Chapter 18
3 Dicembre.
Anche una nuova giornata è iniziata e il Natale si avvicina sempre di più. Vedo le persone addobbare gli alberi, fare battaglie di neve, passare ore ad addobbare la casa e gli alberi di Natale e poi ci sono io, l'intrusa fra tutti loro. L'unica che non vorrebbe affatto far arrivare il Natale.
Questo perché il Natale è fatto per stare in casa, con la propria famiglia e ormai io una famiglia non c'è l'ho più.
Eppure però da quando sono in questa casa mi sento meglio, forse perché mi sento parte di qualcosa, non di una vera e propria famiglia, ma per il momento mi va bene così.
Ma continuo sempre a vederle le loro facce deluse.
Il modo in cui mi chiesero di scegliere se restare o abortire.
Ciò che loro non sapevano era che nell'esatto momento in cui mi avevano chiesto di fare una cosa del genere a mia figlia mi avevano già persa.
Perché non era importante se ai tempi non era un vero e proprio figlio, io già lo sentivo dentro di me.
Già mi immaginavo come sarebbe stato coccolarlo ed averlo fra le mie braccia.
Non era ancora nato eppure già li sentivo i suoi occhi azzurri su di me, prepotenti e belli proprio come quelli dell'unico uomo che ho amato con tutta me stessa.
E mi dispiace se ho ferito o illuso le persone attorno a me, cercavo solo di proteggere quella creaturina così piccola e indifesa che ancor prima di nascere doveva lottare per avere l'approvazione di tutti.
E lo farei ancora.
Miliardi e miliardi di volte, perché non mi pento di aver fatto ciò che ho fatto perché in qualche modo mi ha resa quella di oggi, perché è grazie a quegli sbagli se ora c'è una bambina urlante nel bel mezzo del salotto.
Lei. La mia bambina. La mia luce in mezzo ad un mare di tenebre.
«A cosa pensi?» mi dice Matt schiarendosi la voce dietro di me e facendomi sussultare.
«A nulla.» gli dico lasciando cadere il discorso. Non mi fido ancora abbastanza di lui per raccontargli tutte le mie paure.
«Va bene, fa come vuoi.» mi dice burbero e menefreghista come al suo solito. Lo guardo scuotendo la testa amareggiata dal suo atteggiamento e lo sorpasso in fretta raggiungendo camera mia.
Oggi Maria mi ha invitato a fare un po' di shopping insieme prenatalizio, ma la conosco abbastanza bene da sapere che sotto c'è qualcos'altro. È da quando sono venuta a prendere Cleo con Matt che si comporta in modo strano in verità. Spero tanto che lei non sia una delle tante con cui Matt è andato a letto, non so più se riuscirei a guardarla allo stesso modo.
Rimango a fissare l'armadio indecisa su cosa mettere, ma alla fine opto per un paio di pantaloni a vita alta, la felpa e le scarpe della vans.
Infine prima di uscire infilo alla svelta un cappotto e un cappellino di lana.
«Sembra che fuori stia per fare una bufera di neve per come ti sei vestita tu.» si prende gioco di me.
«Può essere da come si gela.» gli rispondo di rimando cercando di riscaldarmi le mani con l'alito.
«Sei tu che hai sempre freddo.» dice lui scrollando le spalle. Sta per andarsene quando ad un certo punto si sofferma un po' di più suo miei vestiti e assottiglia gli occhi, pensieroso. Le mie guance si tingono di rosa a questo suo improvviso gesto e abbasso lo sguardo imbarazzata, ma non ho neanche il tempo di chiedergli il perché che la sua voce calda risuona nell'aria fredda.
«Lo metti ancora, eh?» mi chiede poi retoricamente. Lo guardo stranita, non capendo a cosa si riferisca e solo dopo essermi guardata allo specchio capisco di cosa sta parlando.
Il cappellino. Il suo cappellino nero.
E lo sai che adesso hai provocato uno tsunami di ricordi dentro di me?
Lo sai quante volte ho stretto questo cappello tra le mani quando te n'eri andato?
Perché quel cappello profumava di te, non importa quanto tempo passasse o quanto il mio ricordo di te si affievolisse nella mia mente.
Quel cappello aveva ancora quell'afrodisiaco odore di menta e di sigaretta che ho sempre amato di te.
E non sai per quanto tempo è bastato il tuo profumo a farmi sentire di nuovo protetta, di nuovo felice.
Come se tu fossi l'unico posto in cui riuscissi a sentirmi davvero protetta.
«In fondo me l'hai regalato, no?» gli rispondo dopo un po', cercando di spezzare il fastidioso silenzio imbarazzante presente nell'aria.
