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Capitolo 1

Sopra di me il cielo diventava più azzurro e le nuvole assumevano mille forme da confondermi la mente. Il campo di grano mi cullava nel terreno udendo il sibilo del vento come una dolce voce soave. Camminai veloce tra i campi che si estendevano all'orizzonte, sentendo la brezza leggera che muoveva le spighe dorate. Alzai le braccia al cielo e respirai profondamente, sentendo l'energia della natura che mi circondava. Mi misi a camminare senza meta, seguendo l'istinto e l'animo libero che mi animava in quel momento. Mi sentivo come un uccello appena liberato dalla gabbia, pronto a spiccare il volo e a esplorare il mondo. Ogni passo che facevo mi riempiva di gioia e serenità, sentivo il cuore pulsare forte nel petto mentre la natura mi coccolava con i suoi colori e profumi. Vorrei che questo momento durasse per sempre, ma so che dovevo tornare alla realtà presto.

<< SANTA NICOLE! Entra subito prima che si svegliano gli altri! >> mi urlò Amelia dalla finestra per richiamarmi. Mi girai a guardarla e con tutta calma ritornai dentro camminando in punta di piedi per non svegliare i ragazzi che dormono , ma venni presa per il polso e trascinata nella stanza.

<<Ma come ti sei conciata! Santo Cielo. >> si riferiva al pigiama sporco , me lo sfilai rimanendo in intimo <<A volte non ti controlli! Quante volte ti ho detto di non sporcarti?>> mi rivolse uno sguardo di rimprovero e mi sedetti sullo sgabello. <<Avevo voglia di correre >> dissi guardando di nuovo il sole che brillava in tutto il suo splendore. Vivevo all'orfanotrofio da undici anni, madre Teresa, la direttrice dell'istituto, provava invano, ad affidarmi alle famiglie che volevano prendermi in adozione, ma ogni volta scappavo via. Perché lo facevo? Sinceramente non lo sapevo ma anche se in profondo in animo mio conoscevo la ragione...

<< "Voglia di correre". Ora fatti una doccia. >> decisi di indossare un vestito grigio, un colore molto triste. I miei compagni si svegliarono stonati dalle urla della suora <<Svegliatevi!È un nuovo giorno e ci tante cose da fare!>> e ci lascia da soli a prepararci, rimasi sul letto ancora un attimo a guardare fuori dalla finestra , dando un ultimo 'addio' alla vista. Una volta lavati e vestiti andammo tutti a svolgere i propri compiti.

<<Puoi dare da mangiare alle galline e raccogliere le uova, per favore?>> mi domandò Amelia gentilmente mentre ero distesa su un muretto a tirare l'erba con l'aria spensierata <<Poi posso giocare con Jenni?>> le chiesi come una bimba piccola con il broncio <<Nicole, smettila. Ora corri prima che ti butti in pasto a loro!>> mi alzai da terra, presi un cestino e raggiunsi il pollaio. << Mangiate polli, così ingrassate e poi vi mangeremo>> mi girai verso l'unica gallina che non odiavo <<Eccetto te, mia Jenni.>> iniziai a rincorrerla facendola scappare a zampe levate. Sì, può sembrare strano ma adoravo darle fastidio.

<<Lascia in pace quel pollo e vieni dentro!>> smisi di accarezzare Jenni e le sussurrai a bassa voce <<Torno presto, tu cerca di non farti mangiare dalle volpi.>>

All'ora di pranzo, dopo esserci seduti nei nostri rispettivi posti, spesso mangiavamo il minestrone, che aveva un odore a dir poco nauseante. Come di rito preghiamo insieme, Suor Teresa notando che io non seguivo gli altri, mi lanciò un'occhiata minacciosa da lontano , così mi sforzai e feci come tutti, dopodiché potevamo gustare, purtroppo oserei dire, il minestrone. I miei occhi si soffermavano sul mio riflesso nel piatto. Continuando a vedere me nel piatto, i miei pensieri ritornano a quel giorno straziante, scuoto la testa senza pensarci e inizio a mangiare.

<<C'è qualcosa che non va?>> mi domandò Suor Teresa con le braccia incrociate e tono preoccupato. Col passare degli anni si capiva che era solo un'apparenza il suo modo minaccioso ma invece aveva un animo buono.

<<C'è qualcosa nel mio piatto... qualcosa di spaventoso.>> dissi indicando con gli occhi il minestrone. Però così com'ero io , le facevo parecchi scherzi <<Spaventoso?>> inarcò un sopracciglio squadrando male <<Sì, guardi lei stessa!>> fece come le dissi e non notò niente. <<Ma non c'è niente!>> replicò confusa <<Se guarda bene, c'è una persona dentro>> corrugò la fronte spaventata. Tutti a tavola sbirciavano alla scena guardando curiosi, Suor Teresa guardava bene nel piatto e appena vide il suo riflesso, si voltò verso di me <<Ti credi di essere spiritosa?>> si era innervosita parecchio. Mi divertivo con lei.

