I FRA: 4
Il giorno dopo, come prestabilito, il nuovo gruppetto si riunì nella stanza di Peter.
«Abbiamo fatto i compiti» urlò Alessio, mentre entravano nella stanza.
«Non serviva» disse timido Peter. «Ci sono io.»
«Credi di essere l’unico con un cervello?» gli domandò Alessio.
«Saccente» lo insultò Manuel.
Si sedettero ad esaminare ciò che avevano.
«Le spie russe confermano» iniziò Sascha. «L’arrivo dell’atomica, ma i cinesi sembrano essere completamente all’oscuro. È iniziata una caccia alla bomba.»
«Che ne sai tu?» gli domandò Andreas.
«Sei contatto con i russi?» domandò Peter.
«Li ho fatti entrare a Berlino per terminare la Seconda Guerra Mondiale, vedi un po’ tu.»
«Ho chiamato dei vecchi conoscenti militari» spiegava Michael. «Gli americani non sanno niente di questa bomba.»
«Nessuno sa niente» allargò le braccia Alessio buttando a terra dei fogli di Peter. «Una bomba atomica viaggia per tutto l’Atlantico e l’Indiano e nessuno sa niente?» Era scombussolato.
«Da quello che avevo già, però, gli americani sapevano…» rifletté Peter.
«Qualche americano sa e qualche americano no» dedusse Erik. «Il difficile ora è sapere chi è da una parte e chi dall’altra.»
«E da che parte sta il presidente» puntualizzò Manuel alzando l’indice.
«E le foto?» ricordò Andreas. «Che c’entrano?»
«O era una trappola o sono stati fortunati da prendere due piccioni con una fava» gli rispose Peter. «In ogni caso sapevano di noi, aspettavano il momento giusto per smascherarci.»
«Se l’avessero fatto per paura?» intuì Sascha. «Sapevano dei 587, e per caso sette di quelli finiscono su una nave che porta una bomba atomica “anomala”. E se per la paura che noi potessimo entrare a fondo in questa faccenda ci avessero smascherato?»
Presero e lessero ogni riga delle carte di cui disponevano. Tranne Peter, che usava il computer. Trovò abbastanza straniante il fatto che fosse l’unico a utilizzare uno strumento digitale.
Peter lesse ad alta voce una parte degli appunti ricavati da Markus.
«Sentite. “Con la seguente manovra si vedrebbe la sconfitta di uno dei più grandi nemici, a discapito dei nostri più grandi ‘amici’, attualmente.” Lo dice un membro del governo americano.»
«Il Sudan del Sud» ricordò Sascha. «Si sono reciprocamente chiamati l’uno migliore amico dell’altro.»
Alessio muoveva energicamente la testa su e giù. «Per il forte rapporto che c’è tra il presidente e quei due religiosi che governano il Sudan del Sud.»
«I pervertiti» collegò Manuel. «Sì, ho letto vari articoli a riguardo.»
La situazione continuava, però, ad essere poco chiara.
«Perché gli Stati Uniti vorrebbero distruggere il Sudan del Sud?» pensò, infatti, Andreas. «Sono, non per cattiveria, innocui.»
«Il crucco ha ragione» convenne Alessio.
«Già» lo seguì Erik.
«Forse è una bufala» iniziò a parlare Manuel. «Ma si dice che nel Sudan del Sud le temperature stiano scendendo.»
«Quindi?» Michael non ci vedeva nulla di male.
«Oltre i 6°C, gigante» Manuel scosse la testa. «Non è normale lì, per nulla.»
«Io so di un luogo…» prese parola Sascha. «Completamente devastato. Indovinate un po’ da che cosa.»
«Un’atomica» concluse Erik. «Possibile che questa amicizia sia solo una farsa?»
«Fatemi capire» li interruppe Peter. «Stiamo dicendo che gli Stati Uniti stanno distruggendo o annientando il Sudan del Sud?»
«E siamo gli unici ad essersene accorti» disse tristemente Alessio.
«In giro queste notizie ci sono» informò Sascha. «Sepolte, ne parleranno sì e no una decina di persone. Chi le sta nascondendo?»
«Perché poi?» domanda che si fecero tutti.
Non vedevano il fine, lo scopo, a meno che il Sudan del Sud fosse solo una vittima casuale, era lì, così vicina, facile da approfittarsi.
«Anche se l’America fosse colpevole, o l’unica colpevole, la farà franca. Nessuno ci crederà mai» disse Peter. «Non si metteranno contro i colossi.»
Quando aveva fatto il militare lì Michael aveva imparato una cosa: «Tutti hanno paura degli Stati Uniti d’America.»
Rimasero fermi, pensierosi, con gli sguardi rivolti a terra.
Sascha fissava il muro di fronte a lui.
Ricordò i momenti nel passato quando il tempo gli impediva di fermare le catastrofi. Ora era nel presente, poteva fare ciò che voleva. Poteva provare a porre fine a qualsiasi ingiusto conflitto, genocidio. Lo aveva pensato un sacco di volte da quando era tornato nella sua epoca, poco meno di due mesi fa. Ma non aveva mai trovato l’occasione, forse il coraggio. Si risparmiava a suonargliele ai fascistelli che cercava per le strade italiane nelle sere in cui non riusciva a dormire.
