CAP 3 - PARTE IV
3.7
«Ehi, ometto, che stai facendo?»
«Ciao, pa'!»
L'ordine tassativo di conversare sempre in videochiamata lo inchiodava al fatto che non stava studiando ma era a bighellonare nel quartiere. Doveva inventarsi qualcosa, qualsiasi cosa, per non subire l'umiliante rimbrotto davanti a Linda. Non poteva certo raccontargli a cosa avevano appena assistito entrambi o al perché si trovavano lì. Non ci avrebbe creduto o peggio, avrebbe pensato che, come al solito, aveva il cervello a fantasticare anziché usarlo per studiare.
«Sono con un'amica. Stiamo facendo una ricerca sugli Egizi e abbiamo scelto l'Arco di Cleopatra come argomento.» Si diede un "cinque" virtuale con il pensiero per la brillante trovata.
Spostò il video dalla ragazzina, verso l'obelisco, per attestare che stava dicendo la verità, o almeno una parte di essa. Non ebbe il coraggio di inquadrare le sfingi ai lati, temeva lo potessero di nuovo aggredire e si allontanò di qualche passo mentre filmava.
«Vedo che ti sto attaccando la passione per il "vecchio ciarpame" che tanto contesti.» Ribatté David soddisfatto. In realtà, né gli importava, né desiderava che il figlio seguisse le sue orme. Doveva crearsi il proprio futuro senza subire alcuna influenza da parte sua o da Bethany, altrimenti il lavoro si sarebbe trasformato in una "prigione" e Ted avrebbe rischiato di essere un "uno qualunque" senza stimoli, creatività, voglia di ricercare la sfida, privandosi del piacere di assaporare l'adrenalina per migliorare e superare le difficoltà.
«Lo sai che non ha alcuna connessione con la Regina Cleopatra, vero?»
«Certo, pa'.»
Il figlio distolse per un attimo lo sguardo dallo schermo, segno inequivocabile che stava mentendo o nascondendo qualcosa. David decise di non metterlo in imbarazzo di fronte all'amica, che se non si ricordava male, si chiamava Linda. Bethany una volta gli disse che lamentava un qualche problema comportamentale, ma non rammentava quale; erano adolescenti, chi non li aveva.
Decise di dare una mano, rivelandogli qualche informazione senza annoiarlo con i vari simbolismi legati alla stele.
«Ne esiste uno gemello a New York, in Central Park. Potresti estendere la ricerca per sorprendere la maestra!»
«Certo, pa'.»
Ignorò il tono privo di entusiasmo del figlio. «E sono stati costruiti entrambi durante il regno di Thutmose III.»
Il pensiero di quanto apparisse una bella coincidenza che Ted fosse andato a visitare una testimonianza storica costruita proprio dal faraone, dopo quel che era successo il giorno precedente a lui, lo assalì. Preferì cambiare argomento per non fissarsi su una combinazione che, seppur singolare, non aveva alcun significato.
«Ma avete corso? Siete entrambi sudati e rossi in volto.»
«Oggi c'è il sole, fa più caldo del solito. Tu, dove sei?
David spostò lo schermo per inquadrare il panorama dietro le spalle. Ted aveva già visto la piazza e il monumento che ospitava, vi era stato più di una volta con i genitori, ma mai aveva assistito a una scena del genere.
3.8
Piazza Statuto era fantastica, caratterizzata dagli eleganti palazzi neoclassici i cui ampi portici lungo il perimetro gli conferivano un aspetto minaccioso.
«Cosa stai fissando, Ted? Hai ancora paura degli orchi dei palazzi?»
David sorrise al pensiero delle storie che raccontava al figlio per non farlo scappare e correre lungo la piazza, zigzagando tra i verdeggianti alberi che la rendevano ancora più ospitale, o nascondendosi dietro le colonne degli edifici.
La leggenda narrava che ogni arco nascondesse un trabocchetto e alcuni erano porte dietro le quali si celavano mostri ed esseri malvagi. Il sotterfugio funzionava, ma in quel momento il ragazzino non aveva alcun timore dei ricordi del passato.
Sulla sommità della statua che dominava l'intero spiazzo, monumento al traforo del Frejus, Ted osservava atterrito altri due simboli, differenti da quelli visti il giorno prima e sull'obelisco. Del liquido rosso acceso colava lungo la statua raffigurante la sagoma umana del "Genio Alato", e si riversava lungo la piramide di pietra nera fino a terra.
Mostrò lo schermo a Linda, David la salutò, ignaro di ciò che i ragazzi stavano osservando, e in risposta ottenne uno sguardo atterrito. Ted riportò il cellulare a sé, i Titani scolpiti lungo il cumulo di rocce del basamento iniziarono a prendere vita, gli occhi si illuminarono dello stesso color rosso del sangue che scorreva tra le loro mani; sembrava ne godessero, con smorfie sempre più terrificanti. David non era cosciente di quella realtà, il suo sguardo confuso si perdeva negli occhi del figlio.
