CAP 1 - parte III
1.6
I sette nasi di Soho, scolpiti da Rick Buckley, in segno di protesta contro le telecamere di sorveglianza installate alla fine degli anni novanta in giro per la città; trentacinque in origine, la maggior parte fu rimossa. Di quei sette rimasti, alcuni si faceva così fatica a scovarli che ne nacquero sopra persino leggende metropolitane. Loro li dovevano trovare, fotografare e scrivere una ricerca sull'artista. Almeno sembrava divertente, come una caccia al tesoro.
Mike tergiversò un attimo, fissandosi la punta dei piedi. Parlare della sorella gemella non rappresentava uno dei suoi temi preferiti e di solito cercava di sviare la conversazione su altri argomenti, ma sapeva quanto l'amico fosse interessato a Linda. Forse era l'unico al quale stava davvero a cuore la sua salute, alle volte dubitava persino dei suoi genitori.
«Non sta attraversando uno dei suoi momenti migliori, lo sai.»
Tutti ormai pensavano che la ragazzina fosse bipolare, nonostante la giovane età. Con il passare degli anni appariva sempre più distratta, lunatica, con periodi di instabilità affettiva. A scuola aveva difficoltà a socializzare con i coetanei perché si estraniava nel "suo mondo", dentro il quale non faceva entrare nessuno. Le maestre, per quanto provassero a comunicare con lei, non riuscivano a costruire un rapporto comunicativo che permettesse alla bimba di integrarsi in maniera soddisfacente.
Negli ultimi dodici mesi la situazione era addirittura peggiorata e alternava momenti di euforia, iperattività, alcune volte associati alla mancanza di sonno, con periodi di distaccamento dalle persone che aveva attorno.
Mike ne soffriva in maniera particolare, in quanto gemelli la loro empatia si intensificava in maniera proporzionale alla loro crescita. Aveva sempre evitato di parlare con la sorella del suo "presunto disturbo", ammesso che lo avesse davvero, ma non poteva continuare a far finta di nulla, soprattutto nei periodi in cui Linda non gli rivolgeva parola senza un motivo apparente.
«Mi dici cosa ti prende? Ti ho fatto qualcosa di male? Non mi rivolgi parola da giorni! Nemmeno saluti!»
Era entrato nella stanza della sorella senza nemmeno bussare, arrabbiato sia con lei che con sé stesso per aver rimandato per troppo tempo il confronto tra loro.
«Ehi! Sto parlando con te!»
Linda, seduta di fronte alla propria scrivania, guardava al di là della finestra con aria assente, un sorriso appena accennato sul volto magro dai tratti morbidi, circondato da una folta chioma nera ribelle e completato da due iridi talmente azzurre da sembrare fuori della realtà.
«Ti voglio bene, Mike.» Si alzò dalla sedia e gli andò incontro. Pareva galleggiare sul pavimento per quanto i suoi movimenti apparivano delicati. Lo baciò sulla guancia e intrecciò le dita di entrambe le mani sulle sue. «Devi lasciarmi andare quando ne ho bisogno. Sto cercando di capire. Il libro è ancora chiuso, ma presto si aprirà.»
«Quale... di che libro stai parlando!»
Tornò al tavolo e rimase in silenzio mentre il fratello si guardava attorno in parte spaventato, in parte sgomento per il comportamento di Linda. La osservò mentre sfiorava con le dita il lucchetto del libro che le aveva regalato il nonno di Ted. Uscì dalla camera ancora più disorientato maledicendo la sera in cui Richard glielo regalò; da quel giorno aveva iniziato a peggiorare, ormai ne era sicuro.
Nonostante il pediatra minimizzasse certi comportamenti e sbalzi umorali, interpretandoli come una fase puberale, di crescita, i genitori decisero di fare una seduta dallo psicoterapeuta infantile; ormai anche un semplice approccio comunicativo per loro si stava rivelando complicato. Il fatto che la nonna paterna avesse il medesimo disturbo aveva rafforzato il sospetto che anche la bimba fosse affetta da bipolarismo, l'ereditarietà della malattia veniva dimostrata da diversi studi in proposito.
1.7
«Ciao Linda, io sono Adam.»
Nonostante la giovane età, il dottor Parson era diventato uno degli psichiatri infantili più famosi di Londra, specializzato nella cura dei disturbi bipolari. Sapeva, come pochi, leggere il linguaggio del corpo dei pazienti, riusciva a essere empatico e a comunicare con loro a cuore aperto.
I folti capelli neri che aveva l'abitudine di "disordinare" con le mani, stavano cedendo in qualche filo bianco e incorniciavano un volto dall'aspetto piacevole. Le iridi castane che emanavano gentilezza, apparivano sempre rassicuranti agli occhi dei pazienti e questo lo facilitava nel suo lavoro. Una dote naturale di cui ringraziava la madre.
Il dottore scostò i tendaggi della portafinestra, ma il grigio cielo di Londra non fu molto d'aiuto nell'illuminare lo studio, nonostante fossero all'ultimo piano di uno dei più curati e aristocratici palazzi del centro cittadino, in Harley Street. La luce bianca emanata dal moderno lampadario incastonato nel soffitto, che aveva fatto installare pochi mesi prima, lo aiutava a rendere l'atmosfera più gradevole.
«Lei è la Signora Pamela, giusto?»
«Mi chiami pure Pam.»
Il fisico atletico lo favoriva anche nel relazionarsi con le madri, un po' meno con i padri dei piccoli pazienti, che in ogni caso raramente si presentavano assieme alle mogli.
«Ha trovato molto traffico?»
Pamela abbozzò un sorriso, si sentiva a disagio nell'aver portato la figlia da uno psichiatra, ma negli ultimi tempi non sapeva più come gestire la situazione e aveva il timore che l'atmosfera di tensione che si stava creando finisse per influire anche sul carattere di Mike, già "spigoloso" di suo.