Si alzò e camminò verso la porta.
«Fra… Tenetevi pronti stanotte. Andiamo a fare un safari in Africa.»
~~
I ragazzi attesero la notte. Attesero fino a quando l’ultimo dei 100 fosse andato a dormire, o come minimo che si fosse ritirato in stanza.
Uscirono allo scoperto, eccitati e, forse, un po' incuranti del pericolo.
Speravano di non svegliare nessuno.
«Andate avanti» disse Sascha agli altri. «Arrivo subito.»
Si era fermato davanti all’ufficio di Hart.
Si conoscevano da tempo, da molto prima della faccenda dei 587.
Si erano conosciuti nel passato, nella Seconda Guerra Mondiale. Hart doveva catturarlo per il fatto che non fosse nel suo tempo, ma le cose presero una piega insolita e finirono per diventare grandi compagni di viaggio, quasi amici, condivisero gioie e dolori, e insieme portarono i russi a invadere Berlino.
Per Hart, Sascha era importante, era colui che gli aveva fatto aprire gli occhi sui suoi superiori che per tenere intatto l’ordine del tempo lasciavano che l’umanità si estinguesse.
L’Inglese, in realtà, conobbe Sascha molto prima, dato che nella base temporale dove lavorava c’era una sua versione pensionata.
Dopo aver sconfitto i tedeschi, entrambi tornarono al proprio tempo.
Ma si ritrovarono subito, inaspettatamente, nell’invasione di Londra.
Per Sascha erano passati solo pochi minuti. Per Hart un’ora.
L’islandese entrò nell’ufficio passando attraverso le pareti.
Hart era lì, mezzo addormentato sul divano.
«Non vai a dormire?»
«Adesso vado» si mise seduto e si strofinò gli occhi, poi osservò meglio il piccoletto. «E tu, dove vai?»
«Indovina?»
«Con Peter e gli altri?»
Sascha annuì.
«Di che si tratta?» si mostrò interessato l’uomo dal futuro.
«Un’atomica…»
Hart sbuffò e si piegò sulle ginocchia. «Cosa potrei mai fare? Immagino siate già in partenza.»
«Dobbiamo, Hart. Devo.»
Hart lo fissò negli occhi e gli tornarono in mente i vecchi momenti della guerra.
«È arrivato quel momento che cercavo. Quello scopo. Fermare nazistelli in mezzo alle strade non basta per migliorare il mondo. Ma questo…»
Hart alzò il braccio, invitandolo a stare zitto.
«Fate attenzione» disse solamente.
«Certo.»
Si alzò con fare indeciso e si avvicinò al vecchio compagno di avventure.
«Non lottare da solo. Non lottare con la paura di perderli. Guidali tu, non farlo fare a Peter, è inesperto.»
Si strinsero la mano.
«Buona fortuna.»
~~
I sette erano fuori la base.
Si voltarono per guardarla un'ultima volta, prima di partire per quella folle missione.
Ognuno aveva una borsa con dentro gli stessi abiti che avevano durante la missione sulla nave e le loro armi.
Tutti guardarono verso quella di Peter, chiedendosi lui cosa avesse portato, invece.
“Combatterà?”
Rimasero fermi e silenziosi per qualche secondo.
Uno alla volta, si voltarono e si incamminarono verso la strada che gli si poneva davanti.
Il viaggio partì proprio da Londra, dal jet privato di Peter.
«Come possiamo permettercelo?» domandò, giustamente, Erik.
«Semplice» rispose l’inglese. «Sono ricco.»
«Quanto?»
«Tanto da potermi comprare il tuo gelido paese» rispose mentre era impegnato al telefono. Forse contava proprio i suoi soldi.
«La dovrei prendere sul personale?» gli chiese Erik.
Peter si fece una risata e poi gli diede una pacca sulla spalla. «Io però ero serio.»
~~
I cinque loschi capi stavano ora volando sopra l'Africa.
«Sappiamo chi sono quelli con il velocista?» domandò Mauricio, studiando le immagini che erano riusciti ad acquisire dell'attacco terroristico.
«Purtroppo no, Mauricio» rispose con dispiacere Lilian. «Quell'idiota ha combinato proprio un bel guaio. Non ha pensato alle conseguenze dell'avere a piede libero 587 persone non normali?»
«Yuma, sei riuscita a trovarli?» domandò sconsolato Drew, coprendosi il volto con la mano.
«No, sanno nascondersi...»
«Secondo voi il ragazzino potrebbe arrivare fino a qui?» Richard non tolse gli occhi dall'immagine in cui si intravedeva Sascha.
«La linea temporale è cambiata, Richard, dobbiamo aspettarci di tutto.»
Lillian si voltò verso la dolce Clara, che, in quel momento, di dolce non mostrava niente. Il muso era imbronciato, e dagli occhi sprigionava tanta rabbia.
«Desidera qualcosa, altezza?» domandò scherzosa.
«Prendimi in giro quanto vuoi, non riderai più quando verranno a cercarmi.»
Yuma le sorrise mentre armeggiava con il computer, fino a scoprire qualcosa di preoccupante.
«Oh, cazzo» fece sentire la sua imprecazione a tutti. «Sono qui.»
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