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I Live Again

Inspira. Espira. Inspira. Espira.

Anche questo semplice e quasi automatico bisogno naturale risultava difficile, sotto i quaranta gradi del sole estivo. Se a ciò andiamo ad aggiungere anche le precarie condizioni fisiche, il pallore quasi cadaverico che regnava sul suo corpo, e l'assenza quasi totale di mezzi per proteggersi dai battenti raggi di quella maledetta stella, il risultato era una combinazione pressochè mortale per chiunque.

O meglio, quasi per chiunque.

Non per un Trivial.

Era stato abituato alla fatica sin da bambino, letteralmente. Il suo scopo, nella vita, era sgobbare per garantire ai cittadini della Città Celeste una vita agiata, lussuosa, senza alcun dovere, escluso quello dell'ignoranza.
Ignoranza verso l'esistenza di altre comunità al di fuori di quell'angolo di paradiso, per esempio. Comunità abitanti nel deserto, bollente di giorno e gelido di notte. Comunità di individui dediti al solo scopo di sopravvivere nel modo più dignitoso possibile, senza spazio per ozio e battibecchi futili su chi ha il giardino più verde.

Giardino, poi? Cos'era un giardino?

Nux non lo sapeva, non gli era dato saperlo.
Le uniche cose di cui era a conoscenza erano il suo obiettivo, ed il suo nome.
Sempre se lo ricordava. Agli oggetti, dopotutto, non viene dato il privilegio di rispondere ad un nome unico, individuale, che li differenzia dagli altri.
Loro erano semplici "scarti", se fortunati invece diventavano "pezzi", o "animali".

Ma dopotutto, a lui non importava.

Lui era grato a quegli uomini vestiti di bianco, alla loro crudeltà, alle loro vessazioni, ed al dolore. Gli permettevano di ottenere il nullaosta per il Valhalla, l'inizio della vita vera, quella effettiva, in cui gli era concesso il riposo eterno tra campi fioriti e fiumi e laghi di acqua fresca, pulita e potabile.
Quindi tutte le fatiche di questa misera e transitoria vita erano semplicemente necessarie per l'immortalità. Altrimenti, sarebbe rimasto a marcire sotto la rovente sabbia che circondava i capannoni a perdita d'occhio.

Ciò di cui Nux era all'oscuro, però, era l'origine del Valhalla.

Il suo tanto agognato paradiso era infatti una favoletta, una mera storiella inventata da gente crudele nell'animo, che cercava un modo per rendere docile e mansueto il maggior numero di persone possibili. Di Trivial possibili.
Un'intera etnia piegata dai bisogni egoistici ed utopici di un gruppo ben più ristretto di persone autoproclamatesi superiori solo ed esclusivamente per la futile paura per il lavoro.

Per la sopravvivenza.

Per quell'arte che insegna a vivere, ad ingegnarsi, a superare mille difficoltà, e ad imparare necessariamente dai propri errori.
Quell'arte difficile da padroneggiare, inadatta a chi vuole semplicemente lasciarsi vivere e donarsi una vita agiata senza muovere un dito dalla mattina alla sera.

E cosa si fa quando si ha necessità di qualcosa, ma non la si vuole fare? Si passa il testimone a qualcun altro.

Meglio ancora se questo qualcun altro viene reso obbediente, incapace di ribellarsi ed anzi felice di assolvere tutti gli ingrati compiti che gli vengono assegnati.
Compiti che lo portano a trascorrere la sua breve vita sotto al sole cocente, costretto a lavorare con pezzi di metallo arrugginito ed a volte ancora di poco radioattivo reso bollente dalla calura.

Ed era proprio questo ciò in cui Nux era impegnato nel momento in cui una grossa parete pericolante era crollata a qualche  metro di distanza da lui.

