I LIBRI DI FOYLES
"Londra sarà inghiottita nell'oscurità.
Tutto inizierà da qui, perché qui ho perso la mia anima."
Ted si svegliò di soprassalto, gli occhi sgranati, il respiro affannato, cercava qualcosa di distinguibile nel buio della stanza che lo potesse confortare, con il terrore di trovare un'entità estranea pronta ad aggredirlo.
Madido di sudore, ansimante, si issò su appoggiandosi alla spalliera del letto; sempre lo stesso incubo, che lo tormentava da un po' di tempo. I genitori cercavano di tranquillizzarlo, sicuri che fosse una reazione inconscia alla scomparsa del nonno, ma il ragazzino sapeva che si sbagliavano. Per quanto il dolore che provava ogni giorno fosse inconsolabile, la causa degli incubi non era la sua morte. Aveva undici anni ormai, si sentiva grande, sapeva distinguere la realtà dall'immaginazione.
Riviveva sempre la solita scena, ma non da bambino, da adulto. Quasi non si riconosceva in quel volto ricoperto da una barba incolta di qualche giorno, i capelli sporchi, in disordine, le rughe che comparivano ai lati degli occhi e sulla fronte; ma le iridi verdastre, gli appartenevano. Sapeva di essere l'uomo del sogno e, ogni volta, si svegliava spaventato.
Stava accadendo qualcosa di terribile, aveva paura; una presenza oscura lo teneva in ostaggio assieme a una donna adulta all'apparenza della stessa età, dallo sguardo che non tradiva terrore come il suo, ma determinazione. Fantasticava fosse Linda, aveva gli stessi capelli ribelli, il solito timbro di voce, anche se più maturo, il medesimo sguardo in cui si perdeva ogni volta.
Non erano prigionieri all'interno di una stanza o una cella, ma si sentiva intrappolato dentro una dimensione oscura, senza vita. Riconosceva i luoghi che sognava, ma apparivano ingrigiti, svuotati dai rumori del traffico, privati dalle voci delle persone, dai versi degli animali, dai profumi della natura. Non un paesaggio abbandonato, lasciato al disfacimento come una vecchia casa, ma rovinato, aggredito, sventrato da un'atmosfera che sentiva cattiva, malvagia.
Il celeste del cielo si mostrava sbiadito, l'aria rifiutava di farsi respirare, gli alberi rinsecchiti sembravano croci bitorzolute che vegliavano su un terreno avvelenato, dove il verde dell'erba e delle piante selvatiche aveva lasciato il posto a fili aridi privati della clorofilla che li sosteneva.
Era immobilizzato assieme alla donna del sogno, che lo fissava senza parlare, quasi fosse un essere alieno da studiare con attenzione. Dopo alcuni attimi inclinava la testa sorridendo, pronunciava il suo nome e gli appoggiava la mano sulla guancia in un gesto affettuoso, tra persone che si vogliono bene in maniera speciale.
Fissava i suoi occhi, sorprendendosi delle lacrime che iniziavano a sgorgare improvvise. Ted si sentiva felice con lei, ma ogni volta quell'attimo diveniva più breve, come la vita di alcuni insetti che aveva studiato a scuola. Effimero...
La donna veniva inghiottita dal buio, il sorriso non abbandonava il volto ma lo sguardo diventava malinconico mentre scompariva dietro una fitta coltre di oscurità. La completezza di averla accanto si trasformava nel terrore di rimanere isolato in un ambiente inospitale, marcio nel profondo, che non conosceva la compassione e la gioia per la vita. In quell'istante si svegliava ed era solo.
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Accese la luce e sbirciò fuori dalle persiane spalancate dell'aristocratico palazzo in cui viveva, che cercavano senza successo di far entrare qualche raggio di luce. Il sole, come accadeva spesso, veniva sopraffatto dalle plumbee nubi del cielo di Londra.
Per fortuna abitava a Soho, in uno dei quartieri più caratteristici, cosmopoliti e trendy di quella grigia, ma meravigliosa città. Così lo definivano gli adulti, ma lui non capiva bene cosa intendessero con tali aggettivi.
