EXTRA: CAPITOLO II
Sapevo che io e Bellamy non saremmo mai andati d'accordo: lui era il figlio prediletto, abilissimo nel combattimento, ragazzo senza scrupoli, timore o rammarico. Aveva già deciso all'età di 8 anni di continuare il lavoro iniziato dal padre e già svolgeva piccoli incarichi come spaccio di droga o riscossione del pizzo. Io, invece, avevo paura di crescere. Crescere significava entrare ufficialmente a far parte del clan, del giro, ma soprattutto avevo l'esorbitate paura di ereditare la posizione occupata da mio padre: essere un boss significava doversi preoccupare non solo di sé stessi e dell'ipotetica famiglia che un giorno avrei messo su, ma anche dell'intera banda, degli introiti, delle divisioni del territorio, avrei dovuto sopprimere in prima persona rivolte da parte degli scissionisti e risse non autorizzate. Avrei dovuto portare sulle spalle la vita di tutte le persone alle quali impartivo ordini, il loro dolore e le loro paure. E le ragazze avevano vita dura in quel mestiere.
<<Bellamy ti ho ripetuto mille volte che non voglio le tue puttane nel mio appartamento!>> urlai in modo tale che mi sentisse dalla sua stanza. Per terra erano sparsi vestiti maschili -immagino del mio coinquilino- sia femminili come un tanga rosa di pizzo. Eravamo in quell'appartamento da neanche una settimana e già avevamo litigato innumerevoli volte, anche sulle cose più stupide e insensate come chi dovesse lavare i piatti o spazzare in soggiorno.
<<Questo è anche il mio appartamento quindi cara Roxanne non puoi scegliere cosa posso fare e cosa non>>. Era uscito dalla sua stanza con solo un paio di pantaloncini addosso e io potei ammirare il suo fisico tonico e scolpito, gli addominali ben tracciati, i pettorali e i bicipiti abbastanza gonfi e delle gambe possenti. Era molto più alto di me e in quegli anni si era allenato parecchio perché me lo ricordavo ancora come un ragazzino pelle e ossa.
<<Ti piace la vista piccola?>> mi chiese con un sorriso smilzo. Mi ripresi da quel momento di trance in cui ero caduta guardando il suo corpo e volsi lo sguardo altrove per non riperdermi in lui. Quando ero piccola credevo che non potesse migliorare in fatto d'aspetto, perché già rasentava la perfezione, ma mi sbagliavo di grosso: i capelli castani sempre scompigliati, gli occhi grigi e il sorriso sempre lucente attiravano davvero l'attenzione di tante ragazze. Io invece ero rimasta la solita mocciosetta, alta ma non troppo, carina ma non stupenda, occhi verdi troppo grandi e capelli ribelli. Ciò che mi rendeva più sicura di me stessa, però, era il mio carattere determinato e la mia capacità di sopportare il dolore psicologico tanto quello fisico. Avevo sopportato cose ben peggiori della maggior parte dei ragazzi del mio clan, eppure non avevo lasciato trasparire niente.
<<Se vuoi posso far urlare di piacere anche te, come faccio con le altre ragazze>>
Alzai gli occhi al cielo e senza rispondergli mi chiusi nella mia camera con l'intenzione di farmi una doccia -fortunatamente avevo il mio bagno privato- e iniziare a leggere il primo capitolo di storia dell'arte che ci avevano spiegato quella mattina. Mi svestii velocemente senza guardare il corpo allo specchio e mi buttai sotto il getto della doccia bollente: era proprio quello che mi serviva. Mi insaponai per bene e lasciai che i pensieri scorressero via come l'acqua stava facendo sul mio corpo. Quando uscii circa dieci minuti dopo, mi avvolsi un asciugamano intorno e mi diressi al lavandino. Osservai le mie lunghe dita picchiettare sul bordo bianco e scrissi con le dita sul vetro appannato MALAVITA, cancellandolo poi freneticamente come se ciò potesse allontanarmi dal mio clan o dal mio coinquilino che si trovava a qualche porta più in là. Feci cadere l'asciugamano e mi misi della semplice biancheria nera: il mio sguardo fu attratto dal tatuaggio che avevo fatto l'anno prima sul costato, in memoria di mio fratello Corey. Era una semplice scritta, vincit qui patitur, ma era la sua frase preferita. Ogni occasione era buona per dirla o per scriverla, l'aveva addirittura dipinta sul muro della sua camera ed era diventato il suo motto personale. Quando ero stata abbastanza grande, avevo deciso di farmela tatuare in modo tale che fosse impressa sul mio corpo per l'eternità, come lo era l'immagine del corpo di mio fratello sdraiato dentro la bara. Mi vestii con una semplice tuta monocromatica e mi feci una acconciatura disordinata: la voglia di leggere il capitolo di arte mi era totalmente passata e ora desideravo solamente un po' di tranquillità. Uscii dalla mia stanza titubante, ma appena udii dei gridi di eccitazione e gemiti provenire dalla camera del mio coinquilino decisi di andarmene prima che la situazione degenerasse. Accarezzai con due dita il coltello nascosto nella mia felpa e, infondendomi fiducia, mi rifugiai nella biblioteca del nostro college.
