VILLAGGIO: 6
Manuel rimase seduto a gambe incrociate, con un sorriso beffardo stampato in volto. Portò le mani sui pomelli delle sue spade.
Cinquanta uomini lo circondavano, pronti a farlo fuori.
«Cominciate prima voi. Non vorrei essere scortese. Poi alla fine potreste lamentarvi dicendo che sono stato avvantaggiato avendo iniziato per primo.»
Uno di loro accettò il suo invito e lo attaccò correndogli alle spalle.
A subire, però, fu proprio lui. Si ritrovò con una delle katane del samurai blu infilzata nel petto.
«Forse non valete il mio sforzo» disse il ragazzo, mentre ritirava la spada dal corpo del primo avversario.
Tutti lo guardavano, gli ringhiavano contro.
Stavolta provarono ad attaccarlo in gruppo, cinque persone gli si fiondarono addosso.
«Venite pure» li invitò mentre teneva strette le armi nelle sue mani.
Ma, una volta avvicinatosi, i nemici subirono l'affilatezza di entrambe le lame di Manuel.
Mentre caddero a terra doloranti, il samurai li usò come scala per scendere dalla scultura e poggiare i piedi a terra.
«Sei uno solo, noi siamo decine» ringhiò uno degli avversari.
«Avete chiamato anche i parenti?» gli rispose il ragazzo con voce calma, ma decisa.
La calca si fiondò su di lui, che respinse gli attacchi con estrema facilità.
Con uno slancio ruotò su se stesso tenendo le lame tese e riuscendo ad affettare un po’ di gente, e anche a crearsi un po’ di spazio.
Corse verso il più grosso, gli saltò addosso e lo infilzò, dritto nelle spalle. Saltò, poi, verso un altro uomo alto, gli girò intorno usando la gola per fare perno, per poi fargli un taglio netto sulla schiena.
Balzò giù da lui, tirandolo per il colletto della giacca per mandarlo a terra.
Ai due, che gli stavano venendo contro, gli infilzò le gambe. Subito si girò per scansare una grossa mazza e recise i tendini di quello che la teneva in mano. Girandosi sgambettò un altro e, spostandosi all’ultimo, gli fece cadere un compagno addosso.
Conficcò le spade nel terreno. «Mi avete stufato» disse ai tanti rimasti.
~~
Michael era ancora in stanza, controllava i polsi della donna appesa in bagno. «Gr… stronza.»
Si abbassò a prendere il suo telefono, che stava vibrando.
«Pronto? Chi è?» ma non ricevette risposta. «C’è qualcuno?»
Stufo, lo schiacciò tra le sue mani e lo lanciò fuori dalla finestra della stanza.
Era seccato.
«Chi si credeva quella? Pensava che fossi così stupido da cadere nei suoi tranelli?”
Era perfettamente consapevole delle sue difficoltà intellettuali, ma, delle volte, la gente esagerava.
Non era sempre così stupido.
Se lo avessero incontrato prima di quell'incidente, pensò, altro che stupido, gli avrebbe potuto mostrare tutta la sua intelligenza.
Decise di uscire, il più cauto possibile, guardò da un lato e poi dall’altro.
Prese le scale e, quando arrivò alla reception, notò l’insolita assenza sia del personale che degli ospiti.
«Dove sono tutti?» si guardava attorno confuso, si grattò la testa e poi si strofinò la foltissima barba.
Uscì fuori. «Forse li ho trovati.»
Nel piazzale c'erano tante persone stese a terra sofferenti.
«Qualcuno dovrebbe chiamare un’ambulanza» pensò guardando tutte quelle persone perdere sangue, lamentarsi per i dolori.
Si girò verso uno di loro che si lamentava più di tutti. «Ehi, amico, ehi? Sei sveglio?» lo scosse con molta foga.
«S… Sì» rispose l’uomo sofferente.
«Bene, chiama un’ambulanza, veloce.»
L’uomo provò ad afferrarlo, ma svenne di nuovo.
Il gigante andò verso un altro di loro.
«Chi vi ha fatto questo?» domandò, sempre scuotendolo con tutta la sua inesistente delicatezza.