«Ehi, cosa sono queste facce? Ma davvero vi faccio così paura?»
Mimò una smorfia divertita, non percepiva alcun movimento alle spalle, non sentiva i passi pesanti dirigersi verso di lui, roccia su roccia, metro su metro. Una delle statue lo affiancò, il possente braccio si mosse con l'intento di colpirlo.
«Fermo!»
«Ma io sono fermo. Che vi prende, ragazzi?»
Il volto araldico del Titano si affacciò sullo schermo del cellulare. Teneva la mano attorno al collo di David, come a far intendere che avrebbe potuto staccargli la testa in qualsiasi momento, con facilità. Quando parlò, la voce ne uscì metallica, irreale, forse ancora più spaventosa della sua presenza.
«Le città cadranno, una a una. Smettete di curiosare, ragazzini!» Le dita si strinsero sulle carni, affondando nella carotide.
L'immagine si oscurò, una scarica di elettricità statica pizzicò la mano di Ted, che lasciò cadere il telefono a terra.
«Papà!»
«Non sono reali.»
Il tono poco convinto di Linda lo gettò ancora di più nella disperazione. Prese lo smartphone e cercò di riattivarlo, ma non dava segni di vita. Il display si era incrinato, nonostante la pellicola in vetro di protezione e la cover in plastica rigida. Scottava, riusciva a malapena a tenerlo sul palmo della mano.
«È in pericolo, lo uccideranno! Devo chiamare la mamma! Qualcuno!»
Linda iniziò a tremare, una sensazione di vuoto, di tenebra, di malvagità, si impossessò del suo piccolo corpo. Voleva piangere ma non riusciva, soffriva nel vederlo così spaventato, ma i disegni comparsi sopra la fontana del traforo del Frejus avevano un qualcosa di inumano, dovevano capirne il significato.
«Siamo tutti in pericolo, tutti.» La voce le uscì balbuziente. «I simboli, erano differenti. Li hai visti, vero?»
«Non me ne frega nulla di queste cavolate! Mio padre sta per morire! Devo aiutarlo!»
«Ted...»
«Vattene!» Stava per dirle che era tutta colpa sua, ma si trattenne. Voleva spintonarla via, riversare su di lei tutto il terrore che stava provando. Linda lo percepì, un dolore che non aveva mai provato le mozzò il respiro.
«Ted.» Gli prese le mani, le dita si intrecciarono all'altezza del petto. La musica li avvolse, una coperta calda, protettiva, rassicurante.
«Io... scusa.» Abbassò gli occhi, pieni di vergogna per quei pensieri ricolmi di rabbia. «Uno aveva la forma di una stella a otto punte dentro un cerchio. L'altro sembrava una chiave, ma senza la parte finale che serve per aprire le porte.»
«Una croce con un circolo sopra?»
«Beh, sì. Può essere.»
«Abbiamo visto la stessa cosa, allora.»
La ragazzina iniziò a tremare in maniera così intensa da far pensare che sarebbe caduta in stato di shock. In una sorta di auto abbraccio cercò di scaldarsi, trovare conforto verso sè stessa. Ted le si avvicinò e senza esitazione la strinse a sè, un gesto che lo fece sentire grande e che si sorprese di aver fatto.
«Scusa.»
La sentì singhiozzare, sempre più forte, le parole le uscivano rotte, in uno sfogo liberatorio che per la prima volta provava a esternare a qualcuno.
«Io... io non sono pazza! Non lo sono!»
«Lo so. Io ti voglio bene!»
Riuscì a proferire quelle parole che troppe volte aveva soffocato nello stomaco e pensato nella cameretta di casa senza il coraggio di pronunciarle mai ad alta voce.
«Cosa facciamo, adesso?» Le chiese, perché lui non aveva idea di dove iniziare e come aiutare il padre. «Andiamo alla polizia?»
«A raccontare cosa, Ted?» La voce le uscì dolce mentre si asciugava il volto dalle lacrime.
«Dobbiamo andare da mio fratello e Toby, raccontare tutto e capire cosa sono quelle figure.»
«Perché, pensi che loro non ci prenderanno per pazzi?»
«Non più!» Gli mostrò le foto che aveva scattato con il cellulare. Si vedevano i simboli, le sfingi, i titani, mentre nell'unico video che era riuscita a registrare non si mostravano, tutto appariva normale.
«Se non torno a casa, mia zia allerterà la protezione civile per venirmi a cercare.»
«Domani, nella soffitta di tuo nonno.»
Annuì, ma nel sentirlo pronunciare, il cuore gli si strinse fino a fargli male.
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