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I FRA: 3

Era notte, Sasha non riusciva a dormire, quindi, andò verso la sala ristorante per mangiare qualcosa.
Lì, nell’oscurità, vide una macchia chiara, i capelli di Erik.
«Yo» esordì Sascha, mentre aprì vari mobili e si prese varie cose da mettere sotto i denti.
«Ehi» ricambiò il saluto Erik.
«Tutto bene?» domandò Sascha.
«Sì, sì, amico…»
L’islandese si andò a sedere al tavolo di fianco a quello a cui era seduto lo svedese.
Iniziò ad azzannare qualcosa, mentre i suoi occhi fissavano Erik, che aveva uno sguardo vitreo, perso nei suoi pensieri.

Fuori, arrivò Andreas, anche lui intento a mangiare qualcosa dato che non riusciva a chiudere occhio.
Arrivato allo stipite, però, si accorse della presenza degli altri due e, per l’imbarazzo, fece retromarcia e si attaccò al muro.
Pensò, poi, che, in effetti, con loro poteva essere meno timido, probabilmente non se ne sarebbero nemmeno accorti di lui. Decise di entrare ma, in quel momento, sentì che stavano parlando.
Si bloccò di nuovo. Se fosse entrato in quel momento poteva sembrare che volesse farsi gli affari loro. Pensò che se stavano parlando di cose serie si sarebbero interrotti, per causa sua. Non voleva sembrare un impiccione. Non voleva essere di disturbo.
Si mise dunque a passeggiare nervosamente.

«Sei sempre solo, Erik» attirò la sua attenzione Sascha. «Ti vedo sempre messo in disparte. Credo che, a parte noi, nessuno conosca la tua voce.»
«Preferisco così» rispose senza dare troppa importanza all’osservazione di Sascha.
«Vuoi uno?» gli domandò Sascha, indicando il pacchetto di patatine.
«No, grazie.»
Sascha annuì e riprese a mangiare.
Erik, invece, continuava a fissare il vuoto, con le braccia poggiate sulle ginocchia e le mani unite.

«Preferisco tenere lontane le persone» disse improvvisamente lo svedese. «È un po’ quello che fai anche tu, no?»
«Io ti capisco, Erik. Deve essere stato doloroso.»
«Come fai a…» alzò la schiena, poi collegò subito. «Già… i tuoi poteri psichici. Quindi sai cosa mi è successo?»
Sascha scosse la testa, mentre masticava, per poco non gli andò una patatina di traverso. «No. Io non leggo la mente. Io sento le emozioni. Quindi so come ti fa sentire. Quelle dovevano essere delle persone davvero orribili per averti lasciato questa sensazione che hai.»

Erik poggiò la schiena alla sedia e si aggiustò i baffi.
«Mi andrebbe una patatina.»
«Stanno lì» disse Sascha indicandogli il mobile da dove le aveva prese.
Erik lo guardò perplesso. “Pensavo… Sorvoliamo.”

Ringhiando, entrò nella sala Michael.
«Credo che il crucco sia ubriaco. Cammina a cerchio, sembrava nervoso.»
«Avrebbe vergogna anche davanti alla sua stessa ombra.»
Michael si sedette a terra, vicino a Sascha, e nonostante ciò, continuava ad essere più alto di entrambi.
«Che succede qui?» domandò il gigante.
«Psicoanalisi» rispose Erik. «Farebbe bene anche a te.»

«Non dovresti lasciarti sopraffare da quell’emozione» disse Sascha. «So che è stato difficile. So che tenere lontani gli altri per evitare qualcuno possa farti soffrire di nuovo è semplice. Ma la solitudine, Erik, ti logora.»
«Dici che dovrei aprirmi di più? Tu?» Erik la prese quasi sul ridere.
«Dico che dovresti trovare le persone giuste con cui farlo» lo corresse l’islandese.
«Parole sagge» si intromise Michael.
“Non ha tutti i torti” pensò Erik.