«Un… un… un ragazzo con le spade...»
Michael si alzò sconvolto, aveva gli occhi sgranati e portò la mano davanti alla bocca, spalancata per lo stupore.
Il gigante trovò il samurai più avanti, impegnato ad affettare altri tizi sconosciuti.
«Amico» disse Michael infuriato.
«Amico» rispose Manuel confuso.
«Amico» disse, di nuovo, nello stesso tono, il gigante.
Il napoletano alzò le spalle e lo invitò a parlare.
«Cosa hai fatto?» domandò con ferocia Michael.
«Hai visto?» disse, mostrando fierezza, Manuel. «Un bel lavoro.»
Michael gli corse contro e lo colpì con un forte pugno sul volto.
Gli fece fare un bel volo verso uno degli edifici del villaggio. Un edificio strano, non era uno dei quattro ad uso alberghiero, da fuori sembra addirittura abbandonato.
Il gigante aveva messo così tanta forza nel colpo, che il ragazzo lanciato si schiantò con un impatto tale da far distruggere quel lato di quella struttura.
Manuel si liberò dalle macerie cadutegli addosso dopo lo scontro.
Si scosse un po' e camminò verso il compagno. Calmo e respirando profondamente.
«Ciccione del cazzo! Si può sapere che cazzo ti è preso? Che cazzo di problemi del cazzo hai?»
«Che problemi hai tu?» gli ringhiò contro il gigante, mentre puntava con decisione l'indice verso di lui. «Ho visto cosa hai fatto. Sei crudele.»
«Michael… gran testa di cazzo!» urlò il samurai sbuffando e portando gli occhi verso l’alto. «Quelli…»
«Quelli sono delle persone, la loro vita ha lo stesso valore della tua» Michael di nuovo corse nella sua direzione.
«Ciccione stupido dovresti provare ad ascoltare!» Manuel saltò su di lui e lo mandò a schiantarsi contro il magazzino.
Anche qui l'impatto fu forte e quella piccola costruzione in cui era stato lanciato, franò completamente.
«Bene» Manuel andò verso il luogo dello schianto. «Adesso stammi a sentire…»
Ma Michael fece uscire un calcio dalle macerie che si scontrò con il mento di Manuel, che volò di nuovo via.
Il gigante si liberò e torna alla carica. «Dove ti ho spedito samurai?»
Manuel sbucò dalla finestra, ormai finestrone, di quello che doveva essere il centro benessere del villaggio.
«Non lontano, ciccione. Sono qui.»
Manuel si lanciò di sotto.
Ora erano immobili, faccia a faccia, uno di fronte l'altro.
«Via» dissero entrambi.
Partirono, dunque, alla riscossa.
Michael unì i pugni, li portò in alto e poi calò il colpo, ma Manuel saltò in tempo, quindi si infranse a terra, alzando un bel pezzo di crosta terrestre.
Michael si voltò subito, ma incontrò il piede destro del samurai.
Lo subì poco.
«Era una carezza?»
Afferrò Manuel per le gambe e cominciò a farlo sbattere, a ripetizione, a destra e sinistra. Infine, lo lanciò sulle macerie di prima.
«Tutto qui?» domandò Manuel uscendo dalle macerie, mentre si tolse la polvere di dosso.
«Ti faccio a pezzi, samurai» scrocchiò le nocche Michael.
«Ti faccio a fette, gigante» scrocchiò il collo Manuel.
Stavolta partì solo Manuel, Michael lo aspettava e, appena gli arrivò vicino, lo colpì con un pugno dritto nello stomaco.
Qualsiasi persona ne sarebbe uscita in condizioni gravi, forse morta, ma Manuel non era una persona qualsiasi. Certo, le interiore, comunque, si saranno un attimo frullate.
Afferrò una spada e corre di nuove verso Michael. Schivò due pugni e gli saltò sopra, compiendo un graffio con la lama sul braccio, anche abbastanza profondo.
In contemporanea si diedero un pugno e finirono a terra.
Lentamente, si rialzarono.