«Più che regalato te lo sei preso dalla mia testa.» mi dice facendo una finta faccia contrariata nel chiaro tentativo di alleggerire l'atmosfera. D'istinto, inizio a ridere al ricordo di quella scena e lui di rimando inizia a farlo con me.
«hey, così mi offendi, ho lottato per avere questo cappello.» dico fingendomi offesa e stringendo il cappello fra le mani.
«Certo, come no.» mi dice ironico prima di salire al piano di sopra, probabilmente a svegliare Cleo.
«Ah, un ultima cosa, a me sta meglio che a te.» mi dice rivolgendomi un sorrisetto strafottente mentre io in tutta risposta gli faccio la linguaccia.
Controllo poi l'orologio e solo in quel momento mi rendo conto di essere in ritardo. Esco in fretta e furia da casa sperando che passi in fretta l'autobus e sperando che Maria non mi uccida.
«Si può sapere che cazzo hai fatto in un'ora?» sbotta da ormai dieci minuti Maria da quando sono arrivata. Effettivamente però sarei arrabbiata anche io se fossi al suo posto.
«Senti, che ne dici se ti pagassi il pranzo per sdebitarmi e non ci pensassimo più?» le chiedo sperando che accetti e che smetta di urlarmi contro.
«Accetto solo perché ho fame, sappilo.» mi dice prima di iniziare a camminare a passo spedito verso la pizzeria del centro commerciale.
«Hey, aspetta.» le dico iniziando ad aumentare il passo anche io per cercare di starle dietro.
«Sono stanca di aspettarti.» mi dice continuando a camminare alla stessa velocità. Cavolo, mi sa che si è veramente arrabbiata stavolta.
Tutta colpa di Matt e del suo stupido cappellino.
«Allora, si può sapere perché volevi parlare con me così urgentemente?
E soprattutto non potevi dirmelo oggi all'università?» le dico confusa mente lei scuote la testa come se non avessi capito nulla.
«lì anche i muri hanno le orecchie.» mi dice solo prima di guardarsi intorno e di accertarsi che questo sia un posto sicuro.
«Sei così sicura di conoscere bene Matt?» mi dice poi rivolgendomi uno dei suoi sguardi indagatori.
«In realtà no, ci sono tante cose di lui che vorrei sapere e comprendere.» gli dico tristemente.
E vorrei tanto che ti aprissi un po' di più con me.
Che mi facessi entrare nel tuo mondo, anche solo per qualche secondo, per farmi capire che cosa c'è davvero nella tua testa e se è davvero così incasinata come tu fai a pensare.
Perché sai, a volte basta solo la persona giusta per sbrogliare quella matassa che prima ritenevi impossibile da sciogliere.
Questa è la forza dell'amicizia.
«Matt è un ragazzo...complicato.» mi dice soffermandosi sulle ultime parole.
«Questo lo so anche io, ma dal modo in cui me ne stai parlando sembra quasi che tu sappia anche dell'altro riguardante lui.» gli dico con un groppo allo stomaco. Dal modo in cui ne parla sembra quasi che si conoscano bene loro due.
«Effettivamente si. Siamo cresciuti insieme per un bel periodo della nostra vita.» mi confessa mordendosi il labbro.
«Cosa?» le domando a metà tra il confuso e lo sconvolto.
«Già. Devi sapere che un tempo i suoi genitori non erano ricchi. Lui abitava nella casa affianco alla mia e spesso giocavamo insieme. Lui era un bambino dolce e simpatico, come tutti gli altri. Ma crescendo i suoi genitori hanno iniziato ad arricchirsi e lui a diventare più stronzo. Sembrava quasi che più i suoi genitori diventassero ricchi, più lui li detestasse. Così loro iniziarono a punirlo, gli davano punizioni sempre più dure che lui non rispettava mai.
Ha iniziato a bere, fumare, frequentare persone sbagliate e con il tempo ci siamo allontanati.» mi dice lei guardandomi malinconica, probabilmente ricordando i vecchi tempi.
«Ti piaceva?» le chiedo sentendo una bile in gola. Non riesco a immaginarli insieme, è più forte di me.
«No, potremmo essere fratelli.» dice lei guardandomi disgustata.
«Ok.» dico rilassando le spalle leggermente.
«C'è dell'altro.» mi dice lei mordendosi il labbro per il nervosismo.
«Un giorno in piena notte i suoi genitori hanno iniziato ad agitarsi moltissimo, dicevano che era successo un disastro, che dovevano vedere come insabbiare la cosa, che tutto quello li avrebbe rovinati. Più tardi chiamarono alla svelta Thomas, il loro maggiordomo, gli chiesero di preparare le valigie e di trovare un posto lontano da qui. Da quella notte non li rivedemmo mai più. Cambiarono città, Matt fini le superiori in un altra scuola e ci siamo rincontrati soltanto quando lui ha iniziato il college.» mi dice lei mentre mille domande affollano la mia mente.