"Ma che ne sanno loro...", pensò rattristato. I suoi genitori non facevano altro che litigare e urlare. Ultimamente le cose erano addirittura peggiorate e lui, per non ascoltarli, preferiva rifugiarsi in soffitta a studiare l'odiata matematica. Decise che avrebbe optato di nuovo per quella soluzione, non voleva nemmeno vederli per la rabbia che provava nei loro confronti.
Il suo mondo, la sua vita, si limitava a questo o al massimo ad attraversare la Romilly Street, che si affacciava sulla più famosa Charly Cross Road e incontrare i suoi pochi amici. Spesso, si isolava nella biblioteca, "I libri di Foyles", che si trovava poco distante.
Fissò l'ingombrante libro di matematica. Tutti quei numeri e simboli, che portavano sempre a un risultato diverso da quanto aveva calcolato dopo ore di sofferenze mentali, lo deprimevano. Aveva undici anni e voleva diventare uno scrittore di storie fantasy, non un commercialista, perdinci!
Si arruffò frustrato i ciuffi castani e ribelli che gli ricadevano sulla fronte senza alcun rispetto o disciplina. Le iridi ambrate, del colore del rame, si soffermarono sull'altro libro che aveva davanti.
Sfiorò la rilegatura in cuoio, invecchiata da anni di letture, ne inspirò il dolce profumo tannico, che gli riempiva le narici e aveva la meglio sul vago odore di umidità e muffa che impregnava l'enorme stanza. Gli unici ricordi che aveva del nonno; il libro e la soffitta dove passavano ore e ore assieme, incantato dai racconti fantastici narrati dalla sua voce calda e profonda.
Non era giusto. Una lacrima scese solitaria sulla guancia percorrendone il giovane volto, solleticandogli la pelle, fino a rompersi in mille cristalli nostalgici sul vecchio pavimento in legno.
Lo aprì, come faceva tutti i giorni, ma non aveva mai confessato a nessuno, nemmeno ai suoi amici quel che accadeva, lo avrebbero preso per pazzo; ogni volta che lo sfogliava, le pagine ingiallite e fragili raccontavano una storia diversa. Non c'era un titolo né tantomeno il nome dell'autore, ma mille racconti diversi che gli danzavano davanti come fossero reali.
Da quando suo nonno era morto, ogni volta che finiva di leggerlo e lo riapriva, compariva una nuova storia, che lo accompagnava tra orchi e folletti, tra guerra e oscurità.
"Questo libro è magico", gli sussurrava sempre, "un giorno sarai tu a doverlo leggere a me."
Non arrivò mai quel giorno. Il nonno aveva deciso che era troppo stanco per continuare a lottare contro la maledetta malattia che da anni lo fiaccava. Udiva dai suoi genitori le parole "cancro" o "tumore", aveva cercato su internet cosa significasse. Lui la chiamava "la bestia".
Lo squillo del cellulare lo riportò alla realtà. Chiuse il libro e rivolse l'attenzione al display, che mostrava la foto del suo migliore amico che lo salutava con un dito medio in bella evidenza.
«Ciao, Mike.»
La voce non uscì per niente entusiasta, anche se ogni volta l'immagine artistica gli procurava l'accenno di un sorriso.
«Scendi da quella caspita di soffitta e raggiungimi a...»
Il ragazzino guardò con sospetto il cellulare. No, non aveva attivato la videochiamata, ma solamente inserito il vivavoce.
«Tanto lo so che sei lì ad ammuffire come sempre.»
La voce di Mike risuonava in un misto di comprensione e rimprovero. Sapeva quanto l'amico fosse affezionato "al vecchio Richard", come lo chiamava lui. Ricordava anche le sere passate assieme, tutti e quattro in fervida attesa che iniziasse a raccontare una storia delle sue. Sempre loro quattro.
Ted, Mike, sua sorella gemella Linda e Toby, il gracile ragazzino di colore che proveniva dal Brixton, il Bronx di Londra, senza genitori e con gli zii adottivi che lo sopportavano a malapena.
Ogni volta il nonno apriva quel libro in pelle e, facendo finta di leggerlo, raccontava nuove e fantastiche storie che li inchiodava per ore di fronte a lui. Ascoltavano le parole che, come note di musica, gli uscivano dalle labbra e riempivano la soffitta, materializzando davanti ai loro occhi immagini di eroi ed entità malvagie, avventurieri e viaggiatori.
