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CAP 2 - parte I


2.1

Scorreva distratto le notizie sul web dello smartphone. Pochi cenni sul furto avvenuto al museo, neppure il notiziario locale ne parlava in maniera esaustiva, soltanto qualche superficiale accenno in trafiletti seminascosti. Un articolo raccontava di alcune persone trovate in stato di shock in città, prive di conoscenza, probabilmente senzatetto o individui che avevano alzato il gomito a tal punto da non rammentare il proprio nome alla mattina successiva. Non sarebbe mai riuscito a capire gli italiani, decine di articoli di gossip su attori e presunte star televisive e sportive, ma quasi niente che riguardasse la cronaca nazionale in maniera approfondita, a eccezion fatta del solito, noioso, teatrino della politica. Non che in Gran Bretagna le cose andassero molto diversamente, loro avevano la "Royal Family" che monopolizzava i notiziari, una soap opera lunga secoli.

Il parcheggio Roma-San Carlo-Castello distava poche centinaia di metri dal Museo Egizio, un percorso che aveva fatto innumerevoli volte, anche se l'ultima visita risaliva ormai a più di dieci anni prima. Non ebbe il tempo di infilare il cellulare in tasca che iniziò a squillare con l'anonima musichetta preimpostata.

«Buon...»
«Decidiamolo stasera se sarà stato un buongiorno. Dove sei, David?»
«Siamo di buon umore! È così che si accolgono gli amici dopo più di dieci anni?»
«Avrei voluto vederti per ben altre motivazioni. Ti aspetto all'entrata!»

Chiuse la comunicazione senza troppi convenevoli. David fece spallucce, Patrizio da sempre aveva un carattere a dir poco meteopatico. Si scompigliò i folti capelli castani che avevano assoluto bisogno di una sistemata dal barbiere e cercò di godersi il piacevole tepore primaverile torinese; le due cose che gli mancavano di più dell'Italia erano il tempo e ovviamente il cibo.

Adorava sentirsi pizzicare la pelle alla frizzante brezza mattutina e poi sentirla scaldare al tiepido sole dei mesi che precedevano la calda estate. Offrì il volto alla luce solare per godersi l'attimo, le iridi castano scuro brillarono di felicità. Londra offriva un tempo quasi monocorde, fatto di troppe nuvole e umidità, l'unico difetto di una città meravigliosa che amava alla follia, nonostante il suo presunto lato oscuro che forse, stavolta, doveva iniziare a prendere in considerazione.

Inarcò le sopracciglia squadrando le riproduzioni delle statue della dea Sekhmet ai lati dell'entrata. Molto suggestivo accogliere gli ignari visitatori con una delle divinità più terrificanti dell'antico Egitto, pensò. Il volto di leonessa e lo snello corpo di donna incutevano almeno un po' di apprensione. Alzò lo sguardo per ammirare l'imponente palazzo dell'Accademia delle Scienze, che ospitava il museo. La facciata maestosa, in stile neoclassico, le colonne ioniche dalle linee pulite, gli mozzarono il fiato provocandogli un brivido d'emozione. Più di dieci anni...

Prese un profondo respiro e attraversò la sala che conduceva al cortile. Si immobilizzò stupefatto, spalancando gli occhi come un bambino che vede per la prima volta la riproduzione a grandezza naturale di un dinosauro. La vista iniziò a vagare tra palme di diverse specie, papiri e fiori di loto, a ricreare la vegetazione originaria che cresceva lungo il fiume Nilo.
«Bello, vero?»
«Patrizio...»
«Un altro po' con la bocca aperta e ti sloghi la mascella, David!»
La fresca risata del vecchio amico italiano lo aiutò a riprendersi dallo stupore. Patrizio Cinetti ormai rappresentava la conoscenza e la storia del museo. Elemento di continuità di tutti i direttori che avevano avuto l'onore di rappresentare la più importante carica di quella struttura. Sconosciuto alla massa delle persone ma non agli addetti ai lavori, a ogni nuova presidenza si era guadagnato la fiducia come braccio destro, per portare avanti la crescita del museo. Avrebbero potuto girarci anche un film, come con il maggiordomo della Casa Bianca che aveva prestato servizio attraverso tre decenni e otto amministrazioni presidenziali.

«Fantastico!»
«L'ho fortemente desiderato! È solo il primo tassello della metamorfosi in atto! Sai che il prossimo anno festeggeremo il bicentenario.»
Un ampio sorriso si formò sul piacente volto di Patrizio, che non appariva invecchiato nonostante gli oltre cinquanta anni. David ebbe l'impressione che il tempo per lui si fosse quasi fermato, nessun capello bianco si mostrava nell'elegante, corta, capigliatura nera, divisa dalla solita riga laterale di sempre. Alcune rughe avevano osato mostrarsi sulla faccia rasata in maniera impeccabile. Il fisico alto, asciutto, manifestava ancora intatta tutta la sicurezza verso sé stesso, gli occhi celesti, tendenti al grigio, erano ancora più vivi e pungenti di come li ricordava.

