GIUBA: 26
Il re, Diop e le sei guardie osservavano, incuriositi e attenti, i sette ragazzi lì immobili davanti al cancello.
«Salve» annunciò Alessio con voce calma. «Vorremmo entrare nel palazzo.»
«Se è possibile» aggiunse in fretta Sascha, scatenando qualche impercettibile smorfia di confusione e di dissenso da parte dei compagni.
I soldati iniziarono a parlottare.
«Che cazzo di lingua del cazzo stanno parlando?» si lamentò il cecchino.
«È la lingua del posto» spiegò Sascha.
«Cosa stanno dicendo?» chiese Erik.
«Niente di che, si chiedono chi siamo e perché siamo qui» spiegò ancora il poliglotta Sascha.
«Sono spaventati?» domandò Michael, afferrando il fucile che aveva dietro la schiena.
«Adesso lo sembrano» gli rispose Peter.
«Ci fanno entrare o no?» Manuel era impaziente.
«Ancora che parlano nella loro stupida lingua?» Alessio trattenne il suo infastidimento, o almeno ci provò.
«Calmo amico» intervenne il gigante dandogli una pacca sulla spalla. «Solo perché hanno la pelle diversa dalla tua non significa che la loro lingua sia stupida.»
Alessio preferì non rispondergli.
«Quindi?» Peter pose la domanda cruciale.
«Mi sono scocciato di aspettare» disse Sascha.
Andreas caricò il cannone ad una potenza leggermente maggiore, rispetto al solito. «Inglesotto? Che succede se faccio...» il colpo che ne uscì, fu di una potenza molto superiore, rispetto a quelli che aveva sparato antecedentemente.
I soldati, con tutto il cancello, erano a terra, dopo un bel volo che li aveva mandati dritti alle porte del palazzo.
«Dunque... andiamo.»
I Fra, tutti insieme, misero piede nella proprietà privata.
Dentro il palazzo Grundy e Teersa avevano già mandato all'entrata principale tutti i soldati disponibili.
Circa cento uomini attendevano, con i fucili puntati, che quei sette ragazzi attraversino la porta.
Ai lati della ampia entrata si formarono due ampi buchi, uno creato da Michael, l'altro da Sascha.
Gli altri li seguirono, eccetto Andreas, che rimase per un attimo bloccato con la mano sulla maniglia, lì già prima che i due compagni creassero le entrate secondarie.
Il tedesco decise di seguire la sua via alternativa, quindi passò per la porta, la quale, quando venne richiusa, cade a terra distrutta.
Andreas alzò le spalle. "Che posso farci?"
Sascha si armò di pugnale e scudo ed iniziò a correre. Ovunque.
Michael posò subito il fucile che aveva tra le mani e lo cambiò con la minigun e iniziò a sparare come un forsennato.
Alle sue spalle arrivò Manuel lanciato verso due nemici, prima di lui, però, arrivano le lame rotanti di Erik.
Il samurai allargò le braccia infastidito.
Quando lo svedese andò a riprendere le lame si lanciò già su un altro bersaglio, ma stavolta fu lui ad essere anticipato, da un proiettile di Alessio.
Dunque, il biondo coi baffi, allargò le braccia infastidito.
Con Manuel che anticipò Alessio, con le sue katane, il cerchio si chiuse.
Il cecchino allargò le braccia infastidito.
Andreas provò a dare al cannone la stessa potenza data un attimo prima, e ci riuscì.
Fuori controllo per i primi colpi, quasi colpiva anche i compagni.
«Sta attento crucco!» gli urlò, infatti, Alessio.
«E tu spostati!»
Prese velocemente la mano e riuscì a far saltare in aria i nemici.
«Idiota!» lo rimproverò Peter. «Quella modalità l'avevo messa solo per casi straordinari, anche perché ti ci voleva tempo prima di imparare a controllarla.»
Andreas puntò lo sguardo verso il cannone, poi tornò da Peter. «Beh, l'ho fatto.»
Peter camminò a passo lento dietro Manuel.
Il samurai correva tagliando e affettando chiunque gli capitasse davanti.
Il ricco inglese lo seguì, camminando a testa bassa con la spada laser in mano che poneva fine al lavoro del compagno.
