CAP 4 - PARTE III
4.5
"Di Angelo Pizza", "Bravo Pizza" e altre insegne simili, non rammentava così tante pizzerie in quella via, forse perché a lei non era mai piaciuta la pizza. L'unica occasione in cui l'aveva apprezzata fu in uno dei molteplici viaggi a Torino con David. Il lavoro di consulente al museo e soprattutto l'amicizia con Patrizio, avevano fatto sì che diventasse la loro meta preferita, almeno fino alla prematura morte di suo padre Robert.
Il cadavere non era mai stato ritrovato, ma i rottami dell'aereo privato che gli era stato messo a disposizione per raggiungere San Francisco, lasciavano ben pochi dubbi. Il motivo del viaggio rimaneva un mistero e nemmeno avevano scoperto chi gli avesse "prestato" il mezzo per intraprendere all'improvviso un volo negli Stati Uniti d'America in una città che non aveva alcun interesse archeologico. A eccezione di Patrizio, non informava nessuno dei suoi affari, anche perché non aveva molti amici con cui potersi confidare, ma questa volta non aveva detto niente nemmeno a lui.
A Bethany piaceva Robert, non pensava fosse un ciarlatano e aveva scoperto che spesso si sentiva con Richard. Per la verità, quando il fidanzamento con David divenne ufficiale e decisero che le loro famiglie si dovevano conoscere, non le sembrò affatto che fossero due uomini che si vedevano per la prima volta.
Di sicuro il viaggio a San Francisco l'aveva intrapreso perché aveva scoperto qualcosa che, a suo parere, andava aiutato a confutare. Con David erano nate più di una discussione sul tema, ma lui non voleva essere coinvolto nelle iniziative del padre e anzi, affermava che lo aveva escluso da molti dei suoi studi personali.
Camminava spedita, immersa nei propri pensieri, ricordi, considerazioni. Gli unici locali che avevano attirato la sua attenzione erano il "Viet Thai Restaurant", con parecchie opzioni vegane che la ingolosivano e la vinoteca "Pod Vitkovem", con una caratteristica insegna gialla. Non si intendeva molto di vini, ma David gli aveva fatto apprezzare in maniera particolare il Prosecco. Per un attimo ebbe il dubbio se fare un regalo all'amico di suo padre, ma non aveva idea di quali gusti avesse o se addirittura fosse o meno astemio. Sbirciò un attimo dalla vetrina ma desistette dall'entrare dentro, aveva l'impressione che non ci fossero molti motivi per brindare.
Proseguì con una punta di dispiacere, l'insegna del "Vegan City Fast Food" la fece rimanere senza parole. Venti anni fa l'esistenza di un locale del genere sarebbe stato pura utopia. I tempi erano cambiati, forse più per convenienza e le mode del momento che per questioni etiche. Sarebbe stato interessante intervistare i proprietari del ristorante sui temi dei cambiamenti climatici e degli allevamenti intensivi.
Imboccò la via Husitsvá che portava al centro della città. Notò quanti palazzi fossero stati ristrutturati e il moltiplicarsi di locali in stile moderno come il "Nomad Coffee Bar". Si diresse sulla via Krizikova, ammirando i bei palazzi che costeggiavano la strada.
Si rese conto quanto da ragazza ignorasse quello che la circondava, presa dai pensieri scolastici e amorosi, ma almeno teneva lo sguardo alto, l'attenzione presente, riusciva a godersi il sole mattutino o la fresca brezza primaverile. I giovani, gli adulti, persino i bambini che stava incrociando, tenevano tutti il capo chino verso il cellulare, le cuffie i-tech agli orecchi e si estraniavano dal mondo assorbiti dalla controparte virtuale, pericolosa nella propria perfezione, banale nella sua superficialità, senza alcuna vergogna verso le reali problematiche.
Si sentì un po' antica, al di fuori, ma le dava anche un certo senso di conforto. Come madre aveva cercato di impedire che Ted venisse sopraffatto da questo tipo di società, effimera, vuota, senza cultura e principio alcuno. Lei si riconosceva più nei musei, come il Mêsta che aveva di fronte. Custode geloso della storia di Praga, dinosauro indistruttibile come le ossa che venivano riesumate dopo milioni di anni da sotto terra, la cui magnificenza architettonica neo rinascimentale veniva però deturpata dai sottopassaggi costruiti nelle vicinanze.