«Sai che ho la fissa di mantenermi in forma, mentre tu...» Gli rivolse un bonario sguardo di rimprovero, in particolare verso la barba incolta di qualche giorno. Nonostante i quasi quindici anni di differenza, il perfetto stato di forma di un fisico bel allenato da jogging e palestra, David si sentiva quasi più vecchio dell'amico.
Si toccò imbarazzato la guancia e cercò di restituire con la stessa forza l'abbraccio vigoroso che stava subendo. L'esuberanza italiana ogni volta lo coglieva impreparato.

«Il giardino verrà ulteriormente ampliato e la corte sarà coperta. Diverrà un luogo d'incontro nel centro storico di Torino, con sale urbane a doppio livello, multifunzionali, collegate tra loro e aperte al pubblico. Rimarranno tutti a bocca aperta, proprio come te poco fa!»
«Purtroppo non sono venuto qui come turista, giusto?»
«Il tuo italiano è ancora stupefacente, complimenti! Seguimi, amico mio.»

2.2

«Lui, è con me.»
La voce di Patrizio, sempre posata, sapeva essere anche autoritaria. L'addetto alla sicurezza, un energumeno di quasi due metri d'altezza e altrettanto largo, annuì senza alcuna obiezione a riguardo.
«Per di qua, David.»

Si guardò attorno, notando la profonda ristrutturazione che aveva subito il museo, mentre Patrizio continuava a parlare più logorroico del solito. Traspariva una punta di nervosismo nella sua voce.
«Ti ricorderai che al piano interrato abbiamo la biglietteria, il Museum Shop, e adesso anche un nuovo ambiente dedicato alla storia del nostro museo. Se vuoi, sarei felice...»
«La conosco la storia del museo.» tagliò corto David. Non capiva questo tentativo di tergiversare invece di andare dritto al punto. Durante la telefonata gli aveva dato l'impressione di essere preoccupato, mentre adesso sembrava quasi evitare di parlarne e minimizzare l'accaduto. Patrizio si soffermò un attimo e lo prese per il braccio.

«La tua impazienza è fin troppo evidente. Sono costernato quanto te e so bene la gravità della situazione le cui conseguenze... non lo so. Ma ci tengo anche a farti visitare il museo e avere un tuo parere su tutti i cambiamenti che abbiamo effettuato. Ti avrei comunque obbligato a venire fin qui!»
David sorrise all'amico. Il museo rappresentava il suo più grande scopo di vita, l'entusiasmo della nuova ristrutturazione e dei lavori in atto che dovevano essere terminati entro l'anno successivo, lo tenevano oltremodo impegnato con il risultato che considerasse ogni altra questione soltanto una scocciatura. Eppure, l'aveva chiamato. L'inguaribile ottimismo che lo contraddistingueva a volte lo faceva apparire ingenuo, ma sapeva quanto, nel suo caso, l'apparenza ingannasse.

«Va bene, mi farai da guida.» Si arrese. «Ma useremo le scale per salire ai piani superiori!»
I due si voltarono all'unisono verso la "Scala Mazzucchetti", una maestosa scalinata in marmo che serviva tutto l'edificio. Un'opera architettonica iconica di rara bellezza, che da sola valeva il costo del biglietto. Gli ornamenti, dalla scalpellatura raffinata, le conferivano un'eleganza classica che aggiungeva fascino e una sensazione di grandiosità all'interno del palazzo. Patrizio notò l'ammirazione fanciullesca dell'amico.
«Vieni, ti presento la nuova "Galleria dei Re!»

2.3

Le luci soffuse e gli innumerevoli specchi rendevano la sala spettacolare. L'illuminazIone dei faretti, studiata in maniera esemplare, creava suggestive zone di penombra ed evidenziava i dettagli e le didascalie con le informazioni storiche riguardanti le statue dei faraoni, disposte lungo le pareti e al centro della stanza in ordine cronologico.

David ammirò le due Sfingi in arenaria risalenti al milleduecento avanti Cristo, che sembravano guardiani a difesa degli antichi regnanti egiziani. Inspirò profondamente, come se cercasse di catturare gli odori di un Egitto che non esisteva più, ma che si mostrava a lui in tutta la sua magnificenza, resa ancor più imponente dall'atmosfera scenografica.
«Non ho parole, avete fatto un lavoro incredibile.»

