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Capitolo 37 - California

RYAN'S POV
Una maglietta, una felpa...
No no, farà un po' caldo per una felpa. Magari un maglioncino leggero?
In quella situazione mi sentivo peggio di una ragazza che stava per partire per due giorni: una mega valigia era aperta sul mio letto ed era già piena per metà da vestiti accuratamente ripiegati. Saremmo stati via una settimana e avevo paura di non portarmi abbastanza roba con me. Magari mi sarei portato anche una camicia e un completo, pensai, forse avrei più fatto bella figura con i genitori di Alis.
Sì, avete sentito bene, andremo in CALIFORNIA!
La prima cosa che avevo messo in valigia era stato il costume e speravo di poter fare un bel bagnetto nel mare sebbene fossimo solo all'inizio della primavera. E, soprattutto, non avevo la più pallida idea di che clima ci sarebbe stato: caldo, freddo, bufera o umidità. La paura di prendere vestiti inadeguati era enorme e volevo inanzitutto fare bella figura davanti ai signori Smith in qualità del padre dei loro nipotini. Ora mi crederete pazzo e penserete "oh mio dio è diventato così all'improvviso maturo e bla bla bla": in verità lo sono sempre stato, ma mi piaceva di più divertirmi senza pensieri che avere la costante paura di sbagliare qualcosa e di risentirne. Perchè, d'altronde, l'essere maturi è avere la consapevolezza che tutte le azioni si riversano su se stessi e sapersi quindi gestire di conseguenza.
In quel momento, però, era impossibile descrivere il turbinio delle emozioni che si alternavano in me: dalla gioia di essere con Alis, all'amore nei suoi confronti e alla paura di incontrare i suoi genitori. Sarei stato abbastanza per loro? Sarei sembrato tutto ciò che non ero mai stato, ovvero affidabile?
Le mani mi sudavano già al sol pensiero di dover stringere quella di suo padre e di subire un identikit dettagliato sulla mia vita, presente, passato e futuro. Speravo solo che il primo impatto fosse positivo ai loro occhi e il resto mi sarebbe importato il giusto.

<<Alis, la valigia>> dissi, incoraggiando la mia ragazza a posare il bagaglio sul rullo del check-in. L'aereoporto di New York, di una vastità esagerata, ci aveva risucchiato al suo interno e ci aveva fatto mischiare con turisti proveniente da tutto il mondo. Il nostro aereo per la California sarebbe partito di lì a qualche ora, quindi il mio incontro con i signori Smith si stava avvicinando sempre più velocemente. Potrei dire che la velocità con cui stava arrivando il fatidico momento era direttamente proporzionale alla crescente paura in me: speravo solo di non fare gaffe assurde!
D'altra parte, però, non ero mai stato così felice di viaggiare con Alis, di poter essere al suo fianco e di poterle stringere la mano in qualsiasi momento. Quella ragazza mi aveva proprio cambiato, mi aveva fatto conoscere delle parti a me sconosciute e recondite.
Cosi si poteva non amarla? Con quel suo sorriso brillante, i capelli rosso fuoco e le sue guanciotte tempestate di lentiggini poteva vincere una gara di bellezza contro Barbie, talmente tanta era l'armonia nei suoi lineamenti. E la sua bocca? Strepitosa, poteva essere paragonata ai colori di una fragola rossa e ben matura. I suoi occhi, poi, erano la fine del mondo con quelle tonalità verde foglia.
Sì, ero proprio cotto di quella ragazza.