«Chi c'è?» chiese Ted senza troppa convinzione.
«Chi vuoi che ci sia...» ribatté spazientito. «Noi quattro! Forza, muoviti!»
Già, i disadattati. Mike aveva un caratteraccio che lo portava sempre a litigare, anche con i ragazzi più grandi. Un bel giorno decise di difendere Toby che spesso, purtroppo, veniva preso a male parole per il colore della pelle. Quando Richard gli chiese cosa avesse fatto al naso, che appariva alquanto gonfio e tumefatto, gli rispose con tono orgoglioso: «L'ho usato per rompere il pugno a un tizio che insultava Toby.»
Linda, per qualche oscuro motivo che ancora non aveva spiegazione, rifiutava l'amicizia con le compagne di scuola. Il suo strano autoisolamento era terminato con l'ingresso nel loro sfortunato gruppo.
Infine Ted, che preferiva leggere e passare le giornate circondato dal profumo di carta della biblioteca, invece di andare a giocare al parco.
Si mise il cellulare in tasca e scese i cigolanti scalini in legno della soffitta. Ogni volta che lo faceva, sembrava che lo richiamassero con i loro gemiti, lamentandosi del fatto che se ne stesse già andando via. Ogni volta un sordido senso di colpa lo attanagliava perché, pur sapendo di appartenere a quel mondo, lo rifuggiva, timoroso che non fosse normale stare lì, a leggere e fantasticare.
Le scale di marmo del palazzo erano molto più solide e amava saltarle due a due. Prima o poi sarebbe riuscito a saltarle tre in una sola volta, come faceva Mike.
I rimbombi echeggianti si propagavano per tutti i piani dell'edificio, disturbando la quiete quasi religiosa che lo pervadeva. Al terzo salto si fermò un attimo in ascolto. Da dove proveniva? Una musica soffusa, melodiosa, di cui non riusciva ad associare lo strumento. Appoggiò l'orecchio ai portoni che si affacciavano alla rampa delle scale, ma non sembrava giungere da nessuno di essi.
A dirla tutta, non era nemmeno tanto sicuro che provenisse dall'interno del palazzo.
Fece spallucce e riprese a saltare i gradini, ma con meno entusiasmo, distratto dalla cantilena le cui note parevano fondersi tra loro e trasformarsi in una voce che lo chiamava. Scosse la testa, leggermente stordito e, giunto al piano terra, prese la sua bici rossa fiammante di cui andava tanto fiero.
Nemmeno il traffico e il chiacchiericcio animato delle persone sulle strade riuscivano a distrarlo. Si sentiva confuso, continuava ad avvertirla senza capire da dove giungesse, la percepiva sempre più chiaramente. Osservava la gente che gli passava accanto, per capire se anche loro la udissero. Era... strana.
«Ehi, ragazzino!»
Sussultò. Bill, il vecchio fioraio del quartiere, lo guardava incuriosito. «Cos'hai visto, un fantasma? Alla mia età...»
Lo interruppe prima che iniziasse a raccontare le sue prodezze giovanili.
«Non senti questa musica?»
Il vecchio tese l'orecchio senza successo, poi lo guardò con espressione stranita, inarcando le sopracciglia.
«Proprio niente, Bill?» insistette Ted.
«Ragazzo mio, alla tua età è un po' troppo presto per iniziare a fumare...», gli scarruffò i capelli, e se ne andò.
Ted continuava a osservare le persone attorno. Possibile che nessuno se ne accorgesse? Prese il cellulare e compose il numero di Mike:
«Che c'è?»
Al solito, il suo tono scocciato e impaziente lo fece sorridere.
«Passate da me, vi devo far sentire una cosa.»
«Non ho voglia di stare chiuso in soffitta, Ted!»
«Sono già fuori con la bici, giuro!»
Mike sospirò.
«Cinque minuti, ok? Poi dobbiamo finire la ricerca scolastica su quei maledetti sette nasi, ne abbiamo trovati solo tre!» e riattaccò.
