I.
Una piccola croce in ferro, quella era l'unica cosa che il piccolo Taehyung vedeva davanti a sé, i suoi occhietti umidi erano troppo concentrati a trattenere le lacrime per poter notare altri dettagli del cimitero che lo circondava.
Sentiva chiaramente la voce del prete che celebrava il funerale dei suoi genitori, ma le parole non sembravano avere significato per lui, non riusciva a cogliere niente, sentiva le parole ma il suo cervello non voleva saperne niente di ascoltare.
Strinse le manine, sentendo il materiale ruvido della camicia nera che stava indossando bagnarsi: aveva iniziato a piovere. Quasi un cliché, nel giorno più triste della vita di quel piccolo bambino che aveva già sofferto troppo nella sua vita, stava piovendo, quasi a dirgli che tutto il mondo stava piangendo con lui e che non era poi così solo.
Sentì la pioggia che gli bagnava le guance fermarsi, e alzò lo sguardo: il nonno aveva aperto l'ombrello, riparandolo. Tornò a guardare la croce in ferro, che soprastava le due tombe dei suoi genitori, morti con una sola colpa: essere nel posto sbagliato, al momento sbagliato.
A volte la vita ti distrugge partendo dalle cose più grandi, togliendoti piano piano tutto, e questo Taehyung lo sapeva, nonostante avesse solo otto anni, aveva visto le cose che più teneva andarsene via, e lasciarlo lì con i suoi problemi e un'unica grande domanda in testa: la colpa era sua?
Il bimbo si lasciò andare solo quando tutti i presenti si dileguarono, lasciandolo solo con il nonno. Scoppiò a piangere, i piccoli singhiozzi che scuotevano il suo corpicino troppo delicato per sopportare tutto quel dolore.
Il nonno lo guardò desolato, non poteva più fare niente per il nipote, poteva solo restare lì e proteggerlo con il suo ombrello, nella vana speranza che prima o poi quel dolore si disperdesse, lasciando solo una cicatrice.
Taehyung si alzò di scatto, il rumore della sveglia che riempiva il suo piccolo appartamento. Il solito, vecchio incubo. Non sarebbe più andato via, ormai aveva 23 anni e quelle immagini vecchie di quasi quindici anni non si erano minimamente sbiadite.
Si alzò controvoglia, lamentandosi sottovoce del freddo ai piedi, e poi aprì finalmente la tenda della stanza, facendo entrare i raggi delicati del sole di Aprile. Si portò istintivamente una mano sulla fronte, andando a coprirsi gli occhi: il sole gli dava fastidio, si era appena svegliato, era normale come reazione.
Dopo qualche istante si abituò, perdendosi a guardare la vista dalla finestra, gli imponenti alberi del suo piccolo appartamento a New York decoravano piacevolmente la stradina davanti a casa sua, riempiendo il tutto di un verde acceso che fece sorridere spontaneamente Taehyung.
Gli piaceva apprezzare le piccole cose, e sorriderne. Si girò nuovamente, andando nella sua piccola cucina. Non aveva un grande appartamento, si era trasferito in America quando aveva solo sedici anni, da solo, vivendo grazie all'eredità dei suoi genitori e con il sostegno di suo nonno.
La sua salute mentale non avrebbe sopportato un singolo anno in più in Corea, quindi tanto valeva andarsene il più lontano possibile.
Taehyung si perse a versare il caffè nella sua tazza coi gattini, mentre la porta della camera del suo conquilino si apriva, rivelando la figura perfetta di Jimin.
Era un ragazzo coreano scappato dalla monotonia della sua piccola città, e Taehyung gli aveva offerto un luogo dove stare in cambio della divisione delle spese mensili, cosa che aveva infondo infondo aiutato entrambi.
"Buongiorno Tae!" disse Jimin con il solito tono allegro, era il tipico ragazzo sempre felice con le guance paffute e le ciglia lunghe. Taehyung ricambiò il saluto con un cenno della mano, sfortunatamente lui non aveva il dono della simpatia mattutina.
"Che orari hai oggi all'uni?" chiese il ragazzo più basso, mentre si sistemava la giacca di jeans che stava indossando. Frequentavano la stessa università, ma con indirizzi diversi: Jimin aveva preso il corso di danza contemporanea, mentre Taehyung di scultura e fotografia.
"Ho il laboratorio di scultura delle dieci fino alle undici e poi due ore di lettura sulla storia della fotografia" biascicò Tae, girando il cucchiaino nella tazza colorata, bevendo poi un gran sorso del liquido dolciastro.
"Insomma, una botta di vita" esclamò Jimin, divertito dalla vitalità del ragazzo. "Io esco con Seokjin e Yoongi per qualche oretta, poi dovrei rientrare. Pranziamo insieme?" chiese, finendo di sistemare le cose nella tracolla nera che aveva poggiato sul tavolino.
"Sì, dovrei rientrare per l'una. Se vuoi puoi invitare gli altri a pranzo, non mangiamo insieme da un sacco". In risposta ricevette un sorrisone, i due ragazzi nominati non erano amici stretti di Tae, ma erano una buona compagnia e probabilmente socializzare un po' non faceva troppo male.