«Abitiamo soltanto a un miglio di distanza, nel quartiere di Soho, si può sopportare.»
Spostò lo sguardo verso il lettino terapeutico e un senso di inquietudine la avvolse. Forse stavano esagerando e aveva ragione il pediatra nel cercare di convincerli che l'età media della manifestazione del disturbo cadeva al ventesimo anno d'età e i casi così precoci risultavano rarissimi. Aveva anche suggerito, anzi ordinato, di escludere nel prendere in considerazione un qualsiasi trattamento farmacologico.
Adam si accorse dello stato emotivo della donna, la studiò un attimo rimanendo affascinato dall'eleganza con cui portava abiti sportivi come jeans e maglietta, dall'acconciatura dei capelli pixie cut moderna, dal look sbarazzino ma funzionale. Si affrettò a rassicurarla sfoderando il suo miglior sguardo complice.
«Non ce ne sarà bisogno, non si preoccupi.»
Linda contemplava la stanza incuriosita dai vari attestati e lauree specialistiche appese al muro, dalla scrivania moderna e minimale abbinata a sedie in stile retrò, di legno lavorato e dalla seduta comoda. Sapeva di essere lì a causa del suo strano comportamento, strinse la mano al Dottore mostrandosi allegra e per niente intimorita.
«Allora, Linda, come ti senti.»
«Dipende dai giorni. So che i miei genitori si preoccupano, ma a volte ho bisogno di stare da sola.»
«E come ti senti in quei momenti.»
Non ne desiderava parlare, almeno non con un estraneo. Non voleva far entrare nessun adulto nel "suo mondo", non avrebbero capito nemmeno con tutti quei riconoscimenti alle pareti. Sapeva che la mamma sperava lo facesse, lo vedeva nel suo sguardo preoccupato, avrebbe voluto accontentarla, farla felice, ma non quel giorno. Non capiva per quanto, quando tutto sarebbe finito perché... perché era appena iniziato.
Udì di nuovo la musica che l'aveva accompagnata dalla mattina, l'arpeggio melodioso, vibrante, non si aspettava che gli altri la sentissero, non cercò nemmeno di curiosare nei loro sguardi. Li sentiva addosso, inquisitori, iniziò a sentirsi soffocare, la sua mente li trasformò in mostri raccapriccianti simili al Jabberwock, la bestia mangia uomini con corpo di drago. Sentì le loro mani toccarla sul collo, le unghie lunghe e affilate tagliarle il vestito fino a intaccare la pelle; colavano di un liquido scuro, marcescente.
Alzò lo sguardo, i volti non avevano più niente di umano, denti affilati svettano dentro bocche prive di labbra, con squame cornee al posto dell'epidermide. Palpebre trasparenti si muovevano di continuo sopra le iridi gialle da rettile che la continuavano a fissare senza sosta. Una lingua biforcuta spuntò fuori dalle profondità della gola, le fauci si spalancarono, Linda le osservava terrorizzata farsi sempre più vicine.
"Dimenticati della musica, ragazzina, o te ne pentirai.»
La voce cavernosa si mescolò ai richiami allarmati del dottor Parson e della madre.
«Linda...»
«Linda, amore, svegliati!»
La ragazzina sobbalzò, si scosse, accorgendosi delle espressioni preoccupate dei due adulti. Le ignorò, voltandosi verso l'enorme libreria in legno che dominava la parete ovest della stanza. Si avvicinò e sembrò analizzare i titoli dei libri presenti sugli scaffali.
«Non c'è nessun libro che si aprirà. Mamma, possiamo tornare a casa?»
1.8
«Come sta?»
Ted non capiva bene quale fosse il problema di Linda, per lui era perfettamente normale, anzi speciale. Gli unici ad aver bisogno di cure, semmai, dovevano essere i genitori che la obbligavano a comportarsi seguendo le loro regole.
«Lo so che ti piace e anche io le voglio bene, sono suo gemello. Soffro nel vederla trattata così, come se avesse qualche genere di problema al cervello. Hanno iniziato a portarla dagli "strizza" perché a volte sembra talmente assente dalla realtà da dubitare che sia cosciente.»
Il ragazzo abbassò lo sguardo verso la punta delle sneakers bianche, in evidente imbarazzo. Non pensava che Mike si fosse accorto della sua "debolezza" verso la sorella.
Non sapeva come spiegarlo, ogni volta che la vedeva il cuore decollava in un giro panoramico verso la gola, strizzava l'occhiolino al cervello che si spegneva all'istante, e iniziava a battere al ritmo delle emozioni che lo investivano come un mare in tempesta. Non riusciva a decifrare queste sensazioni, gli provocavano dolore e piacere allo stesso tempo, bisogno di esternarle ma timore di confessare ciò che provava.
«Dai, andiamo!»
«Pensi che le piaccio?»
Si sforzò nel guardare l'amico mentre formulava la fatidica domanda. Una smorfia di comprensione fece breccia sul volto da finto duro di Mike. Gli piaceva fingersi sbruffone ma quando occorreva, sapeva trovare le parole giuste al momento opportuno.
«Una mezza sega come te?
«Dai...»
«È complicato entrare nella testa di mia sorella. In ogni caso ha preferito unirsi al nostro gruppo strampalato invece di uscire con le proprie amiche, sempre che le abbia. Non ti pare un po' strano?»
«Non so più cosa è strano e cosa non lo sia da un po' di tempo.»
Ted borbottò la frase mentre si apprestava a dare la prima possente spinta sui pedali della bici. La partenza era di fondamentale importanza se non voleva essere distanziato in maniera umiliante dall'amico. E quella caspita di musica, la udiva ancora.
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