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SASCHA: 12


Tornato dal passato si ritrovò quasi costretto a convivere con tantissime persone. Non ciò che avrebbe voluto avere al suo ritorno.
Avrebbe preferito la solitudine.
Non aveva tempo per instaurare nuovi rapporti, voleva solo vivere e rivivere gli ultimi istanti con le magnifiche persone che aveva conosciuto nel ‘44.
Quando non lo faceva, quando gli serviva distrarsi un attimo, mangiava oppure andava in giro, con l’uniforme che gli fabbricarono alla fine della guerra, a fare cose indicibili.
Qualche nuova amicizia l’aveva fatta, ma le teneva distanti.
Il volto non se lo scopriva più, si poteva dire che nessuno avesse mai visto completamente la sua faccia.
Preferiva così. Nemmeno lui riusciva più a guardarsi.
Ormai era un altro, la maschera era la sua vera identità.
La maschera non avrebbe permesso ai suoi amici di sacrificarsi per lui.

~~

Nel bel mezzo di quel deserto, molte persone erano in un locale per consumare l'unico pasto del giorno, dopo intense ore di fatica: un misero piatto con dentro due foglie di insalata ed un pezzo di carne di nemmeno diciassette centimetri.

I camerieri servivano gli ospiti.
Da entrambi i lati c'è tristezza, terrore.
Si toccavano le pance vuote, affamate.
Ma per loro c'era solo quello e per chi comandava era anche eccessivo.

La porta del locale si aprirono e tutti si voltarono.
All'entrata c'era Sascha.

Anche lui portò la mano sulla pancia, era molto, molto, affamato.
Cammina, come se niente fosse, portando dietro le spalle uno scudo, un’ascia e una spada, verso l'unico tavolo vuoto, ci si sedette e prese il menù situato lì nel mezzo.
Dopo averlo studiato per bene si ordinò un bel pasto.
Si sentiva leggermente in imbarazzo, tutti lo guardavano.
Notò i loro visi sciupati, le corporature esili, non quanto la sua, e i piatti semi vuoti.
Si grattò la testa mentre la muoveva a destra e sinistra per studiare la situazione.

Le persone prestavano molta attenzione al ragazzo. Qualcuno sembrava spaventato, qualcuno curioso. Strane furono, secondo l’islandese, le loro reazioni davanti alla quantità di cibo che il piccoletto stava ricevendo.

Sascha si voltò verso la porta, il suo pensiero era verso i nuovi amici, si domandava se avessero fatto la stessa fine di quelli vecchi.
Ma no, avrebbe visto i loro corpi, in qualche modo lo avrebbe sentito, dentro di sé.
Erano lì fuori, da qualche parte.
Il problema era: dove?
Ma soprattutto, chi sta provando ad ucciderli?

Quando arrivò il cibo, però, per Sascha nient'altro meritava attenzione.

Mentre inghiottiva quella grande quantità di roba, i suoi occhi azzurri si incontrarono con i grossi occhi neri di un ragazzino seduto a pochi tavoli di distanza.
Il ragazzino subito voltò lo sguardo da un'altra parte, imbarazzato, intimorito.

Sascha studiò attentamente la situazione a quel tavolo e stessa cosa fece per tutti gli altri.
Osservò ciò che aveva ordinato. Tutte quelle cose, nonostante riempissero il tavolo, non erano abbastanza per lui, ma, allo stesso tempo, potevano esserlo per più di cinquanta persone affamate.

Non stette troppo tempo a pensarci.

Il locale venne invaso da strani vortici di vento e fulmini.
Quando terminano, ogni persona presente aveva davanti a sé un corposo pasto da consumare.

Sascha guardò davanti a sé, l'unica cosa rimasta era un bastoncino di carne.
Per quella sera poteva bastare.

Alle sue spalle, la donna dai capelli rossi aveva assistito a tutta la scena.
Non si sapeva chi fosse, Sascha la vide per la prima volta quando era nel passato. Agli inizi sembrava che apparisse per poi prendere il controllo di Sascha nei momenti in cui lui si infuriava. Da un po’ di tempo, invece, appariva anche in momenti “normali”.
L’ipotesi di Sascha era che fosse la rappresentazione della sua coscienza.

Dopo un po' entrò nel locale un tipo molto esuberante che, molto rumorosamente, salutò tutti, poi vide Sascha.

Era un uomo particolare. Alto, con una pancia molto piena, un lungo collo. Aveva indosso un largo pantalone a quadri e, alla parte superiore, una camicia con una giacca bordeaux. Strano era anche il colore dei capelli, erano blu.