L'impatto dell'ormai friabile cemento col suolo aveva alzato un denso nugulo di sabbia e polvere, che rendeva pressochè impossibile sia vedere che respirare.
Ma questo a Nux non importava. La priorità in quel momento era trovare il suo superiore, sparito dal suo campo visivo con un urlo nel momento in cui dei grossi blocchi di ciò che restava del muro del palazzo li avevano travolti.
L'unico indizio relativo alla posizione del suo aguzzino su cui il ragazzo poteva contare erano dei lamenti che provenivano da una distanza indefinita sulla sua destra.

Tentò di alzarsi, ma non riuscì; era costretto in una nicchia troppo bassa per permettergli anche solo di stare seduto.
Provò quindi ad avvicinarsi strisciando, ma si ritrovò impossibilitato anche in questo. Qualcosa premeva sulla sua gamba sinistra, impedendogli di sgusciare via da quell'anfratto, e costringendola a sopportare decine e decine di chili di troppo.

Il dolore? Nonostante Nux ci fosse avvezzo, quello era davvero difficile da sopportare, ma strinse i denti e cercò di spingere l'agglommerato di calce, sabbia e ghiaia via dal suo corpo.

Dopo un lasso di tempo che a lui parve un'infinità, finalmente riuscì a liberarsi ed a strisciare via da quella nicchia.
Nel sentire i raggi del sole battere ancora una volta sul suo corpo, esalò un sospiro di sollievo, bruscamente interrotto da un basso gemito di dolore.
Il sangue che tornava in circolo nell'arto compresso fino a quel momento faceva maledettamente male, ma ancora una volta ignorò il proprio dolore per cercare chi aveva il potere di assicurargli l'accesso all'aldilà, alla vita tranquilla che tanto agognava, ed alla pace.

Si alzò sulle gambe tremanti per lo sforzo e l'adrenalina con fatica, e con ancor più fatica iniziò a camminare -o meglio, a barcollare- nella direzione verso cui aveva udito provenire i lamenti.
Ed eccolo, sotto ciò che rimaneva di un grosso armadio a parete in legno massello, il suo aguzzino, la persona a cui credeva di dover la vita e fedeltà assoluta.

Il suo salvatore.

Ridotto ora ad un ammasso informe di ossa spezzate e sangue, che imbrattava la sabbia sotto ai suoi piedi.

Nux si lasciò cadere in ginocchio, perso ad osservare con sguardo spento e quasi spiritato la scena che si palesava sotto ai suoi occhi.
Non era la violenza di quella morte a lasciarlo tanto attonito; nella sua breve vita da diciassettenne qual era, aveva assistito a ben di peggio.

No.

Era l'idea di aver perso il suo unico punto di riferimento in quell'esistenza malata a cui era stato costretto a scuoterlo così nel profondo.

Le sue labbra secche e spaccate da quel mix di tossine tanto fondamentali quanto dannose si curvarono in una piega triste, ma non versò nemmeno una lacrima, complici la disidratazione a cui ormai il suo corpo si era adattato ed il ricordo delle fustigate infertegli quando, da bambino, si lasciava cogliere da quell'inutile distrazione chiamata "emozioni".
Non una lacrima, nemmeno di fronte all'andare in fumo del suo scopo nella vita.

Gli oggetti non hanno emozioni.

Questo gli era stato più volte ripetuto, e questo si stava ripetendo in quel momento, costringendosi di nuovo ad alzarsi.
Cercò con lo sguardo i suoi compagni, portati con lui fin lì, fuori dalle mura, per depredare quanto rimasto dalle rovine dei predecessori.

Il polverone si era ormai posato, quindi gli fu semplice individuare il resto delle vittime di quell'incidente.
A quanto pare, era l'unico superstite, assieme ad un novellino ed all'unica persona con cui gli era stato concesso il privilegio di interloquire al di fuori delle comunicazioni strettamente legate al lavoro, ovvero un certo Slit; credeva fosse questo il suo nome, ma non ne era sicuro, e non gli avrebbe di certo chiesto conferma.

Cercò di richiamare la sua attenzione, ma le forze gli vennero meno, e cadde seduto su un cumulo di sabbia.