Che cosa successe quella notte?
Perché cambiarono casa?
Perché Matt li odiava così tanto?
E perché nessuno mi hai parlato di questo prima d'ora?
«Quanto tempo fa è successo?» le chiedo cercando di non agitarmi.
«Credo che ormai siano passati quasi 4 anni.» mi dice lei pensandoci su.
«Beh, qualunque cosa sia successa, non credo che Matt mi dirà mai cosa è successo e non credo che sia nulla di così preoccupante.» le dico sperando di tranquillizzarla e sperando di tranquillizzare anche me.
Ma vorrei che tu venissi qui e che mi dicessi che è una cosa di poco conto.
Che i tuoi genitori avevano un buon affare per le mani,
Che non hai fatto niente di cui pentirti.
Che il motivo per cui a volte vedo i tuoi occhi così tristi non è così brutto.
Che i tuoi demoni non sono così mostruosi come sto pensando in questo momento.
Perché non so se riuscirei più a guardarti allo stesso modo.
Anzi, forse smetterei di guardarti semplicemente...
«Sara, ma tu sta attenta comunque, non voglio che ti accada nulla.» mi dice lei mentre io annuisco in un certo senso felice delle attenzioni che mi sta dando.
«Andiamo a fare shopping?» le chiedo io sperando che accetti, ho bisogno di non pensarci adesso, non voglio rendere l'aria in casa più tesa ora che finalmente Cleo ha ritrovato suo padre.
«Certo.» mi risponde lei fissandomi sorpresa, probabilmente perché sa benissimo che odio fare Shopping a differenza sua.
«Ti prego fermiamoci, ho i piedi che stanno implorando pietà.» dico io ormai al limite della sopportazione.
È vero, sono stata io a dire di volere fare shopping, ma ormai è da due ore che stiamo camminando senza sosta soltanto perché Maria si ferma ad ogni bancarella solo perché vuole fare il regalo perfetto per il suo ragazzo mentre io continuo a chiedermi se invece debba regalare qualcosa a Matt.
Perché adesso non so cosa siamo.
Perché non siamo amici, ma non penso che siamo neanche più nemici.
Forse siamo solo conoscenti, ma viviamo nella stessa casa.
Forse tu non mi farai neanche un regalo, ma io voglio fartene uno.
Ma forse sarebbe inadeguato dopo tutto ciò che abbiamo passato, dopo il modo in cui ci siamo odiati entrambi in questi anni o forse sarebbe solo un'ottima scusa per porvi fine.
«Secondo te questo gli potrebbe piacere?» dice mostrandomi un elegante orologio bianco che si vede anche al buio.
«È bellissimo.» le dico sorridente cercando di convincerla a farglielo comprare così finalmente finirà questo strazio.
«Me lo stai dicendo solo perché sei stanca vero?» dice assottigliando gli occhi e facendomi uno sguardo omicida.
«Esattamente.» le dico prima di sospirare esausta.
«E va bene, usciamo, ma la settimana prossima mi aiuti a scegliere i regali, è un ordine.» mi dice autoritaria mentre io acconsento contenta che questo strazio stia finalmente per finire.
Sto quasi per urlare dalla gioia al pensiero di potermi fare una bella dormita come si deve, quando un numero sconosciuto inizia a chiamarmi. Stranita non rispondo subito, ma poi sotto richiesta di Maria decido di farlo, curiosa di sapere di cosa si tratti.
«Tu sei Emma giusto?» dice una voce femminile dall'altro capo del telefono facendomi sentire ancora più confusa. Come fa questa donna a conoscere il mio nome?
«Si?» rispondo dopo un po' di tempo, ma la mia più che un'affermazione sembra una domanda. «Tu chi sei?» chiedo subito dopo invasa dalla curiosità.
«Sono Chiara, la ragazza che abita nell'appartamento dei tuoi genitori, ti ricordi di me?» mi chiede lei facendomi quasi prendere un colpo.
Perché ormai sono passati molti giorni, la vita è andata avanti e pensavo che troppo presa dai tuoi problemi, ti fossi dimenticata di me.
Ma così non è stato e ho fatto bene a sperarci fino alla fine.
Perché la speranza è forse l'unico sentimento, insieme all'amore, in grado di tenere in vita le persone.
La speranza è qualcosa con le ali, che dimora nell'anima e canta melodie senza parole, e non si ferma mai.
(Emily Dickinson)
«Certo, hai loro notizie?» chiedo non riuscendo più a trattenermi.