A Sascha non piaceva il suo aspetto.

«Mi hanno raccontato che qui qualcuno ha mangiato più del dovuto» prese uno dei piatti, ormai vuoti, che Sascha aveva distribuito.
Le briciole erano la prova della loro disobbedienza.
«Come avete osato!» urlò furibondo. «Voi esseri inferiori. Chi vi ha dato tutto questo cibo?»
«Io» rispose Sascha, alzando timidamente la mano.
Seguirono l'uomo dei tizi armati, i suoi scagnozzi.

«Salve» l’uomo si avvicinò a Sascha con fare esuberante. «Sei nuovo, io sono Gorgath, il proprietario di questo locale.»
Sascha alzò le spalle, poi ricambiò. «Io sono Sascha.»
«Mio. Questo posto è mio!» urlò ancora Gorgath. «Nessuno mangia più del dovuto.»
Gorgath schioccò le dita, un suo sottoposto afferrò un uomo a caso e inizia a picchiarlo.

Sascha osservava impassibile mentre dentro di sé l'energia esplosiva e quella dei fulmini crescevano incessanti.
«Come osi, ragazzino, ad entrare qui e fare quello che ti pare?»

Gorgath venne preso in disparte da alcune persone da poco arrivate.
«Stai qui, torno subito» ordinò al piccoletto
Seguì i suoi scagnozzi, che gli diedero una notizia interessante.
«Cosa?» domandò incredulo.
«Ne sono abbastanza sicuro. È lui, uno degli stranieri che i capi cercano.»
«Fidati, è il nostro uomo.»

Intanto il piccolo Sascha li guardava cercando di nascondere la rabbia, sarebbero potute succedere cose spiacevoli se essa avesse preso il sopravvento nelle sue emozioni.

«Tra poco capirai» la donna dai capelli rossi apparve per qualche istante.
“Capirò cosa?” si domandò ignaro.

Alle sue spalle, i soldati erano già in movimento.

«Le tue armi» disse la donna.

Sascha pensò che, forse, si riferisse al fatto che quando le fece costruire, senza farsi vedere, fece colare nella forgia due gocce del suo sangue.
Non sapeva perché lo avesse fatto. Era come rapito, fu un gesto d’istinto.

Un uomo provò ad afferrare le sue armi affilate e, appena la mano indegna entrò in contatto con esse, venne folgorato da un fulmine.
Il suo corpo carbonizzato si accasciò a terra.
Tutti rimasero scioccati da ciò che era appena successo, anche lo stesso Sascha.

La donna apparve di nuovo.
«Hai ancora molto da imparare su te stesso. Adesso che hanno capito chi sei arriveranno tanti a sfidarti.»
«Li affronterò tutti.»

Il locale esplose, da lì uscirono prima gli affamati e dopo Sascha, con ben strette nelle mani la spada e l'ascia.

Le persone che erano dentro lo osservavano attentamente.
«Chi è quel ragazzino?»
«Non lo so, ma vuole sfidare Gorgath.»

Un uomo di media statura andò incontro al velocista, non gli diede nemmeno il tempo di chiedere se fosse il ristorante giusto, che lo fulminò con una scarica elettrica, partita dal suo braccio.

Fece roteare l'ascia nella sua mano sinistra e poi la infilzò nello stomaco di un altro malcapitato.
Levò il corpo ingombrante dall'arma affilata e, per sicurezza, diede anche un colpo di spada al corpo steso a terra.

Dalla strada arrivavano altri nemici, lo stavano circondando. Prese la rincorsa e andò a scontrarsi con uno blindato, facendolo saltare in aria.
Gli altri caricarono le armi e mirarono verso il ragazzo. Ciò che vedevano, però, era solo un'illusione.
Sascha scomparve, mentre quello reale giunse alle loro spalle.
Con il suo pugnale dorato fece un taglio alla schiena della prima linea dei nemici.

Arrivò a quelli dietro. Impugnò le sue armi migliori, l'ascia e la spada, le armi contenenti il suo sangue.
Infilzò la spada nel petto di uno dei nemici e, contemporaneamente, fece a metà il nemico a fianco, dandogli un colpo con l'ascia che passò nella testa e arriva fino al punto vita.

Mirò la spada verso un gruppo che stava arrivando con armi pesanti e riuscì a far convergere da lì una potente scarica esplosiva.
La scarica si infranse sul terreno scatenando un'esplosione di fulmini, che invase i corpi dei nemici.

Prese lo scudo e lo usò per ripararsi dai razzi di un carro armato.
Con lo scudo a protezione si avvicinò lentamente e, appena lo fu abbastanza, gli passò una mano attraverso e lo fece in mille pezzi.