Michael mosse il minigun verso la testa di uno dei nemici, per poi schiacciarlo, con la stessa arma, appena si distese sul pavimento.
Lo posò e ne afferrò un altro che poi spiaccicò per terra. Ci si sedette sopra, unì i pugni e colpì ripetutamente la testa.
Alessio, al suo fianco, teneva la pistola puntata su un nemico e sparò colpi a ripetizione, cadeva uno ne arrivava un altro, che cadde e lasciò posto al terzo, che cade e così continuò la catena.
Sascha fermò per un po' la sua corsetta per saltare sulle spalle di un nemico e infilzargli, ripetutamente, il pugnale nel collo.
Erik tirò fuori la mitragliatrice sparò ruotando a destra e a sinistra, sfoltendo l'orda di soldati che gli intralciavano la strada.
Andreas intanto aveva provato ad aumentare ancora di più la potenza, scatenando una raffica di colpi incontrollata.
Peter rimase scioccato quando Manuel scattò improvvisamente verso un mucchio selvaggio di nemici. Lo vide poi apparire in piedi su uno di loro a portare le spade verso le teste in basso. Come se giocasse ad acchiappa la talpa.
Grundy e Teersa non si aspettavano una cosa del genere, dalle informazioni ricevuto da Richard e gli altri, non dovevano essere così forti quei ragazzini.
«Non ci interessa!» urlò Grundy a qualcuno dall'altra parte del telefono. «Mandateli subito qui! Questi stanno distruggendo tutto!»
Dopo cinque minuti, i circa cento soldati erano tutti a terra, e la facciata principale del palazzo era ormai inesistente, l'interno non stava messo così tanto meglio.
Michael era seduto su un cumulo di macerie. «Cos'è?» domandò mentre studiava un oggetto che aveva nella mano.
«Una braccio» spiegò Alessio, lì in piedi vicino a lui.
«Che schifo» lo lanciò via il gigante.
Anche Manuel si era accomodato sulle macerie, puliva le sue katane. «Nessun altro? Dov'è colui che comanda?»
«Non saprei» disse Peter guardandosi intorno.
Sascha era in cima al cumulo più alto, rivolto verso l'esterno. «Entra più aria fresca così.»
«Vero» confermò Andreas mentre si arrampica.
Allungò la mano al velocista, rimanendo appeso, era più concentrato a guardare le persone dall'altra parte del cancello oltre il lungo viale principale.
«Che avranno da ammucchiarsi tutti lì fuori» si lamentò il piccoletto. «Un po' di rispetto, stiamo combattendo.»
«È pericoloso qui. Potrebbero farsi male» gli urlò da sotto Erik.
«Dillo a loro, non a me.»
«Le hai prese in Giappone?» domandò Peter, avvicinandosi a Manuel, riferendosi ovviamente alle katane.
«Sì, fabbricate da un'antica famiglia. Una famiglia di antichi samurai.»
«Wow» esclamò, esagerando per prenderlo in giro Alessio.
«Li ho imparato molto sai, cecchino? La calma, la pazienza, il rispetto, il non agire in modo impulsivo.»
E, infatti, appena sentì un piccolo rumore più in là, lanciò una pietra, ammazzando così un topo.
«Per niente impulsivo.»
Le loro chiacchiere vennero interrotte dall'arrivo di altri possibili avversari.
Dodici persone, donne e uomini, si palesarono davanti a loro in abiti sgargianti e facce fin troppo convinte.
Alessio andò verso di loro. «Non sforzatevi signore e signori. Avete visto, no, quello che abbiamo fatto a questi soldati?»
Una delle donne non sembrava essere d'accordo, gli fece un sorriso e poi lo colpì con un forte pugno che lo mandò dritto nelle macerie.
Un altro si fece avanti e lancia una palla di fuoco, sempre verso il cecchino, che fortunatamente, schivò.
Sascha scese dall'alto del suo cumulo ed elettrificò i due.
Andò verso un terzo al quale fece subire, direttamente, la potenza di un fulmine.
Rimase di stucco quando notò che il suo fulmine non ebbe nessun effetto.
La preoccupazione salì quando sentì dell'aria fredda sulle gambe.
«Vedi, abbiamo subito trovato il tuo tallone d'Achille.»
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