Patrizio sorrise gonfio d'orgoglio mentre osservava l'amico guardare ammirato la celebre statua di Ramses III, simbolo del museo.
«Non capisco, se volevano farvi uno sfregio, avrebbero potuto danneggiarla.»
«Per questo ti ho fatto venire qui. Ci sono molte cose che non riusciamo ancora a capire, David.» Il volto dell'italiano tornò serio, pensieroso. «Per esempio, come hanno fatto a entrare senza lasciare traccia. Niente allarmi, e ti assicuro che ne abbiamo dei più tecnologicamente avanzati, nessuna caspita di immagine video! Di sicuro professionisti, ma perché rubare soltanto pochi oggetti e non certo i più preziosi. Prendersi questo rischio, per cosa? Se non...»

«Dimmi dove vuoi arrivare, Patrizio.» lo interruppe. «Ho l'impressione che tu ti sia fatto già un'idea o che comunque tu abbia un sospetto ben preciso, ma non me ne hai voluto parlare per telefono quando mi hai chiamato.»
«Forse perché conoscendoti, non ce n'era il bisogno, giusto? Sai che sono restio a credere in certe cose ma per quanto mi appaia assurdo, più ci penso e più mi convinco che non sia casuale. Ok, vieni!»

Lo invitò con una mano a seguirlo. Camminava con passo silenzioso, mostrava profondo rispetto agli arcaici reperti che lo fiancheggiavano su entrambi i lati. Si fermò davanti alla statua del faraone Thutmosi III. David sussultò, come se qualcuno lo avesse appena pugnalato. Guardò l'amico, con il timore negli occhi scolpito dalla paura di sapere cosa stava per rivelargli.
La statua del Re si mostrava in tutta la sua regalità, con il copricapo a righe Nemes, la finta barba che imitava quella degli dei e l'ureo sulla fronte, un amuleto a forma di cobra che lo proteggeva dai pericoli. Ai lati del trono le piante del loto e del papiro si intrecciavano formando geroglifici e raffigurazioni, mentre ai piedi erano incisi i nove archi, simbolo delle vittorie sui nemici.

«Hanno rubato diversi reperti del faraone.» Spezzò il silenzio Patrizio. «Steli, unguentari, la sfinge che lo raffigurava...»
«C'è dell'altro, vero?»
«Sì, dentro il tempio.»
David conosceva molto bene il Tempio di Ellesija, il padre aveva fatto parte della missione di salvataggio condotta dall'UNESCO, organizzata per evitare che i templi facenti parte dell'area nell'attuale Sudan, fossero sommersi dalle acque del lago Nasser, a seguito della costruzione della Grande Diga. Un motivo d'orgoglio del museo di Torino, dato in dono come ringraziamento all'Italia per la partecipazione attiva alle operazioni.

Passarono dagli stretti ma ben illuminati cunicoli, per garantire una ottimale visione ai turisti, fino a entrare in una cella più ampia. Era stato costruito da Thutmosi III durante il suo regno nel millequattrocento avanti Cristo, dedicato alle divinità Horus e Satet. Il pavimento appariva deturpato dal disegno di una stella a cinque punte rovesciata. David si accorse che avevano subito la stessa sorte anche i corridoi e le altre aree interne.

«Sono scomparse anche le Steli al lato del Tempio. Questa non è opera di pazzi satanisti o vandali fissati con l'esoterismo, vi è un significato più profondo che tuo padre conosceva bene, David.»
Si inginocchiò e sfiorò con la punta delle dita il simbolo, i polpastrelli si macchiarono di nero.
«Niente di irrecuperabile, per fortuna!» Continuò l'italiano, ricambiando lo sguardo sorpreso dell'amico mentre si puliva la mano sui pantaloni scuri. «Possiamo sistemare tutto in poche ore senza che rimanga traccia di niente, il che è ancora più strano.» Concluse mentre porgeva un fazzoletto a David.

Quasi non udì le ultime parole di Patrizio. Sapeva che prima o poi sarebbe arrivato il momento in cui avrebbe dovuto riconsiderare tutte le teorie di suo padre, per quanto a volte le considerasse prive di ogni fondamento. Tornò verso la Galleria dei Re, i passi rimbombavano nell'ambiente ancora deserto. Non avevano molto tempo, l'indomani mattina il museo avrebbe riaperto ai turisti come se niente fosse accaduto. Soltanto il lunedì chiudeva alle quattordici, motivo per cui Patrizio aveva insistito perché arrivare a Torino proprio quel giorno. Con la scusa della manutenzione di alcune linee elettriche, avevano evitato l'apertura al pubblico fin dalla mattina, ma dal martedì lo show doveva riprendere in ogni caso.

Si immobilizzò di fronte alla scultura che ritraeva il faraone Tutankhamon assieme al Dio Amon.
«Dove sono i suoi reperti...»

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