Fortunatamente, Slit lo individuò a sua volta.
Gli si avvicinò, gli chiese bruscamente se fosse ferito mortalmente o meno, ed al cenno negativo di Nux, tornò dall'altro ragazzo.

Provò nuovamente ad alzarsi, ma un secondo capogiro lo obbligò a desistere quasi in partenza.

Riuscì a scorgere in lontananza una piccola nube che si avvicinava a loro. Molto probabilmente erano i capi di un gruppo lì vicino, allertati dall'enorme trambusto causato dal crollo.
Vide Slit ed il ragazzo raggiungerlo, avendo ormai capito la sua impossibilità a muoversi.

L'auto arrivò dopo nemmeno cinque minuti; ne scesero tre capi, tutti armati di un fucile e protetti dal sole grazie ad ampi abiti bianchi e cappelli dello stesso colore.

Uno di loro era seguito da un Trivial di massimo otto anni che gli riparava il capo con un grosso ombrello, per garantirgli una zona d'ombra.

Un'altra disgustosa ostentazione di potere, insomma.

Agli occhi di Nux, però, quel bambino era un privilegiato, fortunato al punto da avere un'interazione diretta con chi gli avrebbe concesso la felicità eterna.

<Cos'è successo?>

Chiese un capo, guardando con disprezzo i tre animali di fronte a lui.

Slit avanzò di nemmeno mezzo passo.

<C'è stato un crollo, mio Signore.>

Rispose a capo chino.
Questi lo osservò per qualche secondo prima di sferrargli un forte colpo al lato del cranio con il calcio della propria arma.
Slit incassò in silenzio, lasciando risuonare nella quiete del deserto solo l'impatto del metallo contro la sua tempia.

<Chi ti ha concesso di stare in piedi, mh?>

Sibilò poi il militare.

Come se avesse premuto un pulsante, le gambe dei due Trivial in piedi si piegarono immediatamente, costringendoli in ginocchio. Entrambi poi posarono la fronte sulla sabbia, senza fiatare.

Un secondo uomo vestito di bianco sputò con disprezzo sulla schiena di uno dei due. Chi? Quello che aveva parlato, o l'altro? Poco gli importava, ai suoi occhi erano tutti uguali.

<Questa è una posizione ben più adatta a due esseri insulsi come voi. Ripeto la domanda: cos'è successo?>

<Una parete è crollata, mio Signore. Non ci sono superstiti, oltre a noi.>

Sussurrò il ragazzo senza nome, probabilmente troppo  giovane per aver ancora avuto il lusso di parlare due volte con la stessa persona.

Perché era così che venivano assegnati i nomi, in quell'Inferno: se avevi la fortuna di scambiare più di due frasi con qualcuno, quel qualcuno poi ti trovava un nome grazie ad una tua caratteristica fisica o caratteriale. A Nux era stato spiegato che il suo nome derivava da una parola che i predecessori usavano per riferirsi alle noci, e che gli era stato affibbiato o perché era maledettamente testardo, o perché aveva la testa dura, e non si intontiva facilmente quando lo colpivano. Non aveva mai capito, né si era posto il problema di farlo. Anche perché il vecchio che aveva iniziato a chiamarlo così era morto ormai da una decina di mesi.

Nux venne distolto da questa sua riflessione dal suono di un tonfo sordo, come quello di un corpo che cade al suolo. Alzò lo sguardo verso le cinque persone di fronte a lui, ed osservò con inquietante neutralità uno degli uomini in bianco colpire ripetutamente il ragazzo al volto con la propria arma.

<Sei solo un inutile bastardo! Ti era stato dato il solo compito di supervisionare i lavori di raccolta! Avresti dovuto notare la struttura pericolante!> gridava nel mentre.

Grida non in grado di superare quelle che il povero Trivial, probabilmente alla sua seconda o terza uscita, emetteva di tanto in tanto.

La sua tortura durò meno di cinque minuti, durante i quali la sua voce si fece sempre più fioca, fino a sparire del tutto in un rantolo sofferente nel momento in cui esalò il suo ultimo respiro.

