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Non tutti quelli che vagano sono perduti

Eilífð si estendeva davanti ai suoi occhi e l’aggettivo che Amelia usava per definire la sua città era sempre lo stesso: eternamente lucente. Tutte le sere, come se seguisse un antico rito, ma che in realtà lei stessa aveva pazientemente costruito con il tempo, serviva la cena sulla piccola terrazza che riusciva a contenere solo un piccolo tavolo. Amelia si accomodò su una serie di cuscini e con lo sguardo seguì la dolce curva del golfo che lambiva la costa, subito dopo la sua attenzione si spostò sulla torre Skínandi che troneggiava al centro della città. In quel momento tornò prepotente la sua fantasia di bambina e ancora una volta immaginò che fosse una lancia luminosa e un giorno avrebbe forato la coltre di nubi che provocava l’eterna notte. Intorno a Skínandi vi erano le Minni Turna, le torri minori, che avevano il compito di fornire energia alla torre maggiore che a sua volta illuminava la città. Gli abitanti di Eilífð rimpiangevano la vita che conducevano prima che Sólstjarna, la stella che generava luce e calore, si spegnesse lasciando solo spazio per la sopravvivenza. Le Minni Turna erano in funzione grazie all’energia Kjarnorku che veniva ricavata dalle cave d’argento e di rame, ma i metalli erano destinati presto a esaurirsi, le torri si sarebbero spente decretando la loro definitiva estinzione. Amelia fu scossa da un brivido di angoscia pensando che erano gli ultimi abitanti del pianeta Jörð. In un estremo tentativo di sopravvivenza l'astronave scientifica Artemis aveva viaggiato migliaia di anni luce alla ricerca di un pianeta che avesse giacimenti metalliferi così da scongiurare lo spegnimento di Skínandi.

Il suono penetrante del cicalino precedette la voce concitata del suo primo ufficiale: «Capitano, è urgente la sua presenza sul ponte di comando.» 

«Arrivo subito.» Poi al computer di bordo: «Tölvu, spegni l’ologramma di Eilífð.» 

Mentre Amelia percorreva con passo deciso i corridoi che separavano la sua stanza dalla sala comando, aveva la forte sensazione che qualcosa di importante stava per accadere. 

«Capitano Alexander!» Thomas Takei si alzò dal suo posto e la raggiunse sulla porta. «Siamo riusciti a captare la provenienza di quell’insolito segnale radio.»

«Le nostre ipotesi sono esatte?»

«Le indagini eseguite sulla nebulosa soddisfano tutti i parametri richiesti.»

Il capitano lo guardava impassibile, ma era impaziente di conoscere i risultati, sapeva che il suo primo ufficiale avrebbe sciorinato una quantità enorme di logaritmi e probabilità supportate da teorie scientifiche, allora lo interruppe con una domanda che non ammetteva nessuna divagazione nella risposta: «Quante possibilità ci sono di trovare un pianeta che sia simile a Eilífð?»

«In realtà già lo abbiamo trovato.» Si rivolse al navigatore: «Signor Luke, azioni il monitor centrale.»

Amelia, Takei e i membri dell’equipaggio presente sul ponte osservarono il pianeta con stupore prima e con curiosità dopo.

«Avete già effettuato i rilievi sull’atmosfera e sulla superficie?» 

«Abbiamo rilevato che l’atmosfera è compatibile con i nostri sistemi bionici, la maggior parte della superficie è ricoperta da acqua mentre ai poli vi è un esteso territorio ricoperto di vegetazione.» 

Il capitano ascoltava il rapporto di Takei continuando a osservare le rocce adamantine che orbitavano intorno al pianeta e nel suo intenso blu c’era qualcosa di familiare, ma in quel momento le sfuggiva, la sensazione che aveva avuto sin da quando era stata chiamata sul ponte di comando stava diventando sempre più pressante.  

«Signor Takei prepari una squadra e che sia pronta entro i prossimi dieci minuti. Esploriamo il pianeta.»

«Agli ordini, capitano.»

La Geimskip atterrò in una radura dove Takei e Luke avevano individuato un sito che, per la sua formazione geologica, era simile a quella di Eilífð. 

