgabelli quando mi balenò in testa l'idea che anche la madre biologica di Justin conoscesse Danger, non ne avevo mai parlato con lui nonostante fosse un argomento importante, per quel che ne sapevo avevano chiuso tutti i rapporti dal principio e ancora di più dopo il trasferimento a Boston, eppure era pur sempre la nonna biologica di Danger e la madre di Justin, non sarebbe davvero mai stata presente nelle nostre vite? E Cassie? Non l'avevo più sentita, credo nemmeno sapesse che io e Justin stessimo insieme considerando che quando se n'era andata noi due ci odiavamo, ma era la zia di mio figlio.

Mi risposi semplicemente che era troppo presto per affrontare una conversazione simile, anche se avevamo appena avuto un figlio.

"Amore, mi hai sentito?" sussultai ritrovandomi Justin ad un palmo di naso, mi guardò interrogativo agitando in aria il biberon nuovo di zecca regalato da Chaz, "Ho detto che dovremmo comprare uno sterilizzatore per biberon se non dovessi avere abbastanza latte" disse.

 Il dottore aveva detto che in quanto parecchio giovane e al primo figlio c'era la possibilità che non avessi molto latte e che quindi avrei iniziato ad usare il biberon molto prima della norma.

"Oh, si" annuii dando uno sguardo alla cucina e notando l'assenza del macchinario.

"Jane dovrebbe averne uno in più, lo usava per Jaxon, potremmo chiederle di portarcelo questa sera" propose.

"Si, è una buona idea" mi allungai nella sua direzione e gli presi Danger dalle braccia, "La chiami tu?" domandai.

"Si, vado e torno" mi lasciò un bacio sulla fronte e sparì in salotto.

Dannazione, avrei tanto voluto che chiamasse con così tanta spontaneeità la sua vera madre.

***L'orologio digitale scoccò le cinque di sera e Danger si era appena addormentato, Justin era uscito già da un'ora dicendo che avesse una riunione con i ragazzi per il prossimo incontro.

Non volevo saperne niente almeno per un po', anche se ero ben consapevole che sarebbe stato inevitabile.

Justin mi aveva promesso che li avrebbe lasciati il prima possibile e che si sarebbe trovato un lavoro stabile dopo la scuola.

Mancava solo l'ultimo anno ormai e non avevo la minima idea di che cosa gli sarebbe piaciuto fare dopo.

Era bravo in storia dell'arte ma odiava dipingere, se la cavava in letteratura inglese ma diceva non facesse per lui e amava la chimica ma sarebbe dovuto andare a specializzarsi a Orlando per sperare di essere preso in stage.

Per quel che riguardava me volevo frequentare comunque le lezioni, mia madre mi aveva detto che avrebbe tenuto lei Danger la mattina mentre ero a scuola, non volevo mandare all'aria tutti quegli anni di studio.

La porta d'ingresso si aprì e Justin entrò con il cappuccio della felpa alzato sulla testa, aveva la maglietta bagnata e quando si tolse le scarpe sul ciglio della porta scorsi le suole sporche e piene di fango.

Non mi ero nemmeno accorta che avesse iniziato a piovere.

"Cristo" alzò gli occhi al cielo, "Doveva proprio mettersi a piovere adesso" borbottò togliendosi la maglia e restando a torso nudo.

Sorrisi mentre imprecava contro le scarpe piene di fango, si girò nella mia direzione e respirò profondamente prima di lasciarsi cadere sul divano."Quando sarà?" domandai passandomi le dita delle mani fra i capelli.

Non volevo saperlo sul serio e una parte di me sperava ancora che mi dicesse che era tutto finito, anche se ero perfettamente consapevole che non era finito proprio un bel niente.

"Venerdì sera" disse girandosi verso di me, "E' in vecchio magazzino a circa un'ora di strada da qui" spiegò guardandomi negli occhi.

Sapevo perchè lo faceva, cercava invano di capire cosa mi passasse per la testa e in cuor mio sapevo che per quanto fingessi si fosse accorto da un pezzo del fatto che non fossi d'accordo che continuasse.

Eravamo circa al quarto mese quando avevo accennato a chiedergli cosa avrebbe fatto, non ne avevamo parlato più molte volte dopo quella sera ma in qualche modo sapevo che lui si accorgeva sempre quando qualcosa mi infastidiva.

"Verrò" dissi.

"Sul serio?" sgranò gli occhi e si tirò su dritto poggiando i gomiti sulle ginocchia

.Annuii, "Lascerò Danger ad Hanna".

"Non viene?" domandò sorpreso.

Effettivamente Hanna non aveva praticamente mai saltato un combattimento, ancora meno da quando stava con Chris, ma mentre ero in ospedale mi aveva scritto che non saperebbe potuta venire ai combattimenti del prossimo mese.

Non mi aveva bene spiegato il motivo ed io non avevo insistito più di tanto, immaginai che Chris sapesse più cose di me.

"Non verrà più per un po'" scrollai le spalle, "Ho paura che Chris abbia fatto qualche cazzata" alzai gli occhi al cielo puntando lo sguardo fuori dalla finestra.Justin annuì passandomi un braccio attorno alle spalle, lasciai cadere la testa contro la sua spalla giocando con le dita della sua grande mano.

Lo facevo sempre quando ero in ansia per qualcosa e lui lo sapeva."Dovresti farti una doccia" mormorai tastandogli i pantaloni umidi, "Puzzi" ridacchiai."Ehi" mi pizzicò la guancia, "Io non puzzo".

Alzai gli occhi al cielo facendo una smorfia.

Quando le labbra di Justin si dischiusero per dir qualcosa il cellulare prese a suonargli nella tasca posteriore dei pantaloni. 

Si staccò da me e lo prese alzandosi in piedi mentre se lo portava all'orecchio. Dal suo viso capii subito la sorpresa nel ricevere la telefonata ed intuii non fossero o mio fratello o Chaz.

Iniziò a camminare avanti e indietro mormorando parole incomprensibili ma visibilmente piene di apprensione e rabbia. Intuii qualcosa come:"Come l'ha saputo? Non doveva venire a saperlo, cazzo".

Quando la telefonata s'interruppe guardl il cellulare mentre infilava la mano destra della tasca, il suo sguardo era assente e duro allo stesso tempo."Tutto bene?"Si morse il labbro e negò con la testa.

"Chi era, Justin?" la mia voce si fece più e debole.

Si girò a guardarmi e sospirò pesantemente.

"Era Cassie, lei e mia madre verranno qui sabato".

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