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I FRA: 1

Londra

In una segretissima ex base militare, si nascondeva il gruppo dei 100 guidato da Michael Hart, l’Inglese, l’uomo dal futuro. Alto, dai capelli corti e chiari, barba incolta e con sempre indosso un giaccone marrone.
Insieme a lui c’era colui che veniva considerato il miglior scienziato al mondo, Charles Cavanagh. Anche lui inglese, alto, dai capelli corti e neri, occhi scuri.
Hart e Cavanagh discutevano sulla prima missione, dopo più di un mese di addestramento. Commissionò ad uno dei 100 di formare una squadra e guidarla.

Siccome cinquecentottantasette persone erano tante, per l'inizio si scelse l'idea di chiamarli per numeri. Un po' disumano, ma, in effetti, non c'era tempo per imparare prima i nomi e poi affrontare gli alieni.

A formare la squadra fu Peter Mike Shaw, alias Quarantasette. Ventenne, anche lui inglese, di Londra.
Ragazzo magro, circa sul metro e ottanta, corti capelli castani, con un piccolo ciuffo che pendeva verso destra, e degli straordinari occhi viola.
Peter aveva il potere di controllare la tecnologia.

Peter non era entusiasta, odiava tutti. Otto era troppo alto, troppo biondo, troppo buono. Uno era troppo in tutto, era perfetta. Undici era solo una sua copia ma molto più estroversa. Quindici era troppo giusto.
L’unico che gli stava simpatico dei 100 era Settantasei, in coma sin dal giorno dell’invasione.

Tra tutti, però, notò delle persone che erano meno appariscenti.
Studiandole per alcuni giorni le trovò molto simili a lui.
Sole, in disparte, sempre a farsi gli affari propri, mai a pavoneggiarsi.

«Sul serio?» domandò Hart quando vide i nomi.
«Sì.»
«Sono quelli fisicamente e psicologicamente più instabili» notò Cavanagh.
«Per me vanno bene.»

Furono scelte sei persone dal ragazzo inglese.
Raggiunsero il luogo della missione su un velivolo temporale che Hart portò dal futuro.
Peter era nella stanza di pilotaggio, mentre gli altri ragazzi erano disposti ben distanti gli uni dagli altri, per adesso preferivano stare lontani.

Fuori alla porta c'era, in piedi, Manuel Machiavelli, alias Due-Otto-Cinque.
Diciannovenne napoletano, alto un metro e settantacinque, con scuri capelli rasati.
Aveva abilità rigenerative.
Più staccato dagli altri, con le braccia conserte. I suoi occhi scrutavano gli altri ragazzi presenti.
Lui non era nemmeno un membro dei 100, ma Peter lo chiamò comunque.

Poco distante c'era Andreas Meyer, alias Quattordici.
Diciottenne tedesco, di Colonia. Basso, sul metro e sessanta, molto magro ma, nonostante ciò, poteva contare una buona massa muscolare. Aveva i capelli corti e biondi e gli occhi azzurri.
Lui poteva aprire dei portali vibrazionali.
Aveva i gomiti poggiati sulle ginocchia, era quasi completamente immobile, ogni tanto si guarda, timidamente, intorno.

Disposti l'uno di fronte all'altro, con le braccia conserte e la testa pensierosa chinata verso il basso. C'erano...

Erik Hosk, alias Novantasei.
Diciottenne svedese, di Malmo. Basso, sul metro e sessanta, magro, corti capelli biondi, occhi azzurri come il ghiaccio e dei baffi quasi invisibili per il loro colore chiaro.
Lui aveva poteri medici.
Ogni tanto alzava lo sguardo verso colui che gli era di fronte.

Sascha Stinson, alias Diciassette.
Diciottenne islandese, che aveva sempre vissuto a Napoli. Basso, forse nemmeno arrivava al metro e sessanta, fisico gracile, scheletrico, accompagnato dalla carnagione molto chiara.
Il suo potere principale era la supervelocità, poi c'erano il controllo delle esplosioni e dei piccoli poteri psichici.
Sotto il largo cappuccio, nascondeva dei capelli biondi, con due ciuffi che gli cadevano ai lati, e degli occhi azzurri che diventavano rossi quando si arrabbiava.

Più in là, gli ultimi due, erano più sciolti e rilassati.

Alessio Di Costanzo, alias Sette.
Ventenne di Napoli, alto, snello, capelli neri molto ordinati, grandi occhi scuri.
Il suo potere riguardava la vista a lunga distanza.
Era seduto in modo scomposto, sembrava scocciato, aveva le braccia conserte. Sembrava anche agitato, sbatteva il piede e girava continuamente la testa da una parte e dall'altra.