Gorgath era rimasto solo, tutto intorno era distrutto.
Era piegato sulle sue ginocchia, molto più piccole in confronto alla pancia.
Disperato, sconvolto, impreparato, osservava la distruzione intorno a lui.

«Tu... tu lurido ragazzino, come... come puoi aver fatto tutto questo?»
Sascha avanzava pazientemente verso di lui, schivando velocemente i vari proiettili che gli venivano indirizzati contro.
«Piccolo insolente, chi ti credi di essere?»
Stavolta gli sparò un paio di razzi, ma Sascha era sempre lì, in piedi, che continuava a camminare.

«Io, sono, Sascha» rispose con voce profonda.
Tale da far venire qualche brivido a Gorgath.

Lentamente, tutto ciò che c'era intorno a Gorgath scomparve.
Il mondo diventò vuoto, oscuro e freddo, non vedeva più nemmeno il ragazzo davanti a lui.

«Credi di spaventarmi?» domandò. cercando di nascondere la paura.

Gorgath aveva la sensazione che tutti si stesse stringendo, che tutto stesse convergendo su di lui.
Sentì come se il mondo stesse per schiacciarlo.
«No, no, no» i muscoli non si muovevano, le parole non uscivano.

Ed ecco che riapparve Sascha.
A pochi centimetri da lui.

L’islandese portò la mano sul lungo collo.
La presa non era forte, per nulla, ma, nonostante ciò Gorgath non riuscì a liberarsi.
Iniziò a sentire un formicolio e un bruciore.
«Lascia-mi» implorò dolorante.

«Nessuno deve dire agli altri quanto mangiare. Nessuno deve disturbarmi mentre mangio.»

Il cielo sopra le loro teste si colorò di rosso.
Si formò una nuvola, scura e insolita.
Da essa un fulmine rosso cadde su di loro e bruciò totalmente Gorgath.

Sascha lasciò andare la presa e il corpo del nemico si accasciò a terra.

«Ne stanno arrivando altri» lo informò la donna dai capelli rossi.
«Adesso devo mangiare»

Il piccolo velocista si sedette sulla sabbia e, elegantemente, prese una merendina che aveva nella tasca.

Intanto, venne circondato, di nuovo.
Stavolta non fece resistenza, si alzò e seguì coloro che lo avevano catturato.
Uno provò ad afferrarlo e a togliergli il cibo da mano, ma si ritrovò, però, con un braccio mozzato.

«Si è lasciato catturare?» domandò Yuma, incerta, sorpresa.
Drew non ne era convinto.
«È più giovane Yuma» disse, poco convinto. «Non ha esperienza, non è così potente.»
«Guarda cosa ha combinato» osservava, nascondendo il timore, dietro un beffardo sorriso Richard.
«Magari non riesce a gestire tutti quei suoi poteri» ipotizzò Mauricio.
«Magari si è fatto prendere solo per non essere disturbato mentre mangiava» ipotizzò, invece, Lilian.

~~

Alessio era steso dietro a delle sbarre. La posizione non era delle più comode: schiena a terra, bacino alto, braccia tese sotto la schiena.

«Alessio Di Costanzo» lo chiamò, qualcuno.

«L'unico e il solo» il cecchino vanitoso si mise, attraverso strane manovre, in posizione seduta.
Dall'altra parte della cella trovò una donna in tenuta militare, tenendo alle spalle numerosissimi soldati con le armi puntate verso di lui.
«Mh...» si avvicina studioso e con un grande, folle, sorriso stampato sul volto. «Non mi aspettavo che in Africa fossero così arretrati da mettere delle donne a comandare.»
«Perché eri solo?» la donna volle andare dritta al punto. «I tuoi amici sono sopravvissuti al bombardamento?»
«Non usi i tuoi sguatteri per interrogarmi? Non ti ascoltano perché sei donna? Che maschilisti» le fece un sorriso, fermamente convinto che la sua trappola psicologica stesse funzionando.
«Parla quanto vuoi, non casco nei tuoi trucchi.»
Alessio fece una risata, poi tornò sdraiarsi.
«Ti faremo parlare, Alessio Di Costanzo, con le buone o con le cattive. E troveremo anche gli altri tuoi compagni.»

Alessio rise fragorosamente.
Fissò gli occhi su di lei.
«Ah… Quando uscirò da qui sarai tu la prima che ucciderò.»
Fatta questa promessa, Alessio tornò a fissare il soffitto.
Intanto, l'attenzione di tutti venne attirata da un forte rumore in lontananza.
«Il ciccione...»

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