<<Quindi>> iniziò Alis, seduta nel sedile accanto al mio. Alla mia destra avevo il finestrino e potevo ammirare la pista e gli altri aerei che atterravano e partivano. Mi stringeva la mano con la sua, esile, delicata, con delle dita lunghe in parte ricoperte da anelli.
<<Ho iniziato a pensare a qualche nome per i gemelli>> buttò lì un po' incerta, quasi avesse paura a sfiorare quell'argomento. Le misi con non-chalance una mano sulla pancia e gliela accarezzai con leggerezza, dubbioso di farle male.
<<Mmm, per esempio?>> le chiesi. Sapevo che aveva passato dei pomeriggi interi chiusa in casa con Cindy: quelle due matte avevano cercato qualsiasi nome esistente sulla faccia della terra e avevano fatto una lista dei più belli. Ovviamente io, il padre, ne ero stato tagliato fuori.
<<Beh, per la principessa avevo pensato a Winter, o Tatum, o Christine>>. Christine era carino come nome, ma non mi convinceva a pieno. Volevo che la mia bambina avesse un nome degno di una principessa, degno di lei.
<<Si, poi?>> incoraggiai Alis a continuare.
<<Per il piccolo campione, invece, Logan, Nathan o Louis>>. Mmh, neanche questi mi convincevano molto. Nel frattempo l'aereo era decollato e noi stavamo pensando ad ogni nome possibile da poter attribuire ai nostri bambini.
Una lampadina mi si accese improvvisamente.
<<Mattew!>> le urlai, girandomi verso di lei. Contemporaneamente, quasi avessimo pensato insieme ad un nome che ci aveva colpito, lei si girò verso di me e mi urlò <<Abygail!>>.
Ci guardammo per un momento che sembrò infinito e un sorriso si formò pian piano agli angoli delle nostre bocche.
<<Mattew e Abygail>> sussurrò lei contenta, sfiorandosi la pancia. Li ripetei anche io, incredulo: avevamo trovato i nomi per i nostri gemellini. Sull'aereo ci venne servita la colazione e il resto del viaggio trascorse tranquillo tra le chiacchere, le risate, i baci e le parole solamente pensate.

Già dal primo piede messo in California, un'ondata d'aria calda mi colpì: il clima era afoso, un sole spaccapietre splendeva in cielo. Ritirammo i nostri bagagli e ci dirigemmo verso l'uscita, io già grondante di sudore. Alis, invece, sembrava fresca come una rosa. Un autista con un cartello con su scritto 'Smith' ci accolse al suo taxi e ripose le nostre valigie nel bagagliaio del mezzo. Nel più totale silenzio, ci portò per infinite strade prima di fermarsi davanti ad un cancello in ferro battutto: se quella era la casa di Alis, io in confronto ero un poveraccio. Alta più di dieci metri (costruita su due piani), era interamente bianca con enormi vetrate su tutta la facciata principale e imposte nere. L'abitazione era circondata dal verde e una sinuosa piscina era situata più o meno davanti all'ingresso della casa. Ciò che vedevo era davvero mozzafiato. [FOTO SOTTO]

La macchina ci portò fino all'ingresso e l'uomo ci venne perfino ad aprire la portiera posteriore e scaricò le valigie davanti alla porta d'ingresso. Era giunto il fatidico momento: l'incontro coi genitori.

Alis non fece in tempo a bussare alla porta che una donna bassottella con una divisa da cameriera ci venne ad aprire. Alis le rivolse un sorriso sincero, la ringraziò e la salutò con un semplice 'Ciao Carmela', nome alquanto insolito per un'americana. La sua pelle era olivastra e avrà avuto all'incirca una cinquantina d'anni. Portammo le nostre valigie al piano superiore, in stanze separate. Avevo notato come la domestica avesse guardato con disprezzo e negazione la pancia di Alis, ma non glielo feci notare per paura di rattristarla. La mia stanza, piuttosto semplice di una tonalità di azzurro chiaro molto brillante, aveva un letto situato addossato alla parete, un comodino bianco, tende blu e una cassettiera anch'essa bianca. Lo stile non era male e, dietro ad una porta bianca, c'era un bagnetto con l'essenziale: lavandino, armadietto, water (ovviamente) e vasca.
La stanza di Alis era in un'ala differente della casa, evidentemente non volevano ci avvicinassimo troppo. Ma d'altronde il danno era già stato fatto.
L'ora di pranzo era ormai giunta e, dopo essermi rinfrescato un attimo, raggiunsi la stanza di Alis (non prima di essermi perso un paio di volte).
Lei mi prese per mano e mi condusse nella sala da pranzo dove un enorme 'banchetto' era imbandito sulla grande tavolata posizionata al centro della stanza. C'erano solo 4 posti, due da una parte e due dall'altra: io e Alis ci accomodammo in attesa dei signori Smith. Non tardarono ad arrivare e si sedettero di fronte a noi senza nemmeno salutare o presentarsi. Il pranzo iniziò silenzioso e i camerieri si susseguirono nelle varie portate: primo, secondo, contorno e dolce. Meglio di un ristorante.
Alis si pulì la bocca prima di iniziare un discorso che intuii fosse difficile per lei, così le strinsi la mano sotto al tavolo.