Infine, Michael Roberts, alias Settantotto.
Venticinquenne di Detroit. Un gigantesco omone alto più di tre metri, che pesava più di trecento chili. Aveva una foltissima barba marrone, capelli ricci castani e occhi verdi.
Lui possedeva il potere di controllare la terra.
Occupava ben tre posti. Sembrava davvero tranquillo, d'altronde non era la prima volta che prendeva parte a cose del genere.

«Vi informo che siamo quasi arrivati» avvertì Peter, uscendo dalla cabina di pilotaggio.
Non diede molta importanza al fatto che i ragazzi erano ancora molto distaccati tra di loro.
«Chi guida?» domandò, interrompendo il silenzio, Erik, anche alzando la mano.
«Pilota automatico» rispose subito l'inglese.
«Dunque Hart era d'accordo sulle tue scelte?» domandò, ancora lo svedese.
«Certo, Hart ha detto che eravamo perfetti.»
«Sta mentendo» gli rovinò la bugia Sascha.
Manuel alzò le spalle e sbuffò. «D'altronde non mi voleva nei 100, perché avrebbe dovuto essere d'accordo su questa mia partecipazione?»

«Tu sei quello che è stato nel passato?» domandò Erik a Sascha, allungandosi verso di lui.
«Come hai fatto?» domandò perplesso lo spadaccino Manuel.
«Non lo so. C'era l'esplosione, ho chiuso gli occhi e poi mi sono ritrovato nella Rivoluzione Francese.»
«È vero quello che si dice?» Alessio si aggiunse alla conversazione. «Su di noi?»
Tutti voltarono lo sguardo verso Peter.
Una teoria che Hart aveva voluto tenere per sé, ma che in realtà era spopolata tra i 587, diceva che Hart era venuto dal futuro per salvarli tutti da morte certa. Eccetto Sascha, l'unico che si sarebbe dovuto salvare.

Sascha sbuffò. «Quando sono stato nel passato, io, ero stato molto attento a non fare cambiamenti, e lui, che è l'esperto, lo fa?»
«Ha salvato il mondo» intervenne Andreas, quasi a voler giustificare Hart.
«Tu che pensi uomo gigante?» domandò Alessio, voltandosi verso Michael.
«Gr... Ho perso il filo del discorso.»
«Ci hai scelto per le nostre qualità?» si alzò Alessio curioso.
Peter rispose con un secco «No».
«Per la nostra intraprendenza?»
«No.»
«Per la nostra forza?»
«Assolutamente no» eccetto Michael, a vista d'occhio, nessuno di loro pareva avesse un briciolo di forza.
«Perché siamo i più atletici?»
«Vi ho scelti per i vostri difetti, non per i vostri pregi.»
Michael rifletté un secondo. «È un complimento?»
Peter scomparve un attimo per poi tornare con delle borse. «Vi ho portato delle uniformi.»

«Non ne ho bisogno» lo spense subito Sascha.
«Già, neanche io» rifiutò Michael. «Ci teniamo i vestiti normali.»
Sascha aveva indosso un’uniforme che si era fatto fabbricare nel ‘45, completamente nera, con maschera che copriva tutta la faccia, cappuccio con due treccine e un kilt.
Alessio vestiva abiti normali e un lungo giaccone arancione.
Michael mise la sua tenuta militare di colore verde scuro, compresa di tantissime tasche cosparse sulla giacca e sul pantalone.
Manuel indossava un’armatura da samurai, blu e oro, fabbricata nel periodo in cui era stato in Giappone.
Andreas aveva messo l'uniforme protettiva che Hart aveva dato a tutti prima di affrontare gli alieni. Il tedesco l’aveva colorate di giallo e nero e aveva aggiunto un casco protettivo che ricordava quello di Bumblebee.
Erik aveva l’uniforme data da Hart. Completamente verde e ci aggiunse un elmetto, un mantello e un cappuccio.

«Le vostre armi le avete?»
Sascha aveva un pugnale, un revolver e uno scudo che portava con sé dai suoi viaggi nel tempo. A Michael non furono date armi, credendo che i poteri e il grande corpo potessero bastare. Andreas, anche, avrebbe usato solo i suoi poteri. Manuel aveva le sue katane. Alessio ed Erik ebbero il primo due pistole e il secondo una mitragliatrice.
«Proiettili non letali?» si accorse Alessio, rimanendo perplesso.
«Questo ho avuto, Sette.»
Il napoletano storse il naso e chiese, “per favore”, di essere chiamato per nome, piuttosto che per numero.
Anche gli altri la pensavano allo stesso modo, dunque, si presentarono a dovere.
«Meglio» commentò Alessio. «ci vorrà un po' per ricordarli... ma meglio» concluse dando molta enfasi alle sue parole.