<<Beh, non lo sono?>> appoggiai le braccia sul tavolo incrociando le dita sorridente. I miei compagni cercavano di trattenere le risate, ma con scarsi risultati, la governante li ammutolì con lo sguardo. Uscimmo fuori dalla mensa e mi sedetti su una panchina, godendomi la pace del momento mentre mangiavo una mela rubata. Gli uccelli volteggiavano sopra di me nel cielo sereno, la loro libertà mi faceva sognare. Avrei tanto voluto essere come loro, libera e spensierata, lontana da tutto ciò che mi tormentava. Ma i pensieri oscuri si fecero strada nella mia mente, riportandomi a ricordi dolorosi che preferirei dimenticare.

Scossi la testa tornando alla realtà quando qualcuno mi chiamò per nome. Era suor Amelia, con i suoi occhi chiari e l'uniforme che nascondeva i suoi capelli d'un biondo intenso. Mi chiese di seguirla e la raggiunsi

Una volta dentro la piccola chiesa, suor Amelia mi afferrò per il polso e mi fece inginocchiare. Mi ordinò di fare finta di pregare, sussurrandomi all'orecchio per non essere sentita. Guardai intorno, accertandomi che nessuno potesse vederci, e mi abbandonai alla finzione, sperando che tutto finisse presto <<Allora?! Che devi dirmi?>> le domandò impaziente, di solito non fa così. A volte è calma e pacata ma quando sono io nei guai, si infuriava e veniva a soccorrermi. Quando fui stata accolta lei era stata la prima donna a prendermi cura come se fossi sempre stata sua figlia.

Guardai intorno con cautela, come se qualcuno ci stesse ascoltando. Si avvicinò a me senza guardarmi direttamente, iniziò a parlarmi con voce sommessa.

<<Ho notato che una coppia è venuta qui...>> mi voltai verso di lei, confusa << E quindi?>> chiesi incrociando il suo sguardo. Lei mi fece girare di fronte alla croce, costringendomi a guardarla << Erano interessati a te, a prenderti con loro>> Presi una profonda boccata d'aria prima di rispondere con un tono deciso << Quante volte devo dirti che non ho bisogno di una famiglia? >> sento la sua mano sulla testa, l'aria mi manca per un istante.

<<Nicole, sono passati undici anni dalla morte dei tuoi genitori... >> sussurrò con voce dolce e pacata << Penso sia giunto il momento per te di crescere.>> Mi sentii come stretta in una morsa, la voce di dolore risuona nel mio petto. << Non voglio essere adottata, non voglio essere ferita di nuovo, come è successo con le altre famiglie affidatarie. Mi trovo bene qui, non ho bisogno di nessuno se non delle persone di cui mi fido e che mi fanno stare bene.>> Lei mi guardò con occhi pieni di preoccupazione, afferrò la mia mano e mi sussurrava piano << Sei giovane, sei una ragazza, devi vivere la vita. Non puoi rimanere chiusa qui per sempre.>> Il suo tono era tenero e compassionevole, ma io non potevo fare altro che resistere. Si voltò a fissarmi con sguardo carico di rimpianto, appoggiando la mano sulla mia con dolcezza << Non devi preoccuparti di me. Mi prenderò cura di me stessa >> mi assicurò con voce ferma ma vibrante di emozione. Le lacrime le rigavano le guance e cacciò via le mie con un sorriso triste, un sorriso che non riesce a nascondere la profonda tristezza che mi stringe il cuore.

<< Ma tu piangi? >> la interrogai osservando la lacrima solitaria scivolare dalla sua guancia << No, è solo l'allergia >> mi rispose ma io sapevo che non era vero.

<< Non ci credo a queste scuse >> replicai indicando le sue lacrime bagnate. Mi diede un colpetto sul fianco, ridendo insieme a me prima di abbracciarmi con tenerezza.
<< Ti voglio davvero bene, Nicole >> mi confessò piano all'orecchio, con un sospiro commosso. Avrei tanto voluto ricambiare quella frase ma per qualche ragione non le dissi niente.

Forse non mi meritavo tutto questo bene...

Ci guardammo negli occhi e ridemmo insieme, sentendo la gioia che ci lega in quel momento. Uscimmo fuori, avvolti da un senso di calma e complicità che nulla può scalfire. Quel legame, fatto di parole non dette ma sentite profondamente nel cuore, era ciò che ci teneva unite, in un abbraccio silenzioso e prezioso.

Dopo qualche giorno la reverenda madre mi convocò nel suo studio per parlare della famiglia che sarebbe venuta in settimana a vedermi. Oltre a quello mi rassicurò di comportarmi bene e di non attuare le mie sceneggiate << Quale sceneggiate vi riferite? >> sorrisi in modo beffardo facendo finta di non ricordarmi però prese un piccolo block notes dove di solito segnava le famiglie che erano venute di recente.

<< L'anno scorso è venuta la famiglia Mccall, tu hai detto che credevi in SATANA e non in DIO. >> pagherei di nuovo per rivedere la faccia del signor Mccall.

<< Beh è vero. Non c'è nulla di male.>>

<< Ma loro ti avevano maledetta con L'ACQUA SANTA! >>

<< Era stato uno spasso.>> sorrisi al vecchio ricordo ma la faccia di Suor Teresa non era d'accordo con me.

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