Fuori, Andreas aveva sentito tutto, in modo anche un po’ involontario.
Quelle parole che Sascha aveva detto ad Erik, le trovò perfette anche per lui, per la sua situazione.
Avrebbe dovuto anche lui trovare le persone giuste con cui aprirsi. Persone a cui raccontare i suoi fardelli, con cui condividere le sue emozioni.
Calò lo sguardo, era facile a dirsi, ma ormai non si reputava capace di poter cercare persone con le quali essere amico. Era convinto che la sua timidezza avrebbe avuto il sopravvento.

«Io gli do ragione» si mise ancora in mezzo l’americano. «Anche io mi tengo lontano dalle persone. Tutta colpa della mia stupidità. Sono troppo stupido, non voglio che la gente mi prenda in giro per questo.»
«Ti sottovaluti troppo Michael» lo interruppe Sascha. «Tu non sei stupido. Hai, purtroppo qualche problema, ma anche tu hai una tua intelligenza.»
«In parte è vero» gli diede man forte Erik.
«Non avevi detto che avevi distrutto l’Air Force One?»
«Sì…»
«Ecco, una persona stupida non ci sarebbe mai riuscita o, se lo avesse fatto, a quest’ora si sarebbe fatta catturare o sarebbe morta. Invece tu sei qui, senza nessuna preoccupazione.»
Erik fece una smorfia. «Beh…»
Sascha e Michael si voltarono a guardarlo.
«Il “senza preoccupazione” non vuol dire che non sappiano di lui… E potrebbe essere una causa del suo “problema”.»
Michael si voltò verso il piccoletto al suo fianco. «Può aver ragione.»
Sascha rimase in silenzio, non sapeva come rispondere.
Alzò le spalle, sospirando e riprese a mangiare.

~~

Alessio era fuori la palestra.
Attendeva, in modo non troppo inquietante che la ragazza che stava facendo le ore piccole ad allenarsi uscisse.
Ed eccola lì dopo poco. La cubana Harper Davis.
Indossava un top grigio, aveva un’asciugamano piccola intorno al collo e una più grande che le copriva la parte inferiore del corpo, ai piedi aveva delle infradito. Con sé aveva un grande borsone.

«Alessio!» disse lei sorpresa. «Ancora sveglio?»
«Sì…»
«La ragazza araba nella stanza affianco alla tua si è portato un altro ragazzo a letto?» domandò con fare dispiaciuto. «O forse due, o tre. So che si diverte molto lei.»
“Ecco cos’erano quei rumori che sentivo durante la notte.”
«Ti sei fatta la doccia in palestra vedo» appena finì di dire la frase, si rese conto di quanto poco senso avesse.
«Ero sola e ne ho approfittato» rispose sorridendogli. «Per fortuna che non sei entrato…» disse con uno sguardo malizioso che Alessio non notò.
«Già, menomale.»
Harper, guardandolo attentamente, capì che il ragazzo non aveva colto il vero significato delle sue parole.

«Stavi andando ad allenarti?»
«Non ne ho bisogno» rispose il napoletano, mostrando, forse, un po’ troppa presunzione.
Tornò serio, non era il momento per fare l’egocentrico.
«Ero qui per te» ma mise subito le mani avanti. «Non ti stavo spiando. Ho saputo che eri qua e ti ho aspettato. Giuro che non ho guardato.»
Harper afferrò le sue gesticolanti mani e le fermò. Tutto quel muoversi su e giù, destra e sinistra, davanti ai suoi occhi le stava facendo venire un attacco epilettico.
«Ti credo.»

«Ah» Alessio si accorse che, in effetti, aveva esagerato con la sua italianità. «Allora… volevo sapere se ti andasse ancora, un giorno di questi, di andare al poligono insieme…»
Harper lo fissò guardinga. «Improvvisamente si sono liberati tutti i tuoi impegni?»
Alessio si grattò il capo. «Sì…»
«Ok…» disse Harper annuendo. «Non lo so, sai, ci ero rimasta un po’ male dopo il tuo rifiuto…»
Si abbassò per prendere il borsone.
«È così pesante ed io sono davvero stanca.»
«Posso darti una mano.»
«Oh, grazie» rispose, ridendo sotto i baffi.
Alessio si calò per prendere il borsone, cosa che non fu così semplice per lui. Era davvero pesante.
«Dammi qua» glielo tolse dalle mani la ragazza. «Apprezzo lo sforzo cecchino, ma forse dovresti fare un po’ di palestra. D’altra parte, mi piace che io sia più forte di te.»