«Siamo arrivati.»
Peter aprì il portellone e mostrò ai ragazzi l'obiettivo, situato sotto di loro.
«Wow!» urlò Alessio al vento con gli occhi socchiusi per via dell'aria che gli arriva in faccia. «Siamo proprio in mezzo al nulla.»
«Dobbiamo solo stendere i terroristi?» urlò Erik.
Il compito era abbastanza semplice. Erano nel bel mezzo dell’Oceano Indiano, dovevano saltare sulla nave, che era sotto i loro occhi e liberarla dai terroristi.
«Sopra dovrebbe esserci un carico prezioso, che non ci è dato sapere! Non siate lenti, le autorità competenti sono già state avvisate, non ci devono scoprire, ricordatelo. Il vostro compito è solo fermare questi terroristi in modo che la nave possa tornare nelle mani di chi di dovere!»
Tutti annuirono.
«Per me potete già lanciarvi» l'inglese gli diede le spalle per prendere i paracadute, ma quando si voltò, erano già scomparsi. «Razza di idioti.»
E buttò via, stizzito, i paracadute. Dritti nelle profondità dell'oceano.

Sulla nave era tutto calmo, il viaggio andava avanti tranquillo.
I terroristi, anche loro calmissimi, forse troppo, parlavano e scherzavano tranquillamente.
Il primo ad arrivare fu Andreas, l'unico a non essersi buttato, aveva preferito usufruire dei suoi portali.
«Guten abend» esordì calmo.
«Chi diavolo sei?» domandò sconcertato e spaventato uno dei terroristi mentre gli puntava un'arma contro.
Proprio in quel momento arrivarono gli altri, che si schiantarono, violentemente, sulla nave alle spalle del biondino tedesco.
«Ok, signori» Alessio caricò le pistole. «La cosa importante è divertirsi.»
E partì la carica e la conseguente e inevitabile distruzione della grande imbarcazione.
I sei si divisero mentre suonava incessante l'allarme.
Si fecero strada sulla nave correndo, distruggendo, bruciando, picchiando, canticchiando in testa musichette.

Alessio usava le snervanti munizioni non letali.
Vicino gli passò Manuel, che gli rubò una preda.
«Oh. Scusa, amico» Manuel mise le mani avanti. «La foga.»
«Amico, vai a farti i fatti tuoi di là» lo cacciò il concittadino.
I due napoletani continuarono a servire mazzate fino a quando passò al loro fianco Erik.
«Svedese, amico, che fai? Perché li curi?» gli andò vicino Alessio, abbastanza perplesso.
«Giochi a fare dio?» domandò Manuel.
«Non posso lasciarli in questo stato sapendo che posso curarli» spiegò Erik, mentre arrossiva.
Entrambi i napoletani scossero la testa allibiti.
«Complesso di dio, amico.»
«Sindrome della crocerossina.»
«Oh, no. Ragazzi?» Erik scosse la testa, non si dava pace mentre richiamava la loro attenzione.
«Ecco, abbiamo appena iniziato e sono già quello che nel gruppo viene preso in giro. Skit.»

Verso la poppa, Sascha usava la sua velocità per stendere i nemici, fra tutti era quello che ci andava più pesante.
Lasciandosi molto andare, non si rese conto di essere andato troppo vicino al cornicione.
Un'esplosione, provocata stesso da lui, gli fece perdere un attimo l'equilibrio e lo fece quasi finire in mare.
Terrorizzato, rimase immobile, forse troppo per essere a sospeso mezz'aria.
Si guardò alle spalle e vide che Michael lo aveva afferrato giusto in tempo.
«Grazie» gli disse appena lo posò sul pavimento.
«Gr... Non preoccuparti amico» gli disse Michael, guardando in quei temibili bagliori rossi che si vedevano attraverso la maschera.
«Oh, non immagini, io ho il terrore dell'acqua» spiegava Sascha mentre si dava una spolverata.
Michael lo osservava pensieroso, mentre il piccoletto sistemava, con estrema accuratezza, la felpa che aveva indosso.
«Quindi non bevi acqua?»
Sascha lo guardò perplesso, stava scherzando o faceva sul serio? «No Michael. Ho paura del mare.»
Michael muoveva la testa su e giù, ma aveva ancora dubbi nella sua grande testa. «E se tipo metto dell'acqua di mare in un bicchiere? Ti farebbe paura?»
Sascha pensò che stesse facendo sul serio, le sue abilità psichiche lo confermarono. «No, amico. È la profondità del mare che mi fa paura.»
«Capisco» ma probabilmente non era vero.
Prima che potesse dire altro, il piccoletto lo bloccò e gli ricordò che c'era altra gente da picchiare.
«Ti aiuto?»
«No grazie» Sascha si incamminò senza voltarsi. «Faccio da solo.»
E, mentre si allontanava, sfregò le mani e fece cadere un fulmine su un tizio.
«Wow» esclamò il gigante stupito.