Rimase sbalordita dal Florentinum Complex, il più grande edificio amministrativo della città, acciaio e vetro di un'estetica notevole.
«Tu non c'eri quando abitavo qui!» Lo apostrofò ad alta voce, come se parlasse a una persona. Poteva anche urlare, la gente, troppo occupata a farsi distrarre dai propri smartphone, non se ne sarebbe curata.
Bethany si ricordava però di un'altra struttura, ben più antica e storica. Superò piazza Némêstí Republiky, senza rimanere indifferente ai meravigliosi edifici che si affacciavano su di essa, e deviò dal proprio percorso di alcune decine di metri. Si godette la vista della Torre del Ponte della città vecchia, una delle più belle porte gotiche del mondo, concepita come un arco di trionfo attraverso cui passavano i re boemi. Rimase di nuovo senza fiato nell'ammirarla, come le accadeva da ragazzina.
«Bella, vero?»
«Sì!» Bethany rispose alla voce maschile soprappensiero, ancora assorbita dall'Arco.
«È un piacere conoscerti, Bethany.»
Si voltò verso l'uomo, una mano era tesa verso di lei e la fissò impietrita. Il tatuaggio, presente sul polso, richiamava uno dei simboli che aveva visto da Josef. Alzò lo sguardo e la paura aumentò, fece due passi indietro per allontanarsi. Il volto del suo interlocutore sembrava oscurato, non riusciva a distinguere i lineamenti al di sotto degli occhiali da sole e del cappellino nero di stoffa che gli aderiva alla testa, nonostante la distanza ravvicinata.
«Non voglio farvi del male, potreste essermi utili. Ma ricordati, certi libri devono rimanere chiusi.»
«Chi sei?»
«Sono uno che è tornato per riprendersi ciò che era suo.»
La vista le si abbuiò, udì una voce femminile, da ragazza. «Signora, si sente bene?» Bethany si accorse di essere a terra, appoggiata al muro del Caffè Bokary. «Signora?»
La studentessa si era inginocchiata per assicurarsi che fosse cosciente. Bethany si specchiò su delle iridi cerulee sconosciute, trovando un senso di conforto che le servì per tranquillizzarsi.
«Scusami, ho avuto un... un giramento di testa, sarà per il viaggio di ieri.» Tentò di giustificarsi. Pallida in volto, si alzò con cautela in piedi, scrutando davanti a sé intimorita.
«Mi chiamo Adéla.»
Le tese anche lei la mano, temette di trovarci un altro simbolo tatuato, ma la pelle della ragazza era candida. La studiò per un attimo, magra, lineamenti morbidi e gentili, capelli lunghi castani e uno zainetto sulle spalle. Parlava inglese in maniera perfetta, decise comunque di risponderle in ceco.
«Bethany, piacere.» Gliela strinse, la presa di Adéla era ben salda. «Scusami, non so cosa mi sia accaduto.»
«Si figuri. Conosce la lingua, ma non è di qui, vero?»
«Dammi del tu, per favore. Ancora non sono così anziana.» Le sorrise ancora impacciata.
«Dove è... dove sei diretta?»
«All'Università, devo incontrare un amico.»
«Anch'io ci devo andare.» Le diede per un attimo le spalle per enfatizzare la presenza dello zaino. «Come tutte le mattine!» Alzò gli occhi al cielo esasperando un fatto che era evidente non le dispiacesse. Bethany rise della sua buffa espressione e messinscena.
«Se ti fa piacere, possiamo continuare il percorso assieme.» Continuò la ragazza.
«Volentieri.» Non era sicura di volerlo, ma sarebbe stato scortese rifiutare dopo quanto accaduto. Prima di affiancarla, diede un'ultima occhiata al monumento e alle persone attorno.
4.6
«Allora, Adéla, che corsi stai frequentando?»
Bethany cercò di distrarsi nella lieve fresca brezza che le solleticava la pelle. Il percorso che portava all'università si stava riempiendo, man mano che si avvicinavano, di cartolerie e librerie, frequentati da folle di studenti. Le sembrava di sentire il profumo di carta e inchiostro.
«Sto studiando lettere e filosofia, vorrei diventare docente, un giorno, come lei. Anche se di una materia diversa.»
«Mi conosci?» Le chiese sorpresa.
«Sono la nipote di Thomas. Mi ha chiesto di aspettarti alla "Porta del Ponte", sapeva che saresti passata da lì.»
