Chapter 34
«I-io non scappo.» gli dico cercando di non farmi prendere dalla paura.
E devo essere forte perché tu in questo momento non lo sei abbastanza per tutti e tre.
Devo essere forte perché nonostante tu non voglia ammetterlo, stai crollando e non posso permettere che accada. Perché non lascerò che ti accada nulla, mai.
«Sto dicendo sul serio. Voi non potete restare.» ribadisce lui usando un tono duro e sono sicura che lo stia facendo per spaventarmi.
Ma io non mi spavento.
Ormai non mi spavento più per causa tua.
Perché ormai ho imparato a vivere con le tue stesse paure e ho imparato a dormire con i tuoi stessi mostri.
E a volte mi chiedo se sia giusto così.
Se ne valga davvero la pena, ma poi lo guardo e mi rendo conto che potrei combattere con qualsiasi mostro con lui al mio fianco.
«Resto con te. Restiamo con te.» gli rispondo in modo altrettanto duro. Lui mi guarda sorpreso, ed infine il suo sguardo diventa di puro disprezzo.
«Io non ti voglio qua. Ti ho già cacciato qualche giorno fa, ricordi?» mi chiede usando un tono di scherno.
Abbasso lo sguardo perché non so più come rispondere,
perché tutta la mia intraprendenza è andata a farsi fottere con le sue parole e perché ha ragione, mi aveva già cacciata e può farlo di nuovo.
Ma io non voglio andarmene.
E può dire quello che vuole, ma non lo lascerò solo adesso.
Anche se non ci vuole qui.
Anche se sta cercando di ferirmi.
Io troverò un modo per aiutarlo.
Un modo per salvarlo dal suo passato.
«Non voglio che stia qui neanche quella mocciosetta, non so badare ai bambini.» continua vendendo che non rispondo.
«Ci lascerai vivere in mezzo alla strada?» dico alzando le sopracciglia in tono di sfida. So che non lo farebbe mai, o meglio, non lascerebbe mai che sua figlia stia in mezzo alla strada.
So che si è affezionata a lei e nessuna parola cambierà la mia opinione.
«Un modo lo troverete. Trovi sempre un modo.» ribatte scrollando le spalle.
«Matt in questa storia ci siamo dentro insieme, non puoi cacciarmi come se nulla fosse.» gli dico alzando il tono della voce arrabbiata. Se pensa che cacciarmi di casa sia il modo migliore per farmi stare alla larga da questa situazione si sbaglia di grosso.
«Si che posso, è casa mia.» dice usando un tono piatto, freddo, troppo freddo.
«Matt sappi che, se anche ci caccierai via da casa tua, non mi terrai lontana da tutta questa storia. Io non sono così, io non scappo dai problemi, io li affronto.» gli dico prima di salire al piano superiore sotto il suo sguardo attento.
«Va bene, fai come ti pare. Tanto lo so che il tuo unico obiettivo è quello di vivere in questa casa e che la tua è una finta preoccupazione perché in realtà non te ne frega un cazzo di me. Sei proprio una cazzo di mantenuta Emma.» dice facendo una risata ironica mentre io mi mordo il labbro cercando di trattenere le lacrime. Corro in camera il più velocemente possibile per poi sedermi sul pavimento e piangere.
E piango per non so quanto tempo.
Anche se ormai dovrei esserci abituata.
So solo che adesso le mie lacrime sembrano ancora più disperate e i miei singhiozzi più tristi.
So solo che adesso io mi sento più sola perché sei lontano da me e io sto combattendo contro il buio, ma sto perdendo, cosa devo fare per uscirne?
Come faccio a respirare se non ci sei tu?
Perché anche se non lo pensi tu per me sei stato questo, ossigeno puro.
Stavo soffocando e tu mi hai salvato. Mi hai dato l'aria necessaria a salvarmi, ma adesso è diventata come un ossessione, perché senza quell'aria io non posso più vivere.
Adesso capisci perché è così difficile per me lasciarti andare?
Ma dopo la pioggia c'è l'arcobaleno e prima o poi imparerò a rialzarmi,
forse non sarà facile,
anzi so che non sarà facile,
ma ce la farò,
ce la devo fare.
Prima o poi tu sarai solo un ricordo lontano,
una parentesi del mio passato che mi lascerò alle spalle.
Mi alzo dal pavimento e mi asciugo le lacrime con le mani. Vado in bagno e mi sciacquo la faccia per poi fare una smorfia di disgusto guardando il mio aspetto. Ho il trucco sfatto, gli occhi gonfi e rossi e i capelli scombinati che mi conferiscono l'aspetto di una barbona. Cerco di sistemarmi il più possibile i capelli
Inizio a prendere vestiti alla rinfusa e a metterli dentro al mio zaino per la scuola. Andrà bene per una notte o due.
«Che fai Mamma?» mi chiede Cleo inclinando la testa confusa.
«Vado... a fare delle cose. Tu resta con papà.» gli dico per poi lasciarle un bacio fra i capelli.
Scendo al piano di sotto con lo sguardo basso e avvilito. Se non mi vuole più qui va bene, ma che non dia la colpa a questa situazione perché è lui quello che mi sta allontanando.
