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I Have Always Loved You

È una sera come tante altre. Piove.
Non è mai un buon segno in una storia. Di solito comincia a piovere durante un funerale o dopo l'assassinio di qualcuno, non succede mai niente di buono.
Ma questa qui non è una storia qualsiasi, come i due ragazzi che corrono sotto la pioggia. Loro non sono persone qualsiasi.
Il sociopatico Sherlock Holmes e l'ex-soldato John Watson sono diretti verso casa con i cappucci tirati su, sopra la testa, per cercare di bagnarsi il meno possibile.
«Lo sapevo che si sarebbe messo a piovere!» si lamenta il primo.
«Come potevo immaginare che si sarebbe messo a piovere quando due ore fa c'era un sole che spaccava le pietre!» alza la voce il secondo, sia per la rabbia che per il frastuono creato dai tuoni, preceduti da dei lampi che illuminano, più di come sarebbe riuscito a fare un lampione qualsiasi, le strade di Londra.
Chi non li conosce non immaginerebbe mai che quei due, pochi istanti prima, avessero salvato niente di meno che la Regina in persona, ma nessuna persona qualunque verrà mai a conoscenza di ciò che è successo.

Quando arrivano a casa John sale le scale per raggiungere la sua stanza e si salutano augurandosi la buona notte, con un certo imbarazzo, visto quello che era successo poco prima. Sherlock si è trovato nei guai e John nell'aiutarlo si è ritrovato a fissarlo negli occhi più del solito, rimasero così per 8 secondi pieni, e fidatevi, sono molti per due "migliori amici" intenti a salvarsi la vita a vicenda, soprattutto se si tratta di sguardi così intensi, nessuno dei due aveva sbattuto le palpebre, poi John si è liberato da quella trance e hanno finito il lavoro.

Sherlock si ritrova da solo nella sua stanza, con una sensazione strana.
È già da un po' che l'investigatore privato la sentiva.
Come se gli mancasse qualcosa. Come se avesse bisogno di qualcosa.
Ma cosa?
Perché sente un buco allo stomaco? Come quando sente che gli stesse sfuggendo qualcosa.
Si ferma al centro della stanza massaggiandosi le tempie con i palmi delle dita e sfogliando quello che si trova nei suoi archivi, situati in quello che a lui piace chiamare "palazzo mentale", ma cerca a vuoto.
Ancora non capisce che ciò che cerca non è la, in uno dei tanti casi risolti e irrisolti. Sì, Sherlock ha anche dei casi irrisolti, perché in ognuno dei suoi casi ci saranno sempre domande, anche irrilevanti, ma a cui non si può dare una risposta, è questo che porta avanti un'indagine: le domande, e non ha mai fine.

Ma quello che cerca è la fuori, deve solo capirlo.

Sente un rumore provenire dal piano di sopra: John che chiude l'anta dell'armadio dopo essersi cambiato. John, il suo prezioso, inseparabile John. Fare quel lavoro non era più lo stesso da quando lui è entrato a far parte della sua vita,  è molto più divertente e affascinante con lui, che riesce sempre a fargli dare il meglio di se.

E adesso lui capisce. Capisce cosa gli sfuggiva. Ogni sguardo scambiato con John... Ogni volta che guardava qualcuno si concentrava a leggere le emozioni di quella persona, scopriva il loro passato e talvolta riusciva a capire anche che ne avrebbero fatto del loro futuro.
Ma quando incrociava gli occhi di John percepiva qualcosa di più, che non veniva dall'ex-soldato, ma da lui. Tutto ciò che succedeva attorno a lui si fermava e c'era solo John al centro dei suoi pensieri, nessun altro, provava una pace che non aveva mai assaporato prima, fin dal loro primo incontro.
Ma ogni volta aveva mentito a se stesso, sopprimendo quelle sensazioni.
Mentre ora gli passano davanti tutti i discorsi avuti con lui, tutte quelle occhiate che per lui non duravano pochi secondi, ma giorni interi.
Si rese conto di quanto avrebbe voluto passare veramente giorni interi a perdersi in quegli occhi. Ripensa ai momenti di riso che fin dal primo giorno, nessuno, tranne lui, gli aveva mai donato.

Ma Sherlock aveva sempre ignorato quel particolare, perché lui sa quanto sia doloroso tenere a una persona e poi perderla. Inoltre, visto che ormai è un investigatore di fama mondiale, con tutti i nemici che si è fatto in tutta una vita, fare sapere al mondo i sentimenti che prova aumenterebbe i rischi alla sicurezza di John.

John nella sua stanza, stranamente, se è l'avverbio giusto, stava pensando le stesse cose. La verità è che lui ha sempre pensato al detective come qualcosa di più di un amico, soprattutto se ogni persona che incontra li scambia per una coppia... Dopo tutto John fra i due è senza dubbio quello con più esperienza in fatto di sentimenti, anzi, con più confidenza con i propri sentimenti.

Però poi Sherlock se n'è andato, lo credeva morto, è stato malissimo, gli anni peggiori della sua vita. Si era isolato, non riusciva a portare avanti una relazione con nessuno, come se avesse bisogno di tempo per dimenticare quello che c'era stato, quello che ci sarebbe potuto essere stato, tra lui e Sherlock.
Poi incontrò Mary che lo fece stare di nuovo bene finalmente. Ma se ne andò anche lei. Senza alcun preavviso. Sarebbe dovuto andarci lui ad aiutare Sherlock quel giorno, come ha potuto permetterlo? Come ha potuto poi incolpare Sherlock quando la colpa è solo e soltanto sua?

Perché diavolo John segue ovunque Sherlock quando potrebbe andarsene senza neanche salutare? Può sembrare questa la vera domanda, ma la verità è che tutti noi sappiamo già la risposta. Il loro è amore, vero amore.

Anche John conosce bene la risposta alla domanda e lo stesso vale per l'altro pazzo al piano di sotto. Entrambi si ritrovano davanti le scale. Hanno la stessa intenzione e sanno bene che non servono parole per spiegare quello che sta succedendo. Entrambi procedono per le scale, l'uno verso l'altro, guardandosi negli occhi. Continuano ancora lentamente per paura che qualcosa, qualcuno o loro stessi, rovini quel momento tanto atteso. Si trovano l'uno di fronte all'altro, Sherlock avvicina la mano e la poggia sulla guancia di John avvicinando i loro visi ed entrambi chiudono gli occhi e le loro labbra si incontrano. John prende la vita di Sherlock e la porta verso di se.

Il resto della serata lo lascio alla vostra immaginazione.

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