«Mi hanno contattato perché volevano che pagassi l'affitto e io gli ho proposto di incontrarci domani mattina, va bene per te?» mi chiede lei gentilmente mentre io pronuncio un flebile si, troppo scossa dalla notizia appena ricevuta.
«A domani allora.» dice lei prima di attaccare mentre il telefono mi cade dalle mani e la testa inizia a girare.
Perché finalmente domani vi rivedrò, saprò se state bene senza di me,
se papà stata veramente scappando da me,
se vi siete pentiti di aver fatto ciò che avete fatto,
se ogni tanto ci pensate a me,
se mio fratello sta aspettando ancora il mio ritorno,
e chissà magari anche io un giorno potrò passare il Natale con voi.
Mi risveglio poco più tardi stesa su di una panchina mentre Maria cammina avanti e indietro agitata.
Mi tocco la fronte sudata e cerco di alzarmi da lì, ma Maria mi vede e inizia a piangere. Che succede?
«Finalmente sei sveglia.» mi dice lei correndo ad abbracciarmi.
«Che cosa è successo?» chiedo massaggiandomi la fronte per il dolore.
«Non te lo ricordi? Sei svenuta dopo che hai ricevuto una chiamata.» mi dice e i ricordi mi assalgono nuovamente. Cerco di mantenere la calma e di non svenire nuovamente sotto lo sguardo attento di Maria.
«Chi era al telefono?» mi chiede cauta mentre io sospiro alla ricerca delle parole giuste.
«La ragazza che vive nel vecchio appartamento dei miei genitori.» le dico dopo un po'.
«Ah.» risponde lei e per la prima volta non aggiunge altro, forse perché sa anche lei del rapporto che ho con i miei genitori e di quanto possa essere importante l'incontro di domani.
«Se vuoi ti accompagno io.» mi chiede gentilmente, ma io scuoto la testa.
È una cosa che devo risolvere da sola.
«Penso che sia ora di andare a casa, no? Matt si starà chiedendo che fine hai fatto.» mi dice lei tentando di cambiare discorso.
«Sono le 8. Sei rimasta svenuta un paio di ore.» mi informa lei mentre io la guardo incredula.
«Si, andiamo.» rispondo alla svelta.
Appena entro in casa vengo sommersa da due braccine che mi stringono forte a se. Ricambio l'abbraccio e faccio volare la piccola Cleo in alto, dandole poi un bacio sulla testa per la felicità di averla di nuovo qui con me. Ho bisogno di lei ora come ora.
Perché sei l'unica in grado di farmi sentire bene veramente.
Perché grazie a te il mondo mi sembra un po' più bello.
Perché i tuoi occhi mi guardano come se fossi la cosa più bella del mondo e mi piace sentirmi così.
Perché così come tu hai bisogno di me io ho bisogno di te.
«Si può sapere che cazzo di fine avevi fatto?» mi dice una voce arrabbiata alle nostre spalle facendomi venire un colpo per lo spavento.
«Io ero... in giro.» dico esitando un po' prima di rispondere.
«Dalle 4?» dice alzando un sopracciglio.
«Si, hai qualche problema?» lo sfido.
«Si, se non te ne fossi accorta hai una bambina e non puoi lasciarla da sola per tutto questo tempo.» mi dice alzando la voce e per una volta mi sembra preoccupato.
«Non era da sola, c'eri tu.» gli rispondo ovvia, cercando di fermare i sensi di colpa.
«Si, ma a causa tua sono dovuto restare tutto il giorno in casa senza avere la minima idea di dove fossi tu.» dice cominciando ad urlare.
«Vorrà dire che la prossima volta avviserò, così potrai fare quello che vorrai con chi vorrai, va bene?» gli dico alzando la voce anche io.
«Non volevo dire questo.» dice mettendosi una mano fra i capelli.
«E cosa volevi dire allora?» urlo.
«Io ero... Preoccupato per te.» mi dice esitando sulle parole da usare facendomi rimanere spiazzata.
«Sto bene.» dico facendo un passo indietro, intimorita dal suo sguardo.
«Lo vedo.» dice allora freddo, allontanandosi in fretta da me.
Eppure non è vero che hai visto.
Perché se mi avessi visto realmente avresti capito che c'è qualcosa che non va in me.
Se mi avessi guardata realmente avresti capito che l'unica cosa che voglio in questo momento sono due braccia che mi stringano forte e che non mi lascino più andare.
Avresti visto la mia faccia pallida.
Le mie labbra secche.
Il viso imperlato di sudore.
Ma tu non l'hai fatto.
Ti sei fermato alle apparenze.
Come tutti del resto.
«Vado in camera.» gli dico allontanandomi in fretta, prima che lui possa aggiungere altro.
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