Chapter 12
«Dove stiamo andando?» chiedo curiosa.
«A fare altro shopping. Sarà divertente.» dice entusiasta sotto il mio sguardo esausto e seccato. È tutto il giorno che continua a farmi provare vestiti su vestiti tentando di farmi restare allegra.
Dopo che le ho raccontato dell'incontro con Matt ha ospitato sia me che la Cleo nella sua casa nonostante io avessi insistito per non farlo.
E credo di aver trovato una vera amica, un amica che ha deciso di rimanermi accanto anche quando non avevo più niente, anche quando le mie certezze stavano crollando, anche quando Marco mi ha lasciato.
Non lo sento dal giorno in cui gli ho raccontato del mio tradimento e mi manca.
E anche se non mi manchi come mi manca Matt mi manchi comunque, perché ci sono certi amici che non ti escono mai dal cuore. Perché l'amicizia resiste a tutto, anche alla distanza o ai litigi e sono sicura che io e te un giorno saremo ancora quelli di prima.
E saremo più forti e più uniti che mai in quel momento.
E puoi prenderti tutto il tempo che vuoi, io sono qui, ti aspetto e quando tu sarai pronto per riavermi nella tua vita, lo sarò anche io.
«Dai andiamocene, é tardi.» dico sbuffando.
«Mica tanto, c'é tempo.» dice lei allegra.
«Si, ma non ho voglia di provare altri vestiti, tanto non mi faranno passare la mia rabbia verso quella sottospecie di individuo.» dico frustata e sempre più arrabbiata verso di Matt. Se potessi giuro che lo prenderei a calci.
E adesso beccati tutta la mia rabbia, tutta il mio odio, perché non hai tradito me, ma una bambina di due anni che senza di Maria sarebbe stata una senzatetto. Una bambina che era sangue del tuo sangue, che non aveva fatto nulla per meritare questo, ma tu l'hai fatto comunque, fregandotene del suo bene.
Mi avevi chiesto di fare il padre, mi avevi supplicato di entrare a far parte della sua vita e poi l'hai lasciata da sola, proprio come fai con tutti. Quindi si, ti odio e nulla mi farà cambiare idea.
«Non sai che voglia ho di prenderlo a pugni.» esordisce seria la mia amica per poi stringere pugni e ho come l'impressione che se non faccio qualcosa potrebbe farlo realmente.
«Penso che moriresti nel tentativo di farlo.» ironizzo cercando di farle cambiare idea.
«Più che altro penso che dovrebbero fornirci dei fischi che suonano non appena lo vediamo camminare nella nostra direzione. Tipo fischi "Anti Matt."» continuo a prenderla sul ridere per cercare di non pensare a quanto in realtà questa storia mi faccia arrabbiare.
«Ne parlerò con il rettore dell'Università. Secondo me può fare qualcosa a riguardo.» continua lei e sembra convinta delle parole che dice.
«Sicuramente ti darà retta.» ribatto sarcastica.
«Già, come no. Mi riderebbe in faccia in ogni caso. Matt é protetto troppo bene per i miei gusti. Con tutti i soldi che hanno speso i suoi genitori non penso che cambierà mai qualcosa o che lui smetterà di frequentare mai questa università. Anzi, probabilmente ne uscirà anche con il massimo dei voti per poi fare subito carriera come avvocato, proprio come i suoi genitori.» riflette lei arrabbiata.
«Già. E io che lo voglio diventare fin da bambina non lo sarò mai." mi lamento conoscendo bene come va la società al mondo di oggi.
"Posso odiarlo più di così?» le chiedo poi ironicamente.
«In realtà si. Potresti costringerlo ad assumersi le sue responsabilità, potresti chiedergli soldi o fargli passare le pene dell'inferno, ma non lo fai. Io non ti capisco.» mi dice lei
E la verità è che non so neanche io perché non lo faccia.
So solo che quando faccio la stronza con te mi sento una merda.
Che quando vedo il tuo sguardo triste sono un po' triste anche io e che quando la tua risata illumina la stanza, illumina anche un po' il mio cuore.
E un tempo pensai che eravamo legati da un filo sottile, ma allora perché non riesco a distruggerlo?
Perché il mio cuore non si decide a lasciarti andare?
«Neanche io.» dico scrollando le spalle.
Nevica.
Già, é una delle giornate più fredde dell'anno e sinceramente spero che nevichi ancora.
E in pochi lo sanno, ma io amo la neve.
Amo quei piccoli fiocchi bianchi che si posano sopra i tetti delle case e che poi, al sole, si sciolgono fino a diventare acqua, semplice acqua. Nulla di più. La neve é fredda, proprio come ero io tanto tempo fa. Prima di conoscere il mio sole, ma in questo caso il mio sole è stato anche la mia rovina.
Strano associare alla rovina il sole, fonte di allegria per tante persone. Beh per me il sole é quel mezzo tramite il quale la neve all'interno del mio corpo si scioglie.
Troppo complesso da capire? Anche per me lo é.
Ma questa volta anche la neve mi sembra diversa.
Perché non c'è nessuno a proteggermi dal sole che incombe su di noi.