Il capitano Alexander fu la prima a sbarcare, poi in ordine l’ufficiale scientifico dottoressa Hannah Wong, l’ingegnere minerario Jonas Black e i due sottufficiali John Lee e Angel Fox. Osservarono la fitta foresta fatta di alberi che sembrava volessero toccare il cielo azzurro, la sensazione del prato sotto i loro piedi era straniante perché su Eilífð da oltre un millennio, da quando si era spenta Sólstjarna, non era più cresciuto un filo d’erba e il buio aveva coperto il cielo. Il pianeta era cambiato, la popolazione si era evoluta: il corpo in parte bionico e il sistema nervoso potenziato dall’IA avevano dato loro la possibilità di sopravvivere. Tutto quello che ora vedevano lo conoscevano attraverso gli ologrammi inseriti nella Égman, la memoria degli Antichi Coloni, un gruppo di astronauti che avevano abbandonato il loro pianeta d’origine, ma le ragioni di quella decisione e gli eventi che ne seguirono erano talmente lontani nel tempo tanto da diventare leggenda.

«Dottoressa Wong, che ne pensa?»

«Possiamo togliere le tute protettive, ho analizzato l’aria ed è compatibile con i nostri sistemi biometrici. L’aria è una miscela di ossigeno e azoto e una piccola quantità di altri gas, ma c’è anche una piccolissima quantità di particelle di uranio.» 

«Particelle di uranio?» 

«Sì capitano, ma la quantità è irrisoria quindi l’aria non è tossica.»

Il capitano Alexander, come il resto della squadra, spostò il guanto della mano sinistra e sfiorò il Kóða che si trovava nella parte interna del polso. 

Una patina rossa si distribuì interamente sul corpo e subito dopo divenne trasparente. Ogni sistema nervoso era collegato e potenziato dall’IA grazie al Kóða; erano corpi separati, ma potevano comunicare tra loro così da  risolvere problemi e affrontare pericoli. 

«Ingegnere Black, da che parte iniziamo l’esplorazione?» 

L’ingegnere sfiorò Kóða che proiettò in contemporanea alla squadra d’esplorazione un ologramma del territorio circostante. 

«I punti verdi siamo noi, osservate le forme irregolari di colore rosso e queste d’argento c’è un’alta possibilità che siano miniere.»

«E queste forme nere che si trovano tra noi e il nostro obiettivo, cosa sono?» 

«Purtroppo capitano Alexander non sono riuscito a capire cosa fossero, è come se l’area fosse schermata, ma se vogliamo arrivare al nostro obiettivo dobbiamo passarci in mezzo.»

Amelia valutò la situazione, aveva la forte sensazione che fosse vicina a scoprire qualcosa di vitale importanza. Nonostante fosse stata educata alla razionalità e a fare affidamento su fatti confutati da dati e statistiche, una parte di lei era rimasta legata a quelle che i suoi antenati chiamavano emozioni e lei ne faceva segretamente affidamento.

«Signor Lee, insieme precederemo l’ingegnere Black e la dottoressa Wong, signor Fox voi chiuderete la fila. Non credo ci siano pericoli, ma meglio essere prudenti, quindi teniamoci pronti a difenderci da ogni eventuale minaccia.» Indicò la foresta davanti a loro: «Mettiamoci in marcia.» 

La foresta aveva inghiottito la squadra esplorativa che avanzavano più lentamente di quanto volessero perché gli enormi tronchi lasciavano poco spazio al loro passaggio e spesso erano costretti ad avanzare in fila indiana. Durante il percorso si erano alternate zone dove si intravedevano le chiome degli alberi e la luce filtrava tra esse e vi era una totale assenza di rumore, a stento si percepiva il suono dei loro passi, per poi entrare in una zona d’ombra dove si percepiva un odore pungente che non sapevano classificare. Poi vi erano zone dove la luce arrivava a stento e da lì provenivano rumori sconosciuti che il capitano interpretò come gli animali che si muovevano intorno a loro. 

«L’obiettivo è distante ancora una lega.» Comunicò il signor Lee.

«Bene, Dottoressa Wong, i nostri parametri sono nella norma?»     

«È tutto nella norma, ma Kóða rileva la presenza di forme di vita.»

Amelia si guardò intorno e vide qualcosa nell’ombra che si spostava e poco più lontano il movimento si ripetette.

«Li vedo,» rispose il capitano, «anche se non saprei dirti cosa siano.»

«Sono animali, capitano.» Intervenne il signor Fox, «su Eilífð si sono estinti migliaia di anni fa.»

«Possono attaccare?» Mentre Amelia fece la domanda alzò istintivamente la guardia e i presenti la imitarono.

«Non credo, almeno per il momento ci stanno osservando.» Rispose il sottufficiale.

«Cerchiamo di essere più celeri, appuriamo se esistono le miniere e torniamo sull’Artemis.»

Ripresero la marcia, i rumori che provenivano dalla foresta dopo poco divennero familiari, ma quando ebbero percorso più di mezza lega sembravano svaniti e il silenzio scese nuovamente sugli esploratori.  