«Al momento dovrai tenere tu Cleo, non saprei dove portarla con così poco preavviso, domani farò come mi hai detto e non ci rivedrai mai più.» gli dico usando la voce più fredda e distaccata che riesco a fare.
E vorrei tanto odiarti, ma non riesco a non amarti perché forse sono malata.
Si, mi sa che sono proprio malata.
È una strana malattia quella che ho, produce farfalle nello stomaco,
sbalzi di umore,
senso di angoscia,
felicità improvvisa,
adrenalina e imprevedibilità ed è proprio per questo che a volte è molto più distruttiva di molte altre malattie più gravi.
Molti la chiamano amore,
io non più, da oggi.
Da oggi l'amore è sinonimo di dolore.
Vago per le strade di Manhattan di nuovo da sola, ma questa volta so dove andare. Cammino per più di un ora sotto il freddo di Dicembre ripensando alla mia vecchia famiglia e a come devono andare le cose li, senza di me. Mio padre starà prendendo la legna per il camino e mia madre starà preparando la tavola per cenone di Natale con l'aiuto di mio fratello. Mi ricordo che iniziava a prepararla vari giorni prima perché voleva che tutto fosse perfetto. Chissà se ci è riuscita o sta sclerando ogni anno perché le mancano delle cose. Sorrido malinconicamente ripensando a quei momenti che non torneranno più.
Senza neanche accorgermene sono davanti alla loro vecchia casa.
Guardo le vecchie finestre e sembra quasi di rivedere mio fratello aspettare che arrivasse babbo natale.
Guardo il tetto spiovente e mi sembra quasi di rivederlo pieno di neve.
Mi siedo su una delle panchine più vicine e osservo quella casa, osservo la me stessa prima di conoscerla e inizio a pensare a come sarebbe stata normale la mia vita se non lo avessi mai conosciuto.
Probabilmente a quest'ora starei facendo compagnia al mio fratellino vicino a quella finestra per non lasciarlo solo e dopo sarei andata ad aiutare mamma a preparare il cenone per tutti quei parenti di cui neanche ricordo il nome.
Poi guardo la luna, le stelle e mi chiedo se anche io un giorno potrò essere felice.
Mio nonno diceva che ogni persona ha una stella che la protegge,
una stella che la ama e che basta guardare il cielo per vederla perché sarà quella che brillerà di più ai nostri occhi.
Eppure la mia non la vedo.
Nulla brilla adesso.
È tutto buio.
E io mi sto perdendo.
E vorrei che qualcuno mi indicasse la luce da seguire.
Abbasso poi lo sguardo e ricomincio di nuovo a guardare quella casa sperando di potenti sentire in qualche modo a casa.
Poggio la testa meglio sulla panchina tenendo lo zaino stretto a me, chiudi gli occhi in cerca di un po' di pace e finalmente, dopo qualche minuti, ci riesco.
Vengo svegliata da una voce fin troppo familiare per i miei gusti. Matt mi guarda confuso dalla testa ai piedi per poi scuotere la testa.
«Ti sei davvero addormentata su di una panchina?» chiede come se non ci credesse neanche lui, in effetti stento a crederci anche io.
«Che ore sono?» È la prima cosa che chiedo.
«Le 10 di mattina.» mi risponde lui controllando l'orologio.
«Perché sei qui?» taglio corto arrivando subito al dunque.
Perché appena penso che sarebbe meglio dimenticarti e andare avanti con la mia vita tu ritorni e me la sconvolgi nuovamente?
«Volevo scusarmi per averti trattato in quel modo. Sono stato fin troppo brusco e questa ne è la prova.» mi dice indicando la panchina su cui ho dormito.
«Si lo sei stato.» gli dico cercando di trattenere le lacrime.
E quando si parla di te non riesco a non piangere perché tu sei la causa dei miei più grandi dolori, ma anche dei miei più veri sorrisi.
È in questo memento non sai quanto vorrei che mi prendessi tra le tue braccia, solo per un po', solo perché a volte ne ho un estremo bisogno.
«Questa situazione mi sta sfuggendo di mano.» mi dice abbassando lo sguardo.
«Quale situazione?» gli chiedo sperando che non stia parlando di me.
«Le bambole, il biglietto, tu, i combattimenti, persino la bambina. A volte ho paura di star sbagliando tutto, di essere io stesso la ragione di tutti i miei mali.» dice guardando un punto dritto davanti a sé. Sto per parlare quando lui mi mette un dito fra le labbra.
«No, non parlare, per una volta ascoltami solo. Ero venuto fin qui per scusarmi, ti ho cercato per tutta la notte e ho avuto una grande paura che ti fosse successo qualcosa e ora che finalmente ti ho davanti a me non voglio più farlo perché mi sono accorto che sarebbe inutile. Perché so che ne hai abbastanza delle mie scuse e so che finiremmo per urlarci contro tutte le ragioni per cui ci odiamo e finiremo entrambi per ferirci. Ma questa volta non voglio, non ti chiedo di perdonarmi, sarebbe impossibile, ti chiedo di non odiarmi, perché ci tengo a te e anche se adesso pensi che io ti odi, ti posso assicurare che non è così. Perché anche se non me ne frega un cazzo di nessuno, di te mi importa e non chiedermi perché, perché non sarei capace di spiegartelo neanche io. So solo che sapere che sei triste, arrabbiata o delusa fai sentire così anche me, quasi come se fossimo legati da uno stesso filo, e questa cosa mi spaventa.