Harper si voltò e si incamminò verso l’uscita della palestra.
«Quindi?» domandò Alessio.
«Sai dove trovarmi, Ale. Faccio scegliere a te il momento giusto.»
E andò via.
Alessio sembrava soddisfatto. Reputava di aver svolto un ottimo lavoro.
Si fece anche un applauso.

~~

Peter era nella sua stanza.
Non era solo, in sua compagnia c’era Karen un’IA che Hart aveva portato con sé dal futuro.
Il ragazzo inglese leggeva e rileggeva ciò che lui e Markus avevano trovato riguardo alla nave e al suo contenuto.
Della bomba atomica non c’erano ancora altre tracce. Nel governo cinese nessuno sembrava essere a conoscenza di quella bomba arrivata da una nave statunitense. Al contrario, però, qualche figura, vicina al Presidente degli Stati Uniti, sembrava sapere qualcosa, ma non erano dati certi al 100%.
«Secondo i dati che lei e il signorino Watson avete ricevuto, sembra che gli Stati Uniti stiano pianificando un attacco atomico con l’intento di incolpare la Cina.»
«Può essere una delle ipotesi, Karen. Ma servono delle prove, dei dati concreti.»

«È per questo che mi hai chiamato?» domandò la voce di Manuel dal telefono.
«Ehm… sì, amico.»
«Ci stiamo occupando di bombe atomiche?» domandò lo spadaccino, abbastanza scioccato.
«Sì…»
Le parole che seguirono, Peter non le capì, erano per la maggior parte insulti in napoletano.
«Avete interpellato il Capitano Stinson?» domandò l’IA del futuro.
Peter si voltò confuso verso l’immagine olografica di Karen.
«Il Capitano?»
«Certo. Oh, scusami, voi ancora non lo chiamate così?»
«Quella cosa conosce Sascha?» domandò Manuel dal telefono.
«In un certo senso, lui mi ha fatto nascere.»
Peter rimase a bocca aperta, abbastanza confuso, così come Manuel, dall’altra parte del telefono.

Il giovane napoletano si sedette sul comodo divano della suite, mentre ascoltava l’assordante silenzio di Peter.
Accese la televisione. Era sul canale del calcio quando, improvvisamente, venne tutto interrotto per una notizia straordinaria.
«La nostra vita sta per cambiare, forse anche di più rispetto alla scoperta dell’esistenza degli alieni. Non furono i nostri soldati, uomini comuni, a fermare l’invasione. Fu opera di altre persone, persone con delle abilità che potremmo definire… speciali.»
I telegiornali di tutto il mondo stavano rivelando a tutti la loro esistenza. Scorrevano alcune immagini riuscite a scattare ad alcune di quelle persone “speciali” mentre combattevano gli alieni.

Manuel era rimasto bloccato sul divano con la bocca spalancata e il telefono nella mano.
«Peter…»
«Sì?»
«Ci hanno scoperti.»

~~

«Markus» la voce di Peter era severa, mentre metteva piede nella sua stanza. «Sei sicuro di aver cancellato tutte le prove?»
«Sicurissimo Peter» mise subito le mani avanti, leggermente intimidito dall’amico. «Posso assicurarti che la scoperta dell'esistenza dei 587 non può essere attribuita a noi. Siamo stati cauti, intelligenti, furbi.»
Eppure… la coincidenza era strana.
«Su questo sono d’accordo anche io» la rabbia di Peter si placò. «Allora cos’è successo?»
«Te lo mostro» disse subito Markus.

~~

Poco dopo, Peter si riunì con gli altri ragazzi della missione alla nave, nella sua stanza. Non così tanto spaziosa per tutti e sette.
Raccontò loro ciò che gli aveva detto Markus.
«Le immagini sono tutte false» annunciò l’inglese.
«Bene» disse Alessio strofinandosi le mani. «Così adesso quegli stronzi potranno smetterla di darci la colpa.»
«Figli di puttana» ringhiò Michael.