I sette nasi di Soho, scolpiti da Rick Buckley, in segno di protesta contro le telecamere di sorveglianza installate alla fine degli anni novanta in giro per la città; trentacinque in origine, la maggior parte fu rimossa. Di quei sette rimasti, alcuni si faceva così fatica a scovarli che ne nacquero sopra persino leggende metropolitane. Loro li dovevano trovare, fotografare e fare una ricerca sull'artista. Almeno sembrava divertente, come una caccia al tesoro. Il flusso dei suoi pensieri fu interrotto dall'arrivo dei suoi amici.
«Allora...»
Ignorò Mike, soffermandosi sugli smeraldi verdi che impreziosivano gli occhi di Linda. Lei gli fece un sorriso timido, sfiorandosi i capelli ondulati che le ricadevano fino alle spalle.
Non le aveva mai confessato quanto le piacesse. Qualcosa in lei che lo elettrizzava, come se si fossero già conosciuti in un'altra vita, o in un altro mondo. Fantasticava fosse la donna del sogno o di vivere assieme una delle avventure narrate dalle pagine del libro del nonno. Ma erano troppo piccoli per confessarglielo e poi i ragazzi della sua età evitavano come la peste le femmine, lo avrebbero preso in giro. Già appariva abbastanza strano.
«Ted?» Toby lo guardava accigliato tenendosi in equilibrio sulla sua bicicletta logora e arrugginita, che cercava di tenere assieme in maniera eroica e con soluzioni arrangiate, nei componenti metallici.
«Ma non la sentite?»
Spostò il peso da una gamba all'altra. Iniziava a sentirsi in imbarazzo e anche spaventato. Mike invece, sembrava particolarmente arrabbiato. Era sicuro fosse l'ennesimo goffo tentativo di Ted per non uscire di casa. Gli voleva bene, ma doveva svegliarsi, iniziava a essere stufo di tutte quelle scuse.
«Viene da là, dalla biblioteca.»
La voce di Linda li fece voltare tutti e tre. Aveva lo sguardo ipnotizzato dinanzi a sé, un misto di paura e risolutezza traspariva dai suoi lineamenti da bambina. Succedeva spesso che avesse questi comportamenti strambi, suo fratello c'era abituato.
«Vieni, andiamo!» La voce tremante dall'emozione, prese la mano di Ted e partirono a passo svelto verso la biblioteca. «Andiamo...»
"La Foyles", si trovava poco più avanti, svoltato l'angolo dove abitava; una delle librerie più famose e importanti non solo di Londra, ma anche d'Europa. Spesso ci andava, molte volte da solo, a cercare nuovi libri di fantasia che lo aiutassero a evadere dai litigi dei genitori, anche quando il nonno era ancora vivo.
Aveva una sorta di rispetto reverenziale verso quell'ambiente, dove il silenzio riempiva le stanze e i libri le possedevano, piuttosto che il contrario. Sembravano sempre osservarlo severi, pretendendo muta deferenza e attenzione nel maneggiarli e nello sfogliarli.
In mezzo a quei milioni di pagine, si agitava un mare d'inchiostro in tempesta, che raccontava la storia della civiltà umana, emozioni e sofferenze, sapienza e fantascienza. Se poggiavi l'orecchio, sfiorandone i contorni, potevi udire, sussurrate, lontane, le grida delle battaglie, le lacrime di gioia, le voci tenebrose e incomprensibili degli antichi filosofi.
Lui le sentiva, come avvertiva quella musica. Il timbro delicato e dolce, mai aveva udito una melodia così angelica, accattivante. Non la percepiva solo l'orecchio, ma tutto il corpo, quasi ne fosse entrato in risonanza.
"Doveva raggiungerla! Chissà se anche a Linda stava facendo il solito effetto..."
«Ci ruberanno le bici se le lasciamo qui sul marciapiede!» urlò Mike, imprecando poi a bassa voce.
«Mettiamole dentro, il portone è ancora aperto.»
Toby aveva già preso la bici di Linda e la poggiò a un lato dell'ampio ingresso dell'edificio, aspettando che Mike lo imitasse. Poi li seguirono.
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Le porte di vetro automatiche si aprirono immediatamente di fronte ai quattro ragazzini. L'entrata in nero metallo e la vistosa insegna luminosa "Foyles" rossa, stridevano con l'interno rimodernato e minimale dove predominava il colore bianco, dando respiro e ampiezza all'atrio.