Perciò quando hai scoperto delle corse, quando mi hai visto in quello stato ho avuto paura.
Ho avuto paura che tu non capissi, che tu mi lasciassi o che ti potesse succedere qualcosa, vi potesse succedere qualcosa, qualcosa che io non potessi evitare in nessun modo, e ho cercato di arginare i danni. Perché io stesso sono un danno e quella ne è stata un'ulteriore prova che ha dato voce ai miei pensieri.
Ed è proprio per questo che vorrei tanto che voi mi stesse lontano, non posso farvi rischiare ancora.» dice mettendosi una mano fra i capelli agitato e per la prima volta ho davvero l'impressione che sia preoccupato per noi.
«Matt io...» ma non mi da il tempo di continuare la frase che prende un mazzo di chiavi dalla tasca dei jeans e li posa sulle mie mani.
«Non riesci mai a fare quello che ti dico, non è vero?» dice ironico riferendosi probabilmente al fatto che mi aveva chiesto di stare zitto. Poi guarda di nuovo il mazzo di chiavi che ho fra le mani e sospira.
«Avrei potuto chiedere a Cameron di farvi stare un po' da lui, ma so che tu non avresti accettato perciò non ho trovato soluzione migliore.
Queste sono le chiavi di un appartamento alla Eight Avenue 67, non è molto grande purtroppo, ma non ho trovato di meglio. Prendi Cleo e andatevene.» dice mentre io scuoto la testa.
«Matt?» lo richiamo anche se non é necessario. Ha sempre tenuto lo sguardo su di me per tutto il suo discorso. «Ti ricordi quello che ti ho detto prima di andarmene ieri pomeriggio? Io non scappo dai problemi, io li affronto ed è proprio per questo che non ti lascerò da solo a combattere questa situazione.» gli dico più decisa che mai.
Perché non importa se adesso questa situazione ti spaventa.
Se spaventa anche me e se non sono preparata abbastanza per affrontare tutto ciò che mi aspetta.
Cercherò di essere forte, per te.
Ti leccherò le ferite e ti aiuterò a rialzarti quando cadrai.
Ti mostrerò la luce quando vedrai solo buio.
Ti dimostrerò che a volte anche le cose brutte possono diventare un punto di forza.
Ti dimostrerò che ci sono delle persone che tengono a te.
Che lotteranno per te.
Non importa a quale prezzo.
«Infondo potrebbe essere solo uno scherzo di qualche ragazzino o una candid camera e arriverà qualcuno da dietro la porta a dire che era tutto uno scherzo e che siamo finiti in tv.»
dico poi cercando di sdrammatizzare, ma non serve a molto. Lui non accenna minimamente a una risata, il suo viso è preoccupato e il fatto che continua a torturarsi i suoi capelli ne è la prova.
«Ti prego, fatti aiutare.» gli dico stringendogli la mano. E proprio nel momento in cui penso che me la voglia lasciare, lui la stringe più forte e posa un dolce bacio sul dorso. Ho un sussulto appena fa questo gesto inaspettato e lo guardo come se fosse un altra persona.
E ora perché fai questo?
Perché adesso sembri tu la persona più indifesa?
Proprio tu poi, la persona che è in grado di distruggere e ricostruire tutto con un solo sguardo.
Ma io ti credo, so che non sei cattivo come vuoi far credere.
Ma allora perché ti chiudi in te? Perché fai tutto per farti odiare dagli altri?
«Grazie.» mi sussurra.
«In ogni caso non ti perdono, perché non hai detto quelle parole solo una volta, lo hai fatto per due volte e ora c'è una parte di me che continua a pensare che io sia solo una lurida puttana mantenuta, lo sai vero?
Capisci i danni che provochi con le tue parole?» gli dico cercando di usare un tono duro, anche se il suo gesto dolce mi ha profondamente turbato.
«Lo so e credimi cercherò di farmi perdonare per quello che ho provocato. So che tu sei una ragazza buona, che non farebbe mai una cosa del genere e non hai neanche bisogno di assicurarmelo per saperlo.a sai come sono fatto. Io ferisco la gente. Sono fatto così. E a volte non vorrei, a volte vorrei solo essere uno stupido ventenne con stupidi problemi con il college. Ma io non sono così.
Per cui non posso neanche assicurarti che non ti ferirò più.
Anzi, parliamoci chiaro, lo farò ancora, la cercherò di farmi perdonare tutte le volte.
Perché voglio che tu resti.» mi dice mentre mi tende la mano, invitandomi ad alzarmi da quella panchina, compagnia di confidenze e sofferenze per una notte.
E spero che questo sia un nuovo inizio. Un nuovo noi.
Una nuova storia da realizzare.
Spero solo che non finisca come l'altra volta.
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