Perché non ci sono più i miei genitori qui con me.
Non c'é mio padre che accende allegramente il camino.
Non c'é mia madre che prepara la mia cioccolata calda e non c'é il mio fratellino che sono sicura che sente la mia mancanza. Mi aveva detto di non andare via, che lui aveva bisogno di me, ma me ne sono andata lo stesso e l'ho ferito. Ho ferito anche i miei genitori con quello che ho fatto e ho ferito anche il mio migliore amico. Una delle persone che ci teneva di più a me.
Da due anni ho sempre cercato di attribuire la colpa a Matt per tutto questo, ma dentro di me sapevo già da tempo che non era del tutto così. Le cose si fanno in due. Di certo lui non mi ha costretto a fare tutto quello di cui mi pento adesso e solo da qualche giorno ho la forza di ammetterlo a me stessa.
«Come al solito l'accoglienza della Columbia è sempre molto calda. Sono sarcastica, ovviamente.» urla Maria ai quattro venti, sotto lo sguardo di tutti i presenti che la guardano come se fosse pazza e un po' penso lo sia.
Si deve essere realmente folli per esser miei amici e lei credo proprio che sia la mia folle migliore amica.
«Non mi serve l'accoglienza per entrare in uno stupido college. Ho passato molto di peggio.» sbotto nervosa.
«Vedo che siamo arrabbiate.» dice Maria alzando gli occhi al cielo.
«Già, ma tranquilla, non con te.»
Ed è davvero così.
Non sono arrabbiata con te o con le persone che in questo college sembrano avere 2 anni e non più di 20 e stranamente non sono neanche arrabbiata molto con Matt. La verità è che sono arrabbiata con me stessa e penso che questa sia la vera forma di rabbia che è in grado di uccidere. Perché ti logora dentro, ti uccide internamente senza che tu possa fare nulla per fermarla perché non si può fermare. Quella rabbia è parte di te.
Ad un certo punto però ho un idea folle. Mi stringo nel cappotto ed esco dall'edificio scolastico. Infondo, perdere una lezione non sarà tanto grave e la giornata di oggi capita solo poche volte all'anno e non va sprecata per studiare.
Mi ricordo che da piccolina, quando nevicava, mio padre mi portava in un posto che diceva fosse speciale. Era un posticino tranquillo tra le sponde del fiume Hudson che la neve e la temperatura rendevano ghiacciato.
Mio padre ci portava qui e iniziava a dipingere ed era veramente bravo in quello che faceva e sono sicuro lo sia anche adesso. A volte alcune domeniche mattina spariva e ritornava la sera. Mia madre pensava avesse un amante, ma un giorno lui mi confessò che era sempre in cerca di posti nuovi per mostrare attraverso i suoi quadri quanto fosse bello il mondo e che l'unica amante con cui tradiva mia madre fossero i suoi quadri.
Da piccola per mio padre ero la principessa del ghiaccio, la bambina che appena la neve attecchiva al suolo scendeva giù in giardino e giocava con le palle di neve anche senza guanti e senza cappotto. E ci volevano ore per farmi uscire da lì perché non ne avevo mai abbastanza. Era una di quelle cose speciali che condividevamo io e mio padre.
E forse ho ereditato questo da mio padre.
Non la passione per l'arte e neanche la sua positività.
Ho ereditato il vedere sempre il bello delle cose, il non accontentarsi di quello che è semplice e normale, ma di cercare qualcosa che valga la pena di essere visto, l'amore per le cose fredde e ghiacciate.
E Matthew era una di queste cose.
Lui è arte, un arte che non si spiega, un arte che si ammira solamente con lo sguardo sguardo perso.
Si, perso, perché lui riesce a far perdere le persone, riesce a far dimenticare loro tutto ciò in cui avevano sempre creduto.
Lui è arte, lui è musica, lui è vita.
Prendo il mio cappotto e lo stendo sul terreno ghiacciato per poi sedermici sopra. So che è una cosa molto pericolosa da fare, ma voglio rischiare. I ricordi mi assalgono ancora più di prima e una lacrima mi riga la guancia seguita più da altre.
Mio padre mi manca...
La mia famiglia mi manca...
La mia vita prima di lui mi manca...
E vorrei che la mia famiglia fosse qui con me, che mi avesse sostenuto quando gli avevo detto di voler tenere il bambino, che mi avesse stretto in un abbraccio e mi avesse detto che andava tutto bene, che c'erano loro con me e ci sarebbero stati per sempre. Ma così non è stato e loro non erano con me.
«Che illusa.» penso a voce alta.
E si, forse sono proprio un illusa.
Perché ho sperato che i miei genitori mi stessero accanto sempre.
Perché ho sperato che Matt mi stesse accanto sempre.
E anche adesso, perché sto sperando che Maria mi stia accanto sempre.
Resto lì a godere dell'aria fresca e della pace che si percepisce in questi posti dimenticati dal mondo per minuti, forse ore, ma non mi importa di quanto tempo sia passato, la sensazione è sempre la stessa.
Decido di fare la cosa che mi riesce di più e decidi di scrivere qualcosa per rilassarmi un po'.