Andreas teneva bene a bada i nemici con i suoi portali, li faceva avvicinare e poi li mandava da un'altra parte della nave. Qualcuno era, sfortunatamente, finito fuori bordo. Cose che capitano.
Uno di loro si avvicinò un po' troppo e stava per colpirlo, ma prontamente aprì un portale davanti al suo pugno che finì per colpire qualcun altro, Manuel purtroppo.
«Amico?» lo guardò accigliato il samurai mentre si tastava la guancia colpita.
«Scusa, amico.»

E continuarono a combattere, non senza intoppi.
Sascha fece cadere un fulmine molto vicino ad Alessio.
«Ehi!» lo richiamò quest’ultimo, senza essere considerato.
Dando una gran botta al pavimento della nave, Michael stava facendo finire fuori bordo Andreas e Manuel.
Alessio, per sparare ad un nemico, colpì l’elmetto di Erik.
Michael e Alessio spesso si rubavano le prede a vicenda.

«Signori è ora di andare» avvisò Peter nelle cuffie.
«Di già?» Alessio voleva ancora divertirsi. «Ci stavamo divertendo.»
«Presto, sta arrivando la guardia costiera. Quattordici... Andreas, apri un portale e riportali tutti qui.»
«Non mi piace prendere ordini da questo» si lamentò sottovoce Andreas, scatenando i sorrisi dei compagni.

In poco tempo tornarono a Londra.
Peter li lasciò un attimo soli mentre andava a informare Hart dell'esito positivo della missione.

Sascha rimase seduto al suo posto con la testa abbassata, sempre coperta dal cappuccio, poggiò le braccia sulle ginocchia e iniziò a pensare.
«Com'è stato nel passato?» turbò la sua quiete Alessio. «Da come ho capito non è stato facile, so che hai perso qualcuno.»
Il velocista non rispose, fece solo un cenno con la testa.
«Non posso nemmeno immaginare come ti senti. Ci sei riuscito? A non cambiare la linea temporale.»
Sascha tenne la sua posizione, ci mise un po' a rispondere. «No... Boh... non so spiegarlo. Però ucciso Hitler.»
«Hai fatto bene amico» Alessio rifletté sulle sue parole e pensò a quando a scuola, sui libri di storia, leggeva che Hitler morì alla fine della guerra.
Lo avevano sempre preso in giro, a lui e a tutto il mondo?

«Abbiamo finito?» domandò Andreas, quasi come se avesse paura di aprire bocca.
«Credo di sì» gli rispose Erik.
Peter fece ritorno.
«Bene, potete tornare nelle vostre stanze. Eccetto te, Manuel. Ti ho preso una stanza in un hotel a Londra.»
«Ah» disse il ragazzo, sorpreso. «Grazie.»
«Cosa abbiamo fatto di preciso?» domandò Sascha.
«Fermato dei terroristi» rispose Peter.
L'islandese alzò le spalle. «Ne sei convinto?»
“Adesso non più.”
Peter conosceva bene le capacità di Sascha, del suo evoluto sesto senso se aveva detto quelle parole doveva significare qualcosa.
«Facci sapere se hai ancora bisogno di noi» disse, dunque l’islandese.
«Sì», Alessio sembrava d'accordo. «Formiamo un gruppo.»
Anche Michael. «Rispetto a tutti gli altri, eccetto lo stecchino che parla troppo, mi siete simpatici.»
«Vedremo» rispose Peter. Non gli sembrava una brutta idea, in effetti.
«Tu vedi bene che c'era su quella nave» gli sussurrò Sascha, molto sospettoso. «Qualcosa non mi quadra, inglese.»

Peter li guardò allontanarsi.
Doveva ammettere che si era divertito, sia a guardarli che a sentire le loro tante parole durante la missione.
Ci aveva visto bene, non erano come gli altri. Erano… diversi. Migliori. Erano come lui.
Pensò, poi, alle parole di Sascha.
Avrebbe ascoltato il suo consiglio e avrebbe indagato.

~~

Cinque persone erano in una stanza buia.
L’unica luce veniva da uno schermo che mostrava la nave appena salvata dai terroristi.
«Il carico tornato in nostro possesso?» domandò una donna.
«Certo» le rispose un uomo. «Tutto sotto controllo.»
«I terroristi?» domandò un altro uomo, con un accento latino.
«Uccisi tutti» disse una donna dalla voce più autoritaria, rispetto all’altra. «Nessuno saprà ciò che c’era su quella nave.»
«Che ora raggiunga la Cina» disse un terzo uomo. «E compia il suo viaggio.»
Lo schermo ora mostrava delle immagini di una città devastata, completamente distrutta.

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