«La strada la conosco, non c'era bisogno di venirmi a prendere.»
«Voleva essere sicuro che non cambiassi idea. Stanno accadendo delle cose strane, in città.»
«Cosa intendi?»
«Non lo so, non dovrei nemmeno parlartene in realtà, scusami.» Sorrise imbarazzata. Bethany lasciò che il silenzio tra loro risvegliasse la necessità nella ragazza di confidarsi con lei. «Un mio compagno di corso è stato aggredito alcuni giorni fa. È in stato di shock e non ricorda niente, non riconosce le persone. Nemmeno me.»
«Non è solo un tuo compagno di corso, vero?»
«No.» Le diede uno sguardo fugace, come se avere un ragazzo fosse una colpa.
«Dov'è stato aggredito?»
«Non lo so. È stato ritrovato nell'ala dell'Universitá dove frequentiamo i corsi assieme, ma gli inquirenti dicono che non è stato aggredito lì.»
«E tuo zio? Cosa ne pensa?»
«Lui è sconvolto, ma non sa che è il mio ragazzo.» Tenne a precisare, in un muto accordo di non rivelargli quella informazione. «È stato uno dei primi a raggiungerlo. Novak aveva gli occhi spalancati e non rispondeva agli stimoli esterni.»
«Mi dispiace.» Studiò la ragazza. Ebbe l'impressione che soppesasse la possibilità di raccontargli altri dettagli o meno.
«Ho sentito mio zio al telefono con qualcuno, non stavo origliando, lo giuro. Parlavano di strani graffiti disegnati sul muro e anche del fatto che in città nell'ultimo periodo c'erano stati diversi casi simili, ma nessuno ne parlava. Poi è stato fatto il tuo nome.»
«Riguardo a cosa?» Un brivido la percorse. Un'altra coincidenza, ne stavano accadendo troppe. Non aveva il coraggio di chiederle una descrizione dei disegni. Si chiese cosa ci facesse a Praga invece di essere con suo figlio. Poteva farsi spedire la presunta eredità per via postale, ma Thomas aveva insistito a tal punto che aveva dovuto arrendersi.
«Non lo so, non sentivo bene e, come ho detto prima, non volevo origliare.»
«A me ha detto che mi deve restituire qualcosa che riguarda mio padre defunto.»
«Oh, mi dispiace. Condoglianze!»
«Erano grandi amici, forse te ne ha parlato. Si chiamava Richard.»
«Non ho mai avuto un grande rapporto di confidenza con lui, anche se ultimamente è diventato molto protettivo.»
«Per il poco che lo conosco, non è la classica persona che esterna i suoi sentimenti, ma è la dimostrazione che tiene alla tua sicurezza.» Ribatté Bethany.
«Vuole che lasci Praga e vada a frequentare l'Università in un'altra città. Ma la mia vita è sempre stata qui, capisci? Lui sta esagerando, non lo capisco. In ogni caso, fino a che Novak non si riprende, non ho intenzione di spostarmi nemmeno di un metro, e figurarsi cambiare città!»
La reazione di Thomas pareva esagerata anche a lei. Il filo conduttore tra l'aggressione subita dal ragazzo e la sua presenza in città sembrava essere in quei maledetti simboli, ma lei non ne sapeva niente. Con chi stava parlando, poi? Le teorie del complotto non le appartenevano, voleva tornare a Londra, e alla svelta.
«Spero che Novâk si riprenda presto.»
La risposta fu l'urlo di dolore di Adêle. Si voltò verso di lei, giaceva a terra, stringeva a sé il polso destro dolorante. Alle sue spalle una figura indistinta di dileguò in un attimo. La soccorse senza capire cosa fosse successo.
«Tutto ok, Adéla?»
«Sì, credo.»
La aiutò a rialzarsi, la ragazza non perse tempo a sfogare la sua frustrazione.
«L'hai visto? Ehi, stronzo! Vaffanculo!»
Alcune persone si voltarono nel sentirla urlare ma nessuna di esse, per fortuna, credette di essere il bersaglio degli insulti. Bethany si meravigliò della reazione. Nonostante apparisse timida, doveva ammettere che all'occorrenza sapeva tirar fuori il lato forte del suo carattere.
«Ti è caduto qualcosa.»
«Oh, non credo sia mio.» Adéla si chinò e raccolse un foglietto spiegazzato. Lo aprì e guardò Bethany senza riuscire a dirle niente.
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