Perché colpirlo a morte, e non regalargli una fine più rapida, sparandogli? A Nux non è concesso saperlo.

Ciò di cui è sicuro è il fatto che l'uomo ha ragione. Quel ragazzino ha sbagliato, non ha adempito a dovere al suo compito, ed è stato punito.

Non era degno del Valhalla.

<Ora veniamo a te…>

Sibilò poi l'uomo, guardando Slit.

Lui rimase immobile, a capo chino, limitandosi ad abbassare rispettosamente lo sguardo per non incrociare quello dell'uomo nel momento in cui questi lo obbligò ad alzare la schiena per mettere in mostra il viso.

La divisione dei poteri internamente al trio era ormai chiara: uno, probabilmente un novellino bramoso di far carriera, si sporca le mani, uno osserva e stila rapporto, ed il terzo, l'uomo riparato dall'ombrello, supervisiona il tutto, altero, limitandosi ad osservare con sguardo quasi compiaciuto quanto fanno i suoi sottoposti.

Nux si rese conto solo in quel momento che era stato ignorato fino ad allora, ma ovviamente si ritrovò in accordo con loro: chi si preoccuperebbe di un animale ferito, probabilmente prossimo alla morte, quando ne ha altri due da educare?

<Nessuno prima ti ha concesso di parlare, rottame. -iniziò la guardia, estraendo un coltello a scatto dalla tasca della giacca.- Ora mi assicurerò che tu non possa farlo per molto…>

Disse poi, estraendo la lama fin troppo vicino al viso di Slit, che venne tagliato.

Lui non fece una piega, limitandosi a tenere lo sguardo basso, ed a trattenere il più possibile i versi di dolore che premevano per uscire dalle sue labbra nel momento in cui il capo iniziò a tagliargli un sorriso sbilenco da zigomo a zigomo, incidendo in profondità le guance del ragazzo.

Nux restó indifferente anche di fronte a questa scena, resa ancor più macabra dallo sguardo febbrilmente divertito dell'uomo mentre osservava il suo operato.

Una volta terminato, fece cadere Slit a terra con uno spintone.

Lui trattenne l'impulso mai del tutto soppresso di portarsi le mani al viso per premere sulle ferite, e tornò alla posizione iniziale, docile.

Dopotutto, se lo meritava.

<Ce n'è un altro.>

Commentò quindi il secondo uomo in bianco, rivolgendo un cenno a Nux.

A lui si illuminò lo sguardo, felice di aver finalmente l'attenzione dei suoi capi tutta per sé.

<Tu. Perché non sei intervenuto?>

Chiese, freddo.

Nux dovette far ricorso a tutto il suo autocontrollo per non far tremare la voce di eccitazione nel rispondere. Abbassò il capo.

<Non ho visto la parete che stava per crollare, mio Signore.>

Rispose.

<Non hai visto, eh?>

Disse lui.

<Guardami.>

Ordinò poi.

Nux alzò prontamente la testa, fissando il suo sguardo in quello gelido del suo capo.

Eccitazione e felicità contro freddezza e spietatezza.

Felicità spentasi nel momento in cui il boia alzò il fucile, puntandogli contro la canna.

<Mi sarà concesso l'accesso allo Halle..?>

Chiese con un filo di voce.

L'uomo ghignò, derisorio, ma venne interrotto qualche istante prima di poter rispondere direttamente dal suo superiore, l'uomo col diritto all'ombra.

<Cosa stringi nel pugno?>

Domandò, rivolgendosi direttamente a Nux.

Il suo cuore fece una capriola, ed abbassò lo sguardo sul proprio pugno destro, rimasto stretto fino a quel momento attorno a qualcosa. Nemmeno ricordava cosa.

Sapeva solo che, a quanto pare, era parecchio affilata, dati i numerosi rivoli di sangue che colavano dal pugno alla sabbia sotto di lui.