La scrittura è il modo migliore per allontanarsi dalla realtà, per immaginare una vita più bella, per fingere per quei minuti di essere la protagonista di un romanzo e piangere con lei, ridere con lei e amare con lei.
Perché con la scrittura si vivono altre vite e si spalancano orizzonti che fino a poco prima credevi lontani.
Perché in ogni libro c'è una frase che è stata pensata e scritta solo per ognuno di noi, dobbiamo solo trovare la nostra.
Alzo lo sguardo ancora una volta verso il cielo ed avverto una strana sensazione, come un avvertimento, ma non ci faccio caso.
Faccio per andarmene, quando vedo una figura avvicinarsi lentamente verso il mio posto. Cammina a passo lento e i lunghi capelli brizzolati escono dal cappello. La camicia rossa mette in risalto la sua pancia e il suo fisico robusto. È mio padre. Il mio cuore ha un sussulto e un ondata di gioia mi pervade. Inizio già a immaginare nella mia testa tutti i tipi di discorsi e la mia pelle già ha la sensazione del calore di quell'abbraccio tanto desiderato. Mi avvicino sempre di più a lui a passo svelto finché non mi nota. Purtroppo però nulla di quello che avevo pianificato succede e mio padre dopo avermi squadrata da capo a piedi mi rivolge un semplice ciao e poi cambia strada. Inizio a seguirlo per avere una conversazione con lui, ma lui fa di tutto per evitarmi.
«Perché mi eviti?» gli urlo allora tra le lacrime.
Lui mi guarda e il mio cuore si distrugge nuovamente.
E perché non fai niente per farmi smettere di piangere?
Non ero la tua principessa?
Cosa è cambiato da allora?
Perché mi guardi in quel modo?
Perché non vieni ad asciugarmi le lacrime?
Perché sembra che non te ne importi più nulla di me?
Quando i miei genitori mi avevano cacciato di casa, dopo aver saputo della gravidanza, mi ero sentita a pezzi e rifiutata, ma mai come oggi.
Perché in questo ho davvero capito come sono rimasti delusi da me, quanto il loro perdono sia difficile se non impossibile da avere.
Resto ferma li per ore, minuti che mi sembrano interminabili finché non mi viene in mente un idea per cercare di aggiustare le cose.
Raccolgo il mio cappotto da terra per cercare calore senza indossarlo e mi avvio verso la mia vecchia casa.
Faccio lunghi respiri profondi sperando che mia madre non mi odi troppo o anche solo che non mi ignori. A volte il silenzio può essere più doloroso di mille parole offensive.
Ad aprire però non é mia madre o un mio familiare. È la ragazza che lavora al bar vicino alla scuola.
«Ciao.» saluta cordialmente lei.
«Che ci fai qui?» dico senza neanche salutarla. Voglio solo delle risposte al momento.
«Ci vivo.» la guardo confusa.
Ma che diavolo sta dicendo?
«Non é possibile. Qui ci vivono i miei genitori.» dico prontamente e questa volta é lei a fissarmi confusa.
«Forse intendi la signora che mi ha fatto affittare questa casa? È tua madre?» chiede gentilmente la ragazza.
Rimango nuovamente immobile, spaesata dalla notizia appena ricevuta.
I miei genitori hanno venduto la casa?
Perché? Mi odiavano a tal punto?
E adesso dove vivono?
«Dove si trova adesso?» gli chiedo cercando di non far trasparire l'incertezza nella voce.
«Non lo so, ma ogni mese viene qui per farmi pagare l'affitto. Se vuoi, se mi dai il tuo numero, la prossima volta che si fa viva ti chiamo così puoi parlarle.» mi chiede gentilmente.
«Certo. Grazie mille.»
Dopo averla ringraziata e averle dato il mio numero mi allontano da quella casa ancora più scossa di prima. Devo assolutamente parlare con i miei genitori.
Intanto ha smesso di nevicare e le goccioline di neve sul terreno si stanno sciogliendo.
E ricordo che in questo momento io e mio padre rientravano in casa sotto lo sguardo severo di mia madre che diventata più dolce non appena vedeva i nostri volti felici.
Ci urlava contro tutti i peggiori insulti, ma subito dopo si metteva a fare la cioccolata calda per tutti.
È sempre stata una donna particolare lei. Non si sapeva mai di che umore era al mattino e che pensiero le frullasse per la testa.
Io e mio padre cercavamo di capirla, ma credo che neanche un bravo lettore di menti ci sarebbe riuscito.
Lei era arte, lei era musica, proprio come Matt, solo che in una forma diversa, forse più semplice.
E vorrei tanto capire perché.
Perché mi hai fatto soffrire così tanto.
Perché non mi hai lasciato perdere dopo aver vinto la scommessa e perché non lo fai neanche adesso.
E vorrei tanto chiederti perché ti ostini così tanto a volermi rovinare la vita.
E sai che c'è? Adesso lo faccio.
Vado a chiedetelo di persona il perché. Vado ad urlarti contro tutti i motivi per cui ti odio e per cui non meriti neanche un briciolo del mio affetto.
E prima che io possa accorgermene mi sto già dirigendo verso casa sua.
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