«Mi dite che vi è preso?» insistette Mike, toccando il braccio dell'amico.
Linda si portò l'indice alla bocca, intimando il silenzio.
«Ascolta...»
Si trovavano al centro della stanza d'ingresso, sovrastati dalla struttura in cinque piani della libreria che li circondava. I parapetti in vetro rendevano l'ambiente ancora più luminoso e spazioso, mentre i nuovi scaffali in legno chiaro invitavano la clientela a scoprire i libri che custodivano gelosamente.
«C'è da perdersi qui dentro!» Toby si guardava spaesato attorno. Era la prima volta che entrava lì dentro. I ragazzini spostarono lo sguardo in alto, con espressione smarrita, sentendosi piccoli come formiche.
«Io non sento nien...» Mike non fece in tempo a finire la frase. Linda aveva di nuovo preso per mano Ted, trascinandolo verso le scale alla loro destra e iniziarono a salirle.
«Perché loro non la sentono?»
«Non lo so.»
Linda gli strinse più forte la mano e continuò risoluta a montare i gradini. Ted stava provando un misto di curiosità e paura, una sensazione nuova, che lo scosse dal torpore degli ultimi tempi. Si voltò un attimo verso gli altri due che, appena dietro, gli restituirono uno sguardo sconcertato, allargando le braccia spazientiti.
La musica aumentava di volume man mano che accedevano ai livelli superiori, ma sembrava che le persone presenti la ignorassero. Arrivarono fino al quinto e ultimo piano, dove la melodia risuonava così ben distinta da poter udire le corde dello strumento vibrare. Era deserto, quasi irreale.
Ted notò che le persone del piano inferiore passavano davanti alle scale ma evitavano di mettervi piede, come se fossero ipnotizzate o comandate da un'entità invisibile.
«Voi, avete qualche problema!» Mike stava tornando indietro, scocciato da quell' inutile perdita di tempo, dagli atteggiamenti strani della sorella e dell'amico. Poi si fermò. La voce, la canzone, adesso la sentiva anche lui.
"Il presente è un'immagine riflessa del passato,
ti ricordi tu, chi sei stato?"
L'arpa, mossa con maestria dalle mani di un signore che si trovava di fronte a loro, ne accompagnava armoniosa le parole. Le dita si muovevano leggiadre, a volte strisciando sulle corde tese, a volte pizzicandole in rapida successione, aumentando magicamente il ritmo.
Il suono si propagava per la stanza, come cerchi concentrici nell'acqua quando si getta un sasso; li avvolgeva, catturava, facendoli sentire parte di esso.
Era appoggiato a uno dei tanti tavoli da lettura presenti nel piano della libreria. Continuò con la sua cantilena, senza guardarli, gli occhi impegnati a eseguire i gesti tecnici sullo strumento.
"Il futuro è un'incognita dolente,
ma lo puoi costruire solo grazie al presente"
Si fermò un attimo, le note divennero più cupe. I quattro ragazzini lo guardavano ipnotizzati, ma un sorriso appena accennato si affacciò sul volto di Linda.
"Oscura è l'anima del malvagio, occhi di fiera,
questo è il presagio"
La mano si aprì, bloccando le corde. La musica cessò e quello strano signore, per la prima volta, alzò lo sguardo verso di loro. Due occhi verdi, come l'erba dei prati appena rinata durante la più tiepida delle primavere, brillanti e vivi come il colore smeraldino delle acque profonde.
L'accenno di un sorriso si formò sul viso, evidenziandone le poche rughe d'espressione che lo caratterizzavano. Si scostò dalla fronte i lunghi capelli castani e ondulati, grattandosi la corta barba curata.
«Bentornati ragazzi miei. È arrivato il momento di svegliarsi dal sogno... e ricordare.»
SPAZIO AUTORE
La libreria, i nomi delle strade, le distanze e lo stesso quartiere di Londra, sono tutte reali. Ho preso un angolo della città, così com'è oggi, e ci ho costruito intorno una one shot, che probabilmente prima o poi diverrà un racconto.
Per adesso, lasciate che l'arpa suoni un altro po', attirando verso di sé chi vorrà contrapporsi all'oscurità.
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