Subito fece per precipitarsi al cospetto del suo capo, ma venne frenato dalla gamba sinistra, che non ne voleva sapere di collaborare.

L'uomo, notando le evidenti difficoltà del ragazzo, schioccò le dita e lo raggiunse; il bambino, trasalito nel sentire il suono, si preoccupò di seguirlo attentamente per continuare a ripararlo dal sole.

I due soldati andarono sull'attenti quando il loro superiore gli passò accanto, per poi fermarsi di fronte a Nux, che, nel vano tentativo di alzarsi, era caduto a terra, riverso su un fianco.
Questi, accortosi della vicinanza dell'uomo, sorrise a trentadue denti ed alzò fieramente il pugno, per poi aprirlo lentamente, con mano tremante.

Il generale prese l'oggetto stretto dal ragazzo, sfilandolo senza alcun riguardo dalle piccole ferite ancora aperte; lo osservò attentamente, ripulendolo dal sangue, lo controllò in controluce, per poi prendere quello che restava di una bottiglia.
Sfregò ciò che Nux aveva individuato come una sottile catenina contro al vetro, che si graffiò con un suono stridulo. L'uomo si voltò verso i sottoposti.

<Diamanti. Anche di alta caratura.>

Si rivolse poi a Nux.

<Dici di non aver visto quanto successo.> disse, sfilandosi la cinta dai pantaloni.

Nux aggrottò la fronte, confuso, per poi notare la forma esatta dell'oggetto: non era piatta e larga, ma sottile, tonda, che si assottigliava verso un'estremità.

Era una frusta.

Nonostante la minaccia dell'arma, Nux annuì leggermente, a sguardo basso.

<Fammi vedere gli occhi.>

Nemmeno il tempo si eseguire l'ordine, che un forte ed acuto dolore si espanse sul suo viso, accompagnato dal sonoro ed inconfondibile schiocco del cuoio sulla pelle.

Il sangue gli impediva di vedere, e questo lo stava lentamente mandando nel panico, ma la voce del comandante riuscì in qualche malsano e malato modo a tranquillizzarlo.

<Non hai saputo fare buon uso della tua vista. Ora non sarà diverso da prima.>

Giusto.

Lui aveva sbagliato, lui era stato punito.

<La ringrazio.>

Sussurrò quasi impercettibilmente, riuscendo a racimolare tutte le energie rimaste per posare la fronte sulla rovente sabbia sotto di lui, vicino agli scarponi dell'uomo.

Egli ignorò il ragazzo, e tornò vero l'auto.

<Caricatelo. Sa cosa cercare, potrebbe esserci utile. In caso contrario, sarà semplice rimediare.>

Decretò, e nel mentre si voltò per un istante, simulò una pistola con tre dita, e fece il gesto di sparare, mirando alla testa ancora china di Nux.

<Bang.>

Detto ciò, salì sulla jeep.

Quanto successe dopo restò parecchio confuso nella memoria del ragazzo. Ricordava che uno dei due uomini rimasti a terra gli praticò un taglio lungo la gamba ferita, per far fuoriuscire il sangue accumulato ed impedirgli quindi di esercitare troppa pressione sulle ossa; ricordava di esser stato trascinato da un braccio lungo la distanza che separava il punto in cui stava e la jeep. Ricordava il tagliare la sua pelle dei frammenti di vetro tra la sabbia; ricordava il bruciore della stessa sul suo corpo ferito; ricordava di esser stato caricato sul retro dell'auto come un sacco; ricordava di aver visto l'altro uomo legare Slit per i polsi, per poi assicurare l'altra estremità della corda al retro della jeep. Ricordava il rombo del motore, la macchina che inizia a muoversi, il suono del fiato corto e dei passi arrancati dell'altro ragazzo, costretto a seguirli di corsa.

Ricordava la serenità con cui si lasciò scivolare tra le braccia di Morfeo, felice, rassicurato dalla clemenza del capo dei suoi capi.

Se lo riteneva degno, allora c'era ancora un posto per lui nel Valhalla.

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