«Capitano Alexander,» chiamò l’ingegnere, «le miniere dovrebbero essere dietro a quell’intricata vegetazione.»

La vegetazione cominciò a diventare ancor più serrata costringendo Amelia e i due sottufficiali a farsi strada con i laser, improvvisamente avvertirono un rumore d’acqua. Si fermarono guardandosi esterrefatti. Poi la dottoressa Wong: «Capitano, Kóða segnala una fonte d’acqua molto estesa.»

«Acqua?! Ma non era stata rilevata in questo territorio.» 

«Capitano, ci siamo.»

Amelia si unì agli ultimi sforzi di Fox e Lee riuscendo ad aprire un passaggio nella vegetazione e passarono uno alla volta dall’altra parte. Ciò che si presentò agli occhi degli esploratori li lasciò senza parole, l’acqua che era stata rilevata da Kóða era un lago non troppo ampio e oltre esso vi erano ruderi in parte la vegetazione aveva preso il loro spazio. 

Il capitano Alexander chiese all’ingegnere: «Rileva ancora la presenza dei metalli?»

«Sì, la fonte proviene da quell’area.» Indicò oltre i ruderi.

«Andiamo.»

Il percorso che compirono non fu molto lungo, tutto ciò che li circondava era un qualcosa che sconvolgeva i loro sensi anche grazie al potenziamento dell’IA. Riuscivano ad analizzare e a catalogare per poi trasmetterla in una banca dati comune i suoni, i colori e gli odori che li circondavano. Amelia aveva ancora quella netta sensazione che andava oltre al suo sistema nervoso potenziato, quella piccola parte che aveva ereditato dai suoi avi umani le diceva tutto quello che osservava aveva qualcosa di familiare.

Arrivarono nei pressi dei ruderi e videro che si estendevano per molte leghe.

Camminarono fino a entrare nel sito, si guardavano intorno circospetti, ma si resero presto conto che non c’era alcuna forma di vita aliena; entrarono in un rudere che non era completamente distrutto.

«Credo che questo fosse in origine un edificio.» 

Amelia lo disse a voce bassa valutando tra sé e sé ciò che vedeva, ma la dottoressa Wong l’aveva sentita: «Ma non è possibile.»

«Allora come se lo spiega questo?» Ribatté il capitano e indicò lo spazio in cui erano che aveva la struttura di una grande stanza e quello che era un corridoio. «Lee rimanga qui con la dottoressa e l’ingegnere. Fox, venga con me.»

Si incamminarono nel breve corridoio dove in fondo c’era un’apertura simile a una porta, quando la varcarono rimasero senza fiato perché ciò che videro non se lo sarebbero mai aspettato. Subito dopo Kóða si accese segnalando una comunicazione di Takei dall’Artemis: «Capitano Alexander, abbiamo completato le ricerche sulle rocce adamantine che orbitano intorno al pianeta, appartengono senza dubbio al satellite Luna.»

«Signor Takei, siamo in una stanza che contiene quelli che i nostri antichi antenati chiamavano libri. In parte sono distrutti, ma è una grandissima emozione stringere un sopravvissuto tra le mani.»

«Anno stellare 3524. Diario di Amelia Alexander, capitano dell'astronave scientifica Artemis.

Siamo giunti ai confini della galassia seguendo il segnale radio spaziale di una fonte adamantina che abbiamo rilevato provenire da una nebulosa con resti di rocce, era la Luna con assoluta certezza.

Con la squadra di esplorazione composta da me, dall’ufficiale scientifico dottoressa Hannah Wong, l’ingegnere minerario Jonas Black e i due sottufficiali John Lee e Angel Fox siamo sbarcati sul pianeta alla ricerca di miniere di argento e rame, ma abbiamo fatto una scoperta eccezionale: la leggendaria Terra dei nostri antenati esiste! Ciò che sconvolge è che i reperti analizzati confermano che erano fatti di carne e ossa. 

Computer ferma il log book.

Essere di carne e ossa... fragili... ora ho un corpo bionico e un sistema nervoso potenziato dall'IA, ma con la mia gente abbiamo la speranza di poter compiere il viaggio dei leggendari antichi a ritroso e costruire una nuova Eilífð e di non ripetere più gli errori del passato.»

One Shot scritta per la Sfida di Scrittura Creativa 2.0 - Lista 63 di @MaidireTEAM

La prima foto mi è stata fornita da @MaidireTEAM per la scrittura della One Shot.
La foto che chiude il racconto è generata con l'IA da @ergoscripsit

Ringrazio @MaidireTEAM per aver decretato vincitrice della Sfida di Scrittura Creativa la One Shot Non tutti quelli che vagano sono perduti

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