Si guardarono per un po', fissi negli occhi.
Infuriati, quasi si potevano vedere delle fiamme incandescenti nelle loro iridi.
Qualcosa li interruppe.
«Cos’è? Chi mi ha colpito!?»
«Chi mi ha lanciato una pietra?»
I loro occhi, ricolmi di follia, tornarono ad incontrarsi.
«Ti spiaccico!»
«Ti lacero!»
~~
Alessio, nel mentre, era seduto in cima al tetto dell'edificio principale del villaggio.
Aveva indosso degli occhiali da avviatore, ma spiccava quel lungo giaccone elegante, con cappuccio, arancione. Messo indosso sia perché gli piaceva tanto, sia perché sentiva un po’ freddino.
Se la terra fosse stata piatta, perché, per chi avrebbe ancora dubbi, la terra non è piatta, qualsiasi umano a centinaia di chilometri di distanza avrebbero potuto vederlo.
Felicemente, si godeva lo spettacolo che si stava tenendo giù, tra i suoi due compagni.
Bevve un succo, mentre muoveva le gambe nel vuoto di decine di metri che aveva sotto.
«Fermo» ordinò una voce alle spalle.
Il cecchino fece scomparire il sorriso dalla faccia, tornò serio e, scocciato, sollevò le mani.
«Va bene» posò il succo e si alzò in piedi. «Mi sto voltando.»
«Fai bene» l’uomo tenne puntata una pistola su di lui, per avere la situazione in mano.
Alessio, seccato, si stava girando.
Appena fu faccia a faccia con il nemico allungò il braccio e lo colpì al collo e, successivamente, alla testa, finendo per stordirlo.
Si rimise a sedere, mentre l’uomo, traballante alle sue spalle, andava verso il cornicione. Finì per cadere giù.
Alessio tornò a bersi, sorridente, il suo succo.
«Cerchiamo altre cose da lanciare.»
~~
Michael e Manuel continuavano a darsele di santa ragione, nemmeno un cenno di affaticamento, nessuna esclusione di colpi.
Erano faccia a faccia, fronte contro fronte, incazzati e spietati.
«Posso interrompere?» un uomo con degli occhiali neri, alto e magro, dalla pelle abbronzata con voluminosi capelli afro, apparve davanti a loro. «Sono Douglas, e sono qui per…»
«Sta zitto!» urlarono furiosi entrambi.
All’unisono lo colpirono con un calcio mandandolo a quel paese, e tornarono, così, a litigare.
«Vieni qui, ciccione!»
«Fatti sotto, idiota!»
~~
Nella sua comoda e piccola stanza, Andreas stava pensando di mettersi comodo e coricarsi.
Idea che colse al volo.
Posò la borsa sul comodino in legno scuro al lato del letto.
Prese il telefono dalla tasca, impostò la sveglia mezz'ora prima dell'alba, chiuse la porta a chiave, per sicurezza bloccò la maniglia con una sedia che aveva trovato nella camera, e infine si sdraiò a letto.
Stette per un po' ad osservare il soffitto, pensando a varie cose.
Prima di tutto, si domandava se il Colonia si sarebbe salvato quell'anno. Pensò che ci fossero buone prospettive per essere la sorpresa della Bundesliga.
Poi pensò ai suoi nuovi amici. Si domandava se si fossero, anche loro, messi a riposare, si domandava se sarebbero potuti diventare un bel gruppo di amici.
Su quest'ultimo ci sperava tanto, non ne aveva avuti tanti prima di loro, pochissimi, quasi nessuno.
La giovinezza nel suo quartiere non era stata affatto semplice, spesso tornava a casa con non poche ferite. Si viveva nel terrore, per quelli come lui, non ricchi e non neonazisti.
Per un attimo pensò anche alla gemella di Sascha, ma scacciò subito il pensiero. Forse non era il caso di ripensare a ciò che era successo tra di loro.
Poi pensò a cosa potesse provocare tutto quel casino che stava sentendo all'esterno.
Si alzò e andò verso la finestra.
«Chissà che cosa starà succedendo lì fuori?»
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