Analizzando le immagini, dopo un eccellente lavoro informatico, si poteva notare che erano state tutte ritoccate.
In una foto, per esempio, c'era un ragazzo che sparava una palla di fuoco verso il cielo. Ripulendola si vedeva un ragazzo che calciava un pallone.
Oppure, in un'altra c’era una figura che uccideva due alieni. Era in realtà un Photoshop di una scena del film degli Avengers

«Hanno anche mostrato immagini riguardanti la nostra missione, ma anche quelle erano false.»
«Senza vere immagini come hanno potuto sapere di noi?» domandò confuso Andreas.
«Questo è solo uno dei tanti misteri che circondano questa vicenda» disse Karen, apparendo davanti a tutti.
«Lei è?» domandò Erik.
«Karen» rispose Peter, assorto nei suoi pensieri. «Un’IA dal futuro.»
«Salve a tutti» si voltò poi verso Sascha. «Capitano Stinson.»
Il piccoletto islandese la guardò confuso, mentre Peter riprese a spiegare.

«Come può essere possibile che nessuno se ne sia accorto?» domandò Alessio. «Un’atomica la si vede, la si sente…»
«Gli Stati Uniti sono capaci di tutto» disse burbero Michael.
«L’ipotesi più probabile è quella di una furbizia degli USA?» voleva certezza Erik. «Non può essere il contrario?»
«La Cina che usa una bomba per incolparli?» rifletté Andreas. «Non è da escludere.»
«So che è improbabile» intervenne Manuel. «Potrebbero star collaborando?»
«Scusate se interrompo» si intromise Karen. «Ma credo che la mia ipotesi sia la più probabile.»
«Modesta la ragazza» commentò Alessio.
«Come mio padre…»
Nessuno fece caso alle sue parole.

Sascha si alzò dalla sedia su cui era seduto.
«Chiunque la mandi io potrei facilmente…»
«No!» lo fermò bruscamente Peter. «Nessuna pazzia, Stinson.»
«Ma io…»
«No» lo spense, di nuovo, Peter. «Penseremo ad un piano.»
Sascha alzò le braccia in segno di resa.
«Riflettiamo tutti» disse, infine Peter. «Qui. Domani. A quest’ora.»

~~

Cinque persone, due uomini alti dai capelli grigi, Richard e Drew, un uomo dalla carnagione olivastra e lunghi capelli ricci, Mauricio, una donna bassa dai lineamenti facciali asiatici, Yuma, e una donna alta dai lisci capelli color rame, Lilian, erano dirette verso l'Africa, specificamente verso il Sudan del Sud.

Con loro, oltre il pilota del velivolo che stavano usando per il viaggio, c'era una ragazza, Clara. Una giovane ragazza dalla corporatura esile, bassina, carnagione dorata, con piccoli occhi azzurri e lunghi capelli biondi.
La ragazza era seduta in un angolo poggiata, con la testa sul finestrino, sul volto era dipinta tutta la sua tristezza e la voglia di arrendersi. Guardava quelle nuvole e pensava alla loro libertà, ciò che le era stata tolta, come dimostravano le manette che aveva ai polsi.

«Stanca, altezza?» si affiancò a lei Lilian, con tono provocatorio.
Clara si fece forza e affrontò la donna a testa alta. «Se dovete farmi fuori fatelo adesso» tornò a guardare al di fuori del finestrino. «Almeno potrò lasciare questo mondo in pace.»
Lilian sorrise. «Per adesso ci servi viva. Puoi essere una buona pedina, così da poter aver facile controllo su tuo padre.»
«Credete che ve lo permetterò? E se mi uccidessi?»
«Tesoro… e la tua famiglia? Ne rimarrebbe distrutta, soprattutto quando tuo padre scoprirà che la colpa è sua. E poi, chi ti dice che la colpa verrà data a noi, e non a quei poveri africani da cui stiamo andando.»
«Che intenzioni avete?» domandò, quasi ringhiando.
«Noi? Vogliamo solo riportare questo mondo sulla giusta linea.»

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