<<Madre, Padre>> si schiarì lei la voce. Attirò la loro attenzione e si decise a continuare dopo un'attimo di esitazione <<Sono incinta. Lui>> disse guardandomi <<è il padre>>. Sentii delle forchette cadere e lo sguardo duro della madre si posò prima sulla figlia e poi sopra il sottoscritto. Mi sentii attraversare da un brivido di paura.
<<Sono molto delusa>> disse la donna prima di alzarsi dalla tavola e andarsene. Aveva lineamenti rigidi e tirati, forse a causa dello chignon streddo o del trucco calcato: aveva un tailleur blu e dei tacchi dello stesso colore. I suoi occhi neri erano profondi e insensibili. Il padre, invece, le fece un sorriso tirato e le fece i migliori auguri prima di alzarsi anche lui e seguire la moglie. L'uomo, invece, aveva capelli brizzolati e gli occhi dello stesso colore di Alis: perfino le lentiggini erano le stesse e immaginai quindi avesse ereditato le caratteristiche principali dal padre piuttosto che dall'arpia di sua madre...

<<Mi-mi dispiace>> disse Alis balbettando, scusandosi per il comportamento dei genitori. La paura che si era creata nel mio stomaco a causa dell'incontro coi suoi genitori era ormai svanita, dissolta nel nulla.
<<Non ti preoccupare piccola>> le risposi facendole un'occhiolino al fine di rincuorarla. La vidi chiudersi nei suoi pensieri e, sebbene volessi sapere cosa passasse nella sua mente, dovetti accontentarmi di starle semplicemente accanto.

<<Ti porto a fare un giro della città!>> si riscosse all'improvviso la mia ragazza ed io, felice, la seguii.
Sempre l'autista di prima ci portò nel centro della cittadina e ci informò che sarebbe ripassato nello stesso punto 2 ore più tardi.
Alis mi fece da guida turistica: mi mostrò la 'via dello shopping', il municipio, la sua vecchia scuola e mi portò nel parchetto in cui aveva trascorso la maggior parte della sua adolescenza con le sue amiche. Ci sedemmo sulle altalene e, per mano, ci dondolammo lentamente. La mia ragazza mi raccontò di alcuni aneddoti divertenti sulla sua infanzia, sulle sue peripezie da bambina e sui suoi migliori ricordi. Evitò accuratamente il discorso Taylor e io non le feci nessuna domanda. Mi aveva già spiegato quanto bastava e avevo ancora i brividi a ripensarci.

<<Un po' mi mancano i vecchi tempi>> mi disse Alis <<Il sole, il caldo un po' afoso, la spiaggia, il mare. Mi manca mettere tutti i giorni i piedi nell'acqua fresca, fare le passeggiate e riempirmi le scarpe di sabbia. Mi manca il surf>> feci una faccia strana <<Sì, so surfare>> ridemmo insieme contenti di quella bella giornata.
<<Eppure, qualcosa mi impedisce davvero di tornare indietro nel tempo perchè ora sto benissimo così dove mi trovo>>. Si toccò la pancia e allungò una mano per allacciarla di nuovo alla mia, vicini ma lontani, separati dalle catenelle delle altalene.

Poi una voce del tutto sconosciuta si introdusse nei nostri pensieri e spezzò quel momento magico che si era creato: <<E io ti manco?>>

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SPAZIO AUTRICE:
Okey, non odiatemi. Sto facendo tutto il possibile per pubblicare regolarmente come prima, ma non ho neanche il tempo di aprire Wattpad per leggere alcune storie. Quindi:
1. Mi scuso per tutti i nuovi capitoli delle vostre storie che non ho letto (mi farò perdonare)
2. Cercherò di finire questa dannatissima storia una volta per tutte (ormai mancano pochi capitoli).
Faccio fatica ad aggiornare perchè oltre al tempo mi manca anche la voglia di scrivere, non so come mai. Forse non è un buon periodo!
Btw, spero che questo capitolo vi sia piaciuto e, mi raccomando, mettete una stellina!😉
Di chi sarà la voce sconosciuta? Qualche idea?

-Tate

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