Leggere: un'altra cosa che rendeva una persona un'artista. Ovviamente si trovava al secondo posto dopo il creare arte, ma il leggere l'arte delle parole era sicuramente una delle mie attività preferite in quanto divoravo libri come la pizza.
Mi avventurai tra gli scaffali che creavano una sorta di labirinto e aprii le narici alla ricerca di quell'odore di libro che tanto mi piaceva. Girai tra tutti i generi passando le dite sulla copertina dei romanzi come se fossi certa che uno di essi mi avrebbe chiamata, mi avrebbe scelto. Uno attirò l'attenzione più degli altri, 'Queste oscure materie' di Philips Pullman. Mi sedetti a terra tra gli scaffali, non c'era quasi nessuno in biblioteca, e cercai di perdermi tra le righe. Tra quei luoghi fantastici, polvere magica, daimond e...
<<Cosa stai facendo?>> mi interruppe una voce. Cercai di sembrare il meno aggressiva possibile, ma quel tipo aveva appena interrotto la mia tranquillità.
<<Secondo te cosa potrei mai fare con un libro aperto sulle gambe?>>. Gli vedevo solo le scarpe così alzai lo sguardo sul suo viso: era carino, ma niente a che vedere con Bellamy.
<<Pare che tu stia leggendo, ma non sono sicuro che tu abbia davvero afferrato il significato di quella pagina>> affermò. Ma chi era? Un qualche santone dei libri che dispensava consigli a chiunque?
<<Tu hai qualche rotella fuori posto>> gli risposi ignorandolo e tornando a fissare la pagina. Peccato che 'il santone' aveva ragione perché erano già venti minuti che rileggevo l'anteprima senza capirne niente: non perché il libro fosse difficile, piuttosto la mia mente aveva deciso di viaggiare per i fatti propri senza darmi un attimo di tregua.
<<Oh beh, invece penso proprio di piacerti>>. Ed ecco un altro nuovo aspirante socio del club 'presuntuosi' di Bellamy; sarebbe di certo diventato piuttosto affollato se tutti i ragazzi di quel college fossero stati così. Si avvicinò al mio viso e, essendo molto alto, dovette accucciarsi di fronte a me. Distolsi lo sguardo dai suoi occhi troppo intesi e girai pagina, giusto per fargli capire che invece qualcosa avevo letto. Passammo quella che sembrò un'eternità a farci i fatti nostri: lui continuava a guardarmi e io continuavo a far finta di leggere. Comodo, no?
<<Hale, testa di cazzo, sta lontano da lei>>. La voce del mio coinquilino mi ridestò dalla mia (non) lettura e alzai lo sguardo incrociando i suoi occhi grigi. Bellamy arrivò come una furia, spingendolo e facendolo quasi cadere. Cosa gli prendeva? Prima mi aveva fatto intendere esplicitamente di andarmene dall'appartamento e poi veniva lì per quale strano motivo, poi. Il ragazzo, di cui non sapevo il nome, se ne andò senza fare storie, ma con ancora quel sorrisino beffardo sulle labbra.
<<Si può sapere perché mandi via l'unica persona che ha avuto il coraggio di parlarmi da quando sono arrivata in questa scuola?>>. Nonostante mi avesse interrotto nel mio unico momento di pace, non mi era dispiaciuto bisticciare con lui. Mi alzai dal mio posticino, ma la differenza tra noi due restava sempre incolmabile.
<<Isaac Hale>> disse sputando fuori dalla bocca quel nome <<Non fidarti di lui>>. Nella sua voce si poteva cogliere una punta di premura, ma probabilmente mi stavo immaginando tutto. Sbuffai sonoramente: non avevo voglia di sottostare alle sue regole, ero andata in quella scuola proprio per liberarmi da tutti i vincoli del mio clan e ora ci si metteva il 'figlio di papà' a comandare come un militare nella mia vita. Feci finta di niente e cercai di rimettere a posto il libro, ma lo scaffale era troppo alto e io ero troppo bassa.
<<Sei proprio una mocciosa>>. Bellamy prese bruscamente il libro tra le mie mani e lo ripose nel posto giusto senza che glielo avessi indicato.
Patetico.
WRITER SPACE:
Eccoci qua! Ho pubblicato i primi tre capitoli della storia che io e martinablackwood Spero di avervi incuriosito e di avervi ispirato alla lettura di questa storia.
POTETE TROVARE IL RESTO SUL PROFILO DELLA MIA AMICA!
Gli aggiornamenti sono quasi tutte le settimane e speriamo di poter scalare la classifica con una storia piuttosto insolita. Grazie mille per essere arrivate fin qui e spero che il resto della storia possa piacervi :)
baci, Tate_grier❤
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