L'unico amico che effettivamente aveva era Jimin, si consideravano fratelli. Era stato il primo e l'unico a cui aveva parlato della sua famiglia, ed era grato ogni singolo giorno per la sua esistenza. Gli sorrise un'ultima volta, guardandolo uscire dal loro appartamento.
Si alzò dopo una ventina di minuti dalla comoda sedia, lasciando la tazza nel lavello e tornando in camera sua. Aveva lezione tra quasi due ore, però non era il tipo di persona a cui piace prendersela con comodo: odiava i ritardi. Si vestì in fretta, prendendo qualche vestito comodo dal grande armadio, se si fosse reputato abbastanza bello da apparire su qualche copertina si sarebbe anche dato alla carriera da modello, amava i vestiti e aveva un certo stile.
Finito di vestirsi si infilò il suo amato cappotto color crema, dando una sistemata ai capelli argentati. Li aveva tinti da poco, era stanco della monotonia dei suoi capelli marroni.
Si sorrise nel riflesso dello specchio di camera sua, andando verso la porta.
Prese la sacca con i pennelli e il diverso materiale, compreso il quaderno e il portatile e si mise le scarpe velocemente, uscendo dall'abitazione.
Per andare a scuola prendeva la metro, ci metteva giusto cinque minuti contati, ma ammetteva di apprezzare particolarmente quel piccolo tragitto. Quel mattino però fu diverso, la metro era stranamente stra piena, a quell'ora non c'era solitamente nessuno, ma a quanto pare gli astri si erano allineati per far salire le bestemmie al poveretto, che voleva solo un viaggio tranquillo senza ragazzi che urlavano e ridevano come se fossero nel salotto di casa loro.
Sospirò, infilandosi le cuffie e lasciandosi andare sulle note della sua tanto amata musica. Si tenne stretto al palo di fianco all'entrata, guardando le parete buie del tunnel che stavano attraversando, aspettando che la scritta "University of NY" comparisse. Avevano una fermata dedicata solo a quella, era un'università decisamente rinomata.
Finalmente vide la luce del sole e la sua maledetta fermata, e quasi si catapultò fuori, lasciando quel vagone e quel rumore insopportabile.
Si avviò al bar della sua università, conosceva perfettamente il proprietario, poco più grande di lui, e lì facevano i caffè migliori dell'intero quartiere. Si, ne aveva bevuto un tazza poco prima, ma la sua dipendenza da caffeina andava da lì fino in Cambogia, quindi un caffè durante le complicate ore di scuola erano un must per il giovane.
Sorrise alla cameriera abituale, Murel, una ragazza alta e dalla corporatura solida. Lavorava lì dall'alba dei secoli, eppure avevano solo qualche anno di differenza.
Si andò a sedere al solito posto, mancavano venti minuti all'inizio del suo corso quindi decise di riposarsi bevendo il suo caffè proprio lì. Il suo ordine arrivo dopo poco, nel solito bicchiere decisamente enorme e la cannuccia gialla, il suo colore preferito.
Fece per sorridere a Murel, ma appena alzò lo sguardo realizzò non essere lei. Guardò stranito il giovane che si trovava davanti: era davvero tanto tanto alto, i capelli corvini cadevano delicatamente sulla sua pelle pallida e sicuramente la sua stazza e corporatura facevano invidia ai palestrati della palestra poco distante.
Arrossì lievemente, riabbassando lo sguardo sul suo bicchiere. Era davvero un bel ragazzo, non poteva negarlo, e il suo odore di lavanda e tabacco era a dir poco afrodisiaco.
Si rimproverò mentalmente per aver pensato a quelle cose, mentre ringraziava in modo impacciato il più alto, lasciando i soldi sul tavolo e uscendo dal bar.
Il ragazzo "dall'odore afrodisiaco" lo guardò andare via stranito e in parte intenerito, mentre prendeva i soldi dal tavolino e guardava la macchina fotografica lasciata dal ragazzo sulla sedia preoccupato.
Almeno ora hai un motivo per rivederlo, pensò immediatamente il ragazzo, raccogliendo la custodia della macchina fotografica con delicatezza.
Quel tenero ragazzo lo incuriosiva, e non poco.
° - °
babies sono tornato dopo tipo secoli, con una storia che onestamente spero faccia meno schifo dell'altra TwT
cioè Someone You Love l'ho proprio fatta morire malissimo, scusatemi :(
Ho pubblicato oggi perché ho quasi finito il periodo degli esami, ed essendo l'ultima settimana di scuola spero non facciano cazzate :0
comunque vi avviso: sto scrivendo molto di botto, quindi spero sia qualcosa di sensato e che vi piaccia nonostante la semplicità (per poco visto che sto pensando a un po' di spicy da aggiungere) :(
vi amo <3
Be Happy, I'm proud of you!
Al prossimo capitolo babies :(
